La probation: l’estensione della messa alla prova dei minorenni ai maggiorenni

La messa alla prova è un istituto avente duplice natura giuridica[1]: natura sostanziale, quale causa di estinzione del reato, e natura processuale, quale modalità di sospensione del procedimento penale.

L’istituto trae origine dalla probation anglosassone: una sospensione della pronuncia della condanna a pena detentiva per un periodo di prova, durante il quale l’imputato, di cui è stata accertata la responsabilità penale ma a cui non è stata ancora inflitta una condanna, viene affidato ad un agente che supervisioni che il soggetto si attenga agli obblighi comportamentali fissati dall’ autorità giudiziaria stessa. Sicché l’eventuale esito positivo della prova assorba il procedimento e determini l’assoluzione del soggetto.

La prima applicazione storica della probation si ebbe nel XIX secolo, a Boston. Il sig. John Augustus, calzolaio, si offrì di pagare la cauzione per un soggetto alcolizzato ritenendo di poterlo recuperare[2]. Così accadde: il soggetto venne risocializzato e fu lasciato libero dal giudice, il quale decise di condannarlo solamente ad una pena simbolica di un cent. A tale esperimento, testato dal J. Augustus, seguirono, prima nella stessa Boston e poi in tutti gli Stati Uniti d’America, numerosi casi di “probation”. Il sistema di probazione si caratterizzava per i seguenti elementi: la sospensione condizionata della pronuncia di condanna a pena detentiva; l’imposizione di regole di condotta (la cui inosservanza poteva determinare la revoca della sospensione); l’affidamento del soggetto ad una persona che si assumeva il compito di guidarlo e di controllarlo durante il periodo di prova; la selezione dei soggetti in base alle caratteristiche personali, familiari e sociali del reo.

Evoluzione storica dell’istituto

La probation, così strutturata, venne ufficialmente istituita per i maggiorenni negli Stati Uniti nel 1954, mediante la promulgazione di una legge[3] conferente ai giudici il potere di sospendere le sentenze per un periodo di tempo indeterminato al fine di valutare l’esito dell’esperimento del periodo di prova. Nel mentre, si sviluppò la juvenile probation tesa alla riabilitazione di minorenni autori di reati, ma con caratteristiche differenti.

L’istituto, per la sua capacità di fronteggiare l’inefficacia risocializzante delle pene detentive brevi, trovò applicazione anche in Europa[4], ma con differenti modalità di attuazione. La versione franco-belga della probation, infatti, prevedeva la sospensione dell’esecuzione della pena laddove, invece, la versione anglosassone prevedeva sospensione della pronuncia stessa della condanna. Le due versioni, strutturate differentemente, si caratterizzavano rispettivamente l’una per essere un modo alternativo di scontare la pena detentiva già esistente, l’altra per essere un modo, in caso di esito positivo della prova, per condizionare la conclusione del procedimento penale sospeso.

Le due forme, l’una tesa al far astenere il reo da comportamenti delittuosi futuri e l’altra al far assumere al beneficiario della sospensione un impegno di portata sociale, si son progressivamente mostrate complementari così da costituire una unica sospensione che può assumere due forme alternative: sospensione dell’esecuzione della pena e sospensione del procedimento per messa alla prova.

Così l’ordinamento italiano prevede sia la sospensione dell’esecuzione della pena in ipotesi particolari ed individuate dall’art. 656 c.p.p., sia la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato. Tale istituto ha differente fonte normativa, disciplina e finalità a seconda che si riferisca ad un imputato maggiorenne o minorenne.

