La questione di giurisdizione nelle liti familiari transnazionali: la nuova frontiera dell’arbitrato secondo le IFLAS Rules

Redazione 28/01/20

di Angela Maria Felicetti*

* Dottoranda in Diritto Processuale Civile presso l’Università di Bologna e LLM in International Dispute Resolution presso il King’s College di Londra

Sommario

La giurisdizione nelle liti familiare: un breve accenno all’approccio europeo

La giurisdizione sulla controversia familiare in common law

La soluzione innovativa: l’arbitrato come strumento per “prevenire” la controversia sulla giurisdizione

Conclusioni: quale spazio in Italia per il lodo IFLAS?

Questo breve contributo si propone di presentare l’International Family Law Arbitration Scheme (IFLAS), un regolamento arbitrale creato per le controversie familiari transnazionali con l’obbiettivo di mettere a disposizione delle parti uno strumento per la risoluzione “de-giurisdizionalizzata”, rapida e (relativamente) economica, di uno dei problemi più spinosi nelle cause familiari transnazionali: l’individuazione della giurisdizione competente.

È noto come il fenomeno della globalizzazione abbia portato alla formazione di realtà familiari che hanno collegamenti con più ordinamenti giuridici, sia, ad esempio, sotto il profilo della nazionalità dei coniugi, sia per quanto riguarda gli spostamenti della coppia durante la vita comune. Nel momento della crisi familiare il potenziale coinvolgimento di una pluralità di ordinamenti diviene un elemento di complessità, nella misura in cui ciascuna normativa nazionale tende, solitamente, a favorire il radicamento della controversia presso il proprio giudice. Lo strumento dell’arbitrato, storicamente, si propone di superare questa tendenza accentratrice, offrendo un meccanismo di risoluzione della lite che può essere costruito di modo da garantire una certa equidistanza dagli ordinamenti nazionali dei soggetti coinvolti nella disputa e, quindi, viene percepito come maggiormente neutrale dalle parti.

Da questa premessa prende le mosse la proposta di IFLAS, presentata nel 2017 da un gruppo di family law practiotioners inglesi e australiani. Sottoscrivendo un compromesso, le parti di una lite transnazionale in materia familiare demandano ad un arbitro il compito di individuare la giurisdizione presso cui radicare la propria controversia. In tal modo ci si propone di evitare le lungaggini della trattazione di una simile questione, spesso altamente complessa e articolata, dinnanzi a uno o, nel caso di procedimenti paralleli, più giudici nazionali.

In applicazione delle regole previste da IFLAS, l’arbitro nominato dovrà fare ricorso ad un criterio appositamente elaborato, il c.d. “closest connection test”, al fine individuare la giurisdizione competente. Il lodo contenente una simile determinazione, secondo i promotori del Regolamento, dovrebbe risultare meritevole di riconoscimento al pari di un altro lodo internazionale e dovrebbe pertanto, se necessario, essere opponibile alla parte inadempiente che decida di cominciare un procedimento presso un giudice diverso da quello individuato dall’arbitro.

Appare evidente come un simile “esperimento” giuridico sollevi una serie di questioni che di seguito ci si propone, se non di risolvere, perlomeno di individuare.

Per quanto riguarda il problema del radicamento della giurisdizione sulle controversie in materia familiare, il legislatore europeo, com’è noto, ha provveduto alla promulgazione di regole comuni a tutti gli Stati Membri.

La principale tra le fonti in materia è il Regolamento n. 2201 del 2003 (Bruxelles II bis), destinato ad essere sostituito dal nuovo Regolamento n. 1111 del 2019 a partire dall’agosto 2022. La suddetta normativa, i cui principi fondamentali rimarranno sostanzialmente invariati con la riforma, pone una serie di criteri tra loro alternativi che permettono di radicare in un determinato Stato Membro le controversie in materia di separazione personale, divorzio e annullamento del matrimonio[1]. Alcuni degli elementi a cui si può avere riguardo per individuare lo Stato Membro del giudice competente sono, secondo il disposto dell’art. 3 lettera a): la residenza abituale[2] dei coniugi, l’ultima residenza abituale della coppia (se uno dei coniugi vi è ancora residente) e la residenza abituale del coniuge convenuto. L’art. 3 lettera b) conferisce, altresì, allo Stato Membro di cui entrambe i coniugi sono cittadini la giurisdizione sulle controversie familiari tra gli stessi[3].

