“È in colpa la Pubblica Amministrazione, la quale né provvede alla manutenzione o messa in sicurezza delle aree, anche di proprietà privata, latistanti le vie pubbliche, quando da essa possa derivare pericolo per gli utenti della strada, né provvede ad inibirne l’uso generalizzato.
Ne consegue che, nel caso di danni causati da difettosa manutenzione di una strada, la natura privata di questa non è di per sé sufficiente ad escludere la responsabilità dell’Amministrazione Comunale, se per la destinazione dell’area o per le sue condizioni oggettive l’amministrazione era tenuta alla sua manutenzione”.
Questo il principio di diritto espresso da una recente e significativa decisione della Corte Regolatrice (Presidente Amendola – Relatore Rossetti) in un caso in cui si discuteva di un danno subito da un pedone per effetto delle lesioni personali patite a causa di una caduta, avvenuta mentre percorreva una strada comunale ed ascritta al carente stato manutentivo di questa.
Nei due gradi del giudizio di merito l’esito della domanda risarcitoria era stato diverso in quanto il Tribunale di Foggia diede ragione al soggetto infortunato mentre la Corte di Appello di Bari ribaltò tale decisione, riformandola sulla base della circostanza che non era stato provata la proprietà comunale del tratto stradale in cui avvenne la caduta.
Approdata in Cassazione, i Supremi Giudici accoglievano il ricorso sulla base dell’enunciato principio che, in verità, non è nuovo nella giurisprudenza di legittimità, spesso chiamata a risolvere controversie che scaturiscono, nella maggior parte dei casi, a causa del dissesto stradale (quello legato all’esistenza di buche nel manto stradale è il più evidente), nell’ipotesi in cui la sede viaria appartenga all’Ente Pubblico.
Mette conto di rilevare, a tal riguardo, che l’attuale assetto giurisprudenziale declina per l’applicabilità del referente normativo rappresentato dall’art. 2051 CC, a condizione, però, che l’Ente Pubblico possa assolvere concretamente ai propri doveri di custodia o sorveglianza, previsti da detta disposizione normativa, in un contesto in cui l’estensione del bene demaniale e la sua fruibilità, da parte di innumerevoli utilizzatori, non consente di escludere automaticamente la responsabilità dell’Ente Pubblico medesimo. Ed, infatti, dette caratteristiche assumono soltanto valore per verificare se le PA possa invocare il fortuito e, dunque, valutare l’onere che l’Ente deve assolvere per sottrarsi alla responsabilità (v. ad esempio Cass. 8377/2009).
In altro senso, l’appartenenza della strada al demanio o patrimonio della PA ed il suo uso da parte di un rilevantissimo numero di utenti, non escludono, come era stato ritenuto in precedenza, l’applicabilità dell’art. 2051 CC, ma rappresentono indici sintomatici dell’impossibilità di evitare la insorgenza di situazioni di pericolo di un bene ma non lo attestano in modo automatico, sicché l’art. 2051CC trova applicazione ogni qualvolta, nel caso concreto, non sia ravvisabile la oggettiva impossibilità di un esercizio del potere di controllo dell’Ente sul bene in custodia determinato, per l’appunto, dalla notevole estensione e dall’uso generalizzato degli utenti.
Devesi aggiungere, poi, che solitamente il custode di beni demaniali, destinati all’uso pubblico generalizzato degli utenti, a differenza del privato, è esposto a fattori di rischio maggiori proprio in considerazione degli innumerevoli utilizzatori del bene stesso rendendone più complicata la sorveglianza. Con la conseguenza che all’Ente Pubblico custode sono imputabili in modo selettivo solo i rischi che esso può essere tenuto a rispondere in relazione ai doveri di sorveglianza e di manutenzione, razionalmente esigibili in base ai criteri di corretta e diligente gestione, tenuto conto della natura del bene e della causa del danno (v. Cass. 15383/2006; Cass. 12449/2008).
Di qui, l’attuale approdo giurisprudenziale che individua la responsabilità dell’Ente Pubblico, proprietario della strada ove è avvenuto il sinistro, purché custode della stessa, sulla base della tipologia delle cause del danno ascrivibili allo stesso laddove esse siano intrinseche alla struttura del bene, sì da costituire fattori di rischio conosciuto o conoscibili a priori dal custode (usura o dissesto del fondo stradale, presenza di buche, segnaletica inadeguata), mentre integrerebbero il fortuito, idoneo ad escludere la responsabilità dell’Ente Pubblico unitamente al fatto dello stesso danneggiato, quelle situazioni di pericolo estemporaneamente create da terzi non conoscibili né eliminabili con immediatezza neppure con la più diligente attività di manutenzione (es. perdita di olio sul manto stradale da parte di un auto che precedendo un’altra la fa sbandare, improvviso abbandono sulla strada di materiale come vetri e ferri arrugginiti idoneo a provocare situazioni di pericolo, il lancio di sassi da un cavalcavia stradale etc.).
Abbiamo voluto richiamare i suddetti risultati interpretativi, raggiunti dalla giurisprudenza in subiecta materia, perché nel caso di specie, sottoposto alla decisione della Corte Regolatrice, il Giudice di appello aveva riformato la decisione di primo grado assumendo come fosse indispensabile la prova della appartenenza della strada all’Ente Pubblico citato in giudizio, nella specie del tutto carente con la conseguenza del mancato insorgere del diritto al risarcimento danni reclamato.
Nella sentenza in commento, gli Ermellini “ bacchettano” la Corte Territoriale ricordando come gli obblighi di custodia, da parte del Comune, non sono solo limitati alle strade demaniali o di proprietà dell’ente Pubblico, ma anche alla aree limitrofe alla strada stessa, non rilevando la appartenenza o meno al Comune di dette aree laddove queste siano di uso pubblico. Ragion per cui il Comune, laddove consenta alla collettività l’utilizzazione per il pubblico transito di aree private, è tenuto all’obbligo di sorveglianza, accertandosi della materiale manutenzione di queste con la conseguente possibilità di essere chiamato a rispondere del danno cagionato per la cattiva manutenzione dell’aree stesse (in questo senso anche Cass. 3387/1979 e 7/2010).
Nel caso di specie, la Corte Territoriale, dopo aver rilevato che l’area del sinistro era di uso pubblico, ha rigettato la domanda risarcitoria sull’erroneo presupposto che quell’area non era di proprietà comunale, violando così i principi di cui sopra si è detto.
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