La prevenzione in Italia alla luce del decreto legislativo 12 gennaio 2019 n.14 (codice della crisi d’impresa e della insolvenza)

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Le spinte riformiste inerenti all’attività di impresa sono state recepite dal nostro ordinamento giuridico con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo numero 14 del 12 gennaio 2019, meglio conosciuto come “Codice della crisi d’impresa e della insolvenza”. Si tratta, a tutti gli effetti, di una riforma strutturale e dogmatica di quel modo di concepire e di atteggiarsi del diritto concorsuale, se si effettua una comparazione di opzioni politico legislative tra vecchio e nuovo sistema delle procedure.

Con la emanazione del regio decreto numero 267 del 1942, oltre alla assenza di possibili scenari di soluzioni privatistiche della insolvenza, seppur allo stato embrionale, contenuti nel Codice di commercio del 1865[1], venne definitivamente confermata la netta funzione afflittiva e sanzionatoria del fallimento, attraverso una concezione ‘pubblicistica’ delle procedure, caratterizzata dallo svilimento del ruolo del ceto creditorio e dalla enfatizzazione della posizione del Tribunale e del giudice delegato.[2] Ciò non dovrebbe sorprendere, se si pensi alle svolte autoritarie e repressive delle politiche nazionali del primo novecento.

La funzione pubblicistica veniva realizzata attraverso la estromissione, la eliminazione dal tessuto economico e sociale dell’impresa, incapace di soddisfare le pretese creditorie. Una marginale alternativa al fallimento era prevista dalla rara applicazione del concordato fallimentare, il quale poteva essere esperito esclusivamente da quei debitori ‘sfortunati’, la cui esposizione debitoria era dovuta per cause a lui non imputabili.

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La tutela del debitore nella gestione della crisi

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Le finalità della legge fallimentare erano dunque meramente liquidatorie, assenti erano le possibilità di un ritorno alla prosecuzione dell’attività.

Con la promulgazione della Costituzione nel 1947 e con l’affermazione dei principi del contraddittorio, del diritto alla difesa e del giusto processo, il seppur duro ma tutto sommato coerente sistema procedurale, fu caratterizzato da una serie di modifiche, con l’obiettivo di coordinare la legge fallimentare con il mutato contesto costituzionale (ciò contribuì a creare un sistema contraddittorio e poco coerente, allungando i tempi della soddisfazione da parte dei creditori).

In questa cornice appena tracciata, si innesta il nuovo Codice della crisi d’impresa e della insolvenza, non tanto per i suoi istituti, ma per i suoi contenuti riformisti. La sostituzione del termine ‘fallimento’ con la locuzione ‘liquidazione giudiziale’[3], elimina definitivamente qualsiasi rimando all’anacronistico modo di vedere il debitore insolvente; non più un soggetto da eliminare, da accantonare perché pregiudizievole per l’intera economia, ma bensì un soggetto da reintegrare nel tessuto sociale, dopo aver estinto la sua posizione debitoria.

L’istituto in esame, perdendo quella centralità caratterizzante all’interno della vecchia legge fallimentare, si è trasformato in uno strumento marginale, quale extrema ratio in caso di alternative infruttuose. Il concordato fallimentare si trasforma in concordato liquidatorio, viene definitivamente codificata la nozione di “crisi d’impresa”, di conseguenza lo scenario si apre a soluzioni negoziali[4].

Frutto dei lavori della ‘Commissione Rordorf’, il nuovo Codice, ad una lettura iniziale, sembra rispondere ai tre macro-obiettivi indicati nella legge delega numero 155 del 19 ottobre 2017, realizzando l’ammodernamento del diritto concorsuale, garantendo un sistema coerente ed organico, colmando le lacune presenti nel nostro sistema, giungendo a concludere sulla necessità del passaggio da una fase di gestione delle situazioni di crisi e di insolvenza, ad una fase di generale prevenzione.

I precedenti tentativi di riforma del settore. La commissione trevisanato e la successiva ipertrofica legislazione

L’innesto di un nuovo sistema (organico e razionale) – capace di agevolare la definitiva transizione da vecchie a nuove posizioni – fu tentato dalla Commissione presieduta da Sandro Trevisanato. Istituita con decreto del 2001 essa lavorò alla stesura di un disegno di legge delega per la riforma del diritto fallimentare.[5]

Sebbene assenti gli strumenti di prevenzione della crisi d’impresa il documento prevedeva una modifica organica e razionale della disciplina, attraverso alcune ‘novità’ lessicali: ad esempio, la locuzione ‘liquidazione concorsuale’ avrebbe soppiantato il termine ‘fallimento’, neutralizzandone la semantica negativa. Inoltre, il testo progettuale mutava, topologicamente, l’assetto delle procedure negoziate e liquidatorie. Le aspettative erano elevate ma vennero eluse per l’omessa presentazione del disegno in Parlamento.