Il Regolamento detta, inoltre, una disciplina specifica per le controversie che coinvolgono i minori. La Sezione II, rubricata “Responsabilità genitoriale”, predilige la trattazione unitaria della crisi familiare dinnanzi al giudice competente per la causa di separazione e divorzio (art.12) e sancisce il criterio residuale della residenza abituale del minore (art. 13). A tale regola sono previste una serie di eccezioni, tra le quali è particolarmente di interesse per la presente analisi il caso del “trasferimento delle competenze a un’autorità giudiziale più adatta a trattare il caso” (art. 15). La dottrina ha avuto modo di sottolineare come questa previsione, che riduce fortemente l’autonomia di scelta delle parti tra fori alternativi di cui all’art. 3, sembri adottare un approccio al problema della giurisdizione analogo a quello dei paesi di common law[4], di cui si dirà a breve .

Un’altra fonte legislativa rilevante è rappresentata dal Regolamento n. 4 del 2009, che disciplina le controversie in materia di obbligazioni alimentari[5]. L’individuazione del foro competente (art. 3) può avvenire attraverso i criteri alternativi della residenza abituale del convenuto o di quella del creditore, facendo salvi i casi in cui la domanda sugli alimenti sia accessoria rispetto a quelle disciplinate dal Regolamento di Bruxelles II bis.

I Regolamenti citati, che insieme ad altri compongono la normativa europea in materia familiare[6], adottano un approccio unitario al problema del radicamento della giurisdizione. Instaurata la causa presso uno dei giudici individuati dalle norme come alternativamente competenti, in applicazione della regola generale della litispendenza, non sarà più possibile radicare la stessa controversia innanzi al tribunale di un altro Stato Membro (cfr. art. 19 del Regolamento Bruxelles II bis e art. 10 del Regolamento n. 4 del 2019). Così, ad esempio, la corte tedesca, adita sulla domanda di divorzio proposta precedentemente dalle stesse parti in Italia, dovrà sospendere d’ufficio il procedimento, finché non sia stata accertata la competenza del giudice italiano.

Il legislatore europeo, in sintesi, attribuisce rilevanza al profilo dell’anteriorità del radicamento della causa nel tempo, così evitando la possibilità che le parti portino avanti dei procedimenti paralleli in più Stati Membri e che ottengano giudicati confliggenti. La regola della litispendenza elimina la possibilità di un “corto circuito”, ponendo un criterio generale che permette di superare i conflitti di giurisdizione, sia positivi (i.e. quando due Stati Membri reclamano la giurisdizione sulla stessa disputa), sia negativi (i.e. quando i giudici di stati diversi ritengono entrambe di non poter giudicare sulla lite).

[1] Per una trattazione approfondita del tema si rimanda a: Lupoi, La giurisdizione internazionale sulle cause matrimoniali in Id (a cura di), Le tutele legali nella crisi di famiglia, tomo II, 2018, Maggioli Editore, p. 67-127. Per un’analisi del regolamento nella prospettiva inglese: Trimmings, Matrimonial and related causes in Torremans (a cura di), Cheshire, North & Fawcett on Private International Law, Oxford University Press, 2017, pp. 951-1048.

[2] Sul concetto di “residenza abituale” cfr. Lupoi, op. cit., p. 75.

[3] I criteri adottati dall’art. 3, sottolinea l’Explanatory Report che accompagna il Regolamento Bruxelles II bis, sono frutto di un compromesso politico: «The grounds adopted are based on the principle of a genuine connection between the person and a Member State. The decision to include particular grounds reflects their existence in various national legal systems and their acceptance by the other Member States or the effort to find points of agreement acceptable to all» (par. 30).

[4] Lupoi, op. cit., pp. 103-110. Si veda anche Biagioni, Il nuovo regolamento comunitario sulla giurisdizione e sull’efficacia delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità dei genitori in Rivista di diritto internazionale, 2004, vol. 4, pp. 991-1035.