L’istituto della messa alla prova minorile è stato introdotto dagli artt. 28-29 del D.P.R. n. 448/1988 quale alternativa efficace al carcere, caratterizzata dall’obiettivo di rieducare il minore. La ratio rieducativa e socializzante implica sul piano processuale l’assenza di preclusioni soggettive, a prescindere dalle qualità dell’imputato, oggettive, a prescindere dal titolo di reato ascritto[5]; nonché procedimentali, potendo la richiesta essere formulata in qualsiasi fase processuale, ad eccezione del giudizio di impugnazione. Nonostante vi siano sostenitori della possibilità che la messa alla prova possa svolgersi anche nel corso del giudizio di appello consentendo, invero, una gestione del probation confortata da un maggiore bagaglio di conoscenze dell’imputato, tale da favorire la predisposizione di un progetto efficace, capace cioè di adeguarsi alla personalità del soggetto e di realizzare gli scopi di risocializzazione[6], il diritto vivente ne esclude la possibilità. La richiesta, formulata per la prima volta nel giudizio di appello, di sospensione del processo per la valutazione della personalità del minorenne, sarebbe inammissibile secondo quanto disposto dall’art. 28 d.P.R. n. 448 del 1988, potendo il giudice d’appello intervenire sul punto solo nell’esercizio del controllo della decisione appellata e, quindi, alla condizione che l’inerzia del giudice di primo grado abbia formato oggetto dei motivi d’impugnazione.[7]

La messa alla prova costituisce uno strumento di attuazione di alcuni obiettivi tipici del sistema di giustizia minorile, quali la rapida uscita dal circuito penale, la tempestività dell’intervento istituzionale, la diversione, la mediazione tra minore e vittima, l’esigenza di fornire al minore risposte individualizzanti. Così da permettere di evitare che il minore sopporti per l’intera vita “le conseguenze di episodi e manifestazioni di devianza giovanile, non sicuramente, né irreversibilmente sintomatiche di antisocialità”.[8]

Ai fini dell’ammissione al beneficio della sospensione condizionata, il giudice valuterà le caratteristiche peculiari della personalità del minore, in continua evoluzione, concedendo la messa alla prova in una fase preliminare alla pronuncia sul merito. L’ammissione è, infatti, “subordinata al vaglio discrezionale dei giudici di merito circa la possibilità di rieducazione e di inserimento del soggetto nella vita sociale ed è espressione di un giudizio prognostico – insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione – condotto sulla scorta di molteplici indicatori, inerenti sia il reato commesso sia la personalità del reo, da lui manifestati anche in epoca successiva al fatto incriminato”[9].

Sarà oggetto di valutazione la congruità del mezzo al fine: e se il principio è di facile individuazione, scegliere la soluzione più favorevole al recupero del minore, non lo è altrettanto la sua realizzazione, dovendo operarsi un concreto bilanciamento tra valori in gioco.[10] La soluzione, infatti, “non può e non deve ridursi ad una applicazione meccanica e standardizzata di quelli che sono unanimemente riconosciuti come strumenti favorevoli al minore”, bensì deve essere quella di volta in volta più adeguata al caso concreto, facendo in modo che l’intero sistema sia orientato alla salvaguardia del reo, non solo quegli istituti che ricoprono quel ruolo per definizione.[11]

Pertanto, presupposti necessari sono la valutazione delle caratteristiche peculiari della personalità del minore e la prognosi positiva dell’eventuale progetto rieducativo e risocializzante a cui verrà inserito il minore. Assume, quindi, un ruolo centrale la valutazione del progetto predisposto dai servizi sociali competenti individuati. Tale progetto non solo deve relazionare sulla situazione personale familiare e sociale del minore, ma deve anche rappresentare in maniera precisa e dettagliata le attività che l’imputato andrà a svolgere. La mancata elaborazione di tale progetto rende la richiesta di ammissione alla messa alla prova improcedibile.[12]

Il programma stilato viene presentato in udienza, così da permetterne una valutazione nel contraddittorio tra le parti. Il confronto dialettico favorisce gli aggiustamenti del progetto proposto dal servizio sociale in ragione delle specifiche esigenze del minore, che questi ha diritto di fare presenti prima dell’adesione.

È necessario, infatti, che l’imputato aderisca al progetto, dichiari la propria volontarietà a sottoporsi alla prova e si assuma la responsabilità dell’impegno.