 I successivi interventi legislativi vanno necessariamente intesi come decretazioni d’urgenza che rettificanti, settorialmente, la legge del 1942 ma inidonei a indicare un nuovo modo di atteggiarsi delle procedure concorsuali[6]. Nel decreto legge 35 del 2005, ad esempio, viene concessa maggiore autonomia al debitore nella composizione negoziale della crisi, amplificando i poteri del creditore (una simile impostazione era presente nel Codice di commercio del 1865). Tale progressione normativa, tuttavia, non fu lineare ma risultò caratterizzata da successive riforme legislative disorganiche.

Le nuove procedure di allerta e di composizione assistita della crisi. Il modello francese come punto di partenza

La fonte ispiratrice delle “procedure di allerta e di composizione assistita della crisi” pongono le loro radici nella Raccomandazione dell’Unione Europea numero 135 del 2014. Tali procedure si pongono nell’ottica di prevenire l’insolvenza, ristrutturandosi in una fase precoce degli squilibri, in modo tale da garantire gli interessi degli shareholders ed indirettamente quello degli stakeholders.

Se autorevole dottrina, sull’assunto che la twilight zone possa essere disciplinata con gli strumenti già previsti dall’ordinamento, come ad esempio il dovere di corretta amministrazione in capo agli amministratori, sostiene che le procedure di allerta non semplificano il marasma legislativo, non può negarsi il tentativo di uniformarsi agli indirizzi forniti in ambito europeo[7].

Ancora, ulteriori dubbi nascono dalla constatazione secondo cui tali procedure si pongano in contrasto con l’articolo 41 della Costituzione, dovuti all’eccessivo arretramento dell’ambito applicativo di tali nuovi istituti, ad una fase caratterizzata da primissimi segnali di incertezza.[8]

Scetticismi che non convincono, specie se si tenga presente che al secondo comma dell’articolo 41 della Costituzione, è disposto che l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, pertanto l’allerta sembra imporre l’assunzione di iniziative idonee per scongiurare reazioni a catena, utilizzando discrezionalmente la composizione assistita della crisi o altri strumenti idonei.

Ai fini della efficacia operativa dell’istituto di allerta, è necessaria l’individuazione del momento esatto in cui l’impresa si trovi nella possibilità di incorrere in una crisi[9]Considerato che attraverso il termine ‘crisi’ viene indicata la ‘probabilità di futura insolvenza’[10], la valutazione economico-finanziaria avverrà attraverso l’analisi ‘dell’adeguatezza dei flussi di cassa prospettici’ e la valutazione della futura dinamica gestionale, utilizzando una nozione aziendalistica-contabile di crisi d’impresa.[11]

Ancora, l’articolo 13 del Codice[12], individua come indicatori di crisi “gli squilibri di carattere patrimoniale, reddituale, finanziario, rapportato alle specifiche caratteristiche dell’impresa”, rilevabili attraverso gli indici elaborati dal C.N.D.E.C[13]. Utilizzando esclusivamente un criterio finanziario, sarà resa più complicata l’efficacia pratica delle nuove procedure, poiché l’impresa si compone anche di una dimensione economica e patrimoniale, secondo la dottrina aziendalistica. Da non dimenticare la possibilità di valutare in maniera eccessivamente positiva i flussi di cassa della impresa, prospettando una situazione migliore di quanto non lo sia.[14]

Strettamente collegata alla nuova nozione di crisi, è l’articolo tre del nuovo Codice, dove dispone dei doveri in capo agli amministratori; nello specifico, si evince chiaramente il nesso fra adeguatezza degli assetti dell’impresa e tempestiva adozione e attuazione delle misure atte al superamento della sua crisi e l’importanza che correttamente la riforma annette a tale collegamento, funzionalizzando espressamente l’idoneità degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili (anche) alla rilevazione della crisi a tempo debito[15].

