Il tema in esame ruota intorno agli istituti della preclusione, del procedimento contumaciale e degli obblighi dell’ordinamento interno di conformarsi alla CEDU, come interpretato dalla Corte Europea per i diritti dell’uomo.
Le sentenze poste alla base di tale argomento sono principalmente:
a) la Sent. Cass., ss.uu., n. 6026/2008;
b) la Sent. Corte Cost., n. 317/2009, una vera e propria sentenza demolitoria, rispetto alle precendenti definizioni sentenziali.
La Sent. Cass., ss.uu., n. 6026/2008 affronta il processo contumaciale e ha delle particolarità discendenti dalle circostanze del codice di rito, potendosi pronunciare in un giudizio, ma anche nella Udienza Preliminare.
I presupposti della contumacia sono 3:
1) la non comparizione dell’imputato (elemento materiale);
2) che sia avvenuta regolarmente la notificazione della citazione (elemento formale);
3) che non ci sia un legittimo impedimento alla comparizione dell’imputato (elemento di fatto, ricollegato al punto 1).
Può accadere che nonostante la regolarità dell’elemento formale, l’imputato non abbia avuto conoscenza del procedimento (e quindi non abbia potuto far valere un eventuale legittimo impedimento): ciò contrasta col diritto di partecipare personalmente al processo, diritto fondamentale che contiene in sé il diritto alla difesa e il diritto all’esercizio del contraddittorio.
Sicchè è intollerabile che resti senza rimedio e si deve mettere l’imputato contumace nella condizione di poter far valere il fatto di non aver avuto effettivamente e realmente la conoscenza del processo in essere.
Il rimedio generale è (per evitare questo problema) lo strumento preventivo del NON INIZIO DEL PROCESSO SENZA LA PRESENZA NECESSARIA DELL’IMPUTATO, come avviene in diversi procedimento nella common law. Questa linea però non è posta dalla CEDU, perchè la Corte CEDU ha affermato più volte, nel “diritto di partecipare personalmente al processo”: è necessario e sufficiente il processo contumaciale, istituto ben ammissibile che non contrasta col diritto sopracitato, ma ci sono precise condizioni che lo garantiscono.
Il rimedio specifico è la RESTITUZIONE NEL TERMINE, consistente nel dare la possibilità all’imputato di impugnare la sentenza che lo riguarda (di condanna) essendo rimesso però nel termine per proporlo proprio in ragione della mancata conoscenza del processo. Generalmente, si deve dimostrare che la mancata conoscenza è stata dettata da caso fortuito o forza maggiore. Insomma, una procedura incidentale d’accertamento dove si fa domanda di restituzione nel termine, fatta anche a distanza di tempo. L’oggetto dell’accertamento (specifico, in tal caso) è la “mancata conoscenza”. Ora, prima della legge n. 60/2005 che ha modificato l’art. 175, comma 2 c.p.p., c’era un onere a carico dell’imputato di dare la prova positiva di non aver avuto conoscenza, mentre il giudice non doveva fare nessun accertamento; tale situazione venne censurata in diverse occasioni dalla Corte CEDU, perchè l’onere era incompatibile col diritto fondamentale sopracitato, risultante eccessivamente gravoso per lui, come riportato nella Sent. Corte CEDU, n. 18/05/2004. Dopo l’intervento legislativo riformante del 2005, l’art. 175, comma 2 c.p.p. viene modificato, escludendo che la prova della mancata conoscenza del processo debba essere fornita dall’imputato, infatti oggi suona così: “Se è stata pronunciata sentenza contumaciale, l’imputato è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione od opposizione, salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione od opposizione. A tale fine l’autorità giudiziaria compie ogni necessaria verifica“. Resta aperta l’idoneità della formula “compie ogni necessaria verifica”. La riforma, però, ha eliminato l’inciso secondo “si precludeva la restituzione in termini in caso di gravame proposto dal difensore“. Che vuol dire? Vuol dire che … l’impugnazione della sentenza contumaciale non è possibile se c’è impugnazione ad opera del difensore perchè già previsto dall’art. 571 c.p.p., per cui l’impugnazione è personale o tramite colui che ha la procura speciale (non il difensore) e ancora, per il comma 3, si afferma che altresì può impugnare il difensore dell’imputato (…). Il testo previgente alla riforma n. 479/99 affermava che altresì può impugnare il difensore dell’imputato solo se munito di specifico mandato (avendo funzione di garanzia collegato l’impugnazione del difensore alla consapevolezza dell’imputato che sta impugnando per lui); oggi non occorre più lo specifico mandato, perchè renderebbe più gravosa l’impugnazione nel caso in cui i contatti tra l’imputato e il difensore erano complicati, per il principio del favor impugnationis e per equiparare la disciplina ai casi di procedimenti non contumaciali, così da ottenere una legittimazione all’impugnazione “concorrente” (tanto ad opera dell’imputato quanto ad opera del difensore). Unica differenza è che il termine per impugnare (nelle sentenze contumaciali) decorre dalla data della notifica della sentenza contumaciale, perchè non è stato presente.
