Sommario: 1. Il contrasto normativo alla pandemia e l’avvio della campagna vaccinale. 2. La camaleontica configurazione del reato di epidemia colposa. 3. Le peculiari fattispecie derivanti dal contagio del Covid-19. 4. L’obbligo di vaccinazione e la possibile responsabilità penale e disciplinare degli operatori sanitari “no-vax” 5. Conclusioni.
Abstract. Il Coronavirus sta travolgendo i sistemi costituzionali ed economici di tutti i paesi del mondo, tra cui anche l’Italia. Un primo freno all’epidemia è stato posto in essere da misure normative volte a frenare il contagio, spesso di dubbia costituzionalità; ma un momento significativo nella lotta al contagio è rappresentato dall’avvio della campagna vaccinale che in Europa è avvenuto il 27 dicembre 2020. A tale riguardo desta non poche perplessità la circostanza che vaste fasce di operatori appartenenti alle categorie degli operatori sanitari, medici, infermieri e OO.SS.SS. si rifiutino di sottoporsi alla somministrazione del vaccino. Tale comportamento potrebbe integrare il reato di epidemia colposa, di omicidio colposo, lesioni colpose e comportare responsabilità disciplinari per gli inadempienti.
Abstract. The Coronavirus is going through the constitutional and economical system all over the world, so in Italy. A first stop to the infection has been made by legislative measures considered often doubtfull constitutionality, but one of the most significative moment during the fighting to the desease is the vaccination campaign that has been happening in Europe since 27th December 2020. In this regard there are some concerns about many workers of Public Health Service, as doctors, nursing service and others medical operators that refuse to get a vaccination. This behaviour may involve the crime of “negligent epidemic”, manslaughter, negligent injuries and disciplinary responsabilities for the defaulting.
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Il contrasto normativo alla pandemia e l’avvio della campagna vaccinale
Il protrarsi del contagio da Covid-19 ha cambiato radicalmente lo scenario globale, con una ricaduta spaventosa e incontrollabile, oltre che sulla salute dei cittadini di tutti i continenti, anche sulla realtà economico-sociale degli stessi, determinando l’adozione di misure straordinarie in campo sanitario e giuridico.
In particolare, nel nostro ordinamento, in primo luogo, è stato messo a dura prova il principio sancito dall’art. 32 della Costituzione, in base al quale “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. La difesa di questo principio ha determinato l’adozione di provvedimenti eccezionali, spesso di dubbia costituzionalità, ma necessari nella lotta alla pandemia.
In Italia, infatti, il 31 gennaio 2020, il Consiglio dei Ministri ha ufficializzato, lo stato di emergenza, per sei mesi dalla data del provvedimento, al fine di consentire l’emanazione delle necessarie ordinanze di Protezione civile, in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico; ha deliberato, inoltre, lo stanziamento dei fondi necessari per dare attuazione alle misure precauzionali derivanti dalla dichiarazione di emergenza internazionale effettuata dall’O.M.S. Il provvedimento è stato prorogato sino al 30 aprile 2021.
A disciplinare la materia nella prima fase di emergenza è intervenuto, a seguito dei decreti legge n.6/2020, n.11/2020, e dei D.P.C.M. in data 4 marzo 2020, 8 marzo 2020 e 11 marzo 2020, anche il decreto legge 17 marzo 2020, n.18 (c.d. decreto legge “Cura Italia”), convertito con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n.27, che ha introdotto una serie di disposizioni normative rivolte alle pubbliche amministrazioni, tra cui quelle contenute nell’art. 87 recante “Misure straordinarie in materia di lavoro agile e di esenzione dal servizio e di procedure concorsuali”.
Successivamente, a regolamentare la normativa emergenziale, è stato emesso il D.P.C.M. in data 22 marzo 2020, che ha previsto ulteriori norme attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n.6 ed ha impartito disposizioni innovative in ordine ai poteri del Prefetto, ampliandoli in maniera significativa.[1]
Nel tentativo, poi, di semplificare la normativa emergenziale e cercare di dare una veste costituzionale ai precedenti provvedimenti normativi, è stato emanato il decreto legge n.19 del 25 marzo 2020, convertito nella legge 22 maggio 2020, n. 35.
In primo luogo, tale provvedimento ha precisato che possono essere adottate, una o più misure, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili più volte. Si è posto un limite, così, alla vortiginosa e discutibile legiferazione incontrollata da parte dell’esecutivo.
Con i D.P.C.M. in data 1°, 10 e 26 aprile 2020, poi, le misure emergenziali sono state prorogate sino al 17 maggio 2020, dando luogo alla c.d. fase due dell’emergenza.
Successivamente, con il decreto legge n.28 in data 30 aprile 2020, convertito nella legge 25 giugno 2020, n. 70, sono state disposte “misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazione di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta covid-19”.
Con il decreto legge n.34 del 19 maggio 2020, convertito nella legge 17 luglio 2020, n. 77, poi, sono state emanate misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19.
Si sono susseguiti, spesso in modo frammentario e contradditorio, ancora i D.P.C.M. in data 11 giugno, 14 luglio, 7 agosto, 7 settembre, 7 ottobre, 13 ottobre, 18 ottobre, 24 ottobre, 3 novembre e 3 dicembre, 14 gennaio 2021 nonché vari decreti legge, tra cui da ultimo quello in data 2 dicembre 2020, n. 158 che ha prorogato la validità dei DPCM da 30 a 50 giorni, e quello del 18 dicembre 2020, n. 172, concernente ulteriori disposizioni urgenti per fronteggiare i rischi sanitari connessi alla diffusione del virus Covid-19.
Significativo appare anche il decreto del Ministro dell’Interno di concerto con il ministro dell’economia e delle finanze in data 14 dicembre 2020 che ha stabilito i criteri e le modalità di riparto delle risorse incrementali del fondo dell’esercizio delle funzioni degli enti locali.
In tale scenario, un giorno che entrerà nella storia alla lotta al Covid-19 è rappresentato dal 27 dicembre 2020 che segna l’inizio della campagna vaccinale.[2] Un momento simbolico scelto dall’Europa per condividere il tentativo della fine dell’epidemia. Con la somministrazione delle prime dosi del vaccino Pfizer Biontech, messo a punto seguendo tutte le fasi della sperimentazione clinica e autorizzato dall’Agenzia Europea del Farmaco (EMA), uno spiraglio di luce si intravede in fondo al tunnel che il mondo intero percorre ormai da circa un anno. E’ chiaro che ci vorrà del tempo prima che la profilassi gratuita permetta di allentare le misure di contenimento in vigore e prima citate. La campagna vaccinale durerà almeno 12 mesi necessari per vaccinare quel 70% della popolazione che viene individuato come la soglia minima da raggiungere per determinare la c.d. immunità di gregge.
I primi che riceveranno la vaccinazione sono coloro che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della salute, l’Istituto Superiore di Sanità e l’Agenzia italiana del Farmaco hanno riconosciuto come appartenenti alle categorie da vaccinare prima di tutte le altre: gli operatori sanitari e sociosanitari, gli ospiti e i dipendenti delle residenze sanitarie assistenziali (Rsa). Vaccinare i medici e gli infermieri ha un valore duplice: permette di proteggere operatori posti più a rischio dal loro lavoro, ma soprattutto garantire la tenuta del sistema sanitario nazionale ed impedire la diffusione del contagio. Inoltre, non deve essere sottovalutato il buon esempio che mai come in questo momento storico può giungere dagli operatori sanitari.
Dopo questo primo step che coinvolgerà quasi due milioni di persone, si potrà progredire vaccinando innanzitutto gli anziani con più di 80 anni (quasi 4,5 milioni). A seguire, come indicato nel piano strategico, sarà il turno delle persone di età compresa tra 60 e 79 anni (circa 13,5 milioni) e degli italiani affetti da almeno una malattia cronica (circa 7,5 milioni). E poi, via via, di tutti gli altri con priorità per il personale scolastico e le forze dell’ordine.
2. La camaleontica configurazione del reato di epidemia colposa
Si osserva in via preliminare che è necessario in primo luogo verificare se nel comportamento dei sanitari che si sottrarranno all’obbligo della vaccinazione, venendo meno ad un dovere giuridico e deontologico, possa configurarsi, per quanto concerne l’epidemia in atto, il reato di epidemia colposa (artt. 452 c.p.), delitto di evento a forma vincolata[3], di omicidio colposo (art.589 c.p.) o lesioni colpose (art. 590 c.p.) e anche una responsabilità di carattere disciplinare.
Chi commette “Delitti colposi contro la salute pubblica”, quindi diffonde germi o patogeni o avvelena acque e beni destinati all’alimentazione, è punito dall’ordinamento penale con sanzioni severe, commisurate alla gravità del fatto.[4] L’articolo di riferimento è il numero 452 del codice penale che prevede la reclusione da 3 a 12 anni per chi diffonde colposamente il virus o con la sua condotta negligente ne favorisce la propagazione causando la morte di persone innocenti. Sanzione che si tramuta in ergastolo se il fatto avviene con dolo, cioè con coscienza e volontà di provocare un’epidemia letale.[5]
L’epidemia è un delitto contro la salute pubblica ed è collocato nel titolo VI del libro II c.p. relativo ai delitti contro l’incolumità pubblica. Il legislatore anticipa così la tutela delle persone in modo da salvaguardare ancor prima che divengano concreto bersaglio delle condotte pericolose penalmente sanzionate.[6]
In particolare, l’epidemia è un reato di pericolo astratto, nel quale il legislatore, sulla base di leggi di esperienza è, nella generalità dei casi, fonte di pericolo per uno o più beni giuridici: il pericolo non è elemento del fatto di reato e la sua sussistenza nel caso concreto non deve essere accertata dal giudice. Ciò che il giudice deve verificare è soltanto il realizzarsi di quel comportamento che il legislatore ha ritenuto normalmente pericoloso.[7]
La materialità del delitto è costituita sia da un evento di danno rappresentato dalla concreta manifestazione, in un certo numero di persone, di una malattia eziologicamente ricollegabile a quei germi patogeni, che da un evento di pericolo, rappresentato dall’ulteriore propagazione della stessa malattia a causa della capacità di quei germi patogeni di trasmettersi ad altri individui anche senza l’intervento dell’autore dell’originaria diffusione.[8]
Nella stessa ottica si pone la giurisprudenza di merito secondo cui l’epidemia è la manifestazione collettiva di una malattia infettiva umana che si diffonde rapidamente in uno stesso contesto.[9]
Quando c’è la colpa significa che chi diffonde il virus non ne ha la volontà, ma provoca il fatto con atteggiamenti negligenti e/o imprudenti. Questi vengono valutati dal giudice di merito e, ove necessario, da consulenti tecnici esperti della materia, i quali devono verificare se l’indagato ha agito con la diligenza richiesta dall’incarico ricoperto e seguendo le norme comportamentali e i protocolli obbligatori. E’ questo accertamento appare facilmente verificabile nel caso degli operatori sanitari che vengono meno all’obbligo vaccinale.
