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Indice
SEZIONE III
LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO MORALE.
SOMMARIO : 1. La valutazione in via equitativa. 2. La liquidazione del danno morale collegata al quantum del danno biologico. 3. Gli altri criteri per la liquidazione del danno morale.
1. LA VALUTAZIONE IN VIA EQUITATIVA.
Dopo aver analizzato nella Sezione II i criteri utilizzati per liquidare il danno biologico, è necessario affrontare lo stesso discorso per il danno morale. Nei paragrafi a seguire si parlerà pertanto del ricorso alla valutazione equitativa, del tentativo di ancorare la liquidazione del danno morale al danno biologico, per poi trattare di una nuova serie di metodi elaborati ovviamente sempre dalla giurisprudenza.
Per danno morale si intende ogni turbamento e sofferenza dell’animo che può riferirsi sia alla vittima diretta che alle eventuali vittime secondarie o di rimbalzo. La sua quantificazione monetaria presenta notevoli difficoltà, ben maggiori di quelle che pone la liquidazione del danno biologico e, come per quest’ultimo, il giudice deve quantificarlo valutandolo equitativamente (artt. 1226 e 2056 c.c.). Negli anni sono stati elaborati una serie di parametri cui fare riferimento nella liquidazione (l’intensità del patema d’animo, il grado di sensibilità dell’offeso, il comportamento del danneggiante, la gravità del reato, il profitto conseguito dal responsabile, l’entità del danno biologico, l’entità del danno patrimoniale, le condizioni economiche delle parti, ecc.) ed è indubbio che la funzione dei danni morali sia al contempo risarcitoria e punitiva.
La discrezionalità delle corti incontra due limiti :1) i giudici devono tenere conto di tutti gli elementi della fattispecie e 2) deve essere rispettata l’esigenza di una razionale correlazione tra l’entità del danno e l’equivalente pecuniario in modo che la somma liquidata abbia effettivamente
una funzione risarcitoria.
La Cassazione nella sentenza dell’11/3/1998 n. 2677 ha affermato che “nella liquidazione equitativa del danno morale, che costituisce l’unica forma possibile nel caso di risarcimento di danni non patrimoniali, non potendo siffatti danni essere provati nel loro preciso ammontare, il
giudice del merito non è tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata di ciascuno degli elementi in base ai quali egli forma il proprio convincimento complessivo, bastando che dimostri di aver tenuti presenti tutti i dati di fatto acquisiti al processo”. Il giudice di merito deve motivare adeguatamente il proprio convincimento, ma, rispettata questa condizione e i due limiti di cui sopra, i suoi apprezzamenti equitativi e discrezionali non sono sindacabili in sede di legittimità. [1]
2. LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO MORALE COLLEGATA AL QUANTUM DEL DANNO BIOLOGICO.
Come per il danno biologico, i giudici hanno cercato di elaborare dei criteri di liquidazione che evitassero disparità di trattamento da corte a corte e i risultati cui sono giunti sono i seguenti :
1) per la lesioni personali risarciscono solitamente il danno morale applicando o il criterio di liquidazione a punto di I.P., consistente nell’attribuzione di una somma predeterminata per ogni punto di I.P. , oppure il c.d. “criterio della proporzionalità”, che vede il danno morale liquidato generalmente nella misura tra ¼ e ½ di quanto complessivamente liquidato a titolo di danno biologico ;
2) per le lesioni mortali, si deve distinguere a seconda che si tratti di danni morali iure successionis oppure iure proprio e comunque sono stati elaborati dei parametri convenzionali predeterminati
(c.d. graduatorie degli affetti).
Nonostante i buoni propositi, anche per il danno morale i risarcimenti variano sensibilmente da corte a corte e i parametri di solito utilizzati sono quelli del minimo e del massimo a seconda della gravità delle lesioni, oppure il criterio della proporzionalità. La legittimità di questo secondo criterio è stata affermata dalla Cassazione nella sentenza n. 134 del 9/1/1998 la quale ha osservato che tale criterio si ispira “alle stesse esigenze che giustificano il danno alla salute in base al sistema cosiddetto del valore di punto differenziato (e crescente in relazione all’aumentare del grado di invalidità) ed è volto ad evitare proprio che la valutazione equitativa del danno non patrimoniale assuma ogni volta connotazioni diverse, imprevedibili, suscettibili di apparire arbitrarie anche in ragione della insopprimibile difficoltà di offrire appaganti e controllabili ragioni giustificative di una determinazione quantitativa che ha funzione meramente surrogante e compensativa delle sofferenze indotte dal fatto lesivo costituente reato” e ha ritenuto in sé legittimo il ricorso a detto criterio “ove… il giudice abbia mostrato di avere anche tenuto adeguato conto delle particolarità del caso concreto”. [2]
