La recidiva ex art. 99 c.p. : in particolare, la Legge “ex Cirielli” e la recidiva reiterata

Definizione e natura giuridica della recidiva

Lo status di recidivo rappresenta indubbiamente una condizione soggettiva prettamente pregiudizievole nella quale versa un determinato soggetto. La condizione di cui sopra sussiste allorché sia stato instaurato un nuovo procedimento penale a carico del reo, dopo che questi abbia già riportato in precedenza una sentenza di condanna definitiva per delitto doloso. Il tenore normativo ex art. 99 c.p. disciplinante l’istituto in oggetto deve essere analizzato in combinato disposto di cui all’ art. 70, comma 1, n. 2), in quanto la recidiva risulta qualificata quale circostanza soggettiva inerente alla persona del colpevole; inoltre è opinione prevalente secondo cui essa è considerata alla stregua di circostanza aggravante, ad effetto ordinario (nel caso di recidiva semplice) ovvero ad effetto speciale (nel caso di recidiva (pluri)aggravata e/o reiterata).

L’istituto è stato oggetto di un lungo excursus legislativo e giurisprudenziale ove sono state peraltro apportate numerose modifiche, a partire dalla riforma avvenuta nel 1974 alla quale si dà il merito di aver tramutato l’essenza della recidiva, la quale da obbligatoria è divenuta facoltativa, seppur esclusivamente in ordine all’an e non al quantum.

In seguito, la Legge “ex Cirielli” promulgata nel 2005, se da un lato ha seguito la linea della precedente riforma in ordine al carattere facoltativo della recidiva, sull’altro versante ha posto delle modifiche, incidendo sulla fisionomia dell’istituto de quo. In primo luogo, ha estromesso i delitti colposi e le contravvenzioni dalla sfera attuativa della recidiva; ha irrigidito nonché inasprito il trattamento di tale circostanza aggravante; ha imposto il divieto di prevalenza nel caso di recidiva reiterata; infine ha reso la recidiva, sul fronte applicativo, obbligatoria allorché si proceda per i delitti indicati all’art. 407, comma 2, lett. a) del codice di procedura penale.

Giova rammentare che in tale ultimo caso è intervenuta la Corte Costituzionale dichiarando, con sentenza n. 185 del 23 luglio 2015, l’illegittimità costituzionale del comma 5 di cui all’art. 99 c.p., limitatamente alle parole “è obbligatorio”.

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La dichiarazione di prevalenza e presupposti applicativi

La recidiva, avendo natura circostanziata, risulta sottoposta al giudizio di bilanciamento delle circostanze secondo la normativa ex art. 69 del codice penale. Pertanto, una volta contestata e riconosciuta dal giudice, suddetta aggravante può essere dichiarata subvalente, equivalente ovvero prevalente rispetto alle eventuali circostanze attenuanti rilevate nel caso di specie. Focalizzando l’attenzione sulla dichiarazione di prevalenza, è necessario tenere presente che l’aumento di pena varia a seconda della tipologia di recidiva contestata e riconosciuta.

In limine alla disamina circa la recidiva reiterata, si rammenta che, ai sensi del combinato disposto di cui ai commi 1 e 2 ex art. 99 c.p.,  le forme della recidiva si sostanziano in semplice e (pluri)aggravata. Nel primo caso, si ha contestazione allorché l’indagato commetta un nuovo reato, indipendentemente dal tipo di illecito, a distanza di oltre cinque anni dalla prima condanna irrevocabile per delitto doloso, con la conseguenza che il giudice, laddove riconosca la sussistenza della recidiva in esame, deve eseguire un aumento di un terzo sulla pena che irrogherebbe per il reato semplice. Sull’altro versante, si ha contestazione della recidiva aggravata, con aumento della pena da un terzo alla metà (a condizione che il giudice applichi tale circostanza con dichiarazione di prevalenza ex art. 69 c.p.), in tre ipotesi: 1) quando il reo commette un nuovo delitto della stessa indole (c.d. recidiva specifica); 2) laddove il prevenuto commetta il nuovo reato nei cinque anni dalla condanna precedentemente riportata (c.d. recidiva infraquinquennale); 3) qualora il nuovo delitto non colposo sia stato perpetrato durante o dopo l’esecuzione della pena (c.d. recidiva vera), ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena (c.d. recidiva finta). Inoltre, si parla di recidiva pluriaggravata allorquando ricorrano più di una delle ipotesi contemplate ai sensi del secondo comma di cui all’art. 99 c.p.; in tale ultima evenienza, la pena presuppone un aumento nella misura fissa della metà.

Orbene, la contestazione/applicazione della recidiva risulta subordinata ad una prognosi avente ad oggetto la personalità del reo autore del nuovo delitto doloso. Sulla scia di quanto affermato, il dominus delle indagini che in prima battuta intende invocare l’articolo 99 del codice penale, deve procedere preliminarmente alla verifica circa la sussistenza di due presupposti indefettibili legittimanti la contestazione dell’istituto in esame. Infatti, è necessario accertare se il nuovo fatto penalmente rilevante sia espressione o meno di una maggiore colpevolezza nonché di un’accentuata capacità a delinquere da parte dell’agente, verificando in tale ultimo caso se il soggetto sia o meno proclive alla reiterazione dei reati.

