Capitolo secondo
Il quadro normativo italiano: Principi e criteri di imputazione della responsabilita’ amministrativa, ex d.lgs 231/2001.
SOMMARIO: 1. I soggetti destinatari. – 2. Principi generali: principio di legalità. – 2.1 Successione delle leggi nel tempo. – 2.2 Successione di leggi nello spazio: reati commessi all’estero. – 3. Criteri di imputazione oggettivi. – 4. Criteri di imputazione soggettivi: soggetti in posizione apicale. – 4.1 Soggetti in posizione subordinata. – 5. Autonoma responsabilità dell’ente: mancata identificazione e non imputabilità della persona fisica.
1. I soggetti destinatari. ( 1)
Il presente decreto legislativo disciplina la responsabilita degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.
Le isposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalita giuridica e alle societa’ e associazioni anche prive di personalita’ giuridica.
Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonche’ agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.
Passando ora, ad esplicare in modo dettagliato il contenuto del decreto legislativo, vedremo che esso consta di un totale di 85 articoli ed è suddiviso in 4 capi: Capo I, definisce il sistema della responsabilità amministrativa dell’ente; Capo II, fa riferimento alla Responsabilità patrimoniale e alle relative vicende modificative dell’ente; Capo III, riguarda il procedimento di accertamento e di applicazione delle relative sanzioni amministrative; Capo IV, è destinato alle disposizioni di attuazione e di coordinamento.
Di fondamentale importanza per l’analisi del nostro studio, sono le disposizioni contenute in particolar modo nel Capo I, più precisamente nella I Sezione, la quale contiene i principi generali ed i criteri di attribuzione della responsabilità amministrativa.
Il decreto in esame, si apre con l’art. 1 dove, il 1 comma enuncia programmaticamente il contenuto del provvedimento legislativo, stabilendo che esso disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.
Una responsabilità, come sappiamo, di natura amministrativa, voluto ed adottata dallo stesso legislatore, volta a punire gli enti in conseguenza della commissione di un reato commesso dalla persona fisica.[1]
All’interno del 2 comma invece, vengono indicati i soggetti di riferimento e, la loro individuazione costituisce uno degli aspetti più importanti ma, allo stesso tempo più delicati da affrontare.
Esso stabilisce espressamente, all’interno di questo secondo comma, che i soggetti destinatari della nuova disciplina sono: gli enti forniti di personalità giuridica[2], le società ed associazioni anche prive di personalità giuridica.[3]
Sono invece esclusi dalla normativa, per espressa previsione del 3 comma: Lo Stato, gli enti pubblici territoriali, enti pubblici non economici e gli enti che svolgono funzioni di rilievo Costituzionale.[4]
Ciò premesso, si tratta ora di vedere più da vicino quali siano gli enti concretamente ricompresi, andandoli ad analizzare singolarmente.
In ordine ai destinatari, dobbiamo distinguerli in due grandi gruppi:
1. enti a soggettività privata: in ordine a questa prima categoria di destinatari, l’art 1 comma 2, prevede l’applicabilità della nuova disciplina agli enti forniti di personalità giuridica.
Con tale espressione, si fa riferimento in particolar modo alle associazioni, fondazioni ed altre istituzioni di carattere privato cui, lo Stato attribuisce personalità giuridica mediante un espresso riconoscimento concesso loro con decreto del presidente della Repubblica ex art 12[5] c. c.); alle società cui il riconoscimento invece è conferito ex lege per effetto dell’iscrizione nel registro delle imprese, ai sensi dell’art 2331 c.c. È questo il caso per esempio, delle società per azioni ed accomandita per azioni (2464 c.c); delle società a responsabilità limitata (2475 c.c.); delle società cooperative (2519 c.c.).[6]
Quindi, come si evince, le persone giuridiche, costituiscono il fulcro e sono le protagoniste indiscusse della normativa in esame.
Meno scontata, per altro verso, è invece la previsione delle Società e associazioni anche prive di personalità giuridica. (Art 1, cm. 2)
Rientrano in tale ambito, le società semplici (2251 c.c); quelle in nome collettivo, anche irregolari (2291 c.c); società in accomandita semplice, anche irregolare (2313 c.c); nonché le associazioni non riconosciute (36 ss. c.c). L’estensione, di una tale responsabilità anche per gli Enti privi di una personalità giuridica è da ricavarsi alla luce del principio della Responsabilità Patrimoniale dell’ente, ex art 27[7], cm.1 del decreto.
Inoltre, a differenza degli enti che hanno personalità giuridica, i quali godono di una piena autonomia patrimoniale ”perfetta”, gli enti che ne sono sprovvisti, rispondono delle obbligazioni sociali, non solo con il fondo comune o patrimonio sociale ma, rispondono solidalmente e personalmente anche coloro i quali hanno agito per nome e conto dell’ente stesso – autonomia patrimoniale imperfetta –
Tra gli enti privati, sono da ritenersi esclusi dalla disciplina in esame, i sindacati (39 Cost.) ed i partiti politici (49 Cost.) che, com’è noto nel nostro ordinamento, sono sprovvisti di personalità giuridica.
Il legislatore Italiano si è infatti orientato per una loro totale esenzione della responsabilità, potendo essere loro ricompresi tra gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale esclusi espressamente dal 3 comma, dell’art 1, del decreto legislativo.[8]
Parte della dottrina, ritiene però questa, non l’unica via percorribile. In relazione a questi ultimi due enti, si sarebbe infatti potuto anche optare per una soluzione simile a quella prescelta dal legislatore francese[9]: ammettere in linea di principio la responsabilità anche per partiti politici e sindacati ed escludere loro l’applicabilità di determinate sanzioni più temibili e invasive[10].
2. enti a soggettività pubblica: in relazione a questa seconda categoria, l’art 1, comma 3, elenca gli enti ai quali non si applicano le disposizioni previste dal relativo decreto legislativo, facendo riferimento allo Stato, enti pubblici territoriali, enti pubblici non economici e a quelli che svolgono funzioni di rilievo Costituzionale.
Il legislatore, ha voluto equiparare allo Stato, gli enti Pubblici Territoriali (Regioni, Province – Comuni) anche in ragione al dettato in ambito penalistico, cui Art 197, relativo alle disposizioni in materia di obbligazioni al pagamento di pene pecuniarie dove, vengono espressamente esonerati – al pari dello Stato – Le Regioni, Province e Comuni.
Per quanto riguarda la categoria degli enti pubblici che esercitano pubblici poteri vi rientrano senza alcun dubbio le singole amministrazioni dello Stato le quali, sono da ritenersi ricomprese nella locuzione di enti pubblici non economici.
Sono privi di pubblici poteri i cd. enti economici che, sono persone giuridiche pubbliche create per la gestione di un’impresa industriale o commerciale, le quali operano in regime di diritto privato (Esempio, Istituti di credito di diritto pubblico) i quali, rientrano a pieno titolo nella normativa in esame.[11]
Sono altresì, esclusi esplicitamente dal campo d’applicazione della normativa, quei soggetti collettivi che svolgono funzioni Costituzionali. In tale categoria rientrano: Camera dei Deputati, Il Senato della Repubblica, La Corte Costituzionale, Il Csm, il Cnel.
Nulla invece, è stato esplicitamente detto per alcune categorie di enti a soggettività pubblica che, pur privi di pubblici poteri, non rientrano nella disciplina in esame.
Rispetto a tali enti, la stessa relazione parla di zona d’ombra. Il Legislatore delegato, li classifica in tre diverse categorie:
- 1. Gli enti pubblici associativi (Aci, Cri) ”dotati sostanzialmente di una disciplina negoziale, ma cui le Leggi speciali hanno assegnato natura pubblicista per ragioni contingenti”;
- Gli enti pubblici associati di carattere Istituzionale ( Gli ordini, i collegi Professionali);
- Gli enti pubblici che erogano un pubblico servizio (Tra cui le Aziende Ospedaliere, le scuole ed università pubblicistiche, le istituzioni di Assistenza, ecc.).
Tutti questi enti, non esercitando un pubblico potere, dovrebbero rientrare nella categoria de persone giuridiche e quindi essere assoggettati a responsabilità amministrativa ma, non è così[12].
Loro esclusione – principalmente per quelli del punto 2 e 3 – invece è motivata sulla base di due considerazioni.
Per un lato, le sanzioni pecuniarie comminate nei loro confronti, oltre che tradursi in un danno che arrecherebbero alla collettività, avrebbero comunque un effetto generale special-preventivo di gran lunga attenuato rispetto a quello che esse sono in grado di produrre nei confronti di enti a soggettività privata, più sensibili alla ragione economica.
Per l’altro lato, la selezione dei reati di parte speciale, indurrebbero a ritenere, con ragionevole certezza, che questi – come si denota dalla Relazione – avessero di mira la repressione di comportamenti illeciti nello svolgimento di attività di natura squisitamente economica, e cioè assistite da fini di profitto.
Appare dunque, tutto sommato condivisibile e coerente con le scelte operate dal legislatore delegato, di voler, con questa disciplina principalmente fronteggiare in modo più efficace e penetrante la c.d criminalità d’impresa[13].
2. Principi generali: principio di legalità. (Art 2)
L’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.
