Sommario:
1. Il caso.
2. Le questioni di legittimità costituzionale.
3. La soluzione data dalla Corte.
1. Il caso
La sentenza in commento, trae origine da una questione di legittimità costituzionale sollevata con ordinanza del Tribunale Amministrativo Regionale della regione Calabria[1]. Nella specie, con ordinanza emessa il 20 marzo 2015, il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria ha sollevato, in riferimento agli artt. 123 e 117, primo comma della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera a), della legge della Regione Calabria 12 settembre 2014, n. 19, recante «Modifica della legge regionale 7 febbraio 2005, n. 1[2] che prevede la soppressione del comma 2, secondo periodo, dell’art. 1 della legge regionale 7 febbraio 2005, n. 1. La disposizione soppressa faceva salva l’applicazione dell’art. 5, comma 1, della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1[3], contenente la previsione della nomina a consigliere regionale del candidato che ha riportato un numero di voti immediatamente inferiore a quello del Presidente eletto.
Il giudizio a quo ha per oggetto il ricorso proposto dalla prima candidata non eletta alla carica di Presidente della Giunta regionale calabrese − al fine di ottenere l’annullamento del verbale dell’Ufficio centrale.
Nell’ordinanza di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, il TAR, specifica che, tale intervento legislativo è avvenuto in pieno regime di prorogatio, senza che lo stesso fosse imposto dalla necessità di adeguarsi ai rilievi formulati nel ricorso n. 59 del 2014, proposto dalla presidenza del consiglio dei ministri avverso la legge regionale 6 giugno 2014, n. 8, recante «Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 7 febbraio 2005, n. 1 (Norme per l’elezione del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale)».
Con riferimento al requisito della rilevanza, il giudice rimettente osserva che, laddove non fosse stata adottata la disposizione censurata, sarebbe ancora in vigore il richiamo all’art. 5, comma 1, della legge costituzionale n. 1 del 1999, che prevede la nomina a consigliere regionale del candidato che ha riportato un numero di voti immediatamente inferiore a quello del Presidente eletto.
2. Le questioni di legittimità costituzionale
Il TAR denuncia, in primo luogo, la violazione dell’art. 123 Cost., in relazione al parametro interposto costituito dall’art. 18 dello statuto della Regione Calabria. A parere del giudice rimettente, esso dovrebbe essere interpretato nel senso che, nel periodo di prorogatio, l’assemblea legislativa sia titolare unicamente «delle attribuzioni relative ad atti necessari ed urgenti, dovuti o costituzionalmente indifferibili»[4], essendo connaturale a tale istituto la limitazione dei poteri degli organi regionali, anche laddove non espressamente prevista dallo statuto regionale. Nell’ambito di tali attribuzioni − limitate in forza della deminutio della rappresentatività politica dell’organo legislativo in prossimità della sua scadenza − non potrebbe intendersi compresa l’adozione di una legge elettorale.
Il giudice a quo evidenzia che l’esistenza di limiti “immanenti” all’istituto della prorogatio è riconosciuta sia a livello nazionale, essendo l’istituto previsto dall’art. 61, secondo comma, Cost., al fine di assicurare la continuità funzionale del Parlamento, sia con riferimento alle assemblee regionali. Tale istituto costituisce, infatti, il punto di equilibrio tra il principio di rappresentatività e l’esigenza di continuità funzionale dell’attività cui sono preposti gli organi rappresentativi. Ne consegue che, pur dovendo escludersi un’assoluta paralisi delle attribuzioni riconosciute all’organo legislativo, è tuttavia connaturale all’istituto prorogatio il “depotenziamento” delle ordinarie attribuzioni, dovendosi riconoscere alle assemblee regionali in fase pre-elettorale solo la «eccezionale possibilità di esercitare alcuni dei loro poteri per rispondere a speciali contingenze» .