Per epidemia si intende la diffusione di una malattia, generalmente infettiva, che colpisce una grande quantità di individui nello stesso periodo. Tale malattia deve avere la stessa origine e, per definirsi epidemia, deve avere una diffusione spazio-temporale determinata.
La norma tutela l’incolumità pubblica, intesa come complesso di condizioni che garantiscono la vita e l’integrità fisica dell’intera collettività.
La fattispecie è rimasta sostanzialmente invariata nel codice penale e non sono state rintracciate sentenze di condanna definitiva, nelle quali se ne fa l’applicazione. La giurisprudenza di legittimità si è espressa due volte in argomento, nel 2008 e nel 2019: con la prima sentenza,[10] le Sezioni Unite civili hanno delineato sinteticamente i tratti salienti della fattispecie, dichiarandola insussistente nel caso concreto in materia di emotrasfusioni; più recentemente,[11] la Suprema Corte, pur sempre escludendone la configurazione, ha fissato ulteriori caratteri del peculiare reato in tema di infezione da H.I.V. E’ da ritenere ragionevolmente, invece, che, in occasione della pandemia in atto, i numerosi procedimenti penali instaurati si concluderanno con sentenze di merito, alcune delle quali di condanna.
Nell’accezione scientifica “germi patogeni” sono tutti i microorganismi capaci di innescare malattie infettive. Il principio di tassatività della normativa penale impone di escludere altri agenti, al di fuori di quelli espressamente richiamati dalla norma, quali sostanze tossiche, radioattive o altrimenti nocive per la salute.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (I.S.S.), una malattia infettiva è “una patologia causata da agenti microbici che entrano in contatto con un individuo, si riproducono e causano un’alterazione funzionale”. Gli effetti possono avere conseguenze variabili: “[…] in base alla suscettibilità della popolazione e alla circolazione del germe, una malattia infettiva può manifestarsi in una popolazione in forma epidemica, endemica o sporadica”.
L’agente può diffondere i germi in qualsiasi modo, purchè ne derivi una propagazione rapida per un numero significativo di persone, in rapporto all’area colpita, o la possibilità che ciò possa avvenire. Recentemente la Cassazione ha affermato che “la norma incriminatrice non seleziona le condotte diffusive rilevanti e richiede, con espressione quanto mai ampia, che il soggetto agente procuri un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni, senza individuare in che modo debba avvenire questa diffusione; occorre, però, al contempo che sia una diffusione capace di causare un’epidemia”. I giudici precisano che una diffusione può aversi anche quando sia l’agente stesso il vettore consapevole dei germi patogeni, come nel caso del soggetto contagiato da H.I.V e come potrebbe avvenire per l’operatore sanitario che non si vaccina.[12]
Dunque, l’evento ha natura di danno rispetto a coloro che siano già stati contagiati, ma qualificato dal pericolo comune rispetto a coloro che potrebbero esserlo, ossia per la pubblica incolumità.[13] In proposito, si ipotizza che anche il medico o l’operatore sanitario non vaccinato e portatore dei germi patogeni possa configurare tale reato.
L’indirizzo ermeneutico prospettato valorizza la causalità, nel caso concreto, tra le modalità di contagio, la diffusività del virus ed il fenomeno epidemico.
A ciò si deve aggiungere che elementi caratterizzanti il reato di epidemia sono:
- la sua diffusività incontrollabile all’interno di un numero rilevante di soggetti;
- l’assenza di un fattore umano imputabile per il trasferimento da soggetto a soggetto;
- il carattere contagioso e diffuso del morbo, la durata cronologicamente limitata del fenomeno (poiché altrimenti si verserebbe in endemia).
Il reato è punibile anche a titolo di dolo, ma per la rilevanza del bene giuridico tutelato, il legislatore ne ha previsto espressamente la punibilità a titolo di colpa con il citato art. 452 c.p. Si presuppone, inoltre, la consapevolezza della natura patogena dei germi e del nesso che vi è tra la diffusione di essi e l’evento epidemia[14].
Nel reato di epidemia l’evento “morte di più persone” deve essere non voluto dall’agente, anche se eziologicamente connesso alla sua volontà. Il colpevole che agisca con il dolo di uccidere, infatti, risponderebbe del reato di strage. La condotta del reato di epidemia verrebbe assorbita da quegli “atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità” compiuti al fine di uccidere, di cui all’art. 422 del codice penale. Invero, quest’ultima ipotesi sarebbe applicabile anche per la morte di una persona, ai sensi del secondo comma della stessa disposizione.
La rilevanza del bene giuridico tutelato dall’art. 438 del codice penale ha indotto il legislatore alla previsione espressa della punibilità per colpa del fatto ivi sanzionato.
Infatti, l’art. 452 del codice penale, nell’ambito della disciplina dei delitti colposi di comune pericolo (Capo III del Titolo VI del codice), prevede che “Chiunque commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli artt. 438 e 439 è punito:
- con la reclusione da tre a dodici anni, nei casi per i quali le dette disposizioni stabiliscano la pena [di morte];
- con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscano l’ergastolo […]”.
L’epidemia colposa è punita con la pena da uno a cinque anni (n. 2, comma 1, dell’art. 452); qualora dall’epidemia deriva la morte di più persone (n. 1 dell’art. 452) l’agente risponderebbe con una pena da tre a dodici anni.
In realtà, l’art. 1, comma 2, del D.lgs. 10 agosto 1944, n.224, ha soppresso e sostituito la pena di morte con l’ergastolo, con un intervento diretto sulle norme in cui essa era comminata; sarebbero, quindi, escluse le disposizioni che non assolvono tale funzione, come l’art. 452, comma 1, del codice penale che adotta un mero rinvio.
