La Repubblica parlamentare in crisi: spunti di riflessione a seguito della recente elezione del Capo dello Stato

Indice:

  1. La crisi della Repubblica parlamentare in Italia: le cause principali
  2. Il sistema elettorale
  3. Il ruolo dei partiti politici
  4. Possibili soluzioni

La crisi della Repubblica parlamentare in Italia: le cause principali

L’elezione di Sergio Mattarella alla carica di Presidente della Repubblica per la seconda volta è stata accolta da quasi tutte le forze politiche con sollievo e soddisfazione rimarcando una scelta nel solco della stabilità e della continuità.

In realtà, è emersa incontrovertibilmente l’impotenza del Parlamento e, quindi, dei partiti e dei movimenti politici che lo compongono, ad individuare e soprattutto ad avere “la forza” di scegliere una personalità idonea a ricoprire la carica. Si tratta di una problematica che si era manifestata anche nel 2013 con la rielezione di Giorgio Napolitano per il secondo mandato. Se nel 2013 la vicenda era stata archiviata alla stregua di una “eccezione”, nel 2022 è stata giustificata con la necessità di garantire stabilità in un momento di crisi economica e sociale dettata dall’emergenza sanitaria in corso.

Sarebbe un grave errore sottovalutare quanto accaduto nel 2013 e nel 2022 e non affrontare in modo diretto le cause e le radici di questo vulnus costituzionale che mina le fondamenta del nostro ordinamento con conseguenti ripercussioni nell’attuale forma di governo.

L’impotenza del Parlamento a “decidere”, non solo in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica, ma anche a legiferare in via ordinaria se non in forza di questioni di fiducia poste sempre più frequentemente dal Governo, ha reso il massimo organo rappresentativo della sovranità popolare un mero ratificatore delle scelte governative.

Perché il Parlamento ha abdicato al suo ruolo fondamentale e si trova nell’impossibilità di esercitare nella sua pienezza, il potere che gli spetta in base alla Costituzione tanto che, analizzando le statistiche pubblicate dal Senato della Repubblica emerge che nel 2018 solo 4 leggi di iniziativa parlamentare sono state promulgate rispetto alle 17 di iniziativa governativa e nel 2020 solo 7 di iniziativa parlamentare a fronte di 59 di iniziativa governativa[1]? Perché il Parlamento è sempre più “debole”?[2]

Rispondendo alle due domande, si riuscirà a comprendere perché le forze politiche presenti in Parlamento non sono riuscite a trovare un accordo sull’individuazione di una personalità idonea a ricoprire la carica del Presidente della Repubblica e sono state costrette ad eleggere per la seconda volta il Capo dello Stato in carica.

La risposta alle domande di cui sopra, la si può ottenere affrontando solo alcune delle cause, le più rilevanti, che hanno dato origine alla crisi della Repubblica parlamentare. Le cause sono, infatti, molteplici, in parte collegate tra loro. Si tenterà in questo scritto di individuare quelle più significative ed esaminarle brevemente. Queste impongono di affrontare due argomenti: il primo riguarda il sistema elettorale vigente in Italia, il secondo il ruolo attuale dei partiti politici.

Il sistema elettorale

L’attuale legge elettorale, disciplinata dalla L. 3 novembre 2017 n. 165 (c.d. Legge Rosato)[3] prevede un sistema di elezione misto. Il 37% dei seggi è assegnato con un sistema maggioritario a turno unico in collegi uninominali; il 61% dei seggi è ripartito con un sistema proporzionale tra le coalizioni e le singole liste che hanno superato la soglia di sbarramento. Il restante numero dei seggi è riservato per il voto degli italiani residenti all’estero.

La caratteristica dell’attuale sistema elettorale (ma questo discorso vale anche per le leggi elettorali che si sono susseguite dal 1993 ad oggi), ed è questo l’aspetto che interessa ai fini della presente disamina, è costituita dal sistema delle “liste bloccate” sia nella parte dei seggi assegnata con il sistema maggioritario a turno unico, sia nella parte dei seggi assegnata con il sistema proporzionale plurinominale.