Il giudice a quo, inoltre, evidenzia che la disciplina della prorogatio degli organi elettivi regionali e degli eventuali limiti dell’attività degli organi prorogati è di competenza degli statuti regionali, in armonia con i precetti e con i principi tutti ricavabili dalla Costituzione, ai sensi dell’art. 123, primo comma, Cost.[5]. In particolare, nel caso in esame, sebbene l’art. 18, comma 2, dello statuto della Regione Calabria non preveda alcuna espressa limitazione, esso deve interpretarsi alla luce dei principi sopra riportati come facoltizzante il solo esercizio delle attribuzioni relative ad atti necessari ed urgenti, dovuti o costituzionalmente indifferibili, e non già certo come espressiva di una generica proroga di tutti i poteri degli organi regionali. Andrebbe, pertanto, esclusa, ad avviso del giudice a quo, la pienezza di poteri dell’organo legislativo ed, in particolare, quello di modificare la legge elettorale. Quest’ultima stabilisce, infatti, regole essenziali per il funzionamento di un sistema democratico e costituisce una delle massime espressioni del principio di rappresentatività politica, la quale è “attenuata” per gli organi in fase pre-elettorale e può esplicarsi, proprio alla luce delle esigenze di continuità funzionale sottese alla prorogatio, solo nell’adozione di atti necessari a garantire tale continuità.
Ad avviso del giudice a quo, la questione di costituzionalità sarebbe non manifestamente infondata anche in relazione all’art. 3 del Protocollo addizionale n. 1 della CEDU, nella parte in cui sancisce il diritto a libere elezioni, quale norma interposta integrativa del parametro costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma, Cost.
Al riguardo, viene richiamato il principio, affermato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo il quale «la stabilità della legislazione elettorale assume una particolare importanza per il rispetto dei diritti garantiti dall’art. 3 del Protocollo addizionale n. 1. In effetti, se uno Stato modifica troppo spesso le regole elettorali fondamentali o se le modifica alla vigilia di uno scrutinio, rischia di scalfire il rispetto del pubblico per le garanzie che si presume assicurino libere elezioni o la sua fiducia nella loro esistenza». Sono richiamate in particolare le decisioni della Corte di Strasburgo del 6 novembre 2012, nella causa Ekoglasnost contro Bulgaria, e dell’8 luglio 2008, nella causa Partito laburista georgiano contro Georgia.
Secondo questa giurisprudenza − che fa riferimento anche a norme di soft law non vincolanti, quale è l’art. 63 del «Codice di buona condotta in materia elettorale» elaborato dalla Commissione per la democrazia attraverso il diritto (Commissione di Venezia) − sarebbero in contrasto con l’art. 3 del Protocollo addizionale n. 1 gli interventi legislativi in materia elettorale adottati a ridosso delle consultazioni, ovvero in un arco temporale anche non brevissimo, quale l’anno antecedente le elezioni, laddove non siano supportate da ragionevoli e adeguate giustificazioni o da esigenze di rispetto di interessi generali, eventualmente comparabili con quello alla stabilità della legislazione elettorale.
Osserva il rimettente che, nella fattispecie in esame, la norma censurata è stata adottata circa due mesi prima della consultazione elettorale da un organo elettivo in prorogatio, ancorché non ricorresse, alla luce dei principi espressi dalla Corte di Strasburgo e vincolanti l’interpretazione delle norme della CEDU per il giudice nazionale, una giustificazione per l’adozione di modifiche del sistema elettorale.
3. La soluzione data dalla Corte
La Corte Costituzionale, definitivamente pronunciando sulla questione di legittimità costituzionale della legge regionale in parola, ha riconosciuto la fondatezza della questione in riferimento all’art. 123 Cost.