L’introduzione, di un nuovo sistema sanzionatorio per una responsabilizzazione degli enti – con o senza personalità giuridica – per i reati commessi nel loro interesse o vantaggio, non poteva certo prescindere da una contestuale affermazione dei principi garantistici che dominano la materia in ambito penalistico.
Per le stesse ragioni, il legislatore italiano ha provveduto ad inserire anche all’interno di questo nuovo sistema, tali importantissimi principi i quali, vengono racchiusi negli articoli 2, 3 e 4 del relativo decreto.
L’art 2, come sopra riportato, va a sancire principi di importanza fondamentale non solo per la materia penale ma, anche per quella in esame[14]
Come si vede, già dalla stessa rubrica dell’articolo, principio di legalità se ne denota l’evidente matrice penalistica che infatti, va a riprodurre per buona parte un altro principio, quello sancito dallo stesso art 25, cm. 2 della Costituzione[15].
Come si può quindi notare, il principio di legalità non è più da tempo, prerogativa assoluta del solo diritto penale. Esso è stato anche introdotto con la legge del 24 Novembre 1981, n. 689 – Modifiche al Sistema Penale – nel sistema sanzionatorio amministrativo che, nel suo art 1, ha stabilito che Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione.
Successivamente, tale principio è stato ulteriormente esteso anche alle sanzioni amministrative per violazioni tributarie dal D.Lgs 18 Dicembre 1997, n. 472.[16]
La legalità investe sia i presupposti e i criteri di ascrizione della responsabilità della societas sia la disciplina delle conseguenze sanzionatorie derivanti dal suo illecito amministrativo.
Sotto tale profilo, la scelta trova – come scritto nella relazione –
fedele rispondenza nelle restanti norme dell’articolato laddove reca una disciplina puntuale dei presupposti applicativi di ciascun tipo di sanzione, sia nella arte generale in tema di scelta e di commisurazione delle stesse, sia nelle disposizioni dedicate alla previsione della responsabilità amministrativa in conseguenza della commissione di singoli reati[17].
Lo stesso principio di legalità, di cui stiamo trattando, è stato per la prima volta teorizzato nell’epoca illuministica ma, riprodotto in termini giuridici nella nota formula latina che tutti conosciamo – nullum crimen, nulla ponea, sine praevia et clara lege poenali – dal criminalista tedesco Feuerbach, agli inizio dell’Ottocento.
Tale principio, si esplica attraverso ulteriori principi che, ne fanno da corollari i quali sono: riserva di legge, tassatività e determinatezza, nonché quello di irretroattività.
Per quanto riguarda al principio di riserva di legge[18], come dispone lo stesso art 2 l‘ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.
Tale principio, come si evince comporta il divieto di configurare a carico dell’ente una responsabilità e di irrogare le relative sanzioni in assenza di una specifica previsione legislativa.
Occorre però, a tal punto fare due tipi di precisazioni: se si tratta di una riserva di legge assoluta o relativa; e inoltre, cosa debba intendersi per legge.
Per riserva di legge, debba intendersi esclusivamente quella assoluta dove, solo il Parlamento e quindi il potere legislativo può legiferare sulla materia stessa. Quella relativa, dove il legislatore fissa solo le linee fondamentali, rinviando al potere esecutivo la restante disciplina, è da escludere in questo ambito applicativo.[19]
Invece, per il secondo punto, il termine legge anche qui, come nel diritto penale, è da intendersi in maniera ampia, da ricomprendere quindi non solo le legge in senso formale (gli atti normativi emanati dal Parlamento ex art 70/74 Cost.) ma, vanno ricompresi anche gli altri atti normativi, ovvero decreti legge e decreti legislativi – leggi in senso materiale – ex art 76 e 77 Cost.
Per quanto riguarda l’altro principio, quello di tassatività, l’uso dell’avverbio espressamente utilizzato nel testo dell’articolo 2 richiama chiaramente a tale principio. Esso esprime palesemente il divieto – rivolto al legislatore ed al Giudice Penale – di estendere la disciplina contenuta nelle norme incriminatrici oltre i casi per l’appunto espressamente previsti. Poiché, ove la legge non prevedesse il tipo e la durata delle sanzioni, a nulla servirebbe la valenza garantistica dettata dal principio di legalità.
Il principio di determinatezza[20] (o precisione) invece, impone al legislatore di formulare la norma penale in modo chiaro, preciso ed univoco, cosi che si possa riconoscere con precisione appunto, ciò che è penalmente lecito o vietato dalla norma stessa. Inoltre, tale tipo di principio va ad allacciarsi ad un altro, quello di certezza del diritto – penale – dove, solo le leggi chiare e determinate possono dare certezza al diritto.
Al principio di determinatezza, si pone anche il problema dell’analogia.
L’analogia è quel procedimento mediante il quale il giudice, di fronte ad un caso concreto non rientrante in alcuna norma di legge, utilizza una norma e la estende analogicamente, appunto, per farvi rientrare e disciplinare quel caso. In tale ambito, l’analogia è considerata vietata proprio perché andrebbe a contrastare con il principio stesso di determinatezza poiché, se tale principio esprime il carattere di certezza del diritto, è chiaro che l’ammissibilità dell’analogia andrebbe contro tali esigenze.[21]
Last but not least, abbiamo il principio di irretroattività della legge sanzionatoria amministrativa.
Esso esprime l’esigenza che la legge in forza alla quale si irrogano sanzioni che deve essere necessariamente entrata in vigore prima della commissione del fatto.
Impone quindi che lo Stato non possa sanzionare ex post, come illeciti fatti che, al momento della loro commissione erano del tutto leciti.
Tale principio, oltre ad essere sancito dallo stesso codice penale all’interno del primo comma dell’articolo 2, viene riportato anche a livello costituzionale dal già ricordato art 25, comma 2.[22]
2.1 Successione delle leggi nel tempo. (Art 3)
- L’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce più reato o in relazione al quale non è più prevista la responsabilità amministrativa dell’ente, e, se vi e’ stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti giuridici.
- Se la legge del tempo in cui e’ stato commesso l’illecito e le successive sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono piu’ favorevoli, salvo che sia intervenuta pronuncia irrevocabile.
- Le disposizioni dei commi 1 e 2 non si applicano se si tratta di leggi eccezionali o temporanee.
La disposizione che regola la successione di leggi, rappresenta una novità[23] importante, nel campo del nuovo sistema punitivo degli illeciti amministrativi, dipendenti da reato.
La svolta all’introduzione di questo principio, ritenuto fin ora applicabile al solo ambito penalistico[24], si spiega soprattutto alla luce della particolare incisività delle sanzioni amministrative, oggetto del decreto in esame, previste per i soggetti collettivi, tale da, come spiegato dalla stessa relazione governativa che accompagna il decreto: da far meritare all’ente la stessa disciplina di favore prevista nei confronti dell’imputato persona fisica.
La norma in esame, è chiaramente una riproduzione del dettato penalistico di cui l’art 2, secondo, terzo e quarto comma cod. pen.
L’art 3 del relativo decreto, ha come si evince, un duplice oggetto: da un lato la norma penale incriminatrice; dall’altro la norma che prevede la responsabilità amministrativa dell’ente stesso.[25]
Il primo comma dell’articolo 3, prevede l’ipotesi di abolizione di incriminazioni (prima esistenti) la c.d abolitio criminis, riproduce in sintesi il secondo comma, art 2[26] del cod. pen.
Come dispone lo stesso Art. 3, comma 1, non può sussistere la responsabilità dell’ente per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce più reato ovvero, in relazione al quale non è più prevista la responsabilità amministrativa dell’ente.
La disposizione in esame, enuncia un principio di importanza rilevante, in base al quale non appare tollerabile che si possa configurare una responsabilità in capo ad un soggetto per un fatto al quale l’ordinamento ha fatto venire meno qualsiasi forma di illeicità.
L’ente quindi, non può essere ritenuto responsabile per un fatto che costituiva reato all’epoca della sua commissione, ma che poi successivamente, sia stato depenalizzato.
Altresì, la responsabilità è esclusa anche nel caso in cui sia stata abrogata la sola disposizione che prevede la responsabilità amministrativa dell’ente dipendente da reato, anorchè invece quest’ultima sia sempre tale.[27]
Quindi, in tali ipotesi si applica il principio della retroattività piena della legge penale. La disciplina trova fondamento da un lato nel principio del favor rei, che comporta l’applicazione della legge favorevole al reo, e dall’altra nel principio d’uguaglianza.
Inoltre, l’ultima parte del primo comma, dice espressamente – come in ambito penale – che se vi è stata condanna – definitiva – ne cessano l’esecuzione e gli effetti giuridici. Come si evince, l’abolitio criminis ha formulazione identica a quella penalistica dell’art. 2, e li come qui travolge anche il giudicato e gli effetti penali della condanna.
L’art. 3, comma 2, fa riferimento invece al fenomeno della successione di leggi, non che aboliscono una fattispecie di reato ma, che comportano una mutamento della disciplina la c.d lex mitior – riproduce in sintesi il quarto[28] comma dell’articolo 2 del codice penale. – In tal caso si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli, salvo che sia intervenuta pronuncia irrevocabile.