Non è necessario che l’imputato confessi il fatto: “la confessione da parte del minore non integra un presupposto necessario, ma rappresenta un elemento sintomatico da cui desumere il ravvedimento, necessario per formulare un giudizio prognostico positivo sulla sua rieducazione e sull’evoluzione della personalità verso un costruttivo reinserimento sociale.”[13]

Quindi, la sussistenza di tali presupposti, permette la giudice di disporre con ordinanza la sospensione del processo. La sospensione non potrà essere superiore ai tre anni (termine massimo in caso di reati per i quali la pena prevista è l’ergastolo o la reclusione non inferiore nel massimo a 12 anni). Con la stessa ordinanza il giudice affida il minorenne ai servizi sociali per lo svolgimento delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Durante il periodo di sospensione, il giudice, oltre alla valutazione delle relazioni periodiche dei servizi sociali, può ordinare delle udienze di verifica in cui ascoltare i servizi competenti e il minore al fine di seguire il percorso evolutivo dello stesso.

In caso di eventuali trasgressioni al programma o alle prescrizioni imposte, oppure di mancata esecuzione delle prestazioni, oppure di commissione di un nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si sta procedendo, il giudice revoca mediante ordinanza la sospensione e riprende il procedimento regredendo al momento in cui era stato sospeso.

Di contro, l’esito positivo della prova, relazionato anche dai servizi dell’amministrazione della giustizia competenti, e l’evoluzione della personalità del minorenne alla luce della risocializzazione de responsabilizzazione sono elementi che inducono il giudice a dichiarare estinto il reato per esito positivo della messa alla prova.

L’istituto della messa prova, già previso nel rito minorile dall’art. 28 d.P.R. n. 448/1988, è stato coniato per il rito ordinario degli adulti dalla l. n. 67/2014, che all’art. 3 ha introdotto nel codice penale gli artt. 168 bis e 168 quater e al successivo art. 4 ha inserito nel libro VI del codice di procedura penale il nuovo titolo V bis, comprendente gli articoli da 464 bis a 464 novies.[14] Da tale articolazione si evince la duplice valenza, sia sostanziale che processuale, della messa alla prova per gli adulti: estinzione del reato in caso di esito positivo della prova (art. 168ter, comma 2, c.p.) e forma di alternativa di definizione del processo.

L’istituto presenta aspetti di identità ed aspetti di difformità rispetto alla disciplina della probation minorile.[15]

La sospensione del procedimento con messa alla prova per gli adulti è un beneficio concedibile solamente una volta a coloro che, sotto il profilo soggettivo, non siano stati dichiarati delinquenti professionali, abituali o per tendenza e che sotto il profilo oggettivo non abbiano commesso reati gravi di cui all’art. 550, comma 2, c.p.p., o aventi pena edittale superiore a 4 anni. Sul punto, le Sezioni Unite[16], risolvendo un contrasto giurisprudenziale sorto sull’interpretazione dei limiti applicativi della messa alla prova, hanno affermato, con specifico riferimento alla computabilità delle circostanze del reato, che il richiamo alla pena edittale detentiva (non superiore a quattro anni) va riferito alla pena massima prevista per la sola fattispecie-base, non assumendo alcun rilevo computativo le circostanze del reato, neppure quelle ad effetto speciale ed autonome.[17]

L’ intrinseca dimensione processuale, caratterizzante la messa alla prova per gli adulti, consiste in un vero e proprio procedimento speciale alternativo al giudizio richiedibile solo in prime cure[18], nel corso del quale il giudice decide con ordinanza sulla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova.[19]