Una novità importante risiederebbe nella disposizione che prevede il dovere di attivare le misure di allerta in capo alle società di revisione, ai creditori qualificati e ai collegi sindacali. Lo stesso dicasi per l’ordinamento francese dove sono stati responsabilizzati i commissaires au comptes, attraverso l’obbligo di esercitare il potere di allerta, così come concesso al Tribunale francese. Tale potere può essere esercitato quando il presidente del tribunale di commercio venga a conoscenza di un possibile pregiudizio alla continuité d’exploitation (art L611-2 C.comm.).

Il coinvolgimento del Tribunale, nel sistema francese, risulta essere anticipato rispetto alla previsione italiana di cui all’articolo 21, dove presupposto per l’attivazione del Tribunale è il mancato raggiungimento di un accordo all’esito del procedimento di composizione assistita della crisi.

Nello specifico, all’articolo L.611-2, Code du commerce[16], rilevate le “difficoltà che possono compromettere la continuità aziendale”, dispone la convocazione dei dirigenti della società, con il fine di sollecitare l’adozione di misure idonee a superare le criticità emersi dagli atti, documenti o procedure. Se l’imprenditore non si presenta, il Tribunale potrà ottenere le informazioni richiesti dagli altri soggetti indicati nell’articolo – dai commissaires aux comptes, dalle P.A., ad esempio -.

Alla luce di ciò, è possibile constatare come il progetto di riforma italiano non sia un fedele calco della disciplina francese, in particolar modo se si tenga in debito conto il ‘ruolo propulsivo’ del Tribunal de commerce nell’individuare il percorso di risanamento dell’impresa.[17]

Nel caso italiano, al contrario, le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi individuano quale porto sicuro gli organismi dell’OCRI E DELL’OCC[18] – organismi di composizione della crisi d’impresa e della insolvenza – istituiti, de iure condendo, presso ciascuna Camera di commercio. Solo nell’eventualità che tali procedure abbiano esiti negativi, dovrà essere adito il Tribunale territorialmente competente, attraverso il criterio di origine europea ‘COMI’ – center of main interests -.

La Direttiva 1023 del 20 giugno 2019 (Preventive Restructing Frameworks)[19] è stata emanata con uno specifico obiettivo: rimarcare l’esigenza e l’importanza della cultura della prevenzione nella gestione delle imprese.

Il nostro perimetro d’interesse, adesso, sono gli “early warning tools”; è richiesto che in ogni Stato membro i debitori “abbiano accesso a uno o più strumenti di allerta precoce chiari e trasparenti in grado di individuare situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza e di segnalare al debitore la necessità di agire senza indugio”[20].

Sebbene il legislatore abbia tenuto conto dei vincoli europei (in particolare, della Raccomandazione 135/2014 EU), è d’uopo chiarire alcuni aspetti nel coordinamento tra Direttiva 1023/2019 (del 20 giugno) e il nuovo ‘Codice della crisi d’impresa e della insolvenza’ (14/02/2019)[21].

Una prima delucidazione riguarda l’impostazione del nuovo ‘Codice della crisi d’impresa e della insolvenza’: da un lato, osserviamo come la Direttiva ponga tra le misure di allertal’obbligo di organizzare l’impresa secondo assetti adeguati ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative’, gravanti su qualunque imprenditore – qui è necessaria la lettura in combinato disposto degli articolo 2086 c.c. ed articolo 3 C.C.I.I. -; nel nuovo Codice, invece, l’allerta riguarda solo alcune tipologie di imprese.

Non a caso, nell’articolo 12 è previsto che “costituiscono strumenti di allerta gli obblighi di segnalazione posti a carico dei soggetti di cui agli articoli 14 e 15, finalizzati, unitamente agli obblighi organizzativi posti a carico dell’imprenditore dal codice civile, alla tempestiva rilevazione degli indizi di crisi dell’impresa ed alla sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione”;[22] mentre gli obblighi relativi agli assetti organizzativi gravano su qualunque imprenditore, quelli di segnalazione riguardano soltanto alcune tipologie di imprese, indicate nel quarto par. dell’art. 12. Tale aspetto richiederà, inevitabilmente, una nitida revisione normativa.

In secondo luogo, la Direttiva prevede il dovere generico di adottare strumenti di allerta precoce, lasciando discrezionalità agli Stati membri; essi, infatti, hanno ampi margini nel prevedere il contenuto degli strumenti di allerta precoce, che possono includere: a) obblighi di informazione a carico di soggetti pubblici o privati nel momento in cui il debitore sia inadempiente; b) strumenti che stimolino soggetti terzi, in possesso di informazioni rilevanti sul debitore, (ad esempio, i revisori contabili, le autorità fiscali e di sicurezza sociale), in modo da segnalare gli andamenti negativi della sua attività, ed infine servizi di consulenza.

