Il tema in oggetto è stato argomento di dibattito molto “frastagliato” in dottrina e giurisprudenza.
La moderna teoria della presupposizione è stata elaborata dai giuristi tedeschi nell’800, con riguardo all’ipotesi in cui le parti abbiano presupposto l’esistenza di determinate circostanze assumendole a fondamento del negozio. Risulta come ben formulata la definizione presente in Cass. n. 2.828/72: ” situazione fattuale comune ad entrambi i contraenti, ed indipendente dalla loro volontà, che le parti hanno tenuto presente durante l’iter formativo del contratto, pur non facendone in esso alcun espresso riferimento”. Sul piano della rilevanza giuridica del medesimo istituto, si è discusso se esso comporti o meno l’inefficacia del negozio nel caso in cui la situazione di fatto risulti difforme da quella che le parti si siano rappresentate. Si anticipa fin d’ora che , secondo la giurisprudenza, la carenza originaria o sopravvenuta del presupposto giustifica la risoluzione del contratto. Questa soluzione viene argomentata , inizialmente, in base alla teoria di una condizione implicita, ed, inseguito, per analogia dalle disposizioni sull’eccessiva onerosità sopravvenuta oppure dai principi generali in tema di causa e motivi.
L’esempio ricorrente è l’ipotesi della locazione di una finestra o di un balcone per il giorno del Palio in Piazza del Campo a Siena, in data 2 luglio o 16 agosto.
E’ evidente che, se le parti hanno concluso un accordo in base al quale, a fronte della corresponsione di una determinata somma di denaro, viene consentito l’accesso alle finestre ed ai balconi di una casa che prospetta sulla Piazza, pur senza menzionare che ciò avviene allo scopo di poter assistere alla storica competizione, questo elemento è comunque tale da investire l’intera pattuizione. Le parti non possono, nella conclusione del contratto, non aver tenuto in considerazione alcuni aspetti, nonostante non ne abbiano fatto menzione.
Tale presupposizione, intesa come “base oggettiva” del contratto, non va confusa con la presupposizione in senso soggettivo, cioè con il fatto che la volontà contrattuale di una delle parti muova dal convincimento che una certa situazione di fatto sia destinata a persistere, o che un avvenimento futuro debba verificarsi con certezza. Difatti, in quest’ultimo caso, la sopravvenienza di circostanze impreviste integra un errore di previsione di una parte: di regola, si tratterà di un errore sui motivi, come tale irrilevante.
Così operando, appunto, taluno avvicina la presupposizione all’errore comune sul motivo: però, in questo caso, la presupposizione produrrebbe l’annullamento del contratto, e non la sua risoluzione.
Maggior attinenza sistematica viene riscontrata con la condizione: difatti, l’istituto è sorto come condizione “implicita”, come se le parti avessero presupposto l’esistenza di una condizione che, poi, non è stata esplicitata nel contratto.
A fortiori, si ripete che, secondo dottrina risalente, la presupposizione sarebbe, appunto, una condizione risolutiva implicita, non esplicitata nel negozio, che condizionerebbe la permanenza del rapporto contrattuale alla permanenza di una situazione tenuta presente da entrambe le parti al momento dell’assunzione del vincolo.
Alla presupposizione, secondo questa teoria, si applicherebbero, dunque, tutte le norme relative alla condizione (la norma che impone la buona fede, quella relativa alla finzione di avveramento ecc ecc).
La critica più rilevante mossa alla teoria della condizione risolutiva implicita,però, è quella secondo cui la condizione non deve avere, per oggetto, situazioni passate o attuali, bensì un evento futuro ed incerto. Come anticipato riguardo alla ricostruzione soggettiva della presupposizione, altra teoria si riferisce alla presupposizione come ad un errore sul motivo. Secondo tale impostazione, le parti definirebbero un programma negoziale sulla base di una finalità presupposta nota ad entrambe; allorchè tale finalità non possa essere conseguita per elementi sopravvenuti, secondo tale tesi opererebbe la presupposizione che, come errore sul motivo, determinerebbe lo scioglimento del vincolo. La critica mossa a tale tesi è quella per cui finirebbe per estendere eccessivamente l’operatività dei motivi di norma irrilevanti secondo le norme che disciplinano i contratti. Diversa dottrina, invece, individua il fondamento della presupposizione nella sussistenza di una regola generale, vigente per ogni genere di contratto, secondo cui la permanenza del vincolo sarebbe implicitamente legata alla condizione rebus sic stantibus. Il venir meno della situazione di fatto presupposta determinerebbe la caducazione del vincolo contrattuale. Non sono, dunque, necessari i presupposti di cui all’art. 1467 cc. Venuta meno la situazione presupposta, il contratto viene meno, con gli effetti dell’inefficacia.
Una parte della dottrina (Bianca), infine, ritiene che il fondamento della presupposizione sarebbe quello della buona fede e, in particolare, la buona fede nell’interpretazione del contratto di cui agli artt. 1362 e 1366 cc. Secondo tale tesi, allorchè il contratto non possa assolvere alla funzione cui lo stesso è preordinato in forza della clausola di buona fede, le conseguenze sarebbero l’integrazione del contenuto del contratto nei limiti in cui ciò non comporti apprezzabili pregiudizi per la controparte, la modificazione della prestazione o l’accettazione della modifica della prestazione della controparte, la rinegoziazione delle clausole ovvero, nei casi più gravi, l’inefficacia del negozio giuridico. La teoria che lega la presupposizione alla clausola della buona fede è il portato dell’estensione della funzione della buona fede che originariamente rappresentava il canone sulla base del quale valutare esclusivamente l’adempimento diligente.