[5] Per un’analisi della normativa: Lupoi, op. cit, p. 116-126. Anche: Querzola, Il regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, relativo alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari, in Taruffo-Varano (a cura di), Manuale di diritto processuale civile europeo, 2011, Giappichelli, pp. 143-170.

[6] Tra le ulteriori fonti più rilevanti si segnala: il Regolamento n. 1103 del 2016 in materia di regime patrimoniale scelto dai coniugi e il Regolamento n. 1104 del 2016 sugli effetti patrimoniali delle unioni registrate.

In opposizione al principio della “corte prima adita” adottato dal legislatore europeo, nella tradizione giuridica di common law si fa riferimento, invece, alla dottrina del forum non conveniens.

In sintesi, il fondamento teorico dell’approccio al problema del radicamento della giurisdizione nelle cause transnazionali è da ricercare nell’idea che esista un foro “più opportuno” per ogni disputa (un forum conveniens, appunto) e che spetti a ciascun giudice adito il potere di verificare se la controversia possa trovare una soluzione migliore in una giurisdizione diversa dalla propria.

Questo è, ad esempio, il criterio utilizzato nelle controversie familiari dal sistema anglosassone. Per regola generale, secondo la div> del Domicile and Matrimonial Proceedings Act 1973, il giudice inglese ha giurisdizione sulla separazione o il divorzio (fuori dai casi di applicazione del Regolamento Bruxelles II bis[7]) se almeno uno dei coniugi è domiciliato in Inghilterra alla data di inizio della controversia. Nel caso in cui, durante la trattazione, si ponga il problema di un procedimento parallelo sulla stessa lite (parrallel proceeding) pendente in una giurisdizione extra-europea, la corte inglese ha la facoltà di garantire una sospensione del procedimento (discretionary stay)[8]. Tale sospensione, tuttavia, è condizionata all’accertamento da parte del giudice inglese di quale sia il foro più “idoneo” per decidere la lite. L’esperienza dei practitioner britannici insegna che la trattazione di una simile questione nella prassi tende a rivelarsi complessa e incerta negli esiti. Solo recentemente la giurisprudenza è arrivata ad elaborare per le liti familiari degli “indici” per la verifica del forum non conveniens, ispirandosi agli elementi oggetto di valutazione nelle controversie commerciali[9]. Per concedere la sospensione, il giudice dovrà operare un bilanciamento tra “fairness and convenince between the parties”, arrivando a prendere in considerazione una pluralità di elementi, tra cui: «convenience of witnesses and any delay or expense which may result from the proceedings being stayed, or not being stayed»[10]. È facile intuire come tale decisione sia fortemente legata al caso concreto e come gli esiti della stessa siano imprevedibili, anche a causa della continua evoluzione della giurisprudenza[11]. Si deve inoltre tenere conto della circostanza, di grande rilevanza pratica, per cui la trattazione di una questione di giurisdizione davanti a una corte inglese generalmente richiede l’assistenza che le parti siano assistite, oltre che dal proprio legale, anche da barrister specializzati in materia, con un p>

Lo stesso meccanismo di sospensione discrezionale brevemente decritto con riferimento all’ordinamento inglese è in uso in altre giurisdizioni di common law. Tra queste, ad esempio, gli Stati Uniti, l’India e l’Australia. Tuttavia, ciascun ordinamento adotta criteri sostanziali differenti riguardo a quali elementi il giudice debba prendere in considerazione per arrivare alla determinazione del foro più idoneo. Non si può pertanto escludere che, adito per la stessa separazione sia il giudice indiano che quello inglese, entrambe le Corti portino avanti la propria analisi sul foro naturale della controversia, giungendo a conclusioni diametralmente opposte. È evidente come questo tipo di contrasti possa recare un grave pregiudizio alle parti coinvolte, soprattutto in mancanza di strumenti ulteriori di tutela, quali trattati bilaterali che disciplinano il riparto tra le giurisdizioni dei due stati “in conflitto” o, per quanto attiene alla tutela dei minori, in caso di mancata adesione alla Convenzione dell’Aja del 1980.

