La Corte di Cassazione evidenzia, con la sentenza in esame, che la gradazione espressa dalla forbice tabellare che individua un minimo e un massimo, va determinata tenendo conto di “tutte le circostanze del caso concreto, ivi compresa la qualità della intensità della relazione affettiva che caratterizza il rapporto parentale”
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I fatti di causa.
C.V., B.R., C.F., C., e I.R., evocavano in giudizio, davanti al tribunale di Siena, la responsabilità dei sanitari – a causa della morte del feto – che avevano sottoposto a visita ginecologica C.V., la quale, dopo tale esame medico, aveva fatto rientro presso la propria abitazione, per poi ritornare verso le ore 11:00 della medesima giornata, allorquando si accorgeva di perdite ematiche.
Aggiungevano che si trattava di una gravidanza a rischio, in quanto ottenuta attraverso una tecnica di riproduzione assistita detta FIVET, che il tracciato eseguito nel pomeriggio di quella giornata aveva evidenziato un grave stato di sofferenza del feto e che la paziente aveva accusato forti dolori all’addome, contrazioni e gonfiore.
Nonostante questo, era stata omessa senza alcuna prescrizione.
Il tribunale di Siena, con la sentenza del 17 luglio del 2013 rigettava la domanda tesa al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, derivato dalla morte intrauterina del feto, rilevando che non erano emersi elementi di responsabilità dell’azienda convenuta.
Precisava inoltre, che la consulenza aveva acclarato che la causa della morte era da riferire all’inserzione velamentosa del funicolo, avvenuta al momento della rottura delle membrane, ovvero ad un evento distinto, rispetto a quello lamentato nelle ore pomeridiane della giornata. Pertanto il tribunale difettava il nesso eziologico tra evento dannoso e prestazione sanitaria.
Avverso tale decisione proponevano appello C.V., B.R., C.F., C., e I.R., rilevando che le risultanze istruttorie avrebbero dato riscontro alla pretesa degli attori, lamentando che il Tribunale avrebbe applicato erroneamente i criteri in tema di onere della prova, rilevando che le conclusioni della CTU erano esatte. Si costituiva la resistente, rilevando che trattandosi di prestazioni in regime ambulatorie, i referti delle visite erano stati consegnati alla paziente e che le prestazioni effettuate non avevano evidenziato anomalie.
La Corte d’Appello di Firenze in tale occasione dispone il rinnovo della consulenza e, con la sentenza del 21 settembre 2018, in accoglimento dell’appello proposto, condannava l’azienda al risarcimento dei danni nella misura di Euro 82.000 ciascuno, in favore di C.V., e I.C ed Euro 11.350 ciascuno in favore di B.R., C.F., e I.R.
Avverso tale decisione propongono ricorso per Cassazione C.V., B.R., C.F., C., e I.R. affidandosi a quattro motivi.
Le ragioni in diritto.
Primo motivo.
Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione delle Tabelle di Milano, da considerarsi norme di diritto e degli artt. 2056, 2059, 1226 e 1223 c.c., nonché dei principi giurisprudenziali richiamati nella sentenza impugnata. In particolare, la Corte d’Appello di Firenze, pur richiamando la sentenza n. 12717 del 19 giugno 2015 della Corte di Cassazione, con riferimento al danno per perdita del rapporto parentale nel caso di figlio nato morto, avrebbe erroneamente inteso il principio affermato in sentenza. Secondo la citata decisione della Corte di Cassazione, in un caso in cui era stata assimilata la situazione del feto nato morto a quella del decesso di un figlio, occorreva considerare che solo nel secondo caso era ipotizzabile il venir meno di una relazione affettiva concreta, sulla quale parametrare il risarcimento, nell’ambito della forbice di riferimento indicata nelle tabelle di Milano. Da ciò, invece, la Corte territoriale fiorentina avrebbe fatto discendere la possibilità di dimezzare i parametri minimi previsti dalle Tabelle di Milano, e la decisione sarebbe errata anche nel considerare come parametro di riferimento quello minimo, in quanto, quanto meno per la madre, C.V., e per il padre, I.C., sarebbe possibile affermare l’esistenza di una relazione affettiva concreta con il nascituro, poiché la prima lo aveva portato in grembo per nove mesi e si trattava di una gravidanza fortemente voluta da entrambi i genitori in quanto ottenuta tramite inseminazione artificiale e quindi da qualificarsi come preziosa.
Secondo motivo.
Con il secondo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n.5 l’omesso esame dei fatti storici rilevanti ai fini della liquidazione del danno subito dai ricorrenti. La Corte territoriale non avrebbe valorizzato fatti incidenti sulla quantificazione del danno. In particolare, la circostanza che la gravidanza era stata portata a termine e che si trattava di una gravidanza preziosa, perché ottenuta tramite una fecondazione artificiale.
Terzo motivo.
Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n.4 la violazione dell’art. 132 c.p.c., n.4 e dell’art. 118 disp. att., relativamente alla mancata motivazione rispetto alla liquidazione del danno non patrimoniale operata in maniera difforme ai parametri stabiliti dalle tabelle di Milano;
Quarto motivo.
Con il quarto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n.4 la violazione dell’art. 112 c.p.c per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunziato, relativamente alla mancata decisione sulla domanda di danno patrimoniale.
Conclusioni.
I primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente perché strettamente connessi. La corte ha applicato le tabelle del Tribunale di Milano utilizzate come punto di riferimento determinando l’importo riconosciuto nella misura pari alla metà del minimo, in considerazione della circostanza che si trattava pacificamente di morte di un feto e non anche di un bambino. Infatti, la Corte d’Appello ha evidenziato “il mancato instaurarsi di un oggettivo – fisico e psichico – rapporto tra nonni, genitori e nipote. Ha poi richiamato la decisione della Corte di Cassazione n. 12717 del 19 giugno 2015 che evidenzia che nel caso di figlio nato morto, nella liquidazione della perdita del rapporto parentale, le tabelle milanesi prevedono una forbice che consente di tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, ivi compresa la qualità dell’intensità della relazione affettiva che caratterizza il rapporto parentale con la persona perduta. Pertanto la Corte evidenzia che la gradazione espressa dalla forbice tabellare che individua un minimo e un massimo, va determinata tenendo conto di “tutte le circostanze del caso concreto, ivi compresa la qualità della intensità della relazione affettiva che caratterizza il rapporto parentale”. Nella stessa decisione si fa presente che, nel caso di feto nato morto è ipotizzabile solo il venir meno di una relazione affettiva potenziale (che, cioè, avrebbe potuto instaurarsi, nella misura massima del rapporto genitore figlio, ma che è mancata per effetto del decesso anteriore alla nascita), ma non anche una relazione affettiva concreta sulla quale parametrare il risarcimento, all’interno della forbice di riferimento.
Le tabelle milanesi di liquidazione del danno non patrimoniale, si sostanziano in regole integratici del concetto di equità, atte quindi a circoscrivere la discrezionalità dell’organo giudicante, sicché costituiscono un criterio guida e non una normativa di diritto. Pertanto, puntualizzando quanto riportato nella rubrica del primo motivo, va precisato che la violazione di legge si riferisce alla norma codicistica in tema di liquidazione equitativa (art. 1226 c.c.) e non alle tabelle di Milano da considerarsi norma di diritto, così come erroneamente riportato dai ricorrenti.
Alla luce di quanto precede, i motivi sono infondati, non ricorrendo alcuna violazione di legge.
Il quarto motivo viene dichiarato dalla Corte inammissibile, in quanto dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n.6, poiché parte ricorrente avrebbe dovuto, non solo trascrivere il contenuto dell’atto di citazione, allegarlo o individuarlo all’interno del fascicolo di legittimità, ma svolgere i medesimi adempimenti con riferimento ai motivi di appello, con la indicazione specifica delle circostanze sulla base delle quali sarebbe stato prospettato un danno patrimoniale da mancato futuro guadagno.
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