Ognuno può rifiutare le cure, anche se ciò de facto comporta l’eutanasia, per il principio di autodeterminazione della persona e per il diritto alla salute, costituzionalmente garantito: la Lombardia non ottemperando alle pronunce che le imponevano di mettere a disposizione una struttura sanitaria per interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiale ha leso tali suoi diritti fondamentali, contravvenendo alla sua volontà. Lesi anche il legame parentale e la serenità familiare. È quanto deciso dal Tar Lombardia sez. III n. 650/16 depositata il 6/4/16. Dalla narrazione dei fatti e dalle fonti (dal database del Tar risulta che la sentenza n. 214/09 è stata emessa a favore di Englaro Beppino, nome omesso, però, nel testo della decisone) si desume agevolmente che si tratti del noto caso Englaro, malgrado gli <<omissis>> per la privacy (in limine anche i primi commentatori di questa e di altre sentenze sul caso hanno indicato chiaramente il nome dei protagonisti della vicenda).
Il caso.
Il Tar Lombardia n.214/09 ed il CDS 4460/14 inficiarono il rifiuto della PA di mettere a disposizione una struttura sanitaria per praticare l’interruzione delle cure col distacco del sondino naso-gastrico (nota della Regione Lombardia del Direttore Generale della Direzione Generale Sanità) in ottemperanza al decreto della CDA di Milano del 9/7/08, emesso in rinvio della Cass.21748/07: rispettavano la volontà di Eluana di non subire l’accanimento terapeutico. La S.C. ha ribadito come il rifiuto delle cure sia un diritto costituzionale << quale diritto di libertà assoluto, il cui dovere di rispetto si impone erga omnes, nei confronti di chiunque intrattenga con l’ammalato il rapporto di cura, non rilevando se operante all’interno di una struttura sanitaria pubblica o privata>>. Il padre, quale erede della parte lesa dal rifiuto della PA, ha, perciò, reiterato l’istanza d’indennizzo cui aveva rinunciato per ottenere l’emissione della n.214/09 in forma semplificata. Lamentava <<la violazione dei principi costituzionali e del diritto sovranazionale in materia di garanzia dell’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale, attesa la mancata volontaria attuazione da parte degli Uffici regionali di prescrizioni discendenti da dette pronunce definitive>>.
Responsabilità della PA per un provvedimento illegittimo.
Si fonda sul comportamento illecito inserito in provvedimento, perciò esula dallo schema civilistico di responsabilità extracontrattuale e/o contrattuale. Infatti <<l’esercizio del potere autoritativo “non è assimilabile alla condotta di chi – con un comportamento materiale o di natura negoziale – cagioni un danno ingiusto a cose, a persone, a diritti, posizioni di fatto o altre posizioni tutelate ai fini risarcitori erga omnes dal diritto privato (e la cui tutela è prevista dagli articoli 2043 e ss. cc)” (CDS 1047/05). (…) In definitiva, la peculiarità dell’attività amministrativa – che deve svolgersi nel rispetto di regole procedimentali e sostanziali a tutela dell’interesse pubblico – rende speciale, per le ragioni indicate, anche il sistema della responsabilità da attività illegittima” (CDS 2792/14 e 3521/13).Gli elementi costitutivi della responsabilità della p.a. sono rappresentati, quindi, dall’elemento oggettivo, dall’elemento soggettivo (colpevolezza o rimproverabilità), dal nesso di causalità materiale o strutturale e dal danno ingiusto, inteso come lesione alla posizione di interesse legittimo. In particolare, il fatto lesivo deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali>>. Quando, come nella fattispecie, è proposta un’autonoma azione di risarcimento, il G.A. <<può effettuare un giudizio prognostico applicando, con gli esposti adattamenti, le regole elaborate in ambito civilistico per ricostruire il nesso di causalità. Occorre, pertanto, accertare se vi è stato danno ingiusto valutando se, in applicazione della teoria condizionalistica e della causalità adeguata, è “più probabile che non” che l’azione o l’omissione della pubblica amministrazione siano state idonee a cagionare l’evento lesivo>>.
Danno patrimoniale.
È palese come sussistano tutti gli elementi di detta responsabilità e che la PA abbia agito dolosamente adducendo futili motivi: non è una persona fisica, perciò non può invocare l’obiezione di coscienza. Il danno patrimoniale (quasi €.13000) è pari alle spese di trasporto della paziente, di degenza e di piantonamento vista la vasta eco mediatica.
Diritto a staccare la spina ed altri danni non patrimoniali.
La volontà di interrompere tali cure è stata codificata quale c.d. diritto a staccare la spina dalla recente prassi (da ultimo dalle SS.UU. 2567/15; C.Cost.438/08 e Cass. civ. 12205/15). Il mancato rispetto delle volontà della paziente è un danno di conseguenza che si è trasmesso in via ereditaria al padre (€.30000: il valore iniziale è stato ridotto per l’eventuale presenza di altri eredi), ma che questi può reclamare anche iure proprio come lesione del legame parentale e della serenità familiare (€.100000), danno catastrofale ed esistenziale (Cass. 16992/15). La prova può essere data per presunzioni ed il danno va liquidato in via equitativa personalizzandolo. Non può invece essere refuso il danno morale soggettivo per la campagna denigratoria e diffamatoria condotta da terzi, perché non ha alcun nesso con la responsabilità della PA e sarà richiedibile con un’ autonoma azione penale e/o civile.
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