[7] Per gli sviluppi a seguito della “Brexit” si rimanda allo studio commissionato dal Parlamento Europeo: “The Future Relationship between the UK and the EU following the UK’s withdrawal from the EU in the field of family law”, 2018, disponibile su http://www.europarl.europa.eu/thinktank/en/document.html?reference=IPOL_STU(2018)608834

[8] Paragrafo 9 della Schedule 1 del Domicile and Matrimonial Proceedings Act del 1973.

[9] Il landmark case sul punto è Spillada Maritime v Casulex Ltd [1987] AC 460, che ha inaugurato una costante giurisprudenza secondo cui la sospensione può essere garantita quando «the court is satisfied that there is some other available forum […] which is the appropriate forum for the trial of the action». In una prima fase l’onere della prova sull’esistenza di un foro più adatto per la disputa spetta al convenuto nel giudizio inglese, che sta facendo richiesta per lo stay in favore del procedimento estero. Successivamente «if the court is satisfied that there is another available forum which is prima facie the appropriate forum for the trial of the action, the burden will then shift to the plaintiff to show that there are special circumstances by reason of which justice requires that the trial should nevertheless take place in this country» (par. 6). Si assiste, quindi, ad un’inversione dell’onere della prova tale per cui l’attore del procedimento inglese (i.e. la parte processuale che si oppone allo stay) sarà ammesso a far valere alcune eccezioni. Tra queste questioni di public policy o l’impossibilità di ottenere giustizia nella giurisdizione straniera. Per un’analisi completa dei meccanismi processuali stabiliti in Spillada e la loro evoluzione nella giurisprudenza britannica: cfr. Hartley, International Commercial Litigation – Text Cases and Materials on Private International Law, Cambridge Universty Press, 2015, p. 231.

[10] Paragrafo 9(2) della Schedule 1 del Domicile and Matrimonial Proceedings Act del 1973.

[11] Un primo tentativo di stabilizzazione della giurisprudenza si è avuto con la decisione De Dampierre v. De Dampierre [1988] AC 92, in cui la House of Lords ha proposto un assetto sistematico per i criteri della decisione sul forum non conveniens su cause di separazione e divorzio. Per le successive evoluzioni cfr. Armb> [2003] 2 FLR 375; O v. O (Appeal against Stay: Dovirce petition) [2002] EWCA Civ 949. Per un’analisi accurata della case law si rimanda a Trimmings, op. cit., pp. 972-978.

In questo quadro normativo e giurisprudenziale si inserisce la proposta dell’International Family Law Arbitration Scheme (IFLAS)[12], nata nel contesto di Alternative Court Room, un ente australiano specializzato in metodi di risoluzione alternativa delle controversie in ambito familiare. Il regolamento arbitrale fornisce alle parti uno strumento per ottenere un lodo finalizzato a risolvere esclusivamente l’aspetto della controversia relativo alla scelta del giudice che si dovrà adire, qualora più di una giurisdizione possa potenzialmente risultare idonea (art. 1 IFLAS).

A tal fine, le parti sottoscrivono un compromesso arbitrale, attraverso la compilazione di una domanda online, a mezzo del quale si impegnano a ritenere vincolante la decisione dell’arbitro. Dispone l’art. 6 delle IFLAS Rules:

«Each party by entering into arbitration under the Scheme agrees to be estopped from proceeding in any jurisdiction other than that determined by the arbitrator, and furthermore undertakes not to commence proceedings in any jurisdiction other than as determined as the closest connection by the arbitrator in accordance with this Scheme. Insofar as there are any existing forum or other family proceedings, it will be a term of the arbitration that these proceedings are stayed pending the outcome of the arbitration».