Le ipotesi colpose sono espressamente previste dal legislatore, ai sensi dell’art. 42, comma 2, del codice penale e sono finalizzate a contenere i rischi connessi al continuo progresso tecnologico, scientifico, sanitario e all’evoluzione dello stile di vita individuale e collettivo.
Il delitto è colposo (o contro l’intenzione), secondo l’alinea 3 dell’art. 43 del codice penale, “Quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.
La colpa si fonda su tre elementi essenziali: l’involontarietà dell’evento tipico, l’inosservanza di regole cautelari generiche o specifiche (nel caso in esame, la non sottoposizione al vaccino approvato dagli organismi nazionali e internazionali a ciò deputati AIFA, EMA e OMS), l’attribuibilità soggettiva della violazione delle predette regole e l’esigibiltà in concreto del comportamento corretto idoneo a impedire il fatto.
L’articolata definizione normativa non dà indicazioni sulla individuazione della regola cautelare che, però, sostanzialmente, funge da precetto penale, secondo la concezione normativa della colpa. Le fattispecie colpose, a differenza di quelle dolose, infatti, non sono autosufficienti e hanno necessità di essere eterointegrate mediante una regola esterna. In sostanza, non c’è soggettività, ma oggettività nella colpa, con riferimento alla condotta cautelare dell’agente.
Individuate le regole cautelari violate nel caso concreto, è necessario accertare un giudizio di rimproverabilità del soggetto basato sui criteri di prevedibilità ed evitabilità dell’evento (terzo elemento della colpa).
Infine, il reato colposo non si può configurare in termini di tentativo, per incompatibilità logico-strutturale del peculiare addebito con l’art. 56 del codice penale. Il tentativo implica infatti l’intenzione, assente nell’elemento soggettivo della colpa.
L’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni, quindi, deve essere causata dalla violazione, soggettivamente imputabile, di norme di condotta, generiche e specifiche, formulate ed imposte proprio per prevenirla o arginarla (ad esempio, l’obbligo di vaccinazione per gli operatori sanitari). Il soggetto agisce in un contesto lecito nel quale entra in relazione con germi patogeni di cui ne conosce la natura o la ignora per colpa inescusabile[15].
Il giudizio della responsabilità colposa deve passare, però, attraverso una rigida sequenza logica che inizia con l’analisi dell’accadimento lesivo. La prima fase consiste in un giudizio esplicativo nel corso del quale si accerta il processo causale materiale dell’evento. Il c.d. giudizio di “realtà” sarà seguito dalla valutazione della natura della condotta che si ritiene causale, attiva od omissiva; in tale ultimo caso sarà necessario verificare se sull’agente versi in una posizione di garanzia con il conseguente obbligo giuridico di evitare l’evento (obbligo di vaccinazione degli operatori sanitari per evitare il contagio da covid-19 nei confronti dei pazienti).
E’ essenziale, poi, individuare la regola cautelare che si presume violata correlandola con l’evento secondo il criterio di concretizzazione del rischio. In sostanza, è necessario accertare se l’evento che si è verificato rientra tra quelli che la norma di condotta mirava ad evitare nel rispetto della c.d. causalità della colpa.
Infine e solo dopo aver accertato la causalità della colpa si procede con un giudizio controfattuale (giudizio c.d. di irrealtà) per provare la causalità in concreto dell’evento con la regola violata. Applicando il criterio del c.d. comportamento alternativo lecito (nella fattispecie in esame la sottoposizione al vaccino dell’operatore sanitario) si deve verificare se l’osservanza della regola cautelare violata avrebbe effettivamente impedito la verificazione dell’evento nel caso concreto.
Inoltre, le eventuali cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l’evento, ai sensi del comma 2 dell’art. 41 del codice penale, escludono il rapporto eziologico tra la condotta e l’evento. Il concorso di cause preesistenti o simultanee (in quanto conosciute o conoscibili dall’agente), anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole o consistenti nel fatto illecito altrui, non esclude il nesso di causalità (ad esempio, la preesistenza di gravi patologie in paziente poi colpito da Covid-19).[16]
Per quanto riguarda l’aspetto procedurale, il delitto di epidemia colposa è di competenza del Tribunale in composizione monocratica, salvo che ricorra la circostanza aggravante speciale dell’aver cagionato la morte di più persone, nel qual caso sarà deciso dal Collegio (salvo l’accesso a riti alternativi nel corso dell’udienza preliminare).
Più complesso è individuare la competenza per territorio, poichè occorre determinare in quale contesto il singolo agente abbia infettato un numero di individui così rilevante da integrare l’evento e così consumare il delitto. Per una parte della dottrina,[17] se l’epidemia si propaga in circoscrizioni di giudici diversi, sarebbe competente quello del luogo in cui si è verificata una parte dell’azione o dell’omissione. Nel caso in cui sia integrata la menzionata aggravante, però, la competenza si radicherebbe nel luogo in cui è avvenuta l’azione che ha portato alla diffusione del contagio, ai sensi dell’art. 8, comma 2, c.p.p. Per quanto attiene alla prova dell’evento-epidemia, se si accogliesse l’impostazione sanitaria, si dovrebbe fare riferimento ad un sapere scientifico largamente accreditato dagli studiosi.[18]
Dalle considerazioni esposte si evince chiaramente che la teorica applicabilità dell’arresto in flagranza va esclusa in concreto, considerata l’impossibilità da parte della Polizia Giudiziaria di valutare sul momento se la condotta del soggetto agente abbia cagionato un evento di dimensioni tali da integrare un’epidemia penalmente rilevante.