Le informazioni possono provenire da soggetti interni all’impresa (come ad esempio i contabili, espressione che può comprendere le funzioni di controllo affidate ai sindaci e ai revisori) o da soggetti esterni. Da questo punto di vista, pertanto, le previsioni della Direttiva coincidono con il Titolo II del nuovo ‘Codice della crisi d’impresa e della insolvenza’, teleologicamente orientato verso la cultura della prevenzione.[23]

Per quanto concerne i Preventive Restructuring Frameworks”, la Direttiva europea introduce l’obbligo per gli Stati membri di garantire una disciplina idonea ad agevolare la ristrutturazione dell’impresa ove vi sia probabilità d’insolvenza (likelihood of insolvency).

Tale regime, riservato ai debitori in difficoltà finanziarie, al fine di impedire l’insolvenza e di garantire la sostenibilità economica del debitore, deve consentire ad esso di ristrutturare i suoi debiti o la sua attività, ripristinando l’operatività dell’azienda ed evitando l’insolvenza.[24] Anche in questo caso, le ‘maglie larghe’ della Direttiva europea consentono di valutare la recente disciplina italiana in senso favorevole, essendo presenti tutti i crismi funzionali alla compatibilità del diritto italiano con quello europeo.

Infine, l’articolo 19 della Direttiva, dispone che “gli Stati membri provvedono affinché, qualora sussista una probabilità di insolvenza, i dirigenti tengano debitamente conto come minimo dei seguenti elementi: a) gli interessi dei creditori, e dei detentori di strumenti di capitale e degli altri portatori di interessi; b) la necessità di prendere misure per evitare l’insolvenza; c) la necessità di evitare condotte che, deliberatamente o per grave negligenza, mettono in pericolo la sostenibilità economica dell’impresa.”[25]

La lettura del dispositivo, consente di evincere un fatto significativo: l’arretramento della tutela dei creditori nel momento in cui vi sia la ‘probabilità di insolvenza’, o quantomeno l’interpretazione che non pregiudichi gli interessi dei creditori.

Risulta dunque chiaro che la prevenzione della crisi d’impresa sia una caratteristica essenziale nelle nuove modalità di gestione delle stesse, tale da rendere indispensabile la presa in considerazione degli interessi dei creditori – attenzione che, tuttavia, non dovrà tradursi in tutela esclusiva dello stakeholder interests, qualora non sia richiesta -.

 Nonostante alcune differenze tra gli ordinamenti, è possibile comunque constatare come il leit motiv delle nuove opzioni polittico legislative sia quello di prevenire, piuttosto che gestire una situazione di crisi e di insolvenza. Ne sono esempio i doveri degli amministratori verso la società, quali strumenti in grado di tutela diversi interessi in gioco, ne sono esempio le istanze provenienti a livello europeo, circa la previsione di strumenti previsionali. “Mieux vaut prévenir que guérir[26].

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Note

[1] Da molti i Codici dell’Ottocento vengono considerati alquanto attuali, poiché caratterizzati da spinte liberalistiche, a tutela dei creditori e dei debitori, valorizzando le loro posizioni all’interno delle procedure. Così M. FABIANI, in Diritto fallimentare, un profilo organico, Bologna, 2011, p. 23.

[2] Ciò non dovrebbe sorprendere, se si pensi alle svolte autoritarie e repressive delle politiche nazionali del primo Novecento. Sul punto M. FABIANI, Op. cit., p. 23.

[3] Nella legge delega numero 155 del 2017, all’articolo 2, lettera a, indica come obiettivo la sostituzione del termine fallimento e i suoi derivati con l’espressione liquidazione giudiziale, riprendendo quanto fu già previsto dalla Commissione Trevisanato.

[4] Con tale espressione, si indica la scelta di uno strumento ad hoc tra diverse opzioni percorribili, in base al grado di difficoltà in cui versa la società, in modo tale da giungere ad una rapida definizione della difficoltà in cui versa l’impresa.

[5] I lavori partorirono due progetti, uno di maggioranza ed uno di minoranza, producendo un vero e proprio empasse politico, superato attraverso la nomina di una nuova Commissione in forma ristretta, col compito di redigere una legge ordinaria. Sul punto M. FABIANI, Ivi, p. 35.