Il Regolamento si connota per una serie di aspetti peculiari. Innanzitutto, non individua la lex cause, ossia il diritto che dovrà essere utilizzato per decidere nel merito, ma stabilisce direttamente una regola di giudizio, che potremmo definire “equitativa”[13]. Per determinare il foro competente l’arbitro utilizzerà, infatti, il criterio della “closest connection” (art. 26 IFLAS Rules), ossia andrà a valutare con quale giurisdizione la coppia abbia il maggior grado di vicinanza. L’accertamento avverrà secondo criteri che sono comunemente applicati dalla giurisprudenza nelle decisioni sul forum non conveniens in molti paesi di common law, inclusa l’Inghilterra. Si avrà riguardo, tra gli altri elementi[14], alla storia personale dei coniugi e allo sviluppo della loro relazione sotto il profilo geografico. In particolare: la loro residenza, il domicilio, la nazionalità di origine e i loro movimenti transfrontalieri. Per ottenere le informazioni necessarie ad emettere la pronuncia, l’arbitro si affiderà principalmente a un questionario online che ciascuna parte si impegna a compilare, con l’assistenza dei propri legali, e a trasmettere entro tre settimane dall’inizio dell’arbitrato (art. 20 IFLAS Rules).

Come nei regolamenti di altri enti arbitrali internazionali, IFLAS richiede che l’arbitro abbia una provenienza geografica neutrale, in particolare «[t]he arbitrator should be from a country with which neither party asserts they have a close connection» (art. 10 IFLAS Rules). Nel rispetto di tale prescrizione, le parti possono nominare direttamente il proprio arbitro, scegliendo tra i professionisti inclusi nell’apposito panel di IFLAS. In alternativa, o nell’impossibilità di raggiungere un accordo sulla persona dell’arbitro, le parti potranno richiede che la nomina avvenga direttamente a cura dell’ente stesso.

Al momento della richiesta di nomina, l’ente, o direttamente il professionista selezionato, è chiamato a svolgere una valutazione preliminare sull’opportunità di aprire il procedimento (art. 16 IFLAS Rules), avendo riguardo alle circostanze riferite dalle parti nella domanda di arbitrato. Tale verifica può concludersi con il rifiuto da parte dell’ente di instaurare il procedimento arbitrale ogni qual volta la lite non appaia “suitable for arbitration”. La formulazione di questa disposizione riflette l’incertezza dovuta all’utilizzo dello strumento arbitrale per risolvere controversie che attengono al diritto di famiglia. L’arbitrato familiare, infatti, pur vantando una prassi ultra-decennale in molte giurisdizioni (e.g. Inghilterra, Canada, Australia e la quasi totalità degli stati nel Stati Uniti), è soggetto a limiti differenti in ciascuna di esse. Pertanto, il Regolamento rimette all’arbitro la scelta di impedire che le parti diano l’avvio ad un procedimento da cui non potrebbero trarre l’effettivo beneficio di vedere riconosciuto il lodo come una determinazione vincolante.

Sotto il profilo della regolamentazione di un’eventuale istruzione probatoria, le IFLAS Rules presentano significativi limiti. Non è, infatti, prevista alcuna disciplina per l’assunzione di prove qualora la trattazione on paper, ossia sulla base del questionario compilato da ciascuna parte, non risulti sufficiente. In tali casi, la gestione della valutazione sulla rilevanza e sulle modalità di assunzione di ulteriori mezzi probatori è rimessa alla discrezionalità dell’arbitro. È, tuttavia, lasciata all’accordo delle parti la possibilità di assoggettare l’arbitrato IFLAS alle regole procedurali in materia di assunzione delle prove di un determinato ordinamento giuridico (art. 41 IFLAS Rules).

Un’ulteriore, significativa, aporia del Regolamento riguarda l’ascolto del minore. L’assenza di una disposizione specifica fa supporre che gli ideatori di IFLAS abbiano ritenuto che, di regola, l’ascolto di eventuali figli della coppia non possa fornire elementi utili alla ricostruzione della closest connection o che, in ogni caso, le informazioni necessarie non debbano essere acquisite attraverso il contatto diretto, o mediato da un esperto, tra l’arbitro e il minore. Il benessere del minore viene, tuttavia, preso in particolare considerazione nell’individuazione dell’ordinamento in cui radicare la lite, in quanto l’arbitro è chiamato a valutare, tra gli altri elementi, le norme applicabili in ciascuna delle possibili giurisdizioni in materia di affidamento, avendo quindi riguardo all’impatto sul minore della scelta della giurisdizione competente.