Le peculiari fattispecie derivanti dal contagio del Covid-19
Si osserva preliminarmente che l’art. 4, comma 6, del decreto legge n.19/2020 convertito nella legge 22 maggio 2020, n. 35 contiene un’espressa clausola di riforma e, come notato in dottrina, si pone in un rapporto di gravità progressiva rispetto al delitto di cui all’art. 452 c.p. sotto il profilo dell’entità del pericolo per la salute pubblica.[19] Pertanto, l’epidemia colposa sarà configurabile quando si accerti che la condotta dell’agente ha cagionato il contagio di una o più persone e la possibilità di un’ulteriore propagazione della malattia rispetto ad un numero indeterminato di individui, come potrebbe verificarsi nel caso dell’operatore sanitario che si sottrae all’obbligo di vaccinazione.[20]
In questa chiave di lettura, il criterio fondato sull’emissione di provvedimenti normativi o amministrativi ad hoc potrebbe essere utilizzato per una semplificazione sul piano probatorio, nel senso che, qualora sia stato adottato un atto formale, non dovrebbe essere più consentito dibattere sull’esistenza di una epidemia e sulle sue conseguenze anche penali. Nel caso in esame, tale atto potrebbe essere rappresentato dall’avvio ella campagna di vaccinazione da parte del Parlamento, del governo italiano e dell’Istituto Superiore di Sanità.
Sulla base delle attuali conoscenze scientifiche e delle conseguenze riscontrate finora è possibile qualificare il SARS-CoV-2 fra i germi patogeni, richiamati dagli artt. 438 e 452 c.p. che, qualora diffusi, dolosamente o colposamente, possono cagionare un’epidemia, quale “manifestazione collettiva d’una malattia che rapidamente si diffonde fino a colpire un gran numero di persone in un territorio più o meno vasto in dipendenza da vari fattori, si sviluppa con andamento variabile e si estingue dopo una durata anche variabile”.
Per questo motivo le misure sinora adottate dalle Autorità sono state finalizzate a realizzare il cosiddetto distanziamento sociale, cioè a interporre uno spazio di sicurezza tra i consociati, compreso tra un metro e due metri, e a ridurre il più possibile le occasioni in cui possono verificarsi i contatti sociali, ma anche e soprattutto di recente alla sottoposizione alle procedure vaccinali in corso di svolgimento.
Per ricostruire la causalità nella fattispecie criminosa di cui all’ art. 452 c.p. in presenza della diffusione di questo virus è necessario fare riferimento alla scienza medico-epidemiologica.
Allo stato, l’epidemia è già in corso da più di un anno, con focolai sparsi nelle varie regioni geografiche. Pertanto, l’evento addebitabile all’agente (nel nostro caso operatore sanitario) sarà il focolaio epidemico cagionato direttamente e causalmente dalla sua condotta.
Appurata l’incompatibilità del tentativo con i reati colposi, il delitto di cui all’art. 452 c.p. si consuma soltanto con la verificazione dell’evento epidemico (non voluto) mediante la diffusione del virus causata da condotte che violano i doveri di diligenza, prudenza e perizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, imposti proprio per evitare il verificarsi dell’evento (ad esempio, le disposizioni legislative e amministrative che prevedono ed organizzano l’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari). E’ necessario, però, ricostruire eziologicamente il nesso tra la condotta e lo specifico focolaio epidemico, con il supporto della scienza medica e l’inosservanza delle regoli cautelari deve essere rimproverabile all’agente, giudizio di facile attribuzione nel caso degli operatori sanitari che si rifiutano di vaccinarsi.
Nel 2017 la Corte di cassazione ha affermato che “Non è configurabile il delitto di epidemia colposa a titolo di omissione, posto che l’art. 438 c.p., con la locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni”, richiede una condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con il disposto dell’art. 40, secondo comma, c.p., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera”.[21]
Tale principio non appare condivisibile perché si ritiene che la diffusione dell’epidemia possa avvenire in qualsiasi modo. Infatti, l’art. 40, comma 2, c.p. recita “Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”, come nel caso in esame.
In realtà, tra l’altro, nel 2013, proprio la Suprema Corte ha affermato che “E’ configurabile il concorso per omissione, ex art. 40, secondo comma c.p., rispetto anche ai reati di mera condotta, a forma libera o vincolata”;[22] e, ancor più recentemente, nel 2016, che “E’ configurabile il concorso per omissione ex art. 40, secondo comma, c.p. nel reato di frode nelle pubbliche forniture, posto che la responsabilità da causalità omissiva è ipotizzabile anche nei riguardi dei reati di mera condotta, a forma libera o vincolata, e che, nell’ambito della fattispecie concorsuale, la condotta commissiva può costituire sul piano eziologico il termine di riferimento che l’intervento omesso del concorrente avrebbe dovuto scongiurare”.[23] E’ proprio di omissione si tratta nella fattispecie in argomento (omessa vaccinazione).
La caotica e diffusa evoluzione dell’emergenza epidemica richiede l’accertamento dell’interferenza di altre cause concorrenti alla verifica dell’evento. Ai sensi dei commi 1 e 3 dell’art. 41 c.p. “Il concorso di cause preesistenti o simultanee sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione o omissione del colpevole” o consistenti nel fatto illecito altrui, “non esclude il nesso di causalità fra l’azione od omissione e l’evento”. Il legislatore come già visto non fa alcuna eccezione per le cause preesistenti e simultanee, poiché, per il loro carattere possono entrare nella sfera rappresentativa dell’agente, in particolare quando si tratta di un operatore sanitario. Una deroga è dettata per le circostanze sopravvenute che, non essendo conoscibili in quanto future, “escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento”, ai sensi del comma 2 della medesima disposizione.
La diffusione di germi patogeni a seguito di una condotta, commissiva od omissiva, di natura colposa, può non cagionare un episodio epidemico, ma non per questo essere penalmente irrilevante. Le regole cautelari dettate in materia presidiano il bene giuridico rappresentato dall’incolumità pubblica, così come quello della salute e della vita dei singoli. Pertanto, l’agente che, violando le disposizioni normative e regolamentari, gli ordini dell’autorità, le linee guida del settore sanitario (obbligo vaccinale) o regole cautelari, provoca il contagio di una o più persone, senza causare comunque un focolaio epidemico in senso scientifico, può rispondere di lesioni colpose ai sensi dell’art. 590 c.p. La condotta, infatti, sarebbe causa di una lesione personale. L’infezione, dalla quale deriva da una malattia nel corpo, con un decorso più o meno grave, che può portare anche alla morte del soggetto contagiato. Il decesso dell’agente è, infatti, un evento assolutamente prevedibile per l’agente, sulla base della notevole mole di informazioni che da mesi circolano in ambito nazionale e internazionale. Ciò comporta che il responsabile può essere chiamato a rispondere di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p.
L’obbligo di vaccinazione e la possibile responsabilità penale e disciplinare degli operatori sanitari “no-vax”
Secondo Cesare Mirabelli[24], ex presidente della Corte Costituzionale, in linea generale “la salute e la sua tutela è un diritto fondamentale, un interesse che riguarda la collettività. Qui vi è un doppio versante: l’individuo e la sua libertà ed il bene della comunità. Ebbene i trattamenti sanitari obbligatori sono possibili, sono ammessi dalla nostra Costituzione. Tuttavia occorre una legge che li disponga e devono essere adeguatamente giustificati e se si vuole procedere con rapidità si può adottare un decreto legge…” Deve quindi esserci “una garanzia della fonte normativa, un’assunzione di responsabilità da parte del Parlamento…e non un semplice provvedimento normativo. Inoltre, l’obbligo di vaccinazione deve rispondere al principio dell’interesse collettivo dell’intero Paese”. Lo stesso giurista precisa, poi, che “Abbiamo altre esperienze di obbligo di vaccinazione che hanno portato alla sconfitta di malattie gravi per l’individuo e la comunità, basti pensare al vaiolo e alla poliomielite. Questi principi valgono per la pandemia che oggi stiamo attraversando ed è una valutazione che il legislatore può benissimo fare. Nel caso la legge dovrebbe essere precisa, perimetrata al caso Covid-19 e non generica. Dopodichè, se nell’immediato emerge un’adesione spontanea e si arriva all’immunità di gregge, cadrebbe l’obbligatorietà”.
Venendo all’aspetto di interesse del presente lavoro, l’ex Presidente della Corte Costituzionale rappresenta, a proposito del caso di un medico o di un infermiere che decide di non vaccinarsi per il Covid-19 e poi causa un contagio, “Mi auguro che responsabilmente il personale sanitario saprà valutare bene l’importanza di vaccinarsi. Tuttavia, vi è una serie di oneri che derivano da chi svolge determinate attività in determinati luoghi. E il medico e l’infermiere rientrano tra questi”.
Anche Sabino Cassese[25], giurista, già componente della Corte Costituzionale e ministro per la funzione pubblica ritiene che “Per la Costituzione, la salute è sia diritto dell’individuo, sia interesse della collettività. Quindi, c’è un diritto e l’altra faccia, che è un interesse non individuale, ma della collettività nei cui confronti abbiamo tutti dei doveri. Poi, la Costituzione prevede trattamenti sanitari obbligatori, purchè siano disposti con legge e rispettino la persona umana”. Lo stesso giurista aderisce all’ipotesi di questo lavoro in merito all’eventuale responsabilità disciplinare per l’operatore sanitario che si sottrae al dovere vaccinale. Infatti, afferma che “Ospedali e presidi sanitari sono luoghi di cura. Sembra possibile che il direttore sanitario possa far entrare in sala operatoria un chirurgo malato o che possa essere sospettato come portatore di malattia? Lo stesso vale per il Covid-19. Il responsabile della struttura sanitaria è tenuto a sospendere dal servizio coloro che non diano sicurezza di non essere veicolo di infezione”. E in modo più esplicito il giuristra precisa che “Vi sono due aspetti diversi. L’obbligo giuridico del singolo scatta con l’approvazione di una legge, come la n.73 del 2017 sulle 10 vaccinazioni obbligatorie. C’è poi l’obbligo del responsabile delle strutture collettive, un ministero, una scuola, un ospedale, un’azienda: chi le dirige deve assicurare quell’interesse della collettività di cui parla la Costituzione. E per farlo deve assicurarsi che chi svolge le sue funzioni nella struttura sia vaccinato, perché potrebbe essere, altrimenti portatore di malattie. Pertanto, svolge una funzione di prevenzione se sospende la persona a fini precauzionali, con la possibilità di interrompere il rapporto di lavoro”. E questo discorso è tanto più rilevante nei confronti degli operatori sanitari, medici, infermieri e socio sanitari. Infatti, l’obbligatorietà è legata al particolare lavoro svolto, per alcune categorie ed è prevista la vaccinazione obbligatoria per il ruolo che si ricopre. E si fonda sulla stessa ragione per cui sono stati resi i vaccini per i minori che devono andare a scuola: preservare la comunità. Non è quindi credibile che ci sia un medico o un infermiere o un OSS che sia un “no-vax” e tutti gli operatori sanitari hanno l’obbligo di vaccinarsi contro il Covid-19, altrimenti potrebbero essere sospesi dal servizio perché non possono svolgere in sicurezza per i pazienti i lavori che svolgono e rappresentano essi stessi fonte di rischio.
