Con la circolare in oggetto, il Ministero spiega i criteri sanciti dalla Legge per la regolarizzazione degli stranieri in Italia.
Balza subito all’attenzione del lettore l’esclusione dei tanti, migliaia di stranieri extracomunitari che vivono da anni nel Paese ma che sono a tutti gli effetti degli irregolari o peggio ancora clandestini.
Sì, perché esiste una netta distinzione tra il concetto di clandestino e quello di irregolare.
Sono clandestini gli stranieri entrati in Italia senza regolare visto di ingresso.
Sono irregolari gli stranieri che hanno perduto i requisiti necessari per la permanenza sul territorio nazionale (es: permesso di soggiorno scaduto e non rinnovato), di cui erano però in possesso all’ingresso in Italia.
I clandestini, secondo la normativa vigente, devono essere respinti alla frontiera o espulsi.
Non possono essere espulsi immediatamente se:
- occorre prestare loro soccorso;
- occorre compiere accertamenti sulla loro identità o nazionalità;
- occorre preparare i documenti per il viaggio;
- non è disponibile un mezzo di trasporto idoneo;
- devono essere trattenuti, previo provvedimento del questore convalidato dal magistrato, presso appositi centri di permanenza temporanea e assistenza (art.14 del Testo Unico n. 286/98) per il tempo strettamente necessario per la loro identificazione ed espulsione.
Il Ministro dell’Interno adotta i provvedimenti che occorrono per l’esecuzione dell’espulsione (anche mediante convenzioni con altre amministrazioni dello Stato, con gli enti locali, con i proprietari o concessionari di aree, strutture e altre installazioni) e per la realizzazione di interventi assistenziali.
E gli irregolari?
Sembra che il Governo abbia, a dir il vero poco velatamente, deciso di continuare a lasciarli nel limbo; si tratta di persone che sono entrate in Italia anni fa con un visto turistico o comunque a tempo e che non sono più tornate a casa.
Ebbene, qual è il destino di queste persone?
Perché non dare una seria regolarizzazione a tutti quegli stranieri che ogni giorno rassettano e lavano le nostre dimore o accudiscono i nostri anziani o i nostri bambini?
Quanti sono gli “invisibili” che fingiamo di non vedere? Quelli che con disprezzo chiamiamo “clandestini” ma che in realtà sono irregolari che vivono ai margini delle nostre città? Quanti sono gli uomini o le donne che entrano alla luce del sole sulle imbarcazioni partite dalla Libia, o di nascosto attraverso le frontiere dei porti adriatici nelle intercapedini dei Tir, nei bagagliai di auto e pullman? O che atterrano negli aeroporti internazionali con un visto turistico, o sono regolarmente al seguito di un pellegrinaggio al Vaticano o da padre Pio e poi si “perdono”, lasciando scadere il permesso di soggiorno per motivi di turismo o di lavoro? Da quando non ci sono più le grandi sanatorie, non si possono quantificare gli “invisibili”. Dobbiamo accontentarci di alcuni indicatori e fare ipotesi approssimative. Ogni giorno entrano in Italia duecentomila stranieri (anche europei che hanno il libero accesso; fonte “La Stampa” del 16/05/2015). Turisti, giovani, studenti, imprenditori, religiosi, ecc. In trenta e passa anni sono stati regolarizzati oltre due milioni e centomila stranieri. Solo negli ultimi 12 anni, un milione e ottocentomila regolarizzazioni. Sicuramente una minima parte di coloro che effettivamente dimorano in Italia.
Potremmo dire che quasi 30.000 migranti giunti in Italia dal 2013 sono da ritenere irregolari. Un altro indicatore, per stimare gli “invisibili”, sono i rimpatri degli irregolari. Nel 2011 sono stati rimpatriati 20.653 immigrati dei 47.152 censiti come irregolari. Nel 2012, 15.232 su 35.872. Nel 2014, 13.981 su 30.906. Nei primi mesi del 2015 sono stati rispediti a casa 4.675 su 10.148. In 4 anni e pochi mesi, circa 70.000 su 150.000 irregolari sono stati rimpatriati. E gli altri che fine hanno fatto?
