Insolvenza fraudolenta: la prova della condizione

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In tema di insolvenza fraudolenta, come può essere desunta la prova della condizione di insolvenza dell’agente.

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Corte di Cassazione- sez. II pen. – sent. n. 51251 del 10-11-2023

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Indice

1. La questione


Il Tribunale di Firenze aveva riconosciuto un imputato responsabile del delitto di truffa, come a lui ascritto, e, con la recidiva contestata, lo aveva condannato alla pena di anni 1 e mesi 3 di reclusione ed euro 200 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali;
Ciò posto, invece, la Corte di Appello di Firenze, dal canto suo, decidendo sull’appello dell’imputato, aveva riqualificato il fatto ai sensi dell’art. 641 cod. pen., rideterminando la pena di mesi 5 di reclusione.
Orbene, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’accusato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riguardo all’art. 641 cod. pen.. perché, a suo avviso, le emergenze istruttorie non consentivano di ritenere acquisita la prova della dissimulazione dello stato di insolvenza quale elemento costitutivo del delitto di cui all’art. 641 cod. pen., che deve sussistere al momento della assunzione dell’obbligazione unitamente al proposito di non adempiere, segnalando che in tal senso non poteva essere invocata né la sottoscrizione dell’assegno né la dazione del documento, non potendo rilevare, a tal fine, nemmeno il comportamento successivo alla assunzione dell’obbligazione che, pur potendo fornire elementi per indurre il proposito di non adempiere, non dimostra, sul piano oggettivo, la dissimulazione dello stato di insolvenza.
Oltre a quanto sin qui esposto, il legale sottolineava tra l’altro come non potesse essere invocato il principio della vicinanza della prova, evidenziando al contempo come tutti gli altri elementi invocati dai giudici di merito fossero in realtà irrilevanti al fine di dimostrare l’iniziale proposito di non adempiere ivi compresa la successiva irreperibilità.

2. La soluzione adottata dalla Cassazione sulla prova della condizione di insolvenza


La Suprema Corte riteneva il motivo suesposto infondato.
In particolare, gli Ermellini addivenivano a siffatta conclusione decisoria a fronte di quell’indirizzo interpretativo secondo il quale, in tema di insolvenza fraudolenta, la prova della condizione di insolvenza dell’agente, al momento dell’assunzione dell’obbligazione, può essere desunta dal comportamento precedente e successivo all’inadempimento, assumendo rilievo anche il mero silenzio dell’agente, quale forma di dissimulazione del proprio stato (cfr., in tal senso, Sez. 5 – , n. 30718 del 18/06/2021; conf., Sez. 2, n. 6847 del 21/01/2015, secondo cui, in tema d’insolvenza fraudolenta, la prova del preordinato proposito di non adempiere alla prestazione dovuta sin dalla stipula del contratto, dissimulando lo stato di insolvenza, può essere desunta anche da argomenti induttivi seri e univoci, ricavabili dal contesto dell’azione e dal comportamento success vo all’assunzione dell’obbligazione, ancorché non esclusivamente dal mero inadempimento che, in sé, costituisce un indizio equivoco del dolo).
Difatti, per gli Ermellini, proprio alla luce di tale quadro ermeneutico, dal complesso degli elementi sia di natura concreta, che logica, emersi nel corso del giudizio di merito, la Corte territoriale aveva potuto indurre, con argomentazioni (stimate) lineari e non censurabili in sede di legittimità, la prova, vuoi della dissimulazione dello stato di insolvenza (previamente noto all’agente), che del preordinato proposito di non adempiere l’obbligazione assunta.

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3. Conclusioni


La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito come, in tema di insolvenza fraudolenta, può essere desunta la prova della condizione di insolvenza dell’agente.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla base di un pregresso orientamento nomofilattico, che, in tema di insolvenza fraudolenta, la prova della condizione di insolvenza dell’agente, al momento dell’assunzione dell’obbligazione, può essere desunta dal comportamento precedente e successivo all’inadempimento, assumendo rilievo anche il mero silenzio dell’agente, quale forma di dissimulazione del proprio stato.
Di conseguenza, ove il giudice ritenga accertato siffatto illecito penale alla luce di tale compendio probatorio, è sconsigliabile, perlomeno in relazione a tale approdo ermeneutico, sostenere l’insussistenza di questo illecito penale per insufficienza della prova.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo. 

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