In conclusione, si ritiene che l’obbligo vaccinale per cittadini potrebbe essere imposto solo con legge, mentre per gli operatori sanitari discende direttamente dall’art. 32 della Costituzione. Inoltre, già il Codice di deontologia medica presentato agli Ordini provinciali dal Presidente della FNOMCeO e approvato dal Consiglio Nazionale in data 18 maggio 2014 identificava le regole, ispirate ai principi di etica medica che disciplinano l’esercizio professionale del medico chirurgo e dell’odontoiatra iscritti nei rispettivi albi professionali. Il codice, in armonia con i principi etici di umanità e solidarietà e civili di sussidiarietà impegna il medico nella tutela della salute individuale e collettiva vigilando sulla dignità, sul decoro, sull’indipendenza e sulla qualità della professione. E’ significativo, al riguardo che l’art. 14, concernente la prevenzione e la gestione di eventi avversi e la sicurezza delle cure, dispone: “Il medico opera al fine di garantire le più idonee condizioni di sicurezza del paziente e degli operatori coinvolti, promuovendo a tale scopo l’adeguamento dell’organizzazione delle attività e dei comportamenti professionali e contribuendo alla prevenzione e alla gestione del rischio clinico attraverso: “l’adesione alle buone pratiche cliniche[…]”.
E’ da ritenere ragionevolmente che analoghi principi deontologici debbano valere per gli altri operatori sanitari.
Inoltre, il Ministro della Salute ha presentato il 2 dicembre 2020 le linee guida del Piano strategico per la vaccinazione anti Covid-19, elaborato dal Ministero della Salute, dal Commissario Straordinario per l’Emergenza, l’Istituto Superiore di Sanità, Agenas e AIFA. In pari data il Parlamento ha approvato il citato Piano. Il documento prevede procedure rigorose di prevenzione e controllo delle infezioni (IPC) fondamentali per la sicurezza sul lavoro e per il controllo degli agenti patogeni. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda che gli operatori sanitari applichino adeguate misure di prevenzione e controllo delle infezioni in generale e delle infezioni respiratorie in particolare.
Pertanto, le violazioni a tali direttive, in caso di contagio, potrebbero configurare in capo all’operatore sanitario, a seconda delle fattispecie, il reato di epidemia colposa, di omicidio colposo e di lesioni colpose.
Inoltre, si potrebbe determinare nei confronti del medico l’adozione di un provvedimento disciplinare consistente nella sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, da un minimo di tre giorni fino ad un massimo di sei mesi, graduando l’entità della sanzione in relazione alla sua gravità, per aver posto in essere un comportamento negligente, dal quale sia derivato grave danno all’Azienda o Ente o a terzi, ai sensi dell’art. 8, lettera k), del contratto collettivo nazionale di lavoro dell’area sanità per il triennio 2016-2018, stipulato il 19 dicembre 2019, presso l’ARAN. Ai sensi dell’art.74 dello stesso Contratto Collettivo, nel caso di instaurazione di un procedimento penale per epidemia colposa o omicidio colposo o lesioni colpose, il dirigente medico colpito da misura restrittiva della libertà personale o da provvedimenti giudiziari inibitori che impediscono la prestazione lavorativa, è obbligatoriamente sospeso dal servizio, con sospensione dell’incarico dirigenziale conferito e privazione della retribuzione, per tutta la durata dello stato di restrizione della libertà, salvo che l’Azienda o l’Ente non proceda direttamente ai sensi dell’art. 72, comma 10 (Codice disciplinare) e dell’art. 55-ter del D.lgs. n.165/2001. In tale fattispecie, il dirigente potrebbe essere sospeso dal servizio con privazione della retribuzione e con sospensione dell’incarico, anche nel caso in cui venga sottoposto a procedimento penale, che non comporti la restrizione della libertà personale o questa sia comunque cessata, secondo quanto previsto dall’art. 55-ter del D.lgs. n.165/2001, salvo che l’azienda o l’Ente non proceda direttamente ai sensi dell’art. 75, comma 2 (Rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale) e dell’art. 55-ter dello stesso D.lgs. n. 165/2001.
Per gli altri operatori sanitari dovrebbero valere le stesse conclusioni nel rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare, mentre non si rinvengono nel contratto collettivo e nella normativa vigente disposizioni specifiche che possano delineare un autonomo procedimento disciplinare per l’omessa vaccinazione.
Un primo riscontro normativo delle tesi prospettate si è avuto con l’approvazione all’unanimità della proposta di legge della Regione Puglia in data 19 gennaio 2021 che ha previsto l’estensione dell’obbligo vaccinale agli operatori sanitari relativamente al vaccino per il coronavirus, integrando una legge regionale già esistente. Nel 2018, infatti, in Puglia era già stata approvata una norma che imponeva agli operatori sanitari l’obbligo di vaccinarsi, secondo il piano vaccinale nazionale contro il morbillo, la rosolia e la varicella. Adesso, con questa proposta, l’obbligo è stato esteso anche al Covid-19 e il disegno di legge verrà portato a breve in Consiglio Regionale per l’approvazione.
Conclusioni
In Italia, come nel mondo intero, la pandemia insidia senza tregua la salute dei cittadini e pone anche interrogativi drammatici sull’adozione delle misure normative e sanitarie per il contrasto alla diffusione del virus. L’obbligo vaccinale, ribadito autorevolmente dal Presidente della Repubblica nel discorso di fine anno 2020, diventa pertanto una necessità inderogabile di fronte al persistere significativo dei casi di contagio ed in vista di una possibile “terza ondata”.