Tale ordinanza, in caso di rigetto, non è immediatamente impugnabile, ma è appellabile unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 586 c.p.p., in quanto l’art. 464-quater, comma 7, c.p.p., nel prevedere il ricorso per cassazione, si riferisce unicamente al provvedimento con cui il giudice, in accoglimento della richiesta dell’imputato, abbia disposto la sospensione del procedimento con la messa alla prova.[20]  Eccezion fatta nel caso in cui l’ordinanza con la quale il giudice rigetta l’istanza di sospensione del processo per la messa alla prova sia abnorme. Sarà ricorribile in Cassazione il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari abbia rigettato, ritenendola inammissibile, l’istanza presentata con l’opposizione al decreto penale. Infatti, tale provvedimento non solo è in evidente violazione di legge – essendo espressamente previsto dall’art. 464 bis, comma 2, ultimo periodo, c.p.p. che con l’opposizione a decreto penale di condanna possa essere richiesta la sospensione del procedimento con messa alla prova – ma è anche abnorme sotto l’aspetto funzionale, in quanto determina un decisivo e verosimilmente non rimediabile nocumento al diritto di difesa, finendo con il precludere all’interessato la possibilità di beneficiare della messa alla prova. [21]

Tre forme di messa alla prova

La messa alla prova si può articolare in tre forme: in una prestazione riparatoria di tipo risarcitorio, in un affidamento ai servizi sociali mediante la stilazione di un progetto individuale ovvero in una prestazione di pubblica utilità, intesa quale prestazione lavorativa non retribuita non continuativa per un periodo non inferiore a 10 giorni (non vi è un limite massimo).

Dalle tre forme si evince la complessiva funzione polivalente della misura in questione. Essa risponde, infatti, ad una finalità social-preventiva di risocializzazione dell’imputato (art. 464 bis, comma 4 c.p.p.); ad una funzione ripartiva, permettendo in teoria la mediazione tra il soggetto e la vittima; nonché ad una funzione deflattiva essendo una vera e propria sanzione da scontare all’esterno del circuito carcerario.

La misura, infatti, data la sua connotazione di sanzione, quale limitazione della libertà personale nell’adempimento degli obblighi assunti, da eseguire all’interno della società civile può – e sarebbe più opportuno definirla tale – essere definita quale “sanzione di comunità”.

Il contesto sociale in cui il soggetto deve eseguire la propria “prova” comporta sul piano pratico la necessità che vi sia un approccio sistemico di coordinamento tra i giudici, che valutino la fattibilità del percorso sulla persona, gli avvocati, che supportano i soggetti imputati, l’UEPE (Ufficio di Esecuzione Penale Esterna) ed i servizi sociali.

Sotto il profilo sistemico è, infatti, necessario che vi siano delle procedure condivise che rendano effettivo il precetto normativo della novella legislativa.

Pertanto, nella prassi sono sorti dei protocolli di intesa con indicazione delle linee guida da seguire nonché dei formulari atti alla presentazione delle domande.

Volume consigliato

[1] M. LETIZIA GALATI LUCIA RANDAZZO, La messa alla prova nel processo penale, Milano Giuffrè, 2015.

[2] J. AUGUSTUS, A report of the Labors of John Augustus for the last en years in aid of the unfortunate, 1825, in H. ABADINSKY, Probation and Parole.

[3] Sulla necessità di una legge istitutiva del potere di sospensione in capo ai giudici: caso Killits 1916, Corte Suprema degli Stati Uniti, RICHARD A. CHAPPELL, The courts interpret the federal probation act, in Journal of Criminal Law and Criminology, 29, 1939.

[4] Per una disamina della dimensione storica Europea della probation: T. PADOANI, L’utopia punitiva, il problema delle alternative alla detenzione nella sua dimensione storica, Milano Giuffrè, 1981.

[5] Circa l’ammissibile la messa alla prova per l’imputato minorenne extracomunitario clandestino: “In tema di ingresso e/o permanenza di extracomunitari e quindi di immigrazione clandestina, l’ordinamento vigente non prescrive ipotesi speciali e/o in peius per la concessione della sospensione processuale e della messa alla prova per l’imputato straniero: così, va valutata la tipologia della condotta e la relativa compatibilità con la ratio dell’istituto processual-penalistico. E’, quindi, illegittima, e va annullata, la sentenza di merito laddove, stante (soltanto) la negazione delle proprie responsabilità e l’affermazione di avere agito in stato di necessità, venga respinta l’istanza di sospensione del processo e di ammissione alla prova, per l’imputato.”  Cassazione penale, sez. I, 09/05/2017, n. 40512, in Diritto & Giustizia 2017, 7 settembre.

[6]L. BARONE, I rimedi avverso il denegato probation, Dalle Sezioni Unite segnali incoraggianti di implementazione dell’istituto, in Cassazione Penale, fasc. 12, 2016.

[7] Cassazione penale, sez. II, 08/03/2016, n. 11683 in CED Cassazione penale 2016.

[8] G. GIOSTRA (a cura di), Il processo penale minorile, Milano Giuffrè, 2009.

[9] Cassazione penale, sez. V, 12/10/2016, n. 48288 in Diritto & Giustizia 2016, 17 novembre.

[10] V. SELLAROLI, I presupposti della sospensione condizionata della pena e il processo minorile, in Ilpenalista 2017, 22 dicembre.

[11] Tribunale minorenni Bologna, 07 giugno 2017, n.320, sulla scorta di tale principio logico-giuridico il Tribunale in questione ha ritenuto di non concedere il beneficio della messa prova. Se, infatti, nella maggior parte dei casi, lo scopo di recuperare e sostenere l’imputato minorenne passa attraverso la sua rapida fuoriuscita dal circuito penale, non necessariamente questo accade sempre. Specie se l’alternativa al circuito penale e penitenziario sconta la carenza di strumenti di intervento per l’assenza di una famiglia che sostenga il giovane e per la insufficienza di contesti meno contenitivi quali comunità educative, come proprio nel caso di specie.

[12]Il giudice non può provvedere alla sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato minorenne senza che sia stato predisposto il progetto di intervento elaborato dai servizi sociali minorili, né la presenza delle parti in udienza è sufficiente a garantire il contradditorio sul progetto, stante la mancata predisposizione ad opera dei servizi legittimamente competenti”, Cassazione penale, sez. III, 08/09/2016, n. 6019 in CED Cass. pen. 2017.

[13] Cassazione penale, sez. I, 09/05/2017, n. 40512, in CED Cass. pen. 2017.

[14] A. MARANDOLA, La messa alla prova dell’imputato adulto: ombre e luci di un nuovo rito speciale per una diversa politica criminale, in Dir. pen. proc., 2014.

[15] C. VALBONESI, I profili penali della sospensione del procedimento con messa alla prova, in C. CONTI A. MIRANDOA G. VARRASO (a cura di) Le nuove norme sulla giustizia penale, Cedam, 2014.

[16] Cassazione penale, Sezioni Unite, 1 settembre2016, n. 32672 in Giurisprudenza Penale, 2016.

[17] L. PELLEGRINO, Sospensione del procedimento con messa alla prova: le circostanze non rilevano nella determinazione della pena edittale, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc. 2, 2017.

[18] Cassazione penale, sez. III, 27/05/2015 n. 22104: “Nel giudizio di impugnazione davanti alla Corte d’appello o alla Corte di cassazione, l’imputato non può chiedere la sospensione del procedimento con la messa alla prova di cui all’art. 168-bis cod. pen., né può altrimenti sollecitare l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito, perché il beneficio dell’estinzione del reato, connesso all’esito positivo della prova, presuppone lo svolgimento di un “iter” processuale alternativo alla celebrazione del giudizio” in CED Cass. pen. 2015.

[19] C. Costituzionale, 8 settembre 2016, n. 2017 e 26 novembre 2015, n. 240.

[20] Cassazione penale, Sezioni Unite, 31/03/2016, n. 33216, in CED Cass. pen. 2016.

[21] Cassazione penale, sez. I, 02/02/2017, n. 21324 in Guida al diritto 2017, 23, 84.

Dott.ssa Battistelli Virginia

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