Secondo quanto spiegato dalla circolare del 17/01/2018: “Sono ammessi in Italia, per motivi di lavoro subordinato stagionale e non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini non comunitari entro una quota massima di 30.850 unità (art. 1 del decreto flussi). Nell’ambito della quota massima indicata all’art.1, sono ammessi in Italia, per motivi di lavoro non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini non comunitari entro una quota di 12.850 unità (art. 2 del decreto), comprese le quote da riservare alla conversione in permessi di soggiorno per lavoro subordinato e per lavoro autonomo di permessi di soggiorno rilasciati ad altro titolo.
Le 12.850 quote sono così ripartite:
nell’ambito della quota indicata al comma 1 dell’articolo 2 del Decreto, sono ammessi in Italia 500 cittadini stranieri non comunitari residenti all’estero, che abbiano completato programmi di formazione ed istruzione nei Paesi d’origine ai sensi dell’articolo 23 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. 2. Nell’ambito della quota indicata al comma 1, è consentito l’ingresso in Italia nell’anno 2018, per motivi di lavoro subordinato non stagionale e di lavoro autonomo, di 100 lavoratori di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado in linea diretta di ascendenza, residenti in Argentina, Uruguay, Venezuela e Brasile.
Nell’ambito della quota prevista al comma 1, dell’art 2, è autorizzata la conversione in permessi di soggiorno per lavoro subordinato di: a) 4.750 permessi di soggiorno per lavoro stagionale; b) 3.500 permessi di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale; c) 800 permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciati ai cittadini di Paesi terzi da altro Stato membro dell’Unione europea. Nell’ambito della quota di cui al comma 1, è inoltre autorizzata la conversione in permessi di soggiorno per lavoro autonomo di: a) 700 permessi di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale; b) 100 permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, rilasciati ai cittadini di Paesi terzi da altro Stato membro dell’Unione europea.
E’ consentito inoltre l’ingresso in Italia per motivi di lavoro autonomo, nell’ambito della quota di cui all’articolo 2, comma 1, di 2.400 cittadini non comunitari residenti all’estero, appartenenti alle seguenti categorie : a) imprenditori che intendono attuare un piano di investimento di interesse per l’economia italiana, che preveda l’impiego di risorse proprie non inferiori a 500.000 euro e provenienti da fonti lecite, nonché la creazione almeno di tre nuovi posti di lavoro; b) liberi professionisti che intendono esercitare professioni regolamentate o vigilate, oppure non regolamentate ma rappresentate a livello nazionale da associazioni iscritte in elenchi tenuti da pubbliche amministrazioni; c) titolari di cariche societarie di amministrazione e di controllo espressamente previsti dal decreto interministeriale 11 maggio 2011, n. 850; d) artisti di chiara fama o di alta e nota qualificazione professionale, ingaggiati da enti pubblici o privati, in presenza dei requisiti espressamente previsti dal decreto interministeriale 11 maggio 2011, n. 850; e) cittadini stranieri che intendono costituire imprese «start-up innovative» ai sensi della legge 17 dicembre 2012 n. 221, in presenza dei requisiti previsti dalla stessa legge e che sono titolari di un rapporto di lavoro di natura autonoma con l’impresa.”
Da quanto sopra riportato, sembra essere una normativa che non voglia davvero risolvere alla radice, il problema della regolarizzazione.
Per poter essere regolarizzato come lavoratore domestico, l’immigrato deve possedere già un altro permesso rilasciato da altro Paese della Comunità europea o detenere una serie di requisiti che difficilmente possono essere ottenuti.
Il senso di tutto ciò?
Non affrontare seriamente il problema immigrazione!
Va ricordato che il decreto flussi è attualmente l’unico strumento per entrare legalmente in Italia, a parte i ricongiungimenti familiari e le domande di asilo (compresa la strada dei corridoi umanitari).
“Ma non è solo per questo che lo strumento del decreto flussi è oggi inutilizzato – denuncia Paolo Bonetti, docente alla Bicocca di Milano ed estensore della Turco Napolitano – da una parte l’ingresso di Paesi come la Romania nell’Ue ha di fatto colmato esigenze lavorative un tempo coperte da extracomunitari. Dall’altro la crisi economica ha colpito duro: nessuno ne parla mai, ma nel censimento Istat del 2011 risultava che 850 mila stranieri un tempo iscritti all’anagrafe si erano cancellati. Erano tornati nei loro Paesi perché qui non trovavano più lavoro». Così il decreto flussi, un tempo strumento principe per l’ingresso regolare, si è svuotato. E oggi riguarda una minima parte di categorie lavorative di nicchia: stagionali, studenti, tirocinanti; infatti da anni non ci sono posti per il lavoro subordinato”.