[6] In aperta ostilità con la legislazione d’urgenza, si legga M. FABIANI, in L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie ed incerte contaminazioni ideologiche, Crisi d’impresa e fallimento, 2015, pp. 1 – 24.

[7] Esemplare, ad esempio, risulta la Direttiva 1023/2019 la quale, come vedremo nel proseguo della trattazione, fornirà indicazioni ed indirizzi utili ai fini della ricostruzione di una disciplina unitaria in materia societaria.

[8] Obiezioni che tra l’altro non tengono conto dell’obiettivo di scongiurare le ipotesi di crisi, tipico dell’istituto di allerta, affidando la gestione della crisi a strumenti che permettano il ritorno all’equilibrio societario.

[9] Tra le varie definizioni di crisi, è possibile distinguere tra ‘crisi finanziaria’, ossia lo squilibrio tra incassi e pagamenti, ‘crisi economica’, vale a dire risultati d’esercizio negativi ed infine ‘crisi patrimoniale’, il momento più vicino alla situazione di insolvenza. Sul punto, M. PANELLI, La prevenzione della crisi d’impresa, I lavori della Commissione Rordorf e gli scenari futuri, pp. 231, 232, 233.

[10] Articolo 2 Codice della crisi d’impresa e della insolvenza; ‘crisi’: “lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate (…).”

[11] Sulla ‘dannosità’ della nuova nozione di crisi dell’articolo 2 C.C.I.I., si legga A. ROSSI, Dalla crisi tipica ex CCII alla resilienza della twilight zone, in il fallimento e le altre procedure concorsuali», 2019, 3, pp. 291 – 297. Secondo l’A.: a) “questa definizione si presta ad intercettare una condizione dell’impresa che oggi potrebbe essere qualificata in termini di insolvenza (seppure prospettica) e, comunque, nella migliore delle ipotesi, la prossima insolvenza che caratterizza il disallineamento dei flussi di cassa si trova un passo soltanto prima della insolvenza vera e propria”; b) gli indici rimessi dall’art. 13.1 CCI all’elabora-zione del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili stabiliranno delle soglie elevate, al superamento delle quali soltanto si potranno ritenere sussistenti quei “fondati indizi della crisi” che attivano la reazione interna della governance societaria.

In altri termini, quando saranno superate le soglie numeriche corrispondenti agli indicatori dell’art. 13 CCI, non ci sarà alcun organo di controllo o revisore che si prenderà la briga di valutare se l’impresa si trovi in una situazione di solo probabile insolvenza o di già manifesta insolvenza e, anche considerato che l’esonero da responsabilità di cui all’art. 14.3 CCI si perfeziona solo a condizione che … sia stata effettuata tempestiva segnalazione all’OCRI”, l’accesso alla procedura di allerta avverrà anche in una situazione di insolvenza dell’impresa, non di semplice crisi.

[12] Articolo 13 del C.C.I.I. : “Costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi. A questi fini, sono indici significativi quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi. Costituiscono altresì indicatori di crisi ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, anche sulla base di quanto previsto nell’articolo 24.

Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, tenuto conto delle migliori prassi nazionali ed internazionali, elabora con cadenza almeno triennale, in riferimento ad ogni tipologia di attività economica secondo le classificazioni I.S.T.A.T., gli indici di cui al comma 1 che, valutati unitariamente, fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa. Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili elabora indici specifici con riferimento alle start-up innovative di cui al decreto-legge 18 ottobre 2012, n.179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, alle PMI innovative di cui al decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, alle società in liquidazione, alle imprese costituite da meno di due anni. Gli indici elaborati sono approvati con decreto del Ministero dello sviluppo economico.

L’impresa che non ritenga adeguati, in considerazione delle proprie caratteristiche, gli indici elaborati a norma del comma 2 ne specifica le ragioni nella nota integrativa al bilancio di esercizio e indica, nella medesima nota, gli indici idonei a far ragionevolmente presumere la sussistenza del suo stato di crisi. Un professionista indipendente attesta l’adeguatezza di tali indici in rapporto alla specificità dell’impresa.” L’attestazione è allegata alla nota integrativa al bilancio di esercizio e ne costituisce parte integrante. La dichiarazione, attestata in conformità al secondo periodo, produce effetti per l’esercizio successivo.

