Garante per la protezione dei dati personali: Ordinanza ingiunzione n. 205 del 29 ottobre 2020
Il fatto
In data 11.01.2018, una signora aveva ricevuto dal Questore un ammonimento formale per atti persecutori.
Nonostante il contenuto di detto provvedimento, nel 18 febbraio 2019, il Questore comunicava alla Direzione Centrale Anticrimine e, per conoscenza, al Commissariato del Governo per la Provincia, che la reclamante era stata destinataria di un diverso provvedimento, ossia di un ammonimento orale per condotta violenta posta in essere nei confronti di un terzo, identificato e qualificato come ex fidanzato.
In considerazione di ciò, la reclamante, con nota del 18 giugno 2019, inviata al Questore, al Dirigente della Divisione anticrimine della Questura, al Dirigente dell’Area ordine e sicurezza pubblica della Questura e, per conoscenza, al Commissario del Governo della medesima Provincia, rendeva noto ai sopraindicati soggetti che vi era stato un errore nell’indicazione del provvedimento di cui lei era stata destinataria e richiedeva, pertanto, la rettifica del dato errato presso tutti i destinatari e presso gli archivi nei quali questa falsa notizia era stata inserita. Non ricevendo nessun tipo di riscontro, nonostante un ulteriore sollecito avvenuto in data 1° luglio 2019 e inviato ai medesimi soggetti, la ricorrente decideva di rivolgersi al Garante, richiedendo che venissero applicate tutte le misure in materia di trattamento di dati personali.
Il Garante, in data 4 ottobre 2019, chiedeva al Questore, al Responsabile del trattamento dei dati per la Divisione Anticrimine, al Commissario del Governo della Provincia ed al Dirigente dell’area Ordine e Sicurezza Pubblica del Commissariato del Governo:
- se fosse vero che la Signora non avesse mai ricevuto l’ammonimento orale per condotta violenta;
- se, nel caso in cui non lo avesse realmente ricevuto, fosse stata effettuata la rettifica richiesta dalla reclamante;
- quali fossero i soggetti a conoscenza della comunicazione e tutti i luoghi fisici e/o digitali in cui questa era contenuta;
- se vi fossero eventuali motivi per cui la richiesta della Signora non poteva essere accolta e eventuali motivi per cui la stessa non era stata informata circa il reclamo
- infine, ogni altro elemento utile.
In data 17 ottobre 2019 il Commissariato del Governo della Provincia forniva riscontro alla richiesta del Garante, nel quale rendeva noto a quest’ultimo di essere l’autorità competente per il ricorso gerarchico, di aver ricevuto notizia del reclamo per la rettifica della comunicazione soltanto per conoscenza e di averlo acquisito agli atti.
In data 16 ottobre 2019, il Garante riceveva risposta dalla la Questura, la quale dichiarava che effettivamente la ricorrente aveva ricevuto un ammonimento per atti persecutori, non un ammonimento orale per violenza domestica, e di averlo inserito negli appositi archivi. La Questura confermava, inoltre, di aver mandato al Ministero dell’Interno-Direzione Centrale Anticrimine ed al Commissariato del Governo un diverso provvedimento, ovvero la suddetta comunicazione orale.
La Questura, inoltre, asseriva che, in data 8 luglio 2019, la Direzione Centrale della Polizia Criminale aveva comunicato alla reclamante che le informazioni presenti presso il Centro Elaborazione Dati del Dipartimento della Pubblica Sicurezza riguardassero il giusto provvedimento assunto a suo carico. Quindi, constatando la correttezza della notizia presente negli archivi, riteneva superfluo riferire ai destinatari della comunicazione l’errore che vi era stato.
In data 17 luglio 2020, il Garante, valutati tutti gli elementi, ha deciso quindi di avviare un procedimento, invitando la questura a depositare eventuali memorie difensive.
Nella propria memoria difensiva, la Questura ha ribadito che sì vi era stato l’errore, ma che, nonostante ciò, nei propri archivi era presente la comunicazione veritiera. Inoltre, ha ricordato la comunicazione avvenuta in data 8 luglio alla ricorrente da parte della Direzione Centrale della Polizia Criminale e ha, infine, dichiarato di avere comunicato ai destinatari della comunicazione, in data 23.07.2020 (quando ormai era passato più di un anno dalla richiesta della reclamante ed era già giunta la notizia dell’avvio del procedimento da parte del Garante), l’inesattezza dei dati in essa contenuti.
Secondo la Questura, dunque, nella condotta da lei tenuta non è presente “l’elemento di fatto che abbia leso o messo in pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma sanzionatoria, nonché in grado di soddisfare il necessario principio di offensività alla base di qualunque illecito, anche di tipo amministrativo”, anche tenuto conto del fatto che le notizie presenti nel Centro Elaborazione Dati sono veritiere.
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La decisione del Garante
Il Garante, prima di tutto, ha evidenziato che nel caso in oggetto la comunicazione cartacea effettuata dalla Questura alla Direzione Centrale Anticrimine ed al Commissariato del Governo, relativa al provvedimento di ammonimento adottato nei confronti della Signora, costituisce a tutti gli effetti trattamento di dati personali e riconosce la corretta individuazione di questi due soggetti tra quelli a cui era necessario far arrivare tale comunicazione.
In secondo luogo, ha affermato con chiarezza che la presenza negli archivi CED dei dati corretti, non giustificava in alcun modo la scelta del Questore di non comunicare ai soggetti suddetti la rettifica dei dati riguardanti la reclamante, poiché ciò ha comportato la perdurante esistenza di notizie false sul conto della Signora tali da ledere il suo bene giuridico, consistente nel diritto all’esattezza dei propri dati personali e nel diritto alla loro rettifica tempestiva in caso di accertata inesattezza.
Tutto ciò, infatti, si pone in aperto contrasto con l’art. 4, comma 3, del Decreto e con l’art. 12 del Regolamento, dai quali si evince a chiare lettere che il destinatario dei dati personali, trasmessi illecitamente o in maniera inesatta, deve essere tempestivamente informato e conseguentemente i dati personali devono essere immediatamente rettificati o cancellati, senza ingiustificato ritardo.
Nel caso in questione, il fatto che la Questura abbia proceduto alla comunicazione della rettifica dei dati dopo aver aspettato più di un anno dal reclamo e solamente dopo l’avvio del procedimento da parte del Garante, integra a tutti gli effetti un trattamento scorretto dei dati personali dell’interessata; infatti, tramite la sua condotta omissiva ha violato il diritto alla rettifica dei dati personali errati senza ingiustificato ritardo, stabilito dall’art. 4, comma 3 del Decreto, in combinato con l’art. 12, comma 1 del Regolamento.
Sulla base di ciò il Garante ha comminato una sanzione amministrativa di € 50.000 al Ministero dell’Interno, tenendo conto nella sua valutazione sia del fatto che la Questura abbia provveduto alla comunicazione della rettifica solo dopo l’avvio del procedimento da parte del Garante, sia, altresì, del fatto che i soggetti a cui è giunta la comunicazione errata sono stati un numero esiguo, che il pregiudizio per la ricorrente non è stato grave, che questo rappresenta un episodio isolato e che, infine, la Questura, dopo aver rettificato il dato, ha assicurato piena cooperazione con l’Autorità.
In ultimo, il Garante ha ordinato di valutare la possibilità di organizzare giornate formative nei confronti del personale, anche periferico, della Polizia di Stato, per assicurare il rispetto dei diritti degli interessati e la tempestiva rettifica dei dati inesatti.
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