In questa situazione sottrarsi a tale obbligo, soprattutto da parte degli operatori sanitari, nel pieno di una crisi sanitaria mondiale che sta sconvolgendo la nostra società, sembra incomprensibile perché non ha alcuna giustificazione, soprattutto dal punto di vista scientifico. Non si tratta di difendere le libertà dei cittadini, ma di un pericoloso tentativo di mettere in discussione le misure preventive e le raccomandazioni con cui il mondo scientifico e le istituzioni stanno cercando di proteggere la salute pubblica e di impedire situazioni che metterebbero definitivamente in ginocchio il Paese. Chi tenta di far passare i provvedimenti del governo e del mondo scientifico, come la campagna vaccinale, una limitazione alla libertà personale e ai diritti inalienabili dei cittadini, indipendentemente dalla responsabilità penale che comunque si ritiene sussistente in alcuni comportamenti estremi, è un’irresponsabile che non ha a cuore la tutela della salute pubblica sancita solennemente dall’art. 32 della Costituzione come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.
Da quanto rappresentato emerge che l’art. 452 c.p. potrebbe, almeno in astratto, applicarsi anche alle condotte incaute degli operatori sanitari che intendono sottrarsi all’obbligo vaccinale. Pertanto, il sistema penale prevede già una fattispecie delittuosa che potrebbe fungere da deterrente nei confronti della categoria degli operatori sanitari. Però, le difficoltà dogmatiche e probatorie evidenziate rendono auspicabile l’introduzione di un reato ad hoc, di mera condotta e di pericolo, teso alla tutela della salute individuale, valevole per varie fattispecie, tra cui quella del comportamento degli operatori sanitari che, in caso di epidemia, non intendono vaccinarsi e vengono meno al proprio dovere di assistere in sicurezza i loro pazienti.
Gli operatori sanitari, con la loro preziosa e competente opera e con enorme sacrificio, hanno garantito, di frequente con la perdita della vita, un’assistenza qualificata e spesso eroica, pagando un tributo di sangue enorme. Ci si augura, pertanto, che questa encomiabile missione possa completarsi con l’adesione, totale e conforme alla scienza medica, alla campagna vaccinale in corso.
Volume consigliato
Note
[1] P. Gentilucci, I poteri del Prefetto ai sensi del Decreto Legge n. 19/2020, in Diritto e Giustizia del gruppo editoriale Giuffrè, 2020.
[2] F. Di Todaro, I dettagli della campagna vaccinale, in Fondazione Veronesi, 2020.
[3] P. Gentilucci, La possibile rilevanza penale del cosiddetto negazionismo del Covid-19, in Giurisprudenza Penale web, 2020. Coronavirus e presunta immunità diplomatica dell’organizzazione mondiale della sanità, in Diritto.it, 2020.
[4] I. Policarpio, Reato di epidemia colposa e dolosa: disciplina e pene, in Money.it, 2020.
[5] F. Simone, Coronavirus: la riscoperta del delitto di epidemia e la (scarsa) giurisprudenza sul tema, in Quotidiano Giuridico, 2020.
[6] Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte speciale, I, quinta edizione, Bologna, 2012, p.505.
[7] Marinucci-Dolcini, Manuale di Diritto Penale. Parte Generale, Quinta edizione, Milano, 2012, p.208.
[8] Si veda Cassazione penale, sent. del 26 gennaio 2011, n. 2597.
[9] Si veda Tribunale di Savona sent. del 26 febbraio 2008
[10] Si veda Cassazione Civile, Sezioni Unite, sent. del 22 maggio 2008, n. 576.
[11] Si veda Cassazione penale. sez. I, sent. del 30 ottobre 2019, n. 48014.
[12] Si veda Cassazione penale, sez. I, 30 ottobre 2019, n. 48014, cit.
[13] R. Fresa, sub art. 438, in Codice Penale Commentato, Torino, 2018.
[14] Si veda Cassazione penale, sez. IV sent. del 12 dicembre 2017, n.9133.
[15] Si veda Cassazione penale, sez. I, sent. del 23 settembre 2013, n.43273.
[16] L. Agostini, Pandemia e “Penademia”: sull’applicabilità della fattispecie di epidemia colposa alla diffusione del Covid-19 da parte degli infetti, in Sistema Penale, 4/2020.
[17] V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, VI, 1983, p.402.
[18] Si vedano, ex plurimis, Cassazione penale, sez. IV, 15 maggio, n.46392; sez. IV, 10 novembre 2017, n. 55005.
[19] L. Agostini, Pandemia e “Penademia”: sull’applicabilità della fattispecie di epidemia colposa alla diffusione del Covid-19 da parte degli infetti, cit.
[20] G.L. Gatta, Coronavirus limitazione di diritti e libertà fondamentali e diritto penale: un deficit di libertà da rimediare, in Sistema Penale, 2020. M. Bozzaotre, Il diritto ai tempi del coronavirus, come cambia la nostra vita, in Giustizia Insieme, 2020.
[21] Si veda Cassazione penale, sez. IV, sent. del 12 dicembre 2017, n.9133.
[22] Si veda Cassazione penale, sez. I, sent. del 23 settembre 2013, n.43273.
[23] Si veda Cassazione penale, sez. IV, sent. dell’ 8 aprile 2016, n.28301.
[24] Per l’obbligo di vaccino basta un decreto legge, in Messagero, 2020.
[25] G. Picone, L’obbligo non viola la persona. Prevalente l’interesse generale, in Quotidiano, 2020.
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