[13] I cinque indici elaborati dal C.N.D.E.C. dell’ottobre 2019, sono:

– indice di sostenibilità degli oneri finanziari in termini di rapporto tra gli oneri finanziari ed il fatturato;

– indice di adeguatezza patrimoniale in termini di rapporto tra patrimonio netto e debiti totali;

– indice di ritorno liquido dell’attivo in termini di rapporto da cash flow e attivo;

– indice di liquidità in termini di rapporto tra attività a breve termine e passivo a breve termine;

– indice di indebitamento previdenziale e tributario in termini di rapporto tra l’indebitamento previdenziale e tributario e l’attivo

[14] Anche il sistema francese, nel disegno di legge sulle procedure di allerta utilizza la nozione di compromissione della ‘continuité de exploitation’, assimilabile al criterio aziendalistico del going concern inglese.

[15] Articolo 2086, secondo comma C.c. : “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.”

[16]Lorsqu’il résulte de tout acte, document ou procédure qu’une société commerciale, un groupement d’intérêt économique, ou une entreprise individuelle, commerciale ou artisanale connaît des difficultés de nature à compromettre la continuité de l’exploitation, ses dirigeants peuvent être convoqués par le président du tribunal de commerce pour que soient envisagées les mesures propres à redresser la situation.”A l’issue de cet entretien ou si les dirigeants ne se sont pas rendus à sa convocation, le président du tribunal peut, nonobstant toute disposition législative ou réglementaire contraire, obtenir communication, par les commissaires aux comptes, les membres et représentants du personnel, les administrations publiques, les organismes de sécurité et de prévoyance sociales ainsi que les services chargés de la centralisation des risques bancaires et des incidents de paiement, des renseignements de nature à lui donner une exacte information sur la situation économique et financière du débiteur. Lorsque les dirigeants d’une société commerciale ne procèdent pas au dépôt des comptes annuels dans les délais prévus par les textes applicables, le président du tribunal peut leur adresser une injonction de le faire à bref délai sous astreinte.Si cette injonction n’est pas suivie d’effet dans un délai fixé par décret en Conseil d’Etat, le président du tribunal peut également faire application à leur égard des dispositions du deuxième alinéa du I.”

[17] Il Tribunale di commercio francese si compone di una magistratura consolare, i cui membri sono eletti tra gli stessi imprenditori e i dirigenti d’azienda; non si tratta, pertanto, di una magistratura ‘togata’. Così R. RUSSO, Il diritto commerciale verso il 2020. I grandi dibattiti in corso, i grandi cantieri aperti, Roma, 2017, pp. 20 e ss.

[18] Collocando le procedure iniziali al di fuori dei fori italiani – in antitesi con la disciplina francese – si è tentato di evitare “il rischio che l’intervento del giudice possa essere percepito dal medesimo imprenditore o dai terzi quasi come l’anticamera di una successiva procedura concorsuale d’insolvenza”. Così R. RUSSO, Op. cit., Roma, 2017 pp. 20 e ss. Ancora M. SELLA, presidente dell’associazione Assonmime, nell’audizione presso la Camera dei deputati, Seconda commissione Giustizia, 6 luglio 2016, in https//www. Assonime.it, p. 6, osserva come l’intervento dell’Autorità giudiziaria “può portare effetti contrari rispetto a quelli auspicati e rappresentare un disincentivo per il debitore a far emergere la crisi, per motivi reputazionali, rischiando di aggravare la crisi d’impresa e dilatarne i tempi”.

[19] È necessario rammentare come la Raccomandazione 135/2014/UE del 12 marzo 2014 era diretta ad assicurare l’introduzione da parte degli Stati membri di una disciplina uniforme in materia di insolvenza. Prima finalità era quella di “garantire alle imprese sane in difficoltà finanziaria, ovunque siano stabilite nell’Unione, l’accesso a un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l’insolvenza, massimizzandone pertanto il valore totale per creditori, dipendenti, proprietari e per l’economia in generale”. Un secondo obiettivo era di garantire “una seconda opportunità in tutta l’Unione agli imprenditori onesti che falliscono”. Raccomandazione reperibile sul sito https://eur-lex.europa.eu.

[20] L. PANZANI, in La proposta di Direttiva – della Commissione UE: – early warning, ristrutturazione – e seconda chance, in Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria, diretto da Ambrosini, Bologna, 2017, pp. 1087 e ss.

[21] La correzione del difetto di coordinazione dovrà avvenire entro il 17 luglio 2021, termine ultimo per il recepimento della direttiva.

[22] Art 12 C.C.I.I.: “Costituiscono strumenti di allerta gli obblighi di segnalazione posti a carico dei soggetti di cui agli articoli 14 e 15, finalizzati, unitamente agli obblighi organizzativi posti a carico dell’imprenditore dal codice civile, alla tempestiva rilevazione degli indizi di crisi dell’impresa ed alla sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione.

Il debitore, all’esito dell’allerta o anche prima della sua attivazione, può accedere al procedimento di composizione assistita della crisi, che si svolge in modo riservato e confidenziale dinanzi all’OCRI.

L’attivazione della procedura di allerta da parte dei soggetti di cui agli articoli 14 e 15, nonché la presentazione da parte del debitore dell’istanza di composizione assistita della crisi di cui all’articolo 16, comma 1, non costituiscono causa di risoluzione dei contratti pendenti, anche se stipulati con pubbliche amministrazioni, né di revoca degli affidamenti bancari concessi. Sono nulli i patti contrari.

Gli strumenti di allerta si applicano ai debitori che svolgono attività imprenditoriale, esclusi le grandi imprese, i gruppi di imprese di rilevante dimensione, le società con azioni quotate in mercati regolamentati, o diffuse fra il pubblico in misura rilevante secondo i criteri stabiliti dal Regolamento della Commissione nazionale per le società e la borsa – Consob concernente la disciplina degli emittenti.

Sono altresì escluse dall’applicazione degli strumenti di allerta:

a) le banche, le società capogruppo di banche e le società componenti il gruppo bancario;

b) gli intermediari finanziari iscritti nell’albo di cui all’articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n.385;

c) gli istituti di moneta elettronica e gli istituti di pagamento;

d) le società di intermediazione mobiliare, le società di gestione del risparmio, le società di investimento a capitale variabile e fisso, le società capogruppo di società di intermediazione mobiliare e le società componenti il gruppo;

e) i fondi comuni di investimento, le succursali di imprese di investimento e di gestori esteri di fondi di investimento alternativi; i depositari centrali;

f) le fondazioni bancarie di cui al decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153;

g) la Cassa depositi e prestiti di cui al decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326;

h) i fondi pensione;

i) le imprese di assicurazione e riassicurazione di cui al codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209.

l) le società fiduciarie di cui all’articolo 199 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; le società fiduciarie, le società fiduciarie e di revisione e gli enti di gestione fiduciaria disciplinati dalla legge 23 novembre 1939, n. 1966; le società di cui all’articolo 2 del decreto-legge 5 giugno 1986, n. 233, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 agosto 1986, n. 430; le società fiduciarie di cui all’articolo 60, comma 4, del decreto legislativo 23 luglio 1996, n. 415.

Le imprese escluse sono comunque ammesse a godere delle misure premiali previste dall’articolo 25, se ricorrono le condizioni di tempestività previste dall’articolo 24.

Gli strumenti di allerta si applicano anche alle imprese agricole e alle imprese minori, compatibilmente con la loro struttura organizzativa, ferma la competenza dell’OCC per la gestione della fase successiva alla segnalazione dei soggetti di cui agli articoli 14 e 15 ovvero alla istanza del debitore di composizione assistita della crisi.

Per le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa diverse da quelle di cui ai commi 4 e 5, il procedimento di allerta e di composizione assistita della crisi è integrato ai sensi dell’articolo 316, comma 1, lettere a) e b).

La pendenza di una delle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza disciplinate dal presente codice fa cessare gli obblighi di segnalazione di cui gli articoli 14 e 15 e, se sopravvenuta, comporta la chiusura del procedimento di allerta e di composizione assistita della crisi.

[23] Se da un lato l’orientamento dell’Unione Europea propende per una disclosure estesa anche ai terzi soggetti, l’ASSONIME, in Le nuove regole societarie sull’emersione anticipata della crisi d’impresa, Circolare N. 19/2019, p. 11, si pone in un’ottica opposta. Essa, infatti, osserva che: “La disciplina italiana del sistema di allerta, inoltre, pur proponendosi di realizzare analoghe finalità, si presenta distante dai principi europei, che guardano invece alle misure di allerta come strumenti di ausilio volti a fornire “esclusivamente al debitore” informazioni sulla sua situazione e servizi di consulenza e assistenza nella gestione della crisi. L’attuazione della direttiva in Italia potrebbe costituire un’occasione per migliorare molti aspetti critici”.