Anche qui, viene ribadito il principio di irretroattività di ogni legge successiva sfavorevole al reo e contestualmente viene imposta l’applicazione retroattiva della legge più favorevole, in ossequio al principio di parità sostanziale di trattamento (art. 3 Cost.). Si deve ricordare inoltre che, in caso di successione normativa, la disposizione più favorevole va individuata in concreto, quindi avendo riguardo della concreta applicazione al caso di specie. Qui invece, a differenza del comma precedente, l’effetto retroattivo trova un limite invalicabile – come del resto in ambito penale – nell’intervenuta pronuncia di sentenza irrevocabile.
L’ultimo comma dell’articolo 3 invece, riprende contestualmente, come i precedenti un altro comma del codice penale, il 5[29], ovvero l’esclusione di leggi eccezionali o temporanee dall’ambito applicativo della successione di leggi.
Sono leggi eccezionali quelle la cui durata è collegata al persistere di una situazione eccezionale (esempio una pubblica calamità); sono temporanee quelle la cui durata è predefinita dalla fissazione del termine in cui cesseranno di avere rigore.
Qui, la ratio è la medesima a quella prescritta nell’art. 2, comma 4 c.p: ove fosse ammessa la retroattività di leggi abrogatrici o di quelle le cui disposizioni risultino più favorevoli, le leggi eccezionali e temporanee non potrebbero in molti casi trovare applicazione è ciò andrebbe a scapito dell’efficacia deterrente delle stesse.[30]
Nessuna disposizione è stata invece inserita per quanto riguarda l’ultimo comma dell’art 2 del codice penale, ovvero ai casi di decadenza e di mancata ratifica di un decreto-legge e nel caso di un decreto-legge convertito in legge con emendamenti.
Questo perchè, al legislatore delegato non è sembrato opportuno riprodurre l’ultimo comma dell’articolo 2 del codice penale, ormai svuotato nel suo contenuto dalla sentenza della corte Costituzionale 51/1985[31].
2.2 Successione di leggi nello spazio: reati commessi all’estero. (Art 4)
- Nei casi e alle condizioni previste dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del codice penale, gli enti aventi nel territorio dello Stato la sede principale, rispondono anche in relazione ai reati commessi all’estero, purché nei loro confronti non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto.
- Nei casi in cui la legge prevede che il colpevole sia punito a richiesta del Ministro della giustizia, si procede contro l’ente solo se la richiesta è formulata anche nei confronti di quest’ultimo.
Il decreto 231/2001, affronta anche il tema della successione della legge nello spazio. La nuova disciplina racchiusa interamente nell’art 4, va a soffermarsi nei casi in cui l’ente, può essere chiamato a rispondere dell’illecito amministrativo, derivante da uno dei reati previsti dal codice penale, ex artt. 7, 8, 9 e 10, commessi all’estero.
L’obiettivo, esplicitamente dichiarato all’interno della relazione governativa[32], è quello di evitare facili elusioni della normativa interna proprio attraverso la commissione, all’estero, di reati per conto o nell’interesse dell’ente che però abbia la sede principale nello Stato Italiano, secondo ciò che risulta essere quindi l’ipotesi più diffusa dal punto di vista criminologico[33].
Per quanto riguarda i soggetti, ai quali è rivolta tale norma, come richiamato dallo stesso Art 4 sono gli enti che hanno la sede principale nel territorio dello Stato.
Per gli enti e società aventi personalità giuridica, per sede principale deve farsi riferimento alla sede effettiva, cioè al luogo in cui svolgono concretamente le attività amministrative e di direzione dell’ente, ovvero quello stabilmente utilizzato per l’accentramento degli organi e degli uffici societari.
Non hanno invece rilievo, i diversi luoghi nei quali si svolge l’attività produttiva o dove siano situati gli stabilimenti, uffici di rappresentanza o le loro eventuali sedi secondarie.
Per le società, associazioni od enti che sono privi di personalità giuridica, il concetto della loro sede principale si deve far riferimento al luogo dove gli stessi svolgono la loro attività in modo continuativo, a norma dell’articolo 19[34] del codice di procedura civile.
Sono invece, da ritenersi escluse dalla norma in esame, le società e gli enti che hanno in Italia non la sede ma, il loro oggetto principale ovvero, la loro attività concretamente svolta.[35]
Nei confronti di questi enti, si dispone l’applicabilità della nuova disciplina sanzionatoria, a condizione che, da un lato il reato presupposto – quelli contemplati nel decreto legislativo, artt. 24-26 – commesso all’estero sia uno di quei reati per i quali è prevista la competenza del Giudice penale italiano, ai sensi degli stessi articoli del cod. pen. 7, 8, 9 e 10; e dall’altro lato, che nei confronti dell’ente non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto e che vi sia la richiesta del Ministro della Giustizia, laddove tale condizione di procedibilità risulti necessaria[36].
Tra i delitti comuni a punibilità incondizionata di cui art. 7 del c.p., potranno dunque essere ricompresi quelli indicati al n.3 – delitti di falsità di monete aventi corso legale nel territorio dello Stato, o in valori di bollo o in carte di pubblico credito italiano – e quelli indicati al n.4 – delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato, abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni – ovvero, concussione (art 317 c.p), corruzione impropria (art 318 c.p) e propria (art 319 c.p), corruzione in atti giudiziari (art 319-ter c.p) e per l’istigazione a corruzione (art 322, commi 3 e 4 c.p).
Quanto ai delitti politici, disciplinati dall’art 8 del c.p, potrebbero assumere rilievo solo quelli soggettivamente politici, determinati in tutto o in parte, da motivi politici (comma 3 dell’art. 8 c.p) purché, siano additabili alla condotta di chi agisca nell’interesse o vantaggio dell’ente stesso[37].
L’art 9 c.p., fa riferimento ai delitti comuni – diversi da quelli ex art 7 c.p – commessi dal cittadino all’estero per i quali sia prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, sempre che il soggetto si trovi nel territorio dello Stato.
Per i delitti verso i quali è prevista una pena detentiva di minore durata – ai 3 anni – occorre la richiesta del Ministro della Giustizia o l’istanza o querela della persona offesa.
L’art 10 c.p., disciplina l’ipotesi dello straniero che commette all’estero delitti comuni – pur sempre diversi da quelli dell’art 7 c.p – a danno dello Stato o del cittadino Italiano[38].
3. Criteri di imputazione oggettivi. (Art 5)
L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o vantaggio:
a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettere a).
L’ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.
Uno dei punti fondamentali della normativa in esame, la quale viene definita il cuore dell’intera parte generale del decreto – come si evince dalla stessa Relazione – sta proprio nella individuazione di specifici parametri, sufficientemente determinati nel loro contenuto, i quali consentono di ascrivere il reato commesso da persona fisica all’ente.
Il nucleo centrale di questa nuova disciplina è rappresentato dalla definizione dei criteri sia oggettivi che soggettivi, attraverso i quali può quindi applicarsi all’ente le sanzioni amministrative in conseguenza della commissione di un reato commesso dalla persona fisica.
Per quanto riguarda l’ambito Obiettivo della responsabilità da reato degli enti, il legislatore italiano ha adottato un modello chiuso, fondato su una elencazione normativa di tali reati-presupposti.[39]
E’ infatti, opportuno ricordare che la tipologia dei reati dai quali può scaturire la responsabilità amministrativa dell’ente, non è genericamente riferibile a qualsivoglia fattispecie criminosa, ma concerne esclusivamente quei reati per i quali – in ottemperanza al principio già citato di legalità ex art 2 – specifiche disposizioni di legge prevedono tale responsabilità e le relative sanzioni[40].
L’insieme dei reati-presupposto del decreto 231/01 è stato cosi strutturato facendo ricorso all’indicazione esplicita delle fattispecie da cui può scaturire la responsabilità degli enti, eliminando quindi, alla radice ogni dubbio o incertezza sull’ambito di operatività oggettivo del decreto e sulla sua compatibilità con il principio di legalità nelle sue diverse articolazioni. Come ho accennato in precedenza, il catalogo dei reati-presupposto al momento della bozza del decreto legislativo, si presentava abbastanza complessa ed articolata, contenente ben 16 autonome fattispecie[41] ma, al momento del varo definitivo del decreto, per forti pressioni esercitate in periodo per-elettorale da alcune parti politiche, il legislatore ha proceduto ad un notevole ridimensionamento della parte speciale del decreto, sopprimendo con motivazioni tutt’altro che credibili – e contraddittorie tra di loro – la maggior parte dei reati ascrivibili alla c.d criminalità economica[42].
È stato solo a partire dal 2007, con l’introduzione nel d. lgs. n. 231 dell’art. 25-septies in materia di omicidio e lesioni personali colpose per violazione della normativa in materia di sicurezza e salute sul lavoro, che gradualmente è iniziato l’allargamento della parte speciale anche ai reati di più tipica espressione della c.d. politica aziendale e delle sue logiche di profitto, colmando così – sebbene in maniera non risolutiva – le lacune di tutela più evidenti, fino ad arrivare nel 2011 con l’introduzione dell’art. 25undecies (reati ambientali) con la legge n. 121 del 2011.
Allo stato attuale, sono soltanto i delitti rientranti negli articoli 24[43] e 25[44] del relativo decreto legislativo.
Passando ora, all’esame del primo criterio di imputazione, quello oggettivo, noteremo che l’art 5 rappresenta una norma cardine all’interno di tale sistema, per la definizione della responsabilità amministrativa a carico dell’ente in dipendenza alla commissione dei reati.
L’articolo in esame, va a delineare i criteri di natura oggettiva – in conformità alla direttiva di cui art 11, comma 1, lettera e) – e vengono indicati 3 tipi di condizioni, di cui 2 sono positive ed una negativa, attraverso le quali è possibile ricollegare sul piano oggettivo, la responsabilità dell’ente al reato che è stato commesso[45].
Per quel che riguarda le prime due condizioni, quelle positive, affinché si abbia la responsabilità amministrativa dell’ente sono:
1 – Il reato deve essere stato commesso nell’interesse o vantaggio dell’ente stesso;
2 – Gli autori del reato devono essere persone fisiche. Indicati come soggetto o apicali lettera a), o subordinati lettera b).
Per ciò che concerne il primo requisito necessario ovvero, l’interesse o il vantaggio dell’ente, è opportuno ricordare e notare, la diversa formula che venne usata nel progetto Grosso[46], ma anche nella legge del 3 ottobre 2001, n. 366, delega al Governo per la riforma del diritto societario dove, fu usata ancora una formula più sintetica[47].
L’interesse o il vantaggio, non sono termini equivalenti e proprio perché trattasi di concetti con contenuto indubbiamente diverso, il legislatore ha inteso che indifferentemente, o l’uno o l’altro, debbano essere presenti per qualificare positivamente il diverso comportamento, ai fini dell’imputazione del reato dell’ente[48].
Proprio in relazione a questi due requisiti[49], la stessa relazione governativa osserva inoltre che il criterio dell’interesse, caratterizzerebbe la condotta in senso marcatamente soggettivo e sarebbe suscettibile di una verifica ex ante.
Il vantaggio invece è un dato obiettivo che può essere ottenuto dall’ente anche quando la persona fisica non abbia agito nel suo interesse e richiederebbe sempre una verifica ex post.
In altri termini, non essendo cumulativi i due requisiti, sembrerebbe possibile che un soggetto commetta un reato nell’interesse dell’ente senza però procurarne alcun vantaggio.
Ma è anche vero che lo stesso soggetto, può commettere il reato non nell’interesse dell’ente ma, nel proprio ed esclusivo interesse e tuttavia l’ente può godere di un vantaggio indiretto.
Ovviamente qui, dovrà essere il Giudice penale, attraverso il giudizio di c.d prognosi postuma, giudizio che dovrà essere fatto al momento dell’accertamento dei fatti, riportandosi mentalmente al momento della commissione del reato e valutando se la condotta criminosa poteva intendersi come voluta a favorire l’ente stesso[50].
Per quel che riguarda la seconda condizione positiva, ovvero l’individuazione dei soggetti, persone fisiche la cui condotta rifluisce sulla sfera giuridica dell’ente, determinandone l’assoggettamento a sanzione amministrativa, si è scelto di far ricordo – come espressamente stabilito dalla Relazione – ad una formula ‘elastica‘ al posto di una elencazione tassativa di tali soggetti.
Nell’individuazione ti tali soggetti, il Governo ha dunque deciso di applicare la cd., teoria funzionale andando a recepire l’indicazione della legge delega per una soluzione di tipo pragmatico, incentrata non tanto sulla posizione formale rivestita dal soggetto agente, quanto piuttosto sulla funzione che esso svolge concretamente
Tali soggetti quindi vengono delineati in un sistema a doppio livello: da una parte quelli che per semplificazione chiameremo con una comoda espressione, in posizione apicale (lett. a) e quelli subordinati (lett. b)[51].
La prima categoria, quelli in posizione apicale, l’art 5, comma 1, lett. a) vi fa rientrare coloro che esercitano funzioni:
- di rappresentanza (esempio il legale rappresentante);
- di amministrazione (amministratore unico o delegato);
- di direzione (il direttore generale);
- chi esercita taluna delle suddette funzioni nell’ambito di una unità organizzativa dell’ente dotata di autonomia finanziaria e funzionale ( esempio il direttore di uno stabilimento);
- chi esercita la gestione ed il controllo, anche di fatto.
Per le prime categorie di soggetti apicali – rappresentanza, amministrazione o direzione – com’è noto, essi non sono organi della società ma dei dipendenti i cui poteri di gestione derivano dal contratto di lavoro, sono sottoposti alle sole direttive del consiglio di amministrazione, ma, soprattutto nelle imprese di grandi dimensioni, essi acquistano un importanza operativa preminente, di fatto pari o, alle volte superiore agli stessi amministratori[52].
Per l’ultima categoria di soggetti in posizione apicale, quelli esercitano di fatto la gestione e il controllo dell’ente[53], è da sottolineare che entrambe le funzioni di gestione e di controllo dell’ente, debbano concorrere simultaneamente in capo al medesimo soggetto perché questi possa ritenersi legittimato ad agire per conto dell’ente[54].
E’ evidente che si è voluto ricomprendere nella previsione normativa non solo la figura dell’amministratore di fatto, ovvero di colui che, pur sprovvisto di un titolo, in concreto esercita i poteri propri corrispondenti al classico amministratore, ma anche quel socio che pur non essendo amministratore, è detentore della quasi totalità delle azioni o delle quote – c.d. socio detentore o sovrano/tiranno – il quale impone le linee politiche aziendali ed il compimento di determinate scelte operative all’interno della società.
Un accenno deve essere fatto anche per quanto riguarda la c.d delega di funzioni che costituisce lo strumento tipico attraverso il quale un soggetto – l’amministratore della società – può trasferire taluna delle proprio funzioni o attribuzioni a determinati soggetti, dotandoli di poteri decisionali ed organizzativi ai fini dell’espletamento delle funzioni assegnate e di capacità di spesa per poter concretamente operare.
In presenza di queste condizioni, i soggetti che hanno delegati, diventano titolari della funzione in esame nello specifico settore di competenza e sono quindi annoverabili tra coloro che rivestono una posizione apicale.[55]
Restano esclusi nel novero dei soggetti in posizione apicale, i sindaci che, come si legge nella relazione questi non esercitano un dominio penetrante sull’ente.
Infatti, benché il collegio sia uno degli organi sociali delle società di capitali, esso esercita soltanto una funzione di controllo sull’amministrazione, ma non ha alcun potere di gestione.
La seconda categoria di soggetti è rappresentata da coloro che rivestono una posizione subordinata cioè quelle persone, sottoposte alla direzione o vigilanza dei soggetti precedenti.
Si tratta in pratica di prestatori di lavoro subordinato, come individuati negli artt. 2094[56] e 2095[57] del codice civile.
Come rileva la stessa relazione, non vi sarebbe stata infatti alcuna plausibile ragione dal punto di vista logico e politico criminale di escludere la responsabilità dell’ente in relazione a reati commessi da dipendenti nel suo interesse o vantaggio.
Un’estensione del resto, tanto più opportuna in quanto consente di prevenire il c.d fenomeno dell’irresponsabilità organizzata e di evitare preordinati e prevedibili scaricamenti verso il basso della responsabilità.
La condizione negativa, che porta invece all’esclusione della responsabilità amministrativa dell’ente, viene sancita dall’art 5, comma 2.
Tale responsabilità è esclusa quanto gli autori del reato hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.
Si verifica, in questo caso, una sorta di rottura del rapporto di immedesimazione organica ed il reato commesso dalla persona fisica non è più riconducibile all’ente. L’essere quindi, stato il reato commesso nell’interesse esclusivo di soggetti diversi dall’ente, recide tale collegamento che riconduce il fatto criminoso alla persona giuridica, anche se nel caso in cui, la persona giuridica avesse tratto comunque un vantaggio dal reato commesso[58].
4. Criteri di imputazione soggettivi: soggetti in posizione apicale (Art 6)
Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a), l’ente non risponde se prova che:
a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e gestione;
d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b).
In relazione all’estensione dei poterei delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze:
a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi i reati;
b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;
c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato al vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli;
e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati.
Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera b), del comma 1, possono essere svolti direttamente dall’organo dirigente.
E’ comunque disposta la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nelle forma per equivalente.
Come si è anticipato, oltre ai criteri di imputazione oggettiva sopra indicati, vengono previsti, nel decreto legislativo in esame, anche criteri di attribuzione della responsabilità di tipo soggettivo, in quanto fondati su un rimprovero all’ente per la c.d., colpa di organizzazione.
I parametri di responsabilità dell’ente sono diversificati a seconda che il reato-presupposto sia stato commesso da persona che riveste la posizione di soggetto apicale o subordinato.
Ne sono quindi, derivate due diverse disposizioni, dedicate una appunto ai soggetti apicali (art 6) e l’altra a quelli subordinati (art 7), nelle quali si attribuisce rilevanza – ai fini dell’esclusione della suddetta responsabilità – alla preventiva adozione da parte dell’ente di appositi modelli di organizzazione[59] e gestione idonei a prevenire i reati in esame[60].
L’art 6, si occupa di delineare i profili di responsabilità dell’ente in caso di illeciti commessi da soggetti in posizione apicale, cosi come sono stati individuati precedentemente nell’art 5, comma 1, lett. a).
La norma però, non ci definisce positivamente i criteri di attribuzione della responsabilità, ma è costruita in termini di inversione dell’onere della prova a carico dell’ente.
Il legislatore ha individuato nei modelli di organizzazione una fattispecie appunto esimente dal reato, realizzando una vera e propria inversione dell’onere della prova: ove il reato sia stato commesso da tali soggetti, sarà la stessa società a dover dimostrare che essi hanno violato il divieto da essa imposto e ad aver eluso i modelli predisposti per la sua tutela.
La ratio di una simile scelta è evidenziata nella relazione del decreto, ove si legge che a causa della struttura sempre più orizzontale del management le decisioni dei soggetti al vertice potrebbero non esprimere realmente la politica dell’ente[61].
Tale presunzione non è quindi assoluta, è infatti ammessa la possibilità di prova contraria. L’ente dovrà dimostrare, affinché sia esonerato da responsabilità, la sussistenza di tutte e quattro le condizioni richieste e specificatamente inserite all’interno dell’art 6, comma 1, lett. a), b), c) e d).
L’ente quindi dovrà provare ai fini di un esimente responsabilità da colpa che, tali modelli[62]:
- a) siano stati adottati ed efficacemente attuati, i modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire i reati-presupposti;
- b) sia stato affidato ad un organismo dell’ente, il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli;
- c) gli autori del reato, lo abbiano commesso eludendo fraudolentemente il modello;
- d) non vi sia stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di controllo[63].
Per adozione si vuole intendere la predisposizione del modello, quale regola per l’operare dell’ente.
La efficace attuazione ha riguardo al funzionamento concreto del modello.
L’uno e l’altro aspetto riconducono a poteri e doveri di direzione e di vigilanza di soggetti apicali, che non si esauriscono in un adempimento iniziale, ma persistono nel tempo. Quindi, ai fini della responsabilità per un commesso reato, ciò che interessa è il funzionamento del modello in quella data situazione[64].
Come già accennato, la funzione esimente[65] del modelli organizzativi di gestione e controllo, costituisce una delle ragione per le quali una società dovrebbe adottare i suddetti modelli.
In questi casi, il condizionale è d’obbligo, tanto che, né nella legge delega, né nella legislazione delegata si parla di modelli che debbano essere istituiti obbligatoriamente: quella prevista dalla norma, è solo un opportunità che viene offerta alle società e agli enti per esimersi dalle responsabilità.
Quindi, è evidente che se un reato fosse stato commesso, il modello, in quella occasione è stato violato. Tuttavia, la funzione del modello non è quella di impedire in modo assoluto il verificarsi dell’illecito, bensì di monitorare costantemente le attività che possono dar luogo alla commissione di reati prescritti nel decreto stesso.
Infine, è da aggiungere, che l’efficacia di tali modelli non è limitata al solo momento di attribuzione della responsabilità: infatti, il legislatore ha previsto anche la possibilità che il modello possa possa essere adottato, anche dopo la commissione del reato (post-factum), con il solo limite della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, l’organismo collettivo potrà fruire di:
- ai sensi dell’art. 12: una riduzione della sanzione pecuniaria, ridotta da un terzo alla metà;
- ai sensi dell’art. 17: beneficiare della mancata applicazione delle più gravi sanzioni interdittive;
In entrambi i casi, l’ente deve:
- a) aver risarcito integralmente il danno ed ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è efficacemente adoperato a tal fine;
- b) aver adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire i reato della specie di quello verificatosi.
- Ai sensi dell’art. 18 : beneficiare della non pubblicazione della sentenza.
Quindi, l’idoneità al modello deve riguardare, nel caso specifico, la sua attitudine ad evitare la commissione di reati della stessa specie di quello verificatosi: siccome non vi è una specifica menzione di cosa debba intendersi per tali reati, la dottrina ha ritenuto che con tale espressione normativa, il legislatore avesse in mente il dettato ex art 101[66] del c.p.[67].
Nel testo originario dell’art. 6 non erano specificate le caratteristiche che i modelli avrebbero dovuto avere.
Tenuto conto del parere espresso dalla commissione Giustizia della Camera, la quale sollecitò per una maggiore tipizzazione dei modelli e, considerando la necessità di predisporre un sistema ispirato alla massima garanzia sotto il profilo del rispetto del principio di colpevolezza venne introdotto il nuovo comma 2 dell’art. 6, che focalizza quelli che sono i caratteri essenziali e indefettibili del modello idoneo a prevenire il rischio-reato.
Attraverso quest’ultimo comma, sono state quindi enunciate le linee guida cui gli stessi modelli devono rispondere ai fini della loro efficacia[68].
In particolare essi devono contenere:
- a) una preliminare valutazione delle aree di attività più esposte al rischio-reato: si tratterebbe del c.d. control self assessment, che assieme al risk management informa già da tempo alcune realtà aziendali di matrice straniera.[69]
- b) prevedere specifici protocolli diretti alla formazione e programmazione delle decisioni dell’ente: il programma qui, deve incidere sulla c.d. dimensione-gestionale; deve cioè dettare direttive utili, che guidino sia alla formazione che alla direzione dell’ente, sempre con riguardo alla tipologia criminosa da prevenire.
- c) individuare le modalità di recupero e gestione delle risorse finanziare;
- d) il programma si deve inoltre provvedere di un elevato tasso di effettività, ciò sarà possibile solo quando sarà provvisto anche di un adeguato sistema disciplinare che permetta, già a questo primo livello (senza aspettare l’intervento del Giudice), un adeguata reazione in termini sanzionatori.
- e) garantire la regolarità dei flussi di informazione nei confronti dell’organo interno di controllo, destinato a vigilare sull’osservanza ed il funzionamento dei relativi modelli. Il modello deve quindi dotarsi di un meccanismo informativo adeguato (reporting) il quale rappresenta la condizione necessaria affinché il controllo sia reale[70].
Durante la riunione del Consiglio dei Ministri, venne sollecitato da parte del Ministero dell’Industria, di introdurre un ulteriore comma, il terzo, all’interno dell’articolo 6, al fine di prevedere che tali modelli possano essere adottati sulla base di determinati codici di autoregolamentazione dalle organizzazioni di categoria, comunicati preventivamente al Ministro della Giustizia che, di concerto con i Ministri competenti, ha 30 giorni per poter formulare osservazioni sulla loro efficacia. – nel silenzio del decreto, è da ritenere che, laddove le osservazioni non vengano accolte, il modello non dovrebbe essere ritenuto efficace –
In tal modo, il giudice avrà anche a disposizione un utilissimo termine di paragone per poter valutare al meglio la congruità del modello organizzativo adottato ed implementato dall’ente, fermo restando che comunque, spetterà al Giudice il compito ultimo di valutare la rispondenza dei codici comportamentali adottai dall’ente ai parametri che sono elencati nel comma 2, art. 6[71].
Per quel che concerne il 4 comma dell’art 6, è dedicato agli enti di piccole dimensioni, i quali si sottraggono alla supervisione degli organismi di controllo volti a vigilare i modelli di organizzazione dove, qui, tale compito può essere esplicato direttamente dall’organo dirigente.
Per gli enti di grandi dimensioni, non vi è però alcuna specificazione sulla natura dell’organismo di controllo. In dottrina si è più volte chiesti, da chi debba essere nominato, da chi sia composto o comunque a chi debba rispondere siffatto organismo e, soprattutto quali siano i limiti di quella autonomia di poteri di iniziativa che gli sono stati attribuiti dalla legge stesa[72]. Nel silenzio della norma[73] infatti è presumibile che tale funzione possa essere facilmente ricoperta ed esercitata da componenti dell’organo dirigente, da soggetti esterni delegati o anche dallo stesso collegio sindacale.
L’ultimo comma, il quinto, del più volte citato articolo 6, stabilisce invece che è comunque disposta la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente.
Questo comma, prevede l’applicabilità comunque, anche nelle ipotesi in cui venga emanata una sentenza di esclusione della responsabilità dell’ente, della confisca, in relazione al profitto tratto dal reato.
Qui, si parla chiaramente dell’istituto previsto e disciplinato dall’art 19 del decreto in esame.
La ratio è quella di evitare che l’ente possa comunque ricavare un profitto economico da un reato commesso pur sempre a suo vantaggio, anche indipendentemente dal fatto che l’ente, sia esente da responsabilità[74].
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4.1 Soggetti in posizione subordinata. (Art 7)
- Nel caso previsto dall’articolo 5, comma 1, lettera b), l’ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.
- In ogni caso, è esclusa l’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l’ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi.
- Il modello prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell’organizzazione nonché al tipo di attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio.
- L’efficace attuazione del modello richiede:
- a) una verifica periodica e l’eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell’organizzazione o nell’attività;
- b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
L’articolo 7 del decreto legislativo, enuncia i criteri di imputazione soggettiva, andando a definire le condizioni richieste affinché l’ente possa ritenersi responsabile in relazione ad un reato commesso dal soggetto sottoposto all’altrui direzione o vigilanza , indicati nell’art 5, comma 1, lett. b), del decreto legislativo.
Come si evince dalla stessa relazione illustrativa, la commissione dei reati da parte dei subordinati appare statisticamente più rara e, comunque suscettibile di determinare un giudizio di minore riprovazione nei confronti del soggetto collettivo[75].
Il primo comma dell’art. 7 contiene un primo elemento differenziale aggiuntivo, disponendo che l’ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.
L’ente in questi casi sarebbe chiamato a rispondere solo nel caso di una lacuna organizzativa, trattandosi di un omesso controllo da parte dei vertici aziendali[76].
Tale previsione, se da un lato però può ritenersi sufficiente a connotare la colpa per le imprese di medio-piccole dimensioni, non lo è altrettanto per quelle aziende più complesse, posto che, l’affermarsi di un obbligo di vigilanza avrebbe rischiato, – come si evince dalla Relazione – di rivelarsi una vuota clausola di stile, inidonea ad indirizzare il giudice nell’accertamento dell’illecito amministrativo in capo all’ente[77].
Quindi, proprio al fine di definire in termini più specifici il comportamento richiesto all’ente, il secondo comma dell’art. 7, introduce un meccanismo di esenzione da responsabilità connesso all’adozione di modelli organizzativi da parte dell’ente, laddove, prima della commissione del reato, abbia adottato ed efficacemente attuato un modello organizzativo idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi, secondo le prescrizioni dei due commi successivi, il 3 e 4.
La norma però, non ripercorre l’elenco delle condizioni esoneranti tipizzate nell’articolo precedente, richiedendo qui unicamente l’adozione e l’effettiva attuazione di un modello idoneo ad impedire l’integrazione dei reati del tipo di quello in concreto verificatosi.
L’adozione di tale modello opera nel senso di escludere la colpa di organizzazione.
Il terzo comma si sofferma poi sul contenuto del modello in esame che, in relazione alla natura, alla dimensione dell’organizzazione ed al tipo di attività svolta, deve prevedere misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente le situazioni di rischio.
Tali modelli devono poi diversificarsi in ragione della peculiare struttura interna, analogamente a quanto già osservato a proposito dell’art 6.
Ciò vuol dire che l’ente ha l’onore di stabilire un programma preventivo di misure organizzative e di controllo che garantiscono, sia che l’attività si svolta nel rispetto della legalità, sia che eventuali situazioni di irregolarità siano tempestivamente individuate ed eliminate.
I modelli andranno quindi diversificati in ragione dello specifico rischio-reato da prevenire.
L’ultimo comma, il 4, fa riferimento alla efficace attuazione del modello in esame.
Si richiede qui, in primo luogo, una verifica periodica al fine di operare un costante aggiornamento relativo al modello, procedendo all’eventuale modifica dello stesso, allorché emergono significative violazioni.
In secondo luogo, occorre un sistema disciplinare efficiente per poter sanzionare le violazioni alle misure sopra prescritte.
Vale qui, anche la pena accennare alcune questioni probatorie poste dal dettato normativo, in particolar modo riguardanti l’onore della prova.
A differenza dell’articolo precedente, non si prevede l’inversione dell’onere della prova, spettando alla pubblica accusa provare gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità dell’ente e quindi, provare la mancata adozione e l’efficace attuazione del modello organizzativo.
Tale scelta di regime probatorio inoltre, assume una sfumatura importante anche ai fini delle misure cautelari, riducendone la possibilità di richiesta da parte del P.M. Al previo assolvimento del suddetto onere probatorio[78].
5. Autonoma responsabilità dell’ente: mancata identificazione e non imputabilità della persona fisica ( 8)
La responsabilità dell’ente sussiste anche quando:
a) l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile;
b) il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia.
Salvo che la legge disponga diversamente, non si procede nei confronti dell’ente quando è concessa amnistia per un reato in relazione al quale è prevista la sua responsabilità e l’imputato ha rinunciato alla sua applicazione.
L’ente può rinunciare all’amnistia.
Di grande importanza, a conclusione del discorso, relativo alla parte Generale del decreto in esame, si rivela la norma dettata dall’art. 8 comma 1, che permette di tracciare come autonoma, la responsabilità dell’ente messa a punto dal legislatore delegato. Va comunque sottolineato, che la caratterizzazione come autonoma della suddetta responsabilità, non trova alcun riscontro dei principi e criteri direttivi contenuti nella legge delega[79].
La responsabilità della persona giuridica, oltre che ad essere chiaramente autonoma, è come sappiamo, aggiuntiva, e non sostitutiva di quella delle persone fisiche, che resta regolata dal diritto penale comune.
Il coinvolgimento della persona fisica – autrice del reato – è essenziale e resta necessario per la configurazione della suddetta responsabilità[80].
L’art. 8, comma 1, indica specifiche situazioni attraverso le quali, la responsabilità dell’ente permane anche se il correlato processo penale non potrà aver luogo.
Il legislatore, ha individuato tali ipotesi nella lettera a) e b) del primo comma, quando cioé:
- a) l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile;
- b) quando il reato si estingue per causa diversa dall’amnistia.
Inoltre, trattandosi di situazioni nelle quali un reato, risulta comunque essere stato commesso, la stessa relazione chiarisce che:
Non vi sarebbe ragione di escludere, in queste ipotesi, la responsabilità dell’ente e, la sua omessa disciplina di tali evenienze si sarebbe tradotta in una grave lacuna legislativa, suscettibile di infirmare la ratio complessiva del provvedimento, tanto più che una tale scelta non incontra alcun ostacolo dal punto di vista del sistema[81].
Il primo caso, esposto dalla lettera a), quello riguardante la mancata identificazione dell’autore o degli autori del reato, si verifica principalmente all’interno delle indagini preliminari, quando sia o rimanga ignoto l’autore del reato, con conseguente archiviazione del procedimento penale a norma dell’art 415[82] del cod. proc. pen.
Tale ipotesi, come espressamente sancito dal legislatore all’interno della relazione, rappresenta, un fenomeno tipico nell’ambito della responsabilità d’impresa.
Infatti, se l’autore non va ad essere individuato, è davvero difficile pensare che si possa procedere ad un reale accertamento della sua colpevolezza e quindi alla sussistenza del reato[83].
Per quanto concerne il caso in cui l’illecito sia stato commesso da un soggetto non imputabile[84], assume un significato del tutto marginale e trascurabile, tanto che la stessa Relazione dice che esso ha uno spessore più teorico che pratico e, aggiunge che è stato aggiungo per ragioni di completezza.
Per ciò che riguarda la lettera b), essa dispone che la responsabilità dell’ente per il reato commesso nel suo interesse o vantaggio, sussiste anche quando esso si estingue per una causa diversa dall’amnistia.
Le cause generali di estinzione del reato, sono quelle che vengono ricomprese ed elencate, all’interno del Libro I, Titolo VI, Capo I, del codice penale: morte del reo (art. 150); l’amnistia propria (art. 151); remissione della querela (art. 152); prescrizione (artt. 157ss.); oblazione nelle contravvenzioni (art. 162 e 162-bis); sospensione condizionale della pena (artt. 163 ss.); il perdono giudiziale per i minori di 18 anni (art. 169).
Le suddette cause estintive del reato, hanno peraltro efficacia personale – soggettiva – in quanto, a norma dell’art. 182 c.p., operano solamente nei confronti della persona cui si riferiscono[85].
E’ da sottolineare, che tali cause estintive del reato, si distinguono da quelle estintive della pena – artt. 171/181. c.p. – le quali, queste ultime presuppongo una sentenza definitiva (o irrevocabile) di condanna e operano quindi soltanto sulla pena che è stata concretamente inflitta al condannato. Per tali motivi, esse non potranno riflettersi su una configurazione della responsabilità dell’ente.
L’amnistia dunque, costituisce l’unica causa di estinzione del reato che, esclude anche la conseguente responsabilità dell’ente.
L’amnistia cui noi faccia riferimento, e quella contemplata nell’art 151 c.p., amnistia c.d propria, attraverso la quale lo Stato rinuncia a punire determinati reati prima che intervenga la sentenza (definitiva) di condanna.
L’art 8, contiene ulteriori due commi, il 2 e 3, dove viene specificatamente detto che l’ente e/o l’imputato, possono sempre rinunciare[86] all’amnistia, stabilendo che l’effetto estintivo si produce comunque nei confronti dell’ente anche quando la persona fisica, esercitando il proprio diritto ad avere una pronuncia nel merito, abbia rinunciato all’amnistia[87].
Note
[1] S.GENNAI – A.TRAVERSI. Op. Cit. Pag. 13 ss. MILANO, 2001.
[2] Ricordiamo inoltre, che un analoga estensione, fu anche prevista nel già menzionato progetto Grosso dove, si prevedeva l’introduzione di una responsabilità per gli enti, con o senza responsabilità Giuridica, limitandone l’ambito ai soli enti che Svolgono attività Economiche.
[3] Va ricordato, che l’intestazione della legge-delega, Art 11, andava a menzionare sia le ”persone giuridiche” che ”gli enti privi di personalità giuridica”. Il legislatore ha invece preferito il solo uso del termine ”Ente” al posto di ”Persona Giuridica” poichè, come si evince dalla stessa relazione Governativa che accompagna il decreto, tale termine avrebbe dovuto essere dilatato troppo al di là della sua capacità semantica, per poter ricomprendere anche gli enti privi di quel requisito.
[4] C.PECORELLA. Principi Generali e criteri di attribuzione della responsabilità. In La responsabilità amministrativa degli enti. D.lgs. 8 giungno 2001, n.231. Pag. 76 ss. IPSOA, 2002.
[5] Art 12 Codice Civile: Le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento concesso con decreto del Presidente della Repubblica. Per determinate categorie di enti che esercitano la loro attività nell’ambito della Provincia, il Governo può delegare ai prefetti la facoltà di riconoscerli con loro decreto.
[6] S.GENNAI – A.TRAVERSI. Op. Cit. MILANO, 2001.
[7] Art 27 D.Lgs 231/2001: Dell’obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria risponde soltanto l’ente con il suo patrimonio o con il fondo comune.I crediti dello Stato derivanti degli illeciti amministrativi dell’ente relativi a reati hanno privilegio secondo le disposizioni del codice di procedura penale sui crediti dipendenti da reato. A tale fine, la sanzione pecuniaria si intende equiparata alla pena pecuniaria.
[8] C. PECORELLA. Op. Cit. Pag. 72 ss. IPSOA, 2002.
[9] Nel code pénal francese, ai sensi dell’art. 131-39 ult. Comma, le pene dello scioglimento e della sottoposizione a sorveglianza giudiziaria non sono applicabili ai partiti e gruppi politici, nè ai sindacati.
[10] G. DE SIMONE. Op. Cit. Pag. 84. PADOVA, 2002.
[11] E’ inoltre da ricordare che, con la legge del 8 Agosto 1992, n. 359, si è dato avvio ad un processo di privatizzazione per poter trasformare gli enti pubblici economici in società per azioni. Con tale legge infatti, sono stati trasformati in S.P.A. Società come l’ENEL, ENI e l’Ente ferrovie dello Stato, categoria dunque – di enti pubblici economici – che è destinata man mano a scomparire col passare del tempo.
[12] S. DI PINTO. Op. Cit. Pag 7 ss. TORINO, 2003.
[13] G. DE SIMONE. Op. Cit. Pag. 87. PADOVA, 2002.
[14] C. PECORELLA. Op. Cit. Pag 76. IPSOA, 2002.
[15] Il principio della irretroattività delle legge è stato costituzionalizzato soltanto con riguardo alla materia penale, mentre per le restanti materie l’osservanza del principio è rimessa alla prudente valutazione del legislatore – Corte Cost. 14 Marzo 1984, n. 68.
Per altro verso, illustre dottrina ritiene invece hc eil principio di irretroattivà sia sancito anche per l’illecito amministrativo da una fonte sovraordinata, l’Art 7 della convezione europea dei diritti dell’Uomo (CEDU)
[16] S. GENNAI – A.TRAVERSI. Op. Cit. Pag. 22. MILANO, 2001.
[17] Relazione al decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231. p. 439
[18] Il nullum crimen sine lege, lo si trovava espresso già nel pensiero settecentesco, in particolare da Beccaria, il quale diceva chiaramente che è solo la legge che deve decidere quali azioni dei cittadini debbano essere vietate. – A. CADOPPI – P. VENEZIANI. Elementi di Diritto Penale. PADOVA, 2012.
[19] A. CADOPPI – P. VENEZIANI. Op.Cit. Pag. 61 ss. PADOVA, 2012.
[20] Dove, lo stesso BECCARIA, nel ‘700 aveva detto che solo una legge chiara, precisa e tassativa poteva fa conoscere in anticipo ai cittadini lo spartiacque di ciò che è lecito e di ciò che non lo è. Egli infatti voleva, che i giudici non avessero alcun potere interpretativo, essi doveva essere bocche della legge semplici distributori automatici di sentenze.
[21] A. CADOPPI – P. VENEZIANI. Op. Cit. Pag 81. PADOVA, 2012.
[22] S. DI PINTO. Op. Cit. TORINO, 2003.
[23] Una novità, dato che nè la legge di depenalizzazione del 24 novembre 1981, n.689, che contiene i principi generali del sistema amministrativo, nè il D.Lgs. Del 30 dicembre 1999, n. 507, che ha parzialmente riformato il suddetto sistema, hanno preveduto una tale specifica disciplina in materia.
[24] La Giurisprudenza è in genere propensa a ricondurre la disciplina delle sanzioni amministrative a parametri di diritto civile e, ad escludere in questo campo l’ applicazione della disciplina posteriore più favorevole, contrapponendovi i principi di legalità e irretroattività richiamati dall’art 24 della legge del 24 Novembre 1981, n.689. (Cass. 3 Aprile, 2000, n. 4007, D.Gius, 2000, 14, 60)
[25] S. DI PINTO – Op. Cit. Pag. 21 ss. TORINO, 2003.
[26] Art 2, comma secondo, cod. penale: nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.
[27] S.GENNAI – A.TRAVERSI, Op. Cit. Pag 21 ss. MILANO, 2001
[28] Art 2, comma 4, Cod. Pen. Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.
[29] Art 2, comma 5, Cod. Pen. Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti.
[30] G. DE SIMONE. Op. Cit. Pag. 95. PADOVA, 2002.
[31] Con tale sentenza del 19 Febbraio 1985, n.51, la Corte Cost. ha dichiarato la parziale illegittimità del suddetto comma, per contrasto all’art 77, com. 3, Cost. Nella parte in cui consentiva che le disposizioni più favorevoli del decreto decaduto fossero comunque applicabili retroattivamente ai fatti pregressi.
[32] Tale fattispecie, non è stata espressamente prevista dalla legge-delega ma, è stato il Legislatore delegato a volerla inserire proprio per i motivi sopra riportati.
[33] S. DI PINTO – Op. Cit. Pag.25. TORINO, 2003.
[34] Art 19 Cod. Proc. Civ. Ultimo comma: ” … le società non aventi personalità giuridica, le associazioni non riconosciute e i comitati, hanno sede dove svolgono attività in modo continuativo. ”
[35] S. GENNAI – A. TRAVERSI. Op. Cit. Pag. 30 ss. MILANO, 2001.
[36] C. PECORELLA, Op. Cit. Pag. 79. IPSOA, 2002.
[37] G. DE SIMONE. Op. Cit. Pag. 98. PADOVA, 2002.
[38] A. CADOPPI – P. VENEZIANI. Op. Cit. Pag. 139 ss. PADOVA, 2012.
[39] D. PULITANO’ – La responsabilità da reato degli enti nell’ordinamento Italiano. In Responsabilità degli enti per i reati commessi nel loro interesse. Atti del convegno di Roma. 30 novembre – 1° Dicembre 2001. Pag. 14 ss. MILANO, 2003.
[40] Relazione Governativa che accompagna il decreto legislativo.
[41] All’interno della legge delega (300/2000) i reati-presupposto erano 16 di cui:
– I reati di corruzione, concussione e frode (artt. 24 e 25), gli unici poi salvati dal governo;
– I reati contro l’incolumità pubblica (art. 26 Reati previsti dal titolo VI del titolo II del codice penale);
– I reati in materia di sicurezza sul lavoro (art. 27 Omicidio colposo e lesioni colpose);
– I reati contro l’ambiente ed il territorio (artt. 28 Reati in materia di impiego dell’energia nucleare; 29 Reati in materia di radiazioni ionizzanti; 30 Reati in materia dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose; 31 Reati in materia di inquinamento atmosferico; 32 Reati in materia di pesca marittima; 33 Reati in materia di difesa del mare; 34 Reati in materia di tutela delle acque dall’inquinamento; 35 Reati in materia di prevenzione e riduzione integrale dell’inquinamento; 36 Reati in materia di utilizzazione di fanghi in agricoltura e 37 Reati in materia di rifiuti); – I reati contro l’urbanistica ed il paesaggio (artt. 38 Reati in materia di edilizia; 39 Reati in materia di aree protette e di beni culturali e ambientali).
[42] G. AMARELLI – Il catalogo dei reati presupposto del D.lgs n. 231/2001, quindici anni dopo. Tracce di una razionalità inesistente. Pag. 3 ss. Pubblicato il 23.05.2016, in lalegislazionepenale.eu
[43] I reati in danno dello Stato o di un altro ente pubblico: (malversazione a danno dello Stato, indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, truffa, frode informatica. art. 24);
– delitti informatici e trattamento illecito dei dati (art. 24 bis);
– delitti di criminalità organizzata (art. 24 ter);
[44] Sono i reati di: concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità e corruzione (art. 25);
– Falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento. (art. 25 bis);
– Delitti contro l’industria e il commercio. (art. 25 bis 1);
– Reati societari previsti dal codice civile (art. 25 ter);
– Delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico. (previsti dal codice penale e dalle leggi speciali, o in violazione dell’art. 2 convenzione di New York 9 dicembre 1999 per la repressione del finanziamento del terrorismo art. 25 quater);
– Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art. 25 quater 1);
– Delitti contro la personalità individuale (art. 25 quinquies);
– Abusi di mercato (art. 25 sexies);
– Omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro (art. 25 septies);
– Ricettazione, Riciclaggio e Impiego di denaro, beni o altra utilità di provenienza illecita nonché autoriciclaggio (art. 25 octies);
– Delitti in materia di violazione dei diritti d’autore (art. 25 novies);
– Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria (art. 25 decies);
– Reati ambientali (art. 25 undecies);
– Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (art. 25 duodecies).
[45] S. GENNAI – A. TRAVERSI. Op. Cit. Pag. 36 ss. MILANO, 2001.
[46] Il progetto Grosso, propose invece nell’art 123, comma 1 un modello aperto, fondato su un duplice criterio:
- a) delitti dolosi commessi ” per conto o comunque nell’interesse specifico” della persona giudicia stessa, da parte di soggetti competenti a impegnarla;
- b) Reati realizzati nello svolgimento dell’attività della persona giuridica, con inosservanza di disposizioni pertinenti a tale attività, da persone che ricoprono una posizione di garanzia nell’ambito dell’organizzazione (esclusi i reati commessi in danno della persona giuridica).
[47] Tale legge, delegò il Governo ad introdurre una specifica disciplina della responsabilità amministrativa delle società nel caso in cui un reato tra quelli contestualmente indicati, siano commessi nell’interesse della società‘ da amministratori, direttori generali o liquidatori o da persone sottoposte alla vigilanza di questi ultimi, qualora il fatto non si sarebbe realizzato se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi inerenti alla loro carica. (art 11, lett. h)
[48] P. DE FELICE – Op. Cit. Pag. 133. BARI, 2002.
[49] Secondo una delle prime interpretazioni fornite dalla Giurisprudenza – Trib. Milano, Sex XI, ordinanza 14 dicembre 2004, – l’espressione ” interesse o vantaggio dell’ente ” non costituisce una endiadi rafforzativa, in quanto i due termini non sono sinonimi e la congiunzione ‘o‘ deve essere intesa in modo disgiunto, nel senso che, purchè il reato sia stato compiuto nell’interesse dell’ente, non occorre anche che da esso l’ente abbia tratto un vantaggio. E’ quindi espressamente previsto che il reato possa essere commesso nell’interesse dell’ente se che esso, non ne ricavi alcun vantaggio o ne ricavi un vantaggio minimo.
[50] S. DI PINTO – Op. Cit. Pag. 42. TORINO, 2003.
[51] D. PULITANO’ – Op. Cit. Pag. 15. MILANO, 2003.
[52] G. DE SIMONE – Op. Cit. Pag. 103. PADOVA, 2002.
[53] In relazione ai soggetti che esercitano anche di fatto la gestione il controllo dell’ente, la relazione ha espressamente stabilito che deve trattarsi di un soggetto in grado di esercitare un vero e proprio domino sull’ente.
[54] S. DI PINTO – Op. Cit. Pag. 38. TORINO, 2003.
[55] S. GENNAI – A. TRAVERSI – Op. Cit. Pag 40ss. MILANO, 2001.
[56] L’art 2094 del c.c definisce il prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore .
[57] L’art 2095 del c.c definisce le categorie dei lavoratori subordinati, andandoli a distinguere in: dirigenti, quadri, impiegati e operai.
[58] G. DE SIMONE – Op. Cit. Pag 101. PADOVA, 2002.
[59] Il riferimento è esplicito, come si evince dalla stessa Relazione, essi sono improntati sul sistema del Compliance Programs accolto negli Stati uniti, ossia a quella sorta di programmi di autoregolamentazione con i quali l’ente mira a prevenire o quantomeno a minimizzare, il rischio della commissione di reati da parte dei soggetti operanti all’interno dell’ente stesso.
[60] C. PECORELLA – Op. Cit. Pag. 85. IPSOA, 2002.
[61] A. DE VIVO – Parte I : Ambito Applicativo del D.Lgs. N. 231/2001. In Responsabilità Amministrativa delle persone Giuridiche. A cura di F. M. D’ANDREA – A. DE VIVO – L.F. MARTINO. Pag. 9 ss. MILANO, 2003.
[62] E’ da sottolineare che la previsione di tali modelli costituisce una novità: nella legge delega infatti, tali modelli non erano neppure menzionati.
[63] S. GENNAI – A. TRAVERSI – Op. Cit. Pag. 46. MILANO, 2001.
[64] D. PULITANO’ – Op. Cit. Pag. 22. MILANO, 2003.
[65] Per esimente, si deve intendere una causa di esclusione della pena (o punibilità), e non del reato. Dove in presenza di una di esse – in questo caso l’aver adottato ed efficacemente attuato un modello organizzativo – il legislatore ritiene che non si debba applicare la pena. La loro presenza quindi, esclude non la illeiceità del fatto, ma solo la sua punibilità.
[66] Art 101 c.p. Reati della stessa Indole : ”Agli effetti della legge penale, sono considerati reati della stessa indole non soltanto quelli che violano una stessa disposizione di legge, ma anche quelli che, pure essendo preveduti da disposizioni diverse di questo codice ovvero da leggi diverse, nondimeno, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li determinarono, presentano, nei casi concreti caratteri fondamentali comuni ” .
[67] F.M. D’ANDREA – Parte II : Profili Processuali. In Responsabilità Amministrativa delle persone Giuridiche. A cura di F. M. D’ANDREA – A. DE VIVO – L.F. MARTINO. Pag. 23 ss. MILANO, 2003.
[68] S. DI PINTO – Op. Cit. Pag. 50 ss. TORINO, 2003.
[69] In particolare, facciamo riferimento alle Federal Sentencing Guidelines Americane, con successive modifiche del 2004.
Le Guidelines, forniscono una serie di precisazioni circa i contenuti ottimali, o comunque indicativi della serietà ed attendibilità dei programmi di osservanza i quali, se vengono rispettati garantiscono una notevole riduzione delle sanzioni pecuniarie applicabili alla persona giuridica. Per un maggior approfondimento, si rimanda ai testi di: G. DE VERO. La responsabilità penale delle persone giuridiche. Pag. 65. MILANO, 2008 – M. SILANO. Profili di diritto comparato del corporate crime. Il 14 Gennaio 2005 In: Rivista sul d.lgs 321/2001 e sul diritto penale d’impresa. A c., di M. ARENA. reatisocietari.it
[70] C. PIERGALLINI – Parte I La responsabilità degli enti per i reati commessi nel loro interesse o a loro vantaggio. Sezione I: La struttura del modello di organizzazione, gestione e controllo del rischio-reato. Pag. 96 ss. In Reati e responsabilità degli enti. Guida al d. lgs. 8 giugno 2001, n.23. A cura di G. LATTANZI. MILANO, 2010.
[71] S. GENNAI – A. TRAVERSI. Op. Cit. Pag 51 ss. MILANO, 2001.
[72] G. DE SIMONE – Op. Cit. Pag. 110. PADOVA, 2002.
[73] La relazione, spiega l’intento del legislatore nel formulare tale norma, ed è stato quello di Ancorare il rimprovero dell’ente alla mancata adozione ovvero al mancato rispetto degli standard doverosi, per poter così motivare l’ente all’osservanza degli stessi, e quindi a prevenire la commissione di reati da parte delle persone fisiche che vi fanno capo (…) piuttosto che sancire un generico dovere di vigilanza dell’ente, si è preferito riempire tale dovere di specifici contenuti (…) richiedendo all’ente l’adozione di modelli comportamentali specificamente calibrati sul rischio-reato ai fini dell’esenzione a tale responsabilità.
[74] S. DI PINTO – Op. Cit. Pag. 53. IPSOA, 2002.
[75] Relazione governativa che accompagna il D.lgs 8 Giugno, n. 231, del 2001. P. 49.
[76] A. DI AMATO – A. D’AVIRRO – Op. Cit. Pag. 170 ss. PADOVA, 2009.
[77] Relazione Governativa Op. Cit.
[78] S. GENNAI – A.TRAVERSI. Op. Cit. Pag. 52 ss. MILANO, 2001.
[79] G. DE SIMONE. Op. Cit. Pag. 113. PADOVA, 2002.
[80] D. PULITANO’. Op. Cit. Pag. 23. MILANO, 2003.
[81] Relazione governativa che accompagna il decreto 8 giugno 2001, n. 231. Pag. 450 ss.
[82] Il primo comma, dell’art. 415 c.p.p esplicita chiaramente che quando è ignoto l’autore del reato il pubblico ministero, entro sei mesi dalla data della registrazione della notizia di reato, presenta al giudice richiesta di archiviazione ovvero di autorizzazione a proseguire le indagini.
[83]S. DI PINTO. Op. Cit. Pag. 58. TORINO, 2003.
[84] L’istituto dell’imputabilità, va ad essere disciplinato dagli artt. 85 al 98 del c.p., attiene alla capacità di un soggetto di intendere e di volere.
[85] S. GENNAI – A. TRAVERSI. Op. Cit. Pa.g 60. MILANO, 2001.
[86] In passato, la rinuncia all’amnistia non era consentita. La Corte Cost. Il 14 luglio 1971, con sentenza n. 175, ha dichiarato l’illegittimità dell’art 151, 1 comma, c.p., nella parte in cui non prevedeva che l’amnistia sia rinunciabile.
[87] G. DE SIMONE. Op. Cit. Pag. 117. PADOVA, 2002.
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