Nella specie, viene riconosciuto come la Corte stessa ha ripetutamente affermato che l’istituto della c.d. prorogatio riguarda, in termini generali, fattispecie nelle quali «coloro che sono nominati a tempo a coprire uffici rimangono in carica, ancorché scaduti, fino all’insediamento dei successori»[6]. Con specifico riferimento agli organi elettivi, e segnatamente ai Consigli regionali, è stato chiarito che «[l’]istituto della prorogatio […] non incide […] sulla durata del mandato elettivo, ma riguarda solo l’esercizio dei poteri nell’intervallo fra la scadenza, naturale o anticipata, di tale mandato, e l’entrata in carica del nuovo organo eletto»[7]. Pertanto, «[è] pacifico […] che l’istituto in esame presuppone la scadenza, naturale o anticipata, del mandato del titolare dell’organo. Prima di tale scadenza, non vi può essere prorogatio»[8]
Nel caso in esame, risulta che, con atto del 29 aprile 2014, il Presidente della Giunta regionale ha rassegnato le proprie dimissioni e, nella seduta del Consiglio regionale del 3 giugno 2014, ha «definitivamente congedato i consiglieri». A norma dell’art. 126 Cost. e degli artt. 17 e 33 dello statuto della Regione Calabria, le dimissioni del Presidente della Giunta comportano lo scioglimento anticipato del Consiglio e la convocazione di nuove elezioni per la rinnovazione del Consiglio stesso e del Presidente della Giunta regionale.
Con decreto n. 91 del 15 settembre 2014, ai sensi dell’art. 1-bis della legge reg. Calabria n. 1 del 2005, il Presidente facente funzioni della Giunta regionale ha fissato per il 23 novembre 2014 la convocazione dei comizi elettorali per il rinnovo del Consiglio regionale e l’elezione del Presidente della Regione.
Ciò premesso, la legge regionale n. 19 del 2014, oggetto di censura, approvata il 12 settembre 2014, nel periodo compreso fra la scadenza anticipata del mandato del precedente Consiglio regionale e la proclamazione degli eletti nelle nuove elezioni (avvenuta il 9 dicembre 2014), risulta adottata quando l’assemblea legislativa regionale era in regime di prorogatio.
Quanto all’estensione dei poteri degli organi legislativi durante la fase della prorogatio, va preliminarmente rilevato che la legge costituzionale n. 1 del 1999 ha attribuito allo statuto ordinario la definizione della forma di governo e la fissazione dei principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione, in armonia con la Costituzione (art. 123, primo comma, Cost.). Nel contempo, la disciplina del sistema elettorale e dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità è stata demandata allo stesso legislatore regionale, sia pure nel rispetto dei principi fondamentali fissati con legge della Repubblica, «che stabilisce anche la durata degli organi elettivi»[9]. Sulla base di queste previsioni normative e di quanto successivamente previsto nella legge costituzionale 10 ottobre 2001, n. 3[10], è stata riconosciuta l’esistenza di una vera e propria riserva di statuto nella disciplina della prorogatio[11] .
Al riguardo, lo statuto della Regione Calabria, all’art. 18, comma 2, stabilisce che «Fino a quando non siano completate le operazioni di proclamazione degli eletti sono prorogati i poteri del precedente Consiglio». Nel medesimo statuto, tuttavia, non si rinviene alcuna espressa indicazione sull’estensione dei poteri del Consiglio regionale durante la fase di prorogatio. D’altra parte, anche il regolamento interno del Consiglio regionale si limita a indicare i riferimenti temporali dell’esercizio delle funzioni, senza tuttavia prevedere limiti di contenuto.
Il silenzio dello statuto regionale è, peraltro, irrilevante, in ragione del principio generale che consente la titolarità, in questa fase, in capo ai consigli regionali, «di poteri attenuati, confacenti alla loro situazione di organi in scadenza»[12], limitati al «solo esercizio delle attribuzioni relative ad atti necessari ed urgenti, dovuti o costituzionalmente indifferibili […]»[13]. È stato ritenuto, in particolare, che nel periodo di prorogatio la disposizione statutaria che non preveda specifiche limitazione ai poteri del Consiglio regionale «non può che essere interpretata come facoltizzante il solo esercizio delle attribuzioni relative ad atti necessari ed urgenti, dovuti o costituzionalmente indifferibili, e non già certo come espressiva di una generica proroga di tutti i poteri degli organi regionali», dovendo ritenersi «immanente all’istituto» della prorogatio l’esistenza di tali limiti.