Allorché il Pubblico Ministero decida di contestare, previa disamina dei presupposti testé richiamati, la recidiva a carico dell’accusato, nulla esclude che il giudice, al termine del processo in sede di deliberazione, ritenga più ragionevole dover disapplicare la circostanza in oggetto, ritenendo che la reiterazione dell’illecito non sia stata sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore. Ciò può accadere, ad esempio, laddove l’organo decidente consideri che il nuovo delitto sia stato commesso a notevole distanza temporale dalla condanna precedente, ovvero che la  nuova condotta criminosa sia stata il frutto di un singolo episodio prettamente occasionale.

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La recidiva reiterata ai sensi dell’art. 99, comma 4, cod. proc. pen.

Il novero delle tipologie della recidiva non si esaurisce nell’elencazione predisposta secondo l’art. 99, comma 1 e 2, in quanto la normativa de qua contiene un quarto comma ove si fa implicito riferimento alla cosiddetta recidiva reiterata, delineandosi allorquando il reo, dopo aver già riportato una condanna definitiva con annesso riconoscimento della recidiva (semplice o nella forma aggravata), commetta un altro delitto non colposo. A tale proposito, se l’applicazione pregressa concerneva la recidiva nella forma semplice, il riconoscimento della recidiva reiterata da parte del giudice determina l’aumento della pena nella misura della metà. Di converso, l’aumento è stabilito nella misura di due terzi, allorché l’agente in passato sia stato dichiarato già recidivo, ma nella forma aggravata. Duole precisare che ai fini del riconoscimento dell’istituto di cui all’art. 99, comma 4, è sufficiente che nella precedente sentenza il giudice abbia applicato la recidiva semplice/aggravata, anche se la stessa non sia stata dichiarata prevalente alle circostanze attenuanti; ciò che conta è la mera partecipazione della recidiva al giudizio di bilanciamento delle circostanze. In altre parole, l’essenziale è che il precedente giudice abbia sottoposto l’aggravante della recidiva al giudizio di comparazione ex art. 69 c.p., e non importa se poi l’organo decidente abbia ritenuto di far prevalere o rendere equivalenti le attenuanti rispetto all’istituto ex art. 99 c.p. La stessa Corte di Cassazione è stata chiara nello statuire che “la recidiva, al pari delle altre circostanze aggravanti, si deve ritenere applicata anche quando, in sede di giudizio di comparazione, è stata ritenuta equivalente alle eventuali circostanze attenuanti” (Sez. Un., n.35738/2010).

Come accennato in precedenza, la fisionomia originaria della recidiva ha subito delle revisioni a causa di alcuni interventi legislativi. La legge “ex Cirielli” del 2005 ha ridisegnato, seppur parzialmente, il contenuto sostanziale della norma disciplinante l’istituto in oggetto, toccando in particolar modo la tipologia della recidiva reiterata. In particolare, il soggetto condannato con l’aggravante della recidiva reiterata (ma anche con quella semplice od aggravata), non può beneficiare della misura della detenzione domiciliare prevista dall’art. 47-ter, co. 1, ord. penit., a favore di colui che “al momento dell’inizio dell’esecuzione della pena, o dopo l’inizio della stessa, abbia compiuto i settant’anni di età”. Inoltre, la condizione di recidivo reiterato determina talune preclusioni in ordine alla concessione dell’indulto e dell’amnistia, mentre sono molto più stringenti le condizioni per ottenere la riabilitazione e la liberazione condizionale. Quanto alla prescrizione del reato, si rammenti la disposizione di cui all’art. 161, comma 2 c.p., secondo la quale “(…) in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, (…) nonché di due terzi nel caso di cui all’art. 99, quarto comma (…)”. Duole rammentare anche il divieto incombente al recidivo reiterato di accedere al cosiddetto “patteggiamento allargato”, nonché il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione ai sensi dell’art. 656, co. 5 e 9, c.p.p, con la necessaria precisione che tale ultima preclusione è stata poi superata grazie all’intervento del legislatore nel 2015.

Oltre alle condizioni restrittive/preclusive testé accennate che coinvolgono il recidivo reiterato,  uno sguardo particolare deve essere posto al trattamento in peius riservato allo stesso soggetto nel quadro del concorso di circostanze. Ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 99, co. 4 c.p. e 69, co. 4 c.p., vige il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto alla circostanza della recidiva reiterata. Ciò significa che il giudice, laddove operi il giudizio di comparazione, non potrà mai dichiarare prevalente una circostanza attenuante rispetto alla recidiva reiterata, fermo restando che non sussiste alcuna preclusione in ordine all’eventuale dichiarazione di equivalenza. Tale quadro ha trovato conforto dagli stessi giudici di legittimità, orientandosi positivamente verso la suddetta portata normativa.

D’altro canto, il vincolo normativo imposto dall’art. 69, comma 4 c.p., non deve essere valutato attualmente nella sua interezza, in quanto a partire dal 2012 la Corte Costituzionale è intervenuta varie volte approntando delle modifiche sostanziali, in proiezione favorevole per il recidivo reiterato. Su tale scia, è pacifico ad esempio che nei casi di lieve entità in materia di sostanze stupefacenti, di particolare tenuità in materia di ricettazione, nonché di minore gravità in materia di violenza sessuale, non si applica il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto alla contestata recidiva reiterata.

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Dott. Raffaele Pellino

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