[24] Considerando 2, Direttiva 1023/2019 EU: “La ristrutturazione dovrebbe consentire ai debitori in difficoltà finanziarie di continuare a operare, in tutto o in parte, modificando la composizione, le condizioni o la struttura delle loro attività e delle loro passività o di una qualunque altra parte della loro struttura del capitale, anche mediante la vendita di attività o parti dell’impresa o, se previsto dal diritto nazionale, dell’impresa nel suo complesso, come anche apportando cambiamenti operativi.” Ancora, il Considerando 70 dispone che: “Per promuovere ulteriormente la ristrutturazione preventiva è importante garantire che i dirigenti non siano dissuasi dal prendere decisioni commerciali ragionevoli o dal correre rischi commerciali ragionevoli, in particolare ove tali pratiche potrebbero migliorare le probabilità di successo della ristrutturazione di un’impresa potenzialmente sana. Qualora l’impresa versi in difficoltà finanziarie, i dirigenti dovrebbero prendere misure per ridurre al minimo le perdite ed evitare l’insolvenza, come: richiedere consulenza professionale, anche sulla ristrut­turazione e sull’insolvenza, ad esempio facendo ricorso a strumenti di allerta precoce, se del caso; proteggere gli attivi della società in modo da massimizzarne il valore ed evitare perdite di attivi fondamentali; esaminare la struttura e le funzioni dell’impresa per valutarne la sostenibilità economica e ridurre le spese; evitare di impegnare la società in tipi di operazioni che potrebbero essere oggetto di azioni revocatorie, a meno che sussista un’adeguata giustificazione commerciale; proseguire gli scambi commerciali nelle circostanze in cui ciò è opportuno per massimizzare il valore della continuità aziendale; avviare trattative con i creditori e procedure di ristrutturazione preventiva.”

[25] Il Considerando 71, dispone che: “Se il debitore è prossimo all’insolvenza, è inoltre importante proteggere i legittimi interessi dei creditori da decisioni di gestione che potrebbero ripercuotersi sulla costituzione della massa fallimentare, in particolare se tali decisioni possono avere l’effetto di diminuire ulteriormente il valore della massa disponibile per la ristrutturazione o la distribuzione ai creditori. È pertanto necessario assicurarsi che, in tali circostanze, i dirigenti evitino condotte che, deliberatamente o per grave negligenza, determinino l’arricchimento personale a spese dei portatori di interessi, evitare che accettino operazioni sotto il valore di mercato o intraprendano azioni che possano portare a ingiusta preferenza di uno o più portatori di interessi. Gli Stati membri dovrebbero poter attuare le corrispondenti disposizioni della presente direttiva provvedendo affinché l’autorità giudiziaria o amministrativa, nel valutare se un dirigente debba esser ritenuto colpevole di violazioni del dovere di diligenza, tenga conto delle norme in materia di obblighi dei dirigenti di cui alla presente direttiva. La presente direttiva non intende stabilire alcuna gerarchia tra le varie parti i cui interessi devono essere tenuti in debita considerazione. Ciononostante, gli Stati membri dovrebbero poter decidere sulla definizione di una tale gerarchia. La presente direttiva dovrebbe lasciare impregiudicate le norme nazionali degli Stati membri relative ai processi decisionali all’interno di una società.”

[26] U. TOMBARI, Principi e problemi di “diritto societario della crisi”, in Riv. soc., 2013, pp. 1139 e ss., sostiene il bisogno di riconfigurare e di rafforzare il rapporto tra ‘diritto della crisi’ e ‘diritto societario’. Si ricordi che la locuzione assume significati diversi, non essendo adoperata in via univoca. Tra le diverse ricostruzioni, A. NIGRO, D. VATTERMOLI, Disciplina delle crisi d’impresa societaria, doveri degli amministratori e strumenti di pianificazione, 2018, https//in www.ilcaso.it, P. MONTALENTI, Diritto dell’impresa in crisi, diritto societario concorsuale, diritto societario della crisi: appunti, in Giur. comm., 2018, I, pp. 62 ss., R. RORDORF, in Contributo, in A.A.V.V., Le proposte per una riforma della legge fallimentare; un dibattito dedicato a Franco Bonelli, a cura di M. ARATO, G. DOMENICHINI, Milano, 2017, pp. 173 e ss., il quale “avverte la necessità del coordinamento tra due diversi plessi normativi”.

Antonio Mastrangelo

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