Ma la situazione da cui siamo partiti non è questa. La situazione di partenza è quella in cui l’impugnazione della sentenza contumaciale non è avvenuta. Perchè non è avvenuta? Perchè l’imputato non ne aveva conoscenza e quindi della sentenza. Qui scatta il bisogno dell’istituto della “restituzione in termini”, per impugnare la sentenza e far valere nel giudizio d’impugnazione tutte le difese e le garanzie del contradditorio di cui (l’imputato) non ha goduto in primo grado. Chi è legittimato a questo punto? Solo l’imputato o anche il difensore? Prima della riforma, come detto, c’era un inciso che precludeva la restituzione nel caso in cui l’impugnazione fosse stata proposta dal difensore perchè si presuppone l’esatta conoscenza (da parte dell’imputato) del procedimento a suo carico. Tale norma impediva, quindi, la situazione in cui il difensore (presente al procedimento contumaciale), avendo avuto conoscenza della sentenza (ricevuta per notifica) e non dovendo avere uno specifico mandato per impugnare, presentava l’impugnazione per l’imputato, facendo scattare il ricorso e la procedura d’appello. Ma se l’imputato, dopo 6 o 8 o 10 mesi appariva affermando che non aveva avuto conoscenza del procedimento, non poteva più chiedere la restituzione in termini per impugnare, in forza dell’art. 571 c.p.p.. Se non ci fosse tale preclusione, si instaurano 2 processi, di cui 1 già avviato. Dopo la riforma del 2005, con la riformulazione dell’art. 571, comma 2 c.p.p., scompare questa preclusione, per cui non diritto autonomo dell’imputato ad impugnare, anche se presentato già dal difensore, non viene meno. Combinando la legittimazione formale all’impugnazione dell’art. 571, comma 2 c.p.p., autonome tra loro (dell’imputato e del difensore) con l’art. 175 c.p.p., se ne dovrebbe ricavare che anche l’imputato può impugnare. Su tale questione si è pronunciata la Suprema Corte.
Secondo parte della giurisprudenza, in questo caso c’è una legittimazione dell’imputato; secondo altra parte della giurisprudenza, non c’è perchè l’interpretazione dev’essere di sistema e devono essere rispettati dei principi (es. ne bis in idem), che vanno osservati. Nella Sent. Cass., ss.uu., n. 6026/2008 è stata accolta la seconda tesi della giurisprudenza, per cui: a) la preclusione è la figura utile per prevenire situazioni di disagio rispetto al regolare ed ordinato svolgimento del procedimento; b) le impugnazioni vanno convogliate in uno stesso procedimento; c) le impugnazioni non devono essere distinte.
Riguardo la Sent. C. Cost., n. 317/2009, questa decisione è importante perchè: a) risolve il problema della prevalenza di altri interessi processuali; b) funziona l’incidenza della CEDU; c) si stabilisce un limite all’uso di principi dogmatici non possono sovrapporsi al rispetto dei diritti fondamentali. L’esigenza di efficienza e ragionevole durata del procedimento non possono mettere in ombra il rispetto dei diritti fondamentali (es. partecipare al processo). Cosa viene censurato davanti la Corte Costituzionale? Si dubita della legittimità costituzionale dell’art. 175, comma 2 c.p.p., come sostituito dalla legge n. 60/2005, da parte della Corte di Cassazione in riferimento agli artt. 24 (diritto alla difesa), 111 comma 1 (giusto processo) e 117 comma 1 (obbligo di rispettare i trattati internazionali -CEDU-) nella parte in cui: “(…) preclude la restituzione del contumace nel termine per proporre impugnazione quando quest’ultima sia stata proposta già dal difensore d’ufficio“. La questione di legittimità costituzionale viene sollevata dopo che l’inciso nella norma scompare. La Corte fa una serie di ricognizione partendo dal codice di rito per arrivare alla giurisprudenza europea, affermando che (nell’ultima parte della sentenza): “Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve esaminare l’eventualità che – come affermato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione nella citata sentenza n. 6026 del 2008 – il diritto di difesa del contumace inconsapevole debba bilanciarsi con il principio di ragionevole durata del processo, di cui al secondo comma dell’art. 111 della Costituzione. Tale eventualità deve essere esclusa, giacché il diritto di difesa ed il principio di ragionevole durata del processo non possono entrare in comparazione, ai fini del bilanciamento, indipendentemente dalla completezza del sistema delle garanzie. Ciò che rileva è esclusivamente la durata del «giusto» processo, quale delineato dalla stessa norma costituzionale invocata come giustificatrice della limitazione del diritto di difesa del contumace. Una diversa soluzione introdurrebbe una contraddizione logica e giuridica all’interno dello stesso art. 111 Cost., che da una parte imporrebbe una piena tutela del principio del contraddittorio e dall’altra autorizzerebbe tutte le deroghe ritenute utili allo scopo di abbreviare la durata dei procedimenti. Un processo non «giusto», perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata. In realtà, non si tratterebbe di un vero bilanciamento, ma di un sacrificio puro e semplice, sia del diritto al contraddittorio sancito dal suddetto art. 111 Cost., sia del diritto di difesa, riconosciuto dall’art. 24, secondo comma, Cost.: diritti garantiti da norme costituzionali che entrambe risentono dell’effetto espansivo dell’art. 6 CEDU e della corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo. (…) Qualunque decisione di accoglimento produce effetti sistemici; questa Corte non può tuttavia negare il suo intervento a tutela dei diritti fondamentali per considerazioni di astratta coerenza formale. L’art. 175, comma 2, cod. proc. pen., per i motivi sopra esposti deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui preclude la restituzione del contumace, che non aveva avuto cognizione del processo, nel termine per proporre impugnazione, quando la stessa impugnazione sia già stata proposta dal difensore. Resta chiaro che la presente decisione attiene alla sola preclusione formale individuata dal diritto vivente (quella cioè derivante dall’esistenza di una pregressa impugnazione), e non incide sui presupposti fissati dalla legge per l’accesso del contumace inconsapevole al meccanismo di garanzia“.
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