Infine, stante un generale dovere di riservatezza gravante sui soggetti coinvolti nel procedimento arbitrale, è prevista una deroga espressa qualora la richiesta di informazioni provenga da un’autorità pubblica e riguardi «information relating to the safety or wellbeing of the child» (art. 54 (b) IFLAS Rules).

Per assicurare una certa attrattività al procedimento arbitrale IFLAS, pur con tutti i limiti dovuti ad un così specifico ambito applicativo, l’ente si è preoccupato di assicurare al massimo la certezza dei costi, attraverso tariffario fisso[15] a cui la maggior parte degli arbitri ha aderito. Vengono altresì previste tempistiche serrate, con una durata complessiva di 28 giorni dall’inizio della procedura alla pronuncia del lodo.

Il criterio della closest connection, nella sua affinità con l’approccio dei giuristi di common law, sembra poter svolgere efficacemente il proprio ruolo di parametro “di buon senso”. Vi sono elementi per sostenere che la determinazione degli arbitri possa essere recepita come vincolante dalle corti di common law. In quelle giurisdizioni che hanno sviluppato prassi di arbitrato di famiglia, come l’Inghilterra, o che hanno persino normative specifiche in materia, come l’Australia, non vi è dubbio che il giudice potrebbe riconoscere validità al lodo, equiparandolo ad un accordo tra le parti. L’evoluzione di queste giurisdizioni, infatti, è stata tale da arrivare a considerare ampi spazi della materia familiare come pienamente soggetti al potere negoziale delle parti, che può legittimamente manifestarsi anche attraverso il compromesso arbitrale. «There is no conceptual difference – ha sostenuto recentemente ha High Court britannica, proprio in materia di arbitrato su questioni di diritto di famiglia – between the parties making an agreement and agreeing to give and arbitrator the power to make the decision for them»[16]. Non a caso l’iniziativa IFLAS, che appare così singolare agli occhi del giurista europeo, è frutto del lavoro di common lawyers esperti nel campo dell’arbitrato e del diritto di famiglia internazionale[17] e ha ricevuto il placet della Law Society inglese.

Gli esiti applicativi dell’arbitrato IFLAS rimangono, per adesso, totalmente sconosciuti al pubblico, ma un tale esperimento desta comunque un certo interesse nella misura in cui propone un approccio innovativo per garantire una giustizia più efficiente e rapida in un settore del diritto ad alto livello di complessità come quello dell’aggiudicazione della crisi familiare transnazionale.

[12] Per ogni riferimento si rimanda al sito web dell’ente: https://internationalfamilyarbitration.com/.

[13] Sul piano prettamente teorico, nella prospettiva del diritto italiano l’arbitrato amministrato da IFLAS potrebbe essere qualificato come arbitrato secondo equità (art. 822 c.p.c.), nell’accezione aristotelica di equità come “giustizia del caso concreto”. Allo stesso modo l’Arbitration Act inglese che prevede che le parti possano individuare il diritto applicabile dagli arbitri in una normativa nazionale o in insiemi di regole diversi, c.d. “other considerations” (s. 46). In questa dicitura generica si fanno rientrare, ad esempio, le norme religiose o gli usi.

[14] Altri elementi che dovranno essere considerati dall’arbitro sono: le tipologie di tutele di cui ciascuna parte potrà beneficiare in una determinata giurisdizione (includendo l’ammissibilità per l’ordinamento dello scioglimento del vincolo matrimoniale); la normativa in materia di custodia della prole e le tutele economiche; il background culturale delle parti; il background religioso delle parti (se questo può avere una rilevanza nelle legislazioni nazionali che verrebbero applicate alla controversia); la durata dei periodi trascorsi dalle parti in ciascuna giurisdizione; la collocazione geografica dei beni comuni della coppia e quella delle proprietà dei singoli coniugi; la titolarità di pensioni pubbliche in una certa giurisdizione; la familiarità delle parti con una certa giurisdizione; la lingua delle parti; i potenziali esisti nella prospettiva di dover eseguire il provvedimento di un determinato giudice nazionale in più giurisdizioni.

[15] Si parte da un fisso di $8.000, da ripartire tra le parti, a cui si aggiungono $350 di spese amministrative. Qualora la trattazione della causa non possa svolgersi meramente on paper ma richieda delle udienze, queste avranno un costo di circa $3.500 al giorno.

[16] Il principio è stato espresso nella sentenza S v S [2014] EWHC 7 (Fam), par. 19, in occasione della prima decisione delle corti britanniche sul recepimento di un lodo a seguito di un procedimento di family arbitration in applicazione del regolamento promosso dall’Institute for Family Law Arbitration (IFLA Scheme).

[17] In particolare, i fondatori di IFLAS sono: David Hodson, arbitro inglese e promotore del primo regolamento per l’arbitrato familiare in Inghilterra, e Patrick Parkinson, professore della facoltà di legge dell’Università di Sidney, noto per le sue attività di ricerca in nel campo delle a.d.r. familiari.

Per concludere può essere interessante interrogarsi sull’ammissibilità per il diritto italiano ed europeo di un arbitrato finalizzato a decidere quale sia la giurisdizione più idonea a decidere una controversia familiare. Nell’opinione di chi scrive si deve dare, da subito, una risposta tendenzialmente negativa, in quanto le norme in vigore in materia nel nostro sistema – anche quelle di matrice europea – sembrano escludere che le parti possano esercitare la propria autonomia contrattuale sulla scelta del foro.

In generale, per quanto attiene alla normativa italiana, l’autonomia dei contraenti nella selezione del foro è prevista ex lege dall’art. 4, c. 2 della legge sul diritto internazionale privato (l. n. 218 del 1995, di seguito, d.i.p.) in base al quale: «La giurisdizione italiana può essere convenzionalmente derogata a favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero se la deroga è provata per iscritto e la causa verte su diritti disponibili». Questa norma trova un proprio corrispettivo a livello europeo, dove nelle materie civili e commerciali per come definite dal Regolamento n. 1215 del 2012 (c.d. Bruxelles I bis), la conclusione di una convenzione arbitrale comporta l’inoperatività della legislazione europea in favore delle norme nazionali sull’arbitrato di ciascuno Stato Membro[18].

Per quanto attiene nello specifico alle controversie familiari, invece, sembra opportuno distinguere due ipotesi, a seconda del carattere europeo o internazionale della disputa.

Sulla possibilità di deferire ad arbitri la questione del radicamento della giurisdizione tra vari Stati Membri dell’Unione Europea si è visto che il Regolamento Bruxelles II bis attribuisce all’attore la facoltà di scelta tra diversi fori alternativi. Tuttavia, la normativa sembra escludere che le parti, anche in caso di domanda congiunta di separazione o divorzio, possano designare consensualmente il giudice che verrà adito, selezionando un foro diverso dalle alternative legislativamente previste[19]. Se si esclude a monte la validità di una determinazione pattizia che deroghi alle disposizioni in materia di giurisdizione, a maggior ragione non sembrerebbe di poter ritenere ammissibile l’accordo per devolvere la questione ad un arbitro.

Ad esiti analoghi, quantomeno stando al dato testuale, dovrebbe condurre l’applicazione delle nuove norme contenute nel Regolamento n. 1111 del 2019. Tuttavia, è opportuno sottolineare che una delle principali direttrici seguite dal legislatore europeo in questa riforma riguarda proprio la valorizzazione dell’uso di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie in campo familiare, soprattutto nella forma della mediazione. Un simile approccio sembrerebbe dover coerentemente comportare maggior un favor anche nei confronti dell’arbitrato, quale strumento alternativo al ricorso al giudice nazionale basato sull’accordo delle parti[20]. In quest’ottica non può escludersi a priori che la giurisprudenza della Corte di Giustizia decida di interpretare le norme nel senso di garantire una forma di riconoscimento alla volontà delle parti di deferire ad un arbitro la scelta dello Stato Membro presso cui radicare la propria controversia.