Ciò comporta che sono i partiti politici, o meglio, le segreterie dei partiti che scelgono il candidato e lo “impongono” all’elettore il quale, se intende votare un determinato partito o movimento, si trova posto nella condizione di “prendere o lasciare” il candidato che gli viene imposto.

In altri termini, il parlamentare non è più scelto direttamente dal popolo tra i diversi candidati proposti dal partito di appartenenza, ma viene scelto prima ancora dalla segreteria del proprio partito a cui, una volta eletto, dovrà rendere conto e ragione del proprio operato, pena l’esclusione alle successive elezioni dalle liste elettorali[4]. Ne discende che i parlamentari nel corso della legislatura cambiano più volte partiti e addirittura schieramenti politici in base alle convenienze ed alla possibilità di rielezione, il tutto favorito dal tramonto delle ideologie che hanno contraddistinto il secolo scorso. Per avere una idea, basti pensare che nel 2021, nonostante l’attività parlamentare fosse paralizzata dall’emergenza coronavirus, si sono registrati in Parlamento ben 126 cambi di gruppo parlamentare[5].

Ciò è stato certamente agevolato dall’approssimarsi della fine della legislatura ma il cambio di partito viene anche effettuato dal parlamentare con estrema disinvoltura perché è stato reciso, a causa del sistema elettorale a liste bloccate, il legame tra il candidato e l’elettore del collegio o della circoscrizione con effetti dirompenti sulla rappresentanza politica e sulla rappresentatività.

Il candidato della circoscrizione o del collegio non è detto che abbia consenso personale (gli elettori votano il simbolo di partito o di coalizione) radici o legami con gli elettori di quella circoscrizione o di quel collegio, non ne conosce i problemi reali. Ne consegue che agli elettori e abitanti di quella circoscrizione o quel collegio viene a mancare il punto di riferimento cui presentare le proprie istanze e le proprie rimostranze creando un divario incolmabile tra il Palazzo ed il Popolo.

Il ruolo dei partiti politici

Affrontiamo il secondo aspetto che è strettamente connesso con quanto appena esposto. Posto che si è creato uno scollamento tra l’elettore e l’eletto ed il cittadino si ritrova orfano di un corpo intermedio che in passato era rappresentato dai partiti, non ci si può non domandare quale ruolo rivestano nell’assetto attuale questi ultimi.

L’art. 49 Cost. prevede: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

Per quanto concerne la nozione di “metodo democratico”[6], va notato che sin dalle riunioni dell’Assemblea Costituente, e precisamente dagli emendamenti proposti in quella sede sul contenuto finale dell’art. 49, la nozione di “metodo democratico” a cui i partiti si sarebbero dovuti conformare risultava abbastanza controversa.

Secondo alcuni componenti, il limite del “metodo democratico” doveva intendersi solo in senso “esterno”, cioè i partiti, pur liberi di organizzarsi e gestirsi secondo formule di autonomia interna, avrebbero dovuto rispettare nel rapporto con gli altri soggetti le libertà fondamentali ed i diritti della persona sanciti nella Costituzione, al fine di evitare che attraverso le associazioni politiche potessero riorganizzarsi movimenti di tipo autoritario, militare e/o segreto.

Secondo altri componenti, il limite del “metodo democratico” doveva essere anche “interno”, e quindi i partiti avrebbero dovuto informare anche la propria organizzazione interna ai principi democratici.

Tale seconda soluzione, però, configura il rischio che la richiesta di un’organizzazione democratica interna finisca per limitare la libertà di formazione dei partiti, a causa dei necessari accertamenti da parte di terzi che su tale organizzazione dovrebbero svolgersi.

Secondo posizioni più moderate, invece, se pur la democrazia interna andava perseguita, l’attuazione di tale valore non avrebbe mai dovuto giustificare un controllo esteso ai programmi ed alla linea politica dei singoli partiti.

Ad ogni modo, il Costituente aveva ravvisato nel partito politico il corpo intermedio di collegamento tra il cittadino e le istituzioni. Oggi questo collegamento non esiste più perché il mondo dei partiti si è sfaldato e lacerato per ragioni che richiederebbero per la complessità un separato approfondimento.

I partiti politici si sono tramutati, tranne qualche rara eccezione, in “contenitori” snelli, funzionali per lo più alla propaganda elettorale piuttosto che alla formazione politica.

Il partito e/o movimento politico inteso come luogo di incontro ove gli iscritti possono usufruire di scuole di formazione (come, ad esempio, un tempo era la scuola delle Frattocchie) e decidere attraverso i congressi gli organi da cui essere amministrati e la linea politica da seguire, non esistono più o comunque sono in via di estinzione. Non si è proceduto a formare una nuova classe dirigente, i partiti si sono chiusi in sé stessi, e le decisioni vengono assunte non più dal basso (dagli iscritti) ma dalle segreterie se non addirittura dal solo capo. Non vi è stato alcun rinnovamento né un ricambio generazionale. Il venir meno del rinnovamento e del ricambio generazionale e la scelta oligarchica dei candidati e dei dirigenti di partito ha creato un vuoto nell’individuazione di personalità nuove provenienti dalla società civile e dal mondo del lavoro, idonee a ricoprire cariche pubbliche.

Le formazioni politiche della c.d. seconda repubblica sono diventate macchine di propaganda capeggiate dai rispettivi leaders, individuati per capacità carismatica di catturare il consenso tramite l’utilizzo di social network e dei nuovi mezzi di comunicazione piuttosto che per excursus politico.

L’incidenza dei nuovi mezzi di comunicazione di massa e dei social network nella vita politica e sulla formazione del consenso è talmente elevata e radicata da destare forti preoccupazioni per gli effetti che può avere sul sistema democratico. Non può non venire alla mente “il popolo sobillato che si sgola nel Crucifige! quale «paradigma della massa manovrabile», che non agisce, ma reagisce, che non delibera, diremmo oggi, ma è sondata[7].

Il consenso verso i politici è “liquido”, “volatile”, dettato dalle contingenze del momento. Persiste, infatti, una solida sfiducia verso le istituzioni e la classe politica, sfiducia confermata anche dall’astensionismo crescente riscontrato in tutte le ultime consultazioni elettorali dovuto in parte anche alle ragioni sopra esposte e dalla percezione dell’elettorato dell’inutilità del proprio voto espresso, dal momento che, come dimostrato nella storia recente, potrebbero sorgere governi presieduti da personalità, seppur autorevoli, ma del tutto sconosciuti all’opinione pubblica al momento del voto ovvero maggioranze eterogenee tra loro, composte da forze politiche originariamente antagoniste.

La frammentazione partitica e politica cui abbiamo assistito in questi anni a causa del disfacimento e disgregazione dei partiti politici tradizionali ed il deficit di rappresentatività che si è venuto a creare, ha comportato dal 2013 ad oggi, all’impossibilità di formare, sulla base dei risultati elettorali, governi politici espressione della volontà popolare, dovendo ricorrere a governi tecnici o del Presidente. Non desta stupore se un Parlamento così frammentato si è trovato costretto a rieleggere per la seconda volta lo stesso Presidente della Repubblica.

Possibili soluzioni

Vi è, dunque, da domandarsi se sia sufficiente, per risolvere il problema, modificare l’art. 85 della Costituzione come proposto da insigni giuristi oppure modificare la forma di governo in senso presidenziale come proposto da alcuni esponenti politici. Né l’una né l’altra soluzione appaiono soddisfacenti.

L’art. 85 della Costituzione, come, d’altronde, tutte le disposizioni contenute nella nostra Carta fondamentale, sono state pensate dai Costituenti in modo tale che fossero duttili e flessibili ed in grado di adattarsi a qualsiasi situazione di emergenza tanto è vero che hanno resistito in modo formidabile per oltre settant’anni. Modificare l’art. 85 della Costituzione ponendo il divieto di secondo mandato, raggira il problema ma non lo risolve anzi, qualora fosse modificato in tal senso, rischierebbe di bloccare sine die l’elezione del Presidente della Repubblica in caso di Parlamento impotente e frammentato come è avvenuto nel gennaio 2022.

Risolvere, d’altro canto, il problema attraverso lo slogan dell’elezione diretta da parte dei cittadini del Capo dello Stato, significa archiviare sbrigativamente la questione senza riflettere sul fatto che ciò necessita di una modifica sostanziale di tutta la Costituzione e della forma di governo in senso presidenziale. Non è sufficiente modificare la modalità di elezione del Presidente della Repubblica perché ciò implica, nel caso, necessarie modifiche all’intera architettura costituzionale. Si tratterebbe della creazione di una nuova Costituzione che richiederebbe, per ragioni di opportunità, così come è avvenuto nel 1946, la formazione di un’Assemblea Costituente con il compito di riscrivere la maggior parte delle norme costituzionali.

Come rimediare, quindi, alla crisi in cui versa l’istituzione parlamentare? Rimanendo in tema delle due cause di indebolimento del Parlamento affrontate in questo scritto (sistema elettorale e partiti politici) tra le molteplici esistenti, sarebbe opportuno tentare di riavvicinare i cittadini alla politica adottando misure idonee a rafforzare il legame tra colui che esercita la sovranità popolare ed il rappresentante. A tal fine, è necessario adottare una legge elettorale che conceda, a prescindere dal sistema adottato, la possibilità di scelta all’elettore ed anche approvare una legge di attuazione dell’art. 49 della Costituzione per consentire ai cittadini di concorrere realmente con metodo democratico alla politica nazionale. In tal senso sarebbe utile stabilire e regolamentare per legge (non rimessa alla discrezionalità dei singoli partiti) che la scelta dei candidati alle competizioni elettorali debba avvenire attraverso elezioni primarie tra gli iscritti.

Un Parlamento forte e rappresentativo protegge la democrazia ed allontana le sirene di totalitarismi e populismi che, con l’avallo dell’era digitale, sono sempre più vicine alle nostre porte.

 


Note

[1] Statistiche tratte dal sito del Senato della Repubblica: senato.it – Leggi approvate nella Legislatura distinte per iniziativa

[2] J. BRYCE, Modern Democracies, London, Macmillan, 1921; F. RIMOLI, La democrazia e la sua crisi, in F. BILANCIA -F.M. DI SCIULLO -A. GIANELLI -M.P. PATERNÒ -F. RIMOLI -G.M. SALERNO (a cura di), Democrazia. Storia e crisi di una forma politica, Napoli, Editoriale scientifica, 2013.

[3] Per una interessante disamina A. PEDRAZZANI – L. PINTO, Italian candidates under the Rosato mixed electoral system. In search of personal votes in the plurality tier?, in Journal of Modern Italian Studies, 2018, 400-417.

[4] Sul tema S. CURRERI, Democrazia e rappresentanza politica: Dal divieto di mandato al mandato di partito, Firenze University Press, 2004.

[5] I cambi di gruppo in parlamento nel 2021 Valzer parlamentare (openpolis.it)

[6] E. CATERINA, L’attuazione del metodo democratico all’interno dei partiti politici: analisi della normativa vigente e spunti per una legge sui partiti, in Democrazia e Diritto, 2017, 61-99.

[7] G. ZAGREBELSKY, Il «Cricifige» e la Democrazia, Torino, Einaudi, 2007.

Giuseppe Passaniti

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