D’altra parte, il requisito della necessità ed urgenza non costituisce l’unico e generale presupposto per l’esercizio dei poteri in prorogatio, poiché sussiste anche quello degli atti dovuti in base a disposizioni costituzionali o legislative statali. Durante questa fase, il Consiglio regionale è tenuto a limitare i contenuti dei provvedimenti legislativi esclusivamente a quelle disposizioni che appaiano «indifferibili e urgenti» al fine di fronteggiare situazioni di pericolo imminente, ovvero che appaiano necessitate sulla base di obblighi fissati dal legislatore statale o comunitario[14] .
Nel caso in esame, la disposizione censurata ha eliminato per intero il secondo periodo dell’art. 1, comma 2, della legge reg. Calabria n. 1 del 2005 e con esso il richiamo, ivi contenuto, all’art. 5, comma 1, della legge costituzionale n. 1 del 1999. Quest’ultima disposizione prevede la disciplina della nomina a consigliere regionale del candidato che abbia riportato un numero di voti immediatamente inferiore a quello del candidato eletto Presidente della Giunta. Tale previsione era stata recepita dalla legge della Regione Calabria n. 1 del 2005, attraverso il richiamo contenuto nell’art. 1, comma 2, secondo periodo, che faceva «[…] salva l’applicazione dell’art. 15, commi 13 e 14, della legge 17 febbraio 1968, n. 108, così come modificata dalla legge 23 febbraio 1995, n. 43 e dall’art. 5, comma 1, della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1».
Al fine di valutare la denunciata violazione dei limiti immanenti all’organo legislativo in prorogatio, occorre considerare la disposizione oggetto di censura alla luce del contesto normativo ed istituzionale in cui essa è stata adottata, così da verificare se, ed in quale misura, essa risulti effettivamente necessitata da tale contesto.
In particolare, nel caso in esame risulta che, con ricorso n. 59 del 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri aveva impugnato, tra l’altro, l’art. 4, comma 1, lettera e), della legge della Regione Calabria 6 giugno 2014, n. 8, recante «Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 7 febbraio 2005, n. 1 (Norme per l’elezione del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale)», il quale, nel modificare la legge reg. Calabria n. 1 del 2005, aveva innalzato dal 55 per cento al 60 per cento il premio di maggioranza, con l’eventuale attribuzione di seggi aggiuntivi alle liste circoscrizionali collegate con la lista regionale risultata vittoriosa. Nel ricorso statale veniva denunciata, in particolare, la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. e del principio di coordinamento della finanza pubblica, di cui è espressione l’art. 14 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2001, n. 148, poiché «la possibilità di prevedere seggi aggiuntivi non è infatti più in linea con lo Statuto della Regione Calabria, come da ultimo modificato in relazione al numero di consiglieri fissato in trenta (più il Presidente)».
Nelle more del giudizio instaurato con tale ricorso, è entrata in vigore la legge della Regione Calabria n. 19 del 2014. Essa ha modificato alcune disposizioni della legge elettorale calabrese, comprese quelle censurate nel ricorso n. 59 del 2014. Con ordinanza della Corte costituzionale[15] è stata, quindi, dichiarata l’estinzione del processo, in considerazione dell’intervenuta rinuncia al ricorso da parte del Presidente del Consiglio dei ministri.
Dall’esame del dibattito in sede consiliare e della stessa relazione illustrativa alla proposta di legge in esame, emerge che l’esigenza di modificare la legge elettorale è derivata dalla volontà «[…] di dirimere il contenzioso con il Governo, in vista delle imminenti elezioni regionali […] apportando le relative modifiche alle norme interessate dalle censure, di ripristinare le percentuali dello sbarramento e dei seggi attribuiti quale premio di maggioranza alle soglie esistenti prima delle modifiche introdotte dall’impugnata legge regionale n. 8 del 2014».
Alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale in tema di limiti dei poteri degli organi elettivi in prorogatio, l’obiettivo di adeguarsi ai rilievi formulati dal Presidente del Consiglio dei ministri nel ricorso n. 59 del 2014 e di scongiurare il pericolo di invalidazione dell’imminente consultazione elettorale, appare idoneo a giustificare il carattere necessario ed indifferibile dell’intervento[16] .
Tuttavia, nel caso in esame, tale obiettivo è stato realizzato dal legislatore calabrese attraverso modifiche della legge elettorale riferite non solo alle disposizioni direttamente attinte dall’impugnativa (l’art. 4 della legge reg. Calabria n. 1 del 2005, come modificato dall’art. 4, comma 1, lettera e), della legge regionale n. 8 del 2014), ma anche ad altre, ed in particolare, per quanto qui interessa, attraverso l’eliminazione del richiamo, contenuto nell’art. 1 della legge elettorale regionale n. 1 del 2005, all’art. 5, comma 1, della legge costituzionale n. 1 del 1999, il quale prevede la riserva di un seggio al candidato miglior perdente.
Di converso, per recepire i rilievi formulati nel ricorso del Governo,a parere dei giudici della consulta, sarebbe stato sufficiente limitare l’intervento a quella sola parte dell’art. 5, comma 1, che consente, per l’assegnazione del seggio al secondo classificato, il ricorso al seggio aggiuntivo. Tale eventualità si potrebbe, infatti, verificare esclusivamente nel caso in cui tutti i seggi spettanti alle liste collegate siano stati assegnati con quoziente intero in sede circoscrizionale.
La necessità dell’intervento legislativo durante la prorogatio può essere, infatti, ravvisata solo con riferimento alle modifiche della legge elettorale direttamente volte a conformarsi al ricorso governativo, ma non rispetto ad interventi estranei a tale finalità.
Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto che non ricorreva la necessità di intervenire su disposizioni che, oltre a non formare oggetto di alcuna impugnativa, non ricadevano, neppure indirettamente, nell’oggetto delle censure relative alla previsione di seggi aggiuntivi e, quindi, al superamento del numero massimo di consiglieri, stabilito dall’art. 14 del decreto-legge n. 138 del 2011. La disposizione censurata ha eliminato, infatti, dalla legge elettorale non solo la disposizione che avrebbe potuto portare all’attribuzione di un seggio aggiuntivo, ma l’intera disciplina dell’attribuzione del seggio al miglior perdente.
La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Calabria n. 19 del 2014, sollevata in riferimento all’art. 123 Cost., in relazione all’art. 18 dello statuto regionale, pertanto, viene dichiarata dalla Corte Costituzionale meritevole di accoglimento per la parte in cui tale disposizione elimina il rinvio all’intero art. 5, comma 1, della legge costituzionale n. 1 del 1999, anziché al solo ultimo periodo del comma 1 dello stesso articolo.
Rimane, ovviamente, assorbita la censura relativa all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 3 del Protocollo addizionale n. 1 della CEDU.
[1] TAR Calabria, ord. 20 marzo 2015, n. 149.
[2] Norme per l’elezione del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale .
[3] Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni .
[4] Corte cost., 22 febbraio 2010, n. 68 .
[5] Corte cost., 20 giugno 2002, n. 304 .
[6] Corte cost., 16 aprile 1992, n. 208 .
[7] Corte cost., 23 maggio 2003, n. 196 .
[8] Corte cost., 11 giugno 2014, n. 181 .
[9] art. 122, primo comma, Cost.
[10] Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione .
[11] Corte cost., 23 maggio 2003, n. 196 .
[12] Corte cost., 16 dicembre 1991, n. 468 .
[13] Corte cost., 22 febbraio 2010, n. 68 .
[14] Corte cost., 1 giugno 2016, n. 157; 24 giugno 2015, n. 158; 29 aprile 2015, n. 81; 10 marzo 2015, n. 64; 10 marzo 2015, n. 55; 10 marzo 2015, n. 44 .
[15] Corte cost., 3 dicembre 2014, n. 285 .
[16] Corte cost., 1 giugno 2016, n. 157 .
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