La prova documentale si colloca nel punto di frizione tra il principio del contraddittorio e il principio di non dispersione della prova, eccezione questa disciplinata dal comma 5 dell’art 111 Cost.
Ebbene i documenti si qualificano appunto come prove precostituite formate fuori dal processo e, per questo motivo, si pongono come eccezioni alla regola base del contraddittorio nella formazione della prova.
Il codice di rito vigente annovera, infatti, i documenti tra i mezzi di prova (art 234 c.p.p.).
Differenza tra documenti e documentazione degli atti
L’intento perseguito dai fondatori delle leggi, esplicitato nella Relazione al progetto preliminare, è stato quello di superare il disordine che aveva caratterizzato la disciplina dei documenti sotto l’impero del codice Rocco.
Il documento utilizzabile come mezzo di prova è contraddistinto da un requisito negativo ricavato dalla Relazione al progetto preliminare: l’oggetto rappresentato deve essere un atto compiuto fuori dal procedimento nel quale si chiede o si dispone che il documento faccia ingresso, se l’oggetto rappresentato è un atto del medesimo procedimento il codice non utilizza il termine documento bensì il termine documentazione. Secondo il codice la documentazione degli atti del procedimento non dà luogo ad un documento pertanto non può essere utilizzata come mezzo di prova.
La scelta legislativa di distinguere nettamente i documenti dalla documentazione degli atti del procedimento restringe la nozione di documento probatorio.
Il verbale, in quanto rappresentazione documentale di atti del procedimento, non è di regola utilizzabile come prova documentale, ma nell’inquadramento dato dal legislatore trovano sistemazione anche i verbali di prove acquisite in altri procedimenti, qualificati come documenti ai sensi dell’art 238 c.p.p. vigente. Tali verbali vanno intesi come documentazione all’interno del procedimento in cui si attua l’assunzione della prova, ma diventano prove documentali in qualsiasi altro processo nel quale siano acquisiti ed utilizzati, ciò in quanto res formate fuori dal processo nel quale tendono ad introdursi. In tal proposito si è pronunciata anche la Corte Costituzionale con la Sentenza 142/1992 (nota anche la Sentenza della Corte Costituzionale 198/1994).
La disciplina codicistica
Le norme che disciplinano le prove documentali sono raggruppate nel titolo II del libro III del nuovo codice di procedura penale, precisamente negli artt. 234 e ss.
L’art. 234 c.p.p. afferma che “è consentita l’acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo”.
L’articolo evidenzia il requisito positivo del documento: affinché vi sia documento è sufficiente che si tratti di uno scritto oppure di un oggetto comunque idoneo a rappresentare un fatto, una persona o una cosa; non è rilevante il supporto sul quale è incorporata la rappresentazione che, pertanto, può essere la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo.
Ogni documento, per essere tale, deve comprendere quattro elementi: il fatto rappresentato, la rappresentazione, l’incorporamento e la base materiale. Si è posto poi il problema di stabilire se tra i dati caratterizzanti la nozione di documento sia inclusa l’intenzionalità nella sua formazione; intenzionalità che presuppone un’attività dell’uomo specificamente destinata a costruire uno scritto od altra entità materiale per rappresentare fatti, persone o cose ritenuti utili alla verifica del thema probandum. La dottrina più recente, in virtù dell’art 234 c.p.p., ha esaminato il problema distinguendo i casi in cui il contenuto rappresentativo si forma attraverso l’opera dell’uomo da quelli in cui tale formazione è opera di una macchina. Occorre innanzitutto distinguere i documenti in cui l’oggetto della rappresentazione è un fatto storico memorizzato da una macchina ed i documenti nei quali l’oggetto della rappresentazione è la descrizione di un fatto storico quale risulta fissato nella memoria di un uomo. Rientrano nella prima categoria le fotografie, le registrazioni foniche, i filmati nei quali la rappresentazione della realtà non è mediata dalla memoria dell’uomo, anche se vi sono dei casi in cui la memoria meccanica si affianca a quella dell’uomo e dei casi nei quali le machine sono predisposte per offrire una rappresentazione dei fatti senza il contemporaneo concorso dell’uomo. Rientrano nella seconda categoria le scritture.
Nella prassi giurisprudenziale sono pacificamente ricondotte alla categoria dei documenti ex art. 234 c.p.p. alcune fattispecie in cui la rappresentazione del fatto storico è automaticamente memorizzata, indipendentemente dall’intervento dell’uomo.
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