In parallelo con quanto visto a riguardo della dottrina, si rileva che, per giurisprudenza risalente, la presupposizione non ha rilievo, attenendo la sfera dei motivi; oggi l’opinione è diversa.
Quanto ai rapporti con la condizione, occorre precisare, però, che la presupposizione , a differenza della condizione medesima, non ha riguardo a circostanze incerte, ma certe e prevedibili, pur non dedotte in contratto.
Sotto il profilo delle conseguenze operative, il giudice deve accertare se il venir meno della presupposizione costituisca un elemento rilevante per il principio ex art.1467 cc ai fini della validità ed efficacia del negozio.
A tal fine, l’indagine sull’esistenza della presupposizione si esaurisce sul piano dell’interpretazione contrattuale.
Se la circostanza presupposta viene meno durante l’esecuzione del contratto si può dare luogo alla risoluzione; se invece viene meno già prima della conclusione del contratto, il contratto è nullo.
Si precisa che la presupposizione integra un’ipotesi di scioglimento del contratto, non espressamente prevista dalla legge, ma elaborata da giurisprudenza e dottrina.
Il vincolo contrattuale dipende da una situazione di fatto che funge da “base oggettiva”, presupposto del regolamento di interessi stabilito dalle parti: il vincolo, quindi, dovrebbe cadere quando la sopravvenienza di diverse circostanze fa venire meno quel presupposto.
Per dare rilevanza alla presupposizione la giurisprudenza ha utilizzato in primis l’art. 1467, interpretandolo quale espressione di un principio più generale per cui la sopravvenienza di circostanze che mutano la situazione in base a cui le parti hanno contrattato, toglierebbe efficacia al contratto. L’art.1467, però, si limita, rectius, a dare rilievo a circostanze straordinarie ed imprevedibili, dunque parrebbe escludere la rilevanza di eventi prevedibili.
Più convincente è il richiamo alla clausola generale che impone l’esecuzione del contratto secondo buona fede , ex art. 1375, e che, secondo l’art.1374, diviene il criterio primario con cui si integra il regolamento contrattuale.
In base a queste regole, il giudice può stabilire se il mutamento delle circostanze abbia prodotto una situazione incompatibile con l’esecuzione del contratto, in cui pretendere l’adempimento sarebbe contrario a correttezza.
Secondo un ultimo orientamento, la presupposizione rileva ai fini della risoluzione del contratto come ipotesi di impossibilità parziale (1464) o sopravvenuta ed eccessiva onerosità (1467).
Ciò premesso, possiamo esaminare l’evoluzione teorica fin qui seguita tramite il riscontro in varia giurisprudenza.
Secondo giurisprudenza già risalente (cfr. Cass n. 1619/47), la presupposizione troverebbe fondamento nell’art. 1467 cc sulla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. La presupposizione sarebbe un presupposto comune ad entrambe le parti il cui venir meno determinerebbe la caducazione dello stesso vincolo contrattuale per una sopravvenienza. Tale tesi, secondo una posizione critica, confonderebbe la presupposizione e la sopravvenienza; inoltre, sulla base di tale impostazione, la presupposizione finirebbe per avere un’applicazione limitata in quanto si riferirebbe solo ai contratti di cui all’art. 1467 cc, e produrrebbe effetti sul vincolo contrattuale solo ove la sopravvenienza presentasse i caratteri dell’imprevedibilità e della straordinarietà.
La sentenza n. 12235 del 25 maggio 2007 della Suprema Corte ha accolto un orientamento innovativo in materia di presupposizione. Questa pronuncia si discosta dalla teoria dominante che vede nella presupposizione una condizione inespressa, tesi accolta dalla giurisprudenza dominante sino al 2006, nonchè da un diverso indirizzo (cfr. cass. Civ. n. 6631 del 2006) che si è riferita alla presupposizione come ad un difetto sopravvenuto della causa in concreto, un’impossibilità sopravvenuta di realizzare l’assetto d’interessi contrattuale.
La pronuncia del 2007, si riferisce, nel percorso argomentativo a tre diversi elementi che caratterizzano il contratto; esso sarebbe caratterizzato, in via generale, dai presupposti causali, dai presupposti che entrano nel contenuto dell’obbligo contrattuale (ovvero nella fase esecutiva del medesimo) e dai presupposti specifici che sono, invece, rappresentati dalle circostanze esterne al vincolo. I presupposti causali sono tutti quei presupposti nei quali si concretizza la funzione economico individuale che le parti intendono realizzare. Poi vi sono quegli elementi dell’obbligo contrattuale relativi alla fase d’esecuzione del rapporto. I presupposti specifici sono, invece, le circostanze esterne che non riguardano nè la causa nè l’esecuzione ma che si possono desumere dalle clausole contrattuali. Nell’ambito di tale tripartizione la presupposizione riguarderebbe le circostanze esterne del contratto, il venir meno di esse legittimerebbe la parte all’esercizio del diritto di recesso.
Le sentenze nn. 6631/06 e 3579/08 hanno, invece, evidenziato il carattere composito dell’istituto, osservando come lo stesso si collochi in una zona intermedia tra la condizione risolutiva implicita ed il venir meno della causa in concreto. Il mantenimento del vincolo contrattuale, secondo la tesi della causa in concreto, è condizionato al mantenimento della possibilità di perseguimento di quell’assetto di interessi cristallizzato nel contratto (il caso di specie sottoposto alla Cass. era quello del viaggio organizzato e della sopravvenuta diffusione di una malattia nel luogo di villeggiatura).
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