Il caso: una signora era stata condannata a pagare un’ammenda di 900 euro per violazione dell’articolo 726 c.p. “atti contrari alla pubblica decenza” in quanto era stata sorpresa indossare da una pattuglia in servizio abiti molto succinti che facevano intravedere i glutei e gli indumenti intimi.
Ai fini della configurabilità della suddetta contravvenzione vanno compresi non solo gli atti sconci o turpi ma altresì quelli che sono moralmente o fisicamente ripugnanti alle più elementari regole di educazione. La pubblica decenza comprende ogni atto che, prescindendo dalla sessualità, sia tal da offendere i principi della scostumatezza, pudicizia e della morale.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, per la sussistenza del reato de quo, è necessario che l’agente accompagni al vestiario trasgressivo, comportamenti tali da suscitare disgusto e riprovazione dell’uomo medio. Naturalmente la libertà di ciascuno di vestire come si vuole deve bilanciarsi al rispetto che l’agente deve assumere nei confronti di ciascun consociato.
Nel caso di specie si trattava di una donna che esercitava il mestiere più antico del mondo: il meretricio, e il relativo vestiario era necessario per attrare i clienti sul ciglio della strada. Non risulterebbe, invece, quel quid pluris tale da punire la condotta suindicata. Mancherebbero, a giudizio del Collegio, quegli atteggiamenti ulteriori da turbare il sentimento collettivo della più elementare costumatezza.
Alla luce della infrascritte considerazioni, la Cassazione annullava la sentenza de qua e rimetteva gli atti al giudice di prime cure.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento