La responsabilità civile del soggetto volontario e il problema assicurativo

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Analisi dei caratteri della responsabilità civile e del danno ingiusto rapportati all’inquadramento del soggetto volontario e dell’organizzazione da cui dipende.

Per introdurre al meglio il tema riguardante l’inquadramento della responsabilità del soggetto volontario, sembra conveniente partire dallo stesso significato che caratterizza il termine. “Responsabilità” significa che un soggetto deve rendere conto sul piano umano, morale o giuridico, di fatti, attività, eventi di cui è autore o parte in causa, e subirne le conseguenze. L’istituto giuridico della “responsabilità civile” detta le regole che disciplinano le ipotesi in cui qualcuno ha subito un danno e qualcun altro è obbligato a ripararlo e comprende sia quelle dettate in tema di fatti illeciti, sia quelle relative all’inadempimento delle obbligazioni[1]. Di responsabilità civile, oltre che in senso lato – come responsabilità derivante dalla violazione di un obbligo di diritto privato e che rientra, quindi, nella sfera dei rapporti fra privati – si parla anche, e soprattutto, per indicare la responsabilità derivante da fatto illecito, della quale il codice civile tratta negli artt. 2043 – 2059. Secondo l’art. 2043 del Codice Civile “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. La norma è da intendere non quale sintesi di doveri specifici, ma come principio generale in base al quale è civilmente illecito qualunque fatto lesivo di un interesse protetto dall’ordinamento giuridico[2].

La clausola generale contenuta nell’art. 2043 consente <<l’adattamento di tale norma alle circostanze del caso attraverso la valutazione dei limiti di meritevolezza degli interessi pretesamente lesi; anche in relazione ad altri interessi antagonisti, secondo l’evolversi della coscienza sociale e del sistema […] nonché degli strumenti […] a disposizione dei soggetti titolari di tali interessi>>[3]. La responsabilità che consegue alla violazione del precetto del neminem laedere – espressione con la quale si indica l’insieme dei doveri che incombono su ciascuno in relazione alle altrui situazioni giuridicamente tutelate – prende il nome di responsabilità aquiliana o extracontrattuale o da atto o fatto illecito o ancora quello di responsabilità civile. Affinché dal fatto illecito sorga responsabilità per chi l’ha posto in essere, sono necessari alcuni presupposti, ai quali – in corrispondenza con quanto avviene nel diritto penale, là dove si discorre di elementi costitutivi del reato – si assegna comunemente il nome di elementi del fatto illecito. Essi sono: il comportamento commissivo od omissivo, il nesso di causalità, la colpevolezza e il danno ingiusto. Alcuni di questi concernono l’imputazione materiale o oggettiva del fatto al suo autore, altri la sua imputazione morale o soggettiva.

Il disegno del legislatore è quello di ricondurre ogni ipotesi di responsabilità ad un comportamento. E perciò si individua nel fatto proprio dell’agente la fonte della responsabilità: là dove “fatto proprio” è sia quello immediatamente riferibile alla persona, sia quello che tale è reputato in virtù di fattispecie particolari espressamente disciplinate dalla legge[4]. Il codice civile, accanto alla responsabilità “per colpa”, individuata, come detto, dall’art. 2043, prevede anche alcune ipotesi di responsabilità indiretta, anche detta “per fatto altrui”. In tali fattispecie, disciplinate dagli artt. 2047 e ss., alla responsabilità di chi ha commesso il fatto, si aggiunge (e, a volte, si sostituisce) quella di un altro soggetto, al fine di accrescere, in capo alla persona lesa, la possibilità di ottenere il risarcimento del pregiudizio subito. In particolare il codice civile disciplina la responsabilità per il danno cagionato dall’illecito dei “domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”, ponendo il relativo onere a carico dei loro “padroni” e “committenti”[5], secondo quanto stabilito dall’art. 2049 dello stesso codice. Così viene recepita dalla tradizione un’ulteriore responsabilità per fatto altrui.

E’ conveniente analizzare questa tipologia di risponsabilità per cercare di comprendere al meglio quella derivante dal fatto commesso da un soggetto volontario. Presupposti per l’applicazione di questa disposizione sono: un fatto illecito dei “domestici” o “commessi”, del quale questi sono tenuti a rispondere[6]; l’esistenza di un rapporto di “preposizione” fra questi ultimi e i “committenti”[7]; un nesso di interdipendenza tra danno e incombenze[8]. Per quanto concerne il rapporto di preposizione, è indispensabile far riferimento all’ampia elaborazione giurisprudenziale per comprendere la sua effettiva estensione. Il suddetto rapporto è certamente individuabile nel lavoro subordinato e nel mandato. Per la sua esistenza è anche sufficiente una mera relazione, temporanea e occasionale, tra chi esplichi, in condizione di subordinazione, un’attività per conto di altri, il quale abbia un potere di direzione, controllo e sorveglianza sulla condotta del primo[9].

Ricordo, che è da escludere un rapporto di preposizione tra appaltante e appaltatore dato che quest’ultimo ha una posizione autonoma e assume in proprio il rischio dell’opera; come lo stesso rapporto è escluso anche nel contratto di agenzia, in quanto l’agente ha un’autonomia rispetto all’imprenditore, sì che delle attività del personale dell’agenzia risponde esclusivamente l’agente[10]. Mentre in dottrina si suggeriscono criteri restrittivi, secondo la giurisprudenza, tra danno ed esercizio delle incombenze, non è necessario il nesso di causalità, ma è sufficiente un semplice rapporto di “occasionalità necessaria”[11], sì che l’incombenza svolta abbia determinato una situazione tale da agevolare o, almeno, rendere possibile l’evento dannoso.  esclude la responsabilità del committente allorché l’illecito sia stato perpetrato dopo la cessazione del rapporto di dipendenza.

Né occorre che l’incombenza attenga allo svolgimento delle funzioni e degli incarichi inerenti al rapporto fra committente e commesso, bastando un qualsiasi collegamento funzionale o strumentale, seppur marginale, fra lo svolgimento dell’incarico e l’evento lesivo. Non sussiste relazione, sia pure occasionale, tra danno ed esercizio delle incombenze se l’attività del commesso abbia deviato completamente dall’ambito del rapporto con il committente e non abbia avuto nessuna attinenza o connessione, neppure indiretta, con le finalità in vista delle quali le mansioni erano state affidate; ovvero il commesso abbia perseguito finalità proprie alle quali il committente non fosse interessato e si sia abusivamente servito della sua posizione lavorativa per raggirare il terzo[12].

Riguardo all’onere della prova, spetta al danneggiato provare il fatto doloso o colposo dei dipendenti, grava invece sul committente l’onere di provare l’interruzione del nesso tra le mansioni affidate e l’illecito commesso dal dipendente[13]. Il committente che abbia risarcito il danno cagionato dal commesso può esperire azione di rivalsa contro il dipendente, autore del fatto dannoso, per l’intera somma pagata al terzo danneggiato, escludendosi la possibilità di attribuire al committente una qualsiasi parte dell’onere risarcitorio[14]. Passando al tema centrale di questo approfondimento, come noto, il volontario è colui che presta in modo assolutamente gratuito e spontaneo la propria opera all’interno delle organizzazioni di volontariato. Al di là dei vari dubbi che ancora caratterizzano l’ordine di inquadramento teorico del lavoro volontario, si è affermato che quest’ultimo non può definirsi atipico, perché esso è regolato espressamente dal legislatore. Si cerca, quindi, di dare una sorta di spiegazione alla responsabilità del soggetto volontario, derivante dalla prestazione della propria opera.

In linea generale, leggendo l’art. 4 della legge quadro sul volontariato, 266 del 1991, si evince, per quanto riguarda gli obblighi previsti a carico delle organizzazioni nei confronti del volontario, il diritto di essere assicurati, tramite polizze private, contro gli infortuni e le malattie connesse allo svolgimento delle attività, nonché per la responsabilità civile verso i terzi[15]. L’articolo sul quale ci si deve soffermare è proprio il 2049 del c.c., rubricato, “Responsabilità dei padroni e dei committenti”, e il quale afferma, come detto, che: “i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”. Questa disposizione, dalla formula arcaica, è certamente una delle più importanti per la responsabilità delle organizzazioni di volontariato, perché è grazie alla presenza di questa norma che l’organizzazione è tenuta a rispondere dei fatti illeciti commessi dai propri associati: si tratta di una norma molto rigorosa, che non lascia alcuna prova liberatoria al preponente, il quale è responsabile per il solo fatto che un suo collaboratore abbia arrecato un danno nello svolgimento delle mansioni alle quali era preposto.

L’interpretazione che di questa norma è stata data dalla giurisprudenza, tuttavia, ne ha notevolmente ampliato la portata, al punto che, attualmente, può ritenersi applicabile anche alle organizzazioni di volontariato per i fatti commessi dagli associati e dai volontari. Pur non essendo possibile stabilire con certezza a priori quali siano le situazioni che un giudice potrebbe far rientrare nell’art. 2049, va segnalato come si registri la tendenza a non ritenere necessario un rapporto di lavoro subordinato per l’applicabilità della norma, essendo sufficiente un più generico inserimento di un soggetto in un organizzazione gerarchica che abbia poteri di direzione e di sorveglianza, oppure più semplicemente un atto di volontà del dominus che chiede ad altri di svolgere una determinata attività nel proprio interesse mediante un incarico. Dall’esame dei casi già portati all’attenzione dei giudici, è agevole ritenere che, in generale, l’organizzazione di volontariato risponda dei fatti dei propri associati compiuti nello svolgimento delle mansioni alle quali la stessa organizzazione li ha adibiti.

E’ necessario, quindi, che l’organizzazione di volontariato stipuli una polizza assicurativa per la responsabilità che può derivare dal fatto di quei soggetti che svolgono una qualche attività  per conto dell’organizzazione stessa. Quindi per espressa previsione normativa, l’organizzazione è tenuta a tutelare il volontario sia da un punto di vista personale, che nei rapporti verso i terzi[16]. E’ importante sottolineare come la copertura prevista dalla L. 266/1991 preveda l’obbligo di assicurazione solo per i volontari e non anche per la stessa organizzazione, la quale però, ai sensi dell’art. 2049 c.c. è, in pratica, sempre corresponsabile in solido[17]. Con il decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigiano emanato il 14 febbraio 1992 sono stati individuati i meccanismi assicurativi semplificati con polizze anche numeriche o collettive e sono stati disciplinati i relativi controlli[18]. L’art. 1 dello stesso decreto, con riferimento all’art. 4 della legge 11 agosto 1991, n. 266, recita così: “Le organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, sono obbligate ad assicurare i propri aderenti, che prestino attività di volontariato, contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell’attività stessa, nonché per la responsabilità civile per i danni cagionati a terzi dall’esercizio dell’attività medesima”. Appare evidente l’obbligo per tutte le organizzazioni di volontariato di assicurare i propri volontari nell’ambito dell’attività da loro svolta[19]. Per le organizzazioni di volontariato, al contrario delle cooperative sociali, la copertura assicurativa non avviene tramite l’INAIL, ma tramite assicurazioni private[20]. Per mettersi in regola con gli obblighi assicurativi stabiliti dalla legge – quadro sul volontariato, le organizzazioni dovranno tenere registri numerati progressivamente, bollati in ogni foglio da un notaio e annualmente vidimati, con tutte le generalità degli aderenti. Inoltre quotidianamente il registro dovrà annotare le nuove adesioni e le eventuali uscite[21]. Presso la sede competente dell’INAIL verranno aperte le posizioni assicurative delle

organizzazioni di volontariato, che dovranno conservare uno speciale registro, preventivamente numerato, e come detto, vidimato e bollato da un notaio, annotando di volta in volta le adesioni e le uscite dei volontari[22]. Il decreto prevede delle polizze assicurative relativamente semplici nella loro struttura, essendo possibile sia la forma collettiva che la forma numerica, che <<… in forza di un unico vincolo contrattuale determinano una molteplicità di rapporti assicurativi riguardanti una pluralità di soggetti assicurati determinati o determinabili con riferimento al registro di cui all’art. 3>> (art. 2, comma 2). In sostanza è previsto un automatismo tra la decorrenza delle garanzie assicurative e l’iscrizione nel registro che l’organizzazione è obbligata a tenere; in pratica la copertura assicurativa per un volontario è garantita per il solo fatto di essere iscritto[23]. Come detto l’art. 4 delle legge 266/1991 ha introdotto l’obbligo di assicurazione a carico delle organizzazioni di volontariato e a favore dei volontari. L’assicurazione prevista dalla legge prevede, come sottolineato, una duplice copertura perché comprende sia una responsabilità contro gli infortuni e le malattie connesse allo svolgimento dell’attività di volontariato, sia una assicurazione per la responsabilità civile verso terzi. E’ opportuno sottolineare fin d’ora la notevole differenza tra i due tipi di copertura: con l’assicurazione per gli infortuni il volontario è assicurato per gli infortuni (e quindi solo per i danni alla persona) che capitano a lui stesso; con l’assicurazione di responsabilità civile il volontario è assicurato per danni (alle persone e alle cose) che lui cagioni ad altri.

La copertura di responsabilità civile opera solo quando il sinistro che si è verificato sia imputabile al volontario[24]. La copertura per la responsabilità civile dei volontari è, quindi, necessaria per evitare che i volontari stessi possano essere costretti a dover risarcire i danni arrecati a terzi. Si tratta di un’assicurazione relativamente semplice in quanto essa deve coprire i danni sia alle persone che alle cose che vengano cagionati a terzi, e di cui, tuttavia, alcuni aspetti meritano attenzione. Poiché la copertura riguarda soltanto i danni connessi allo svolgimento dell’attività dell’organizzazione di volontariato è assai importante che l’attività compiuta dal volontario e in occasione della quale il sinistro si verifica, corrisponda a quella dichiarata al momento della stipula del contratto di assicurazione.  E’ quindi opportuno che tale descrizione sia, per quanto possibile, generica e onnicomprensiva così da non correre il rischio di vedersi contestare la connessione tra il sinistro e l’attività di volontariato.

Importante è la precisa individuazione dei soggetti che, se danneggiati, devono essere risarciti dalla compagnia. A tal proposito viene genericamente impiegata la nozione di terzo: a rigore essa indica tutte le persone estranee a un rapporto contrattuale. Poiché l’organizzazione di volontariato si regge su di un contratto associativo tra i vari associati alla stessa, il problema è che sicuramente sono terzi i soggetti estranei all’organizzazione, mentre potrebbero non essere considerati tali i volontari e gli associati alla stessa organizzazione di volontariato. Per tale ragione, è necessario richiedere espressamente che nella polizza venga specificato che anche i volontari, gli associati e la stessa organizzazione di volontariato nei reciproci rapporti sono da considerare terzi: in tal modo l’assicurazione potrà essere chiamata a rispondere anche dei danni che gli associati e i volontari possano arrecarsi reciprocamente[25]. L’art. 4 della legge 266/1991, pur essendo un apprezzabile sforzo per introdurre l’assicurazione obbligatoria in un settore nel quale i temi della responsabilità civile sono troppo spesso trascurati, ha però il gravissimo difetto di trascurare completamente la tutela della organizzazione di volontariato: essa prevede l’assicurazione soltanto per i danni cagionati dai volontari, ma non offre una tutela per l’organizzazione di volontariato in tutti quei casi in cui l’ente può essere chiamato a rispondere direttamente nei confronti dei terzi. Si ci pone la domanda di chi debba rispondere dei danni derivanti da illecito di cui sia responsabile l’associazione. A questo proposito, va segnalato come la legge sia solo parzialmente chiara e viga, anzi, grande incertezza proprio in relazione alla stragrande maggioranza delle organizzazioni di volontariato. La risposta non è univoca e dipende dalla qualificazione giuridica della organizzazione di volontariato: dipende cioè dalla natura giuridica dell’organizzazione.

La legge 266/1991 disciplina le organizzazioni di volontariato essenzialmente per quanto attiene ai profili tributati e dell’attività, ma nulla dice circa la struttura delle stesse e per la disciplina di tale aspetto è quindi necessario esaminare quanto previsto dal codice civile. Lo stesso, disciplina diversi enti collettivi, caratterizzati dal perseguimento di uno scopo non lucrativo. Per comprendere chi debba rispondere di un eventuale danno arrecato dall’organizzazione di volontariato è dunque necessario esaminare quale sia la struttura che è stata prescelta e che può essere quella dell’associazione, fondazione o comitato[26]. Analizzando l’art. 38 del codice civile, riguardo alle associazioni non riconosciute, questo afferma che: “Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”.

La ratio di tale disposizione è da ravvisare sicuramente nella necessità di assicurare un’adeguata garanzia ai terzi che siano entrati in rapporti negoziali con l’associazione[27], ma si presenta di difficile interpretazione quando ci si trovi a dover stabilire chi debba rispondere per le obbligazioni nascenti da fatto illecito, specie nei casi in cui l’organizzazione di volontariato sia responsabile anche senza che nessuno abbia agito. Sulla base della disciplina prevista per i comitati, secondo la quale, qualora il comitato non abbia ottenuto la personalità giuridica, i sui componenti rispondono personalmente e solidalmente delle obbligazioni assunte[28], ma non ne rispondono i sottoscrittori, sembra prevalere la tesi per cui dell’eventuale risarcimento del danno da fatto illecito dovrebbero farsi carico solidalmente tutti gli amministratori dell’organizzazione di volontariato[29].

In conclusione, ricordo, che l’organizzazione di volontariato può essere responsabile a diverso titolo in una serie di circostanze; e come  esposto in precedenza, anche in base all’art. 2049 c.c., in tutte le ipotesi in cui il danno sia stato cagionato dal volontario o dall’associato durante l’espletamento delle mansioni alle quali era stato preposto dall’organizzazione di volontariato; nella maggioranza dei casi alla responsabilità del singolo agente si accompagna anche la responsabilità solidale della stessa organizzazione di volontariato. Nel caso in cui un soggetto venga danneggiato da un volontario egli avrà diritto ad ottenere il risarcimento dal volontario o dall’organizzazione di volontariato, ma quando l’assicurazione del volontario abbia risarcito il danno sono liberati sia il volontario che l’organizzazione di volontariato. Quindi in tutti i casi “coperti” dall’assicurazione obbligatoria anche l’organizzazione di volontariato può dirsi “coperta”. Il problema sorge nei casi che non siano coperti dall’assicurazione obbligatoria e più specificamente le circostanze che possono determinare la responsabilità diretta della stessa organizzazione di volontariato, come, il caso in cui non sia individuabile il volontario che ha causato il danno; in caso di superamento del massimale; quando il danno sia arrecato da un associato che non sia un volontario e quindi non abbia alcuna copertura assicurativa; o ancora, nel momento in cui il danno sia arrecato da un volontario che non sia stato correttamente assicurato da parte dell’organizzazione di volontariato[30].

 

[1] A. FLAMINI, Responsabilità Civile e Costituzione, Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino, N. 2/2013, Novembre 2013, Pag. 1. sul tema, G. VISINTINI, Cos’è la Responsabilità Civile. Fondamenti della disciplina dei fatti illeciti e dell’inquadramento contrattuale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2009, Pagg. 11 ss..

[2] P. PERLINGIERI, Manuale di Diritto Civile, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2014, PAG. 893.

[3] Corte Costituzionale 156/99; 243/00; 340/01.

[4] P. PERLINGIERI, Manuale di Diritto Civile, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2014, pag. 897.

[5] P. PERLINGIERI, Manuale di Diritto Civile, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2014, pag. 919.

[6] C. 4742/05.

[7] C. 7760/92.

[8] C. 6691/98

[9] P. PERLINGIERI, Manuale di Diritto Civile, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2014, pag. 919.

 

[10] P. PERLINGIERI, Manuale di Diritto Civile, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2014, pag. 920.

[11]In tal senso, C 6341/98; C 19167/05

[12] P. PERLINGIERI, Manuale di Diritto Civile, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2014, pagg. 920-921.

[13] T Milano 16.6.80.

[14]  P. PERLINGIERI, Manuale di Diritto Civile, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2014, pag.. 922; C 856/82.

[15] R. CAPUNZO, Gli Enti non profit – i controlli e le attività, Napoli, Editoriale Scientifica, 2008, pag. 237.

[16] S. CERASOLI, Il volontario quale soggetto attivo nel sistema integrato dei servizi sociali, Altalex, Commerciale – Amministrativo, 2007, <http://www.altalex.com/documents/news/2007/07/31> (10/08/2007).

[17] M. CAPECCHI, La responsabilità civile nell’attività di volontariato e il problema assicurativo, Celivo, Cerntro servizi al volontario, 2003. <www.celivo.it> , Pagg. 8-9

[18] R. CAPUNZO, Gli enti non profit – I controlli e le attività, Napoli, Editoriale Scientifica, 2008, pag. 237.

[19] A. PROPERSI- G. ROSSI, Gli enti non profit, Milano, Giuffrè, 2015, pag. 284.

[20] A. PROPERSI- G. ROSSI, Gli enti non profit, Milano, Giuffrè, 2015, pag. 285.

[21] R. CAPUNZO, Gli Enti non profit – i controlli e le attività, Napoli, Editoriale Scientifica, 2008, PAG. 237.

[22] A. PROPERSI – G. ROSSI, S. PETTINATO (a cura di), Gestire il non profit. Guida pratica alla gestione degli enti senza fine di lucro, Il Sole 24 ore, Libri, 1997.

[23] A. PROPERSI- G. ROSSI, Gli enti non profit, Milano, Giuffrè, 2015, pagg. 285-286.

[24] M. CAPECCHI, La responsabilità civile nell’attività di volontariato e il problema assicurativo, Celivo, Cerntro servizi al volontario, 2003. <www.celivo.it>, Pag. 15.

[25] M. CAPECCHI, La responsabilità civile nell’attività di volontariato e il problema assicurativo, Celivo, Cerntro servizi al volontario, 2003. <www.celivo.it> , Pagg. 23-24.

[26] M. CAPECCHI, La responsabilità civile nell’attività di volontariato e il problema assicurativo, Celivo, Cerntro servizi al volontario, 2003. <www.celivo.it>, Pagg. 26-27.

[27] Commentario al Codice Civile, a cura di P. Cendon, Libro I, Titolo II delle persone giuridiche, Milano, Giuffrè, Pag. 790.

[28] Art. 41 Codice Civile.

[29] M. CAPECCHI, La responsabilità civile nell’attività di volontariato e il problema assicurativo, Celivo, Cerntro servizi al volontario, 2003. <www.celivo.it>, Pag. 28.

[30] M. CAPECCHI, La responsabilità civile nell’attività di volontariato e il problema assicurativo, Celivo, Cerntro servizi al volontario, 2003. <www.celivo.it>, Pag. 29.

Dott. Vertucci Giuseppe

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