Sempre per quanto attiene al diritto di derivazione europea, una riflessione a parte è necessaria per le controversie sulle obbligazioni alimentari. L’art. 4 del Regolamento n. 4 del 2009 prevede, infatti, che le parti possano validamente pattuire per iscritto di attribuire la competenza esclusiva a un determinato foro[21]. La stessa norma, tuttavia, enumera una serie di criteri che devono essere rispettati nell’individuazione pattizia dell’autorità giurisdizionale competente, al fine garantire un minimo livello di connessione tra le parti e la giurisdizione adita. Tanto considerato si potrebbe avanzare l’ipotesi, di scarsissima rilevanza applicativa, di un arbitraggio[22] in cui le parti si affidano a un terzo affinché questi selezioni una giurisdizione presso cui radicare la propria controversia, nel rispetto dei criteri legislativamente previsti (e non quindi applicando regole di giudizio alternative, come il “close connection test”). La determinazione del terzo dovrebbe essere un accordo valido ai sensi dell’art. 4 e, quindi, risulterebbe vincolante nei confronti dei giudici degli Stati Membri.

Infine, guardando al diritto privato internazionale italiano, e quindi all’ipotesi di compromissione della questione della scelta del foro tra il giudice italiano e il giudice straniero, il riferimento normativo è rappresentato dall’art. 32 della legge sul diritto internazionale privato. La disposizione pone, quali criteri alternativi per il radicamento della controversia dinnanzi al giudice nazionale, la cittadinanza italiana di uno dei coniugi o la celebrazione del matrimonio in Italia, rimandando inoltre ai criteri generali di cui art. 3 d.i.p. (i.e. il caso in cui il convenuto domiciliato in Italia). Manca, tuttavia, nell’art. 32 d.i.p. un richiamo espresso al citato art. 4 d.i.p., che regola la possibilità di derogare pattiziamente ai fori individuati per legge. Non sembra, quindi, che anche il legislatore nazionale intenda lasciare autonomia negoziale ai coniugi sulla scelta della giurisdizione. Pertanto, il giudice italiano che si vedesse investito della questione del riconoscimento di un lodo IFLAS potrebbe affermare l’indisponibilità dei diritti su cui verte la decisione dell’arbitro e, di conseguenza, l’impossibilità di compromettere validamente in arbitri la lite, arrivando a negare il riconoscimento di un simile lodo.

[18] Il considerando n. 12 del Regolamento di Bruxelles I bis recita: «Il presente regolamento non dovrebbe applicarsi all’arbitrato. Nessuna disposizione del presente regolamento dovrebbe impedire alle autorità giurisdizionali di uno Stato membro investite di un’azione in una materia per la quale le parti hanno stipulato una convenzione arbitrale, di rinviare le parti all’arbitrato o di sospendere il procedimento o dichiarare irricevibile la domanda e di esaminare l’eventuale nullità, inoperatività o inapplicabilità della convenzione arbitrale, conformemente al proprio diritto nazionale».

[19] La dottrina ha avuto modo di affermare che «[l]a scelta del criterio di giurisdizione resta così sottratta alla disponibilità delle parti, alla cui volontà non viene riconosciuto alcun rilievo nelle cause matrimoniali, neppure mediante la possibilità di una proroga tacita della giurisdizione (come conseguenza della mancata proposizione dell’eccezione da parte del convenuto). I criteri di competenza giurisdizionale stabiliti dal Regolamento n. 2201 del 2003 – seppure tra loro alternativi – sono dunque assolutamente oggettivi ed inderogabili» cfr. Giacomelli , La giurisdizione nelle controversie matrimoniali in Lupoi (a cura di), Trattato della separazione e del divorzio, tomo II, 2015, Maggioli Editore, p. 32.

[20] Per una trattazione più ampia sull’arbitrabilità delle controversie familiari per il diritto italiano si rinvia a: Zucconi Galli Fonseca, Diritto dell’Arbitrato, 2016, Bologna University Press, p. 97.

[21] Cfr. sul punto Ziino, La giurisdizione nelle cause tra coniugi secondo la normativa europea in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, 2014, p. 536.

[22] Si tratta del contratto che deferisce a un terzo arbitratore la determinazione dell’oggetto, qualora questo sia non determinato ma determinabile cfr. Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 1, 2004, CEDAM, p. 259.

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