Nel 2017 sono cresciuti gli stranieri presenti in Italia. Ad aumentare sono state soprattutto le persone presenti nel Paese in maniera irregolare. Al 1° gennaio 2017 la popolazione straniera in Italia ha raggiunto la quota di 5 milioni e 958mila presenze (regolari e non), con un aumento di 87mila unità (+1,5%) rispetto all’anno precedente.
Un tempo non era così. Sempre il professor Bonetti: “Nel 1998 avevamo introdotto un meccanismo che funzionava: il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro con sponsor in Italia. In tre giorni andarono esaurite tutte le 39.000 domande. Il tutor garantiva per la persona che arrivava in Italia. Tre anni dopo la Bossi-Fini cancellava questo straordinario successo”.
Così gli stranieri hanno continuato ad arrivare, ma tutto avviene in modo irregolare e in 25 anni siamo stati costretti a fare 8 sanatorie.
Un incremento – spiega il XXIII rapporto della Fondazione Ismu sulle migrazioni 2017, presentato in questi giorni a Milano – «dovuto soprattutto alla componente irregolare (+56mila), che registra una lieve ripresa: al 1° gennaio 2017 l’Istituto stima che non sono in possesso di un valido titolo di soggiorno 491mila stranieri (contro i 435mila alla stessa data dell’anno precedente)». L’incidenza degli irregolari sul totale della popolazione straniera presente è quindi dell’8,2 per cento.
Il decreto flussi, come strumento, ha conosciuto un continuo declino. Nel 2007 e nel 2008 (rispettivamente 47.100 e 150.000 posti) era ancora mirato per il lavoro subordinato. Nel 2009 cambia: 80 mila posti solo per gli stagionali, appena 44 mila le domande. L’anno successivo il Viminale mette a disposizione 98 mila posti per lavoro domestico. Risultato: quasi 400 mila domande presentate, spesso anche da operai che si fingevano colf. Nel 2012 i posti sono 35 mila, di nuovo per gli stagionali e arrivano 60 mila richieste. Nel 2013 sono disponibili appena 17.850 posti – ma il grosso è per le conversioni – scelta rinnovata nel 2014. Nel 2015 si punta di nuovo sugli stagionali: 13 mila posti, più 1500 per chi sia già stato in Italia con permesso stagionale almeno due volte. Al fallimento segue un altro errore: nel 2012 viene stabilito che lo straniero che ritorna in patria perde i contributi pagati in Italia. Risultato: ora se uno straniero entrato con il decreto perde il lavoro resta in Italia fino a 65 anni nella speranza di recuperare la pensione. Nessuno rischierebbe di nuovo la trafila.
Ma quali sono le previsioni sul futuro? In base alle stime contenute nel report condotto dal Ministero degli Interni, estrapolando le tendenze in atto nel periodo 2014-2016 (tenuto conto delle crescenti acquisizioni di cittadinanza), nel prossimo ventennio potremmo assistere a un sempre più ridotto incremento della popolazione straniera iscritta nelle anagrafi dei comuni italiani, sino a raggiungere un massimo di 5 milioni e 374 mila unità alla fine del 2033 e a dar vita, da allora in poi, a una fase di sostanziale stabilità (i residenti si assesterebbero quindi sui 5,3 milioni).
Questo, però, non indica un effettivo, ridotto numero di stranieri nel Paese. Il dato conferma viceversa la tendenza a rendere sempre più difficoltose le regolarizzazioni.
L’indagine del Ministero conclude mettendo in evidenza che «la dinamica degli ingressi in Italia rimane pur sempre ai livelli del recente passato, se non inferiori. La caduta del numero di iscrizioni anagrafiche “tradizionali/regolari” per trasferimento dall’estero, avvenuta ininterrottamente dal 2007 al 2014 – si legge nel documento -, ha trovato compensazione negli arrivi non autorizzati sulle nostre coste.
I dati quantitativi sulla presenza straniera in Italia, sembrano mettere in luce dinamiche e prospettive preoccupanti. Infatti gli sbarchi sulle coste italiane sono passati da 63mila del 2011 a 181mila del 2016, fino agli oltre 117mila del 2017 (dati aggiornati al 4 dicembre u.s.), siamo di fronte a un’invasione?
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento