La residenza fiscale delle persone fisiche

Introduzione

Il tema della residenza fiscale costituisce un elemento di fondamentale rilevanza nella disciplina tributaria, in particolare, dal punto di vista della corresponsione delle imposte sui redditi. Essere fiscalmente residenti nel territorio dello Stato italiano comporta l’emersione di una serie di obblighi in capo al contribuente ai quali non è possibile esimersi.

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Il sistema di imposizione sul reddito italiano

Occorre ricordare che il sistema delle imposte sui redditi in Italia consta essere strutturato su due tributi: IRPEF (Imposta sul reddito delle persone fisiche) ed IRES (imposta sul reddito delle società).

In questa sede, ciò che rileva è il primo dei due tributi.

L’IRPEF, il cui presupposto per l’applicazione risulta essere il possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle sei categorie reddituali, di cui all’art. 6 del D.P.R. 917/86, costituisce un tributo che va a colpire il reddito prodotto dalle persone fisiche residenti o meno nel territorio dello Stato italiano. Dunque, tali soggetti, rappresentano i cosiddetti “soggetti passivi”, ovvero debitori di imposta.

Tale tributo si connota per essere personale e progressivo per scaglioni.

La personalità del tributo la si riscontra nel fatto che viene tenuto conto, a favore del contribuente, di spese e di oneri che riguardano la persona e la famiglia del contribuente medesimo che si traducono in “oneri deducibili”, i quali vanno a ridurre il reddito complessivo prodotto, ed in “detrazioni fiscali”, che agiscono sull’imposta lorda, la quale viene determinata applicando le aliquote IRPEF sulla base imponibile.

Per quanto concerne la progressività, questa può essere semplice o per scaglioni:

  • Semplice, quando le aliquote più elevate vengono applicate sull’intero reddito col passaggio da uno scaglione ad un altro;
  • Per scaglioni, quando le aliquote più elevate si applicano sulla parte di reddito che sconfina nello scaglione successivo.

I principi di tassazione e la residenza fiscale italiana

Dopo aver fatto chiarezza, seppur brevemente, sull’IRPEF, torniamo ad occuparci della residenza fiscale.

La residenza fiscale è un elemento ragguardevole in ambito IRPEF, in quanto un contribuente, persona fisica, fiscalmente residente nel territorio dello Stato italiano, verrà tassato per i redditi ovunque prodotti nel mondo, dunque non solo per i redditi prodotti nel territorio dello Stato italiano, ma anche sui redditi prodotti all’estero.  Parliamo del principio della “tassazione mondiale”, o, anche definita, “worldwide income taxation”.

Per contro, una persona fisica che non risulta essere fiscalmente residente nel territorio dello Stato italiano, ma produce redditi nel territorio stesso, verrà tassato solamente nella misura in cui li produce. In questo caso parliamo del principio della cosiddetta “tassazione territoriale”, o, anche, source income taxation”.

I criteri dell’Amministrazione finanziaria

Dobbiamo adesso soffermarci sui criteri che vengono utilizzati dall’Amministrazione finanziaria italiana per l’individuazione della residenza ai fini fiscali dei contribuenti.

A tenore dell’art. 2, comma 2 del T.U.I.R, una persona fisica viene considerata fiscalmente residente in Italia se per la maggior parte del periodo di imposta, coincidente con l’anno solare, risulta:

  • Essere iscritta all’anagrafe della popolazione residente di uno dei Comuni italiani. Tale criterio configura come formale.
  • Detenere nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio, ex art. 43 c.c., ovverosia il centro principale dei suoi affari e interessi, non solo quelli legati alla sfera economica- patrimoniale, ma anche quelli concernenti la sfera affettiva-patrimoniale. Tale criterio configura come sostanziale.
  • Essere residente, di cui all’art. 43 c.c., nel territorio dello Stato italiano, ovverosia il luogo dove dimora abitualmente.

Ciò detto, per l’Amministrazione finanziaria un contribuente risulta essere fiscalmente residente in Italia anche nel caso in cui sussiste solamente uno degli elementi sopra indicati, per la maggior parte del periodo di imposta (ossia più di 183 giorni all’anno, anche non consecutivi).

 

L’inversione dell’onere della prova a carico del conribuente

L’ Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 2, comma 2-bis, del T.U.I.R. considera altresì fiscalmente residenti nel territorio dello Stato italiano, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati “a fiscalità privilegiata” (individuati all’interno del D.M. 4 maggio 1999, come modificato dal D.M. 12 febbraio 2014). Norma che è stata sanzionata per contrastare fenomeni elusivi-evasivi dei contribuenti, i quali dichiaravano di essere fiscalmente residenti all’estero in maniera fittizia, in modo tale da potersi sottrare al pagamento delle imposte in Italia. Tale precetto contiene una presunzione legale relativa, contemplante un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente. Difatti, lo stesso, cancellatosi dall’anagrafe italiano ed iscrittosi di concerto all’A.I.R.E. (anagrafe italiani residenti all’estero) e trasferitosi in un paese a “fiscalità privilegiata”, può comprovare la realità del suo trasferimento della residenza fiscale.

 

Il regime per i neo-residenti

Vi è però da rammentare la sussistenza nell’ordinamento tributario italiano del particolare regime dei “neo-residenti”, consacrato all’interno degli articoli 24-bis e 24-ter del T.U.I.R., attraverso i quale il legislatore tributario ha voluto sospingere il trasferimento della residenza fiscale in Italia da parte di soggetti non residenti, in modo da favorire gli investimenti e i consumi nel nostro Paese.

Il primo regime, di cui all’art. 24-bis, si rivolge in particolar modo alle persone fisiche che sono state residenti all’estero per almeno nove anni nei dieci precedenti a quello di trasferimento in Italia. Se tali neo-residenti esercitano l’opzione per questo regime, essi scontano l’IRPEF sui redditi prodotti in Italia, laddove sussistenti, ed un’imposta sostitutiva di euro 100.000 per tutti quelli che sono i redditi prodotti all’estero, i quali, dunque, non concorrono alla formazione della base imponibile IRPEF.

Tale regime può essere esteso anche ai familiari pagando un’imposta sostituiva di euro 25.000 ciascuno.

L’opzione si rinnova tacitamente ogni anno, con cessazione degli effetti dopo quindici anni.

Il secondo regime impositivo, di cui all’art. 24-ter, si rivolge particolarmente ai pensionati che sono stati fiscalmente residenti all’estero nei cinque anni precedenti a quello di trasferimento in Italia e che radicano la residenza in un Comune del Mezzogiorno con meno di 20.000 abitanti.

In tal caso, se esercitano l’opzione per questo regime, essi scontano l’IRPEF sui redditi prodotti in Italia, se ve ne sono, e nel contempo un’imposta sostitutiva del 7 per cento su tutti i redditi prodotti all’estero.

Anche in questo caso l’opzione si rinnova tacitamente ogni anno, con cessazione degli effetti decorsi nove anni.

 

La doppia residenza fiscale

Per concludere, dobbiamo analizzare il tema della “doppia residenza fiscale” delle persone fisiche in ambito internazionale. Tale fenomeno può appalesarsi nella fattispecie in cui la residenza stessa viene individuata negli altri Stati ricorrendo agli stessi criteri contemplati nel nostro ordinamento giuridico.

Come è stato ricordato in precedenza, in Italia risulta bastevole integrare un solo criterio dei tre sopra descritti (iscrizione anagrafica, domicilio e residenza ex art. 43 c.c.) per la maggior parte del periodo di imposta per poter essere considerati residenti ai fini fiscali in Italia, ragion per cui il trasferimento della residenza fiscale di una persona fisica dall’Italia in un altro Stato può portare a quelli che sono definiti “conflitti di residenza”, ovverosia la situazione in seno alla quale la stessa persona viene considerata residente ai fini fiscali sia in Italia che nel Paese di destinazione.

Il tutto porta ad un problema di “doppia imposizione del reddito”.

Per fare chiarezza: una persona fisica pagherà le imposte sia in Italia che nel Paese di destinazione per i redditi ovunque prodotti, per effetto dell’esistenza di criteri di individuazione della residenza fiscale analoghi all’interno degli ordinamenti dei due Paesi.

Per arginare tale inconveniente situazione, sono state stipulate le cosiddette “convenzioni bilaterali” tra Paesi contraenti, ovvero trattati contro la doppia imposizione.

Per dirimere il problema della “doppia residenza fiscale” bisogna ricorrere alle norme convenzionali di tali trattati, in particolare l’art. 4 contiene le cd. tie breaker rules, ossia “criteri dirimenti”.

Lo stesso fornisce indicazioni da seguire per definire la residenza fiscale, ovvero:

  • Abitazione permanente (permanent home), ovvero il luogo in cui il contribuente o dispone di un’abitazione permanente (sia in proprietà che in affitto);
  • Centro degli interessi vitali (centre of vital interests), che coincide con il criterio del domicilio domestico;
  • Soggiorno abituale (habitual abode), il luogo in cui contribuente soggiorna abitualmente;
  • Nazionalità (nationality), si ricorre alla cittadinanza del soggetto;

 

Se nessuno dei criteri su esposti ha avuto un esito positivo, si ricorre alle procedure amichevoli (mutual agreement procedure), con le quali la situazione viene risolta di comune accordo tra gli Stati contraenti.

L’applicazione di tali norme convenzionali permette di individuare quale tra i due Stati debba essere considerato come “Stato della residenza”, autorizzato a prelevare le imposte sui redditi nel mondo), e quale come “Stato della fonte”, legittimato a prelevare le imposte solo sui redditi prodotti nel suo territorio.

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NOTE BIBIOGRAFICHE:

CONTRINO, DELLA VALLE, MARCHESELLI, MARINI, MARELLO, MESSINA, TRIVELLIN, Fondamenti di diritto tributario, Cedam, 2020.

 

Aldo Innamorato

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