3. GLI ALTRI CRITERI PER LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO MORALE.
Quando il danno morale è ben superiore a quello biologico è palesemente ingiusto quantificarlo sulla base della liquidazione operata per il danno biologico ; in questo caso è necessario fare riferimento ad altri criteri :
1) Gravità del fatto di reato. E’ un criterio oggettivo, con chiara funzione sanzionatoria afflittiva, molto utilizzato dalle corti, che ricomprende una serie di elementi quali le modalità della condotta, le circostanze aggravanti, l’intensità del dolo, il grado della colpa. In una decisione del Tribunale di
Vicenza del 1990 è stata liquidata la somma di L.100.000.000 ad un neonato che aveva riportato lesioni gravissime per la ritardata esecuzione da parte dei medici di un parto cesareo urgente. I giudici hanno dato particolare rilievo alla condotta riprovevole e gravemente colposa dei medici, oltre che alle condizioni economiche del reo e alla situazione di bisogno del danneggiato.
2) Riferimento alla pena edittale. E’ un criterio giurisprudenziale, introdotto in un caso di lesioni personali (Pretura di Monza, 19/12/1992), dove il danno biologico provocato alla vittima da una aggressione canina era di lieve entità (venti giorni di malattia) mentre il danno morale si collegava al dolore da morsicatura, al fastidio delle iniezioni per l’antitetanica e alla paura del contagio rabbico. Nella sentenza si legge “il riferimento alla pena edittale costituisce … un sicuro parametro di valutazione ai fini della liquidazione del danno morale” in quanto “l’afflizione che dà alla vittima del reato l’offensore e quella che a costui ritiene comminabile lo Stato non sono altro che le due facce della stessa medaglia, poiché lo Stato nel determinare la pena edittale certamente
considera nei delitti contro la persona il grado di afflittività del fatto di reato nei riguardi della vittima”.
3) Entità delle sofferenze inflitte alla vittima e del patema d’animo. E’ un criterio che trova spesso applicazione nella prassi e che impone di dare un giusto peso alla dimensione temporale della lesione. La Cassazione ne raccomanda l’utilizzazione e la lettura di una sentenza del Tribunale di Milano del 1991 permette di vedere come funziona questo parametro : i giudici avevano liquidato a un individuo L. 500.000.000 a titolo di danno morale per “le gravissime sofferenze inflitte all’attore dalle entità delle menomazioni subite e dalla irreversibilità delle stesse, dalla situazione di continua dipendenza dagli altri in cui si è venuto a trovare, dal lungo periodo di degenza ospedaliera e di interventi riabilitativi”.
4) Grado di sensibilità della persona offesa. La sensibilità morale delle vittime fa loro percepire in modo diverso lesioni di uguale gravità e di conseguenza l’applicazione concreta di questo principio comporta notevoli difficoltà. Ci si chiede infatti se sia più opportuno rapportare tale criterio alla sensibilità della singola vittima o al grado di sofferenza dell’uomo medio ; in un caso risolto nel 1962 la Cassazione aveva optato per la prima soluzione, affermando che “il giudice può tenere conto di un parziale ottundimento dell’animo, a causa di una sofferenza più ampia, pregressa, e tuttora in atto che possa avere reso l’animo meno sensibile a fatti che ad altri apporterebbero di per sé gravi ferite.” Se vittima delle lesioni è un bambino, bisognerà attribuire il giusto rilievo che egli proverà una volta che abbia preso coscienza del suo stato (ad es. una lesione estetica subita nei primissimi anni di vita).
5) Concorso di colpa del danneggiato. L’avere la vittima contribuito alla propria disgrazia è un fatto
che va tenuto in considerazione, come emerge da una celebre massima secondo la quale “il concorso di colpa del danneggiato, essendo espressione della minore gravità del reato, attenua il dolore subito ed influisce sulla misura del risarcimento del danno non patrimoniale”.
6) Rapporto di parentela, di coniugio, di convivenza con la vittima. E’ l’ipotesi di danno morale subito per la morte di un congiunto : vedere più avanti.
7) Condizioni economiche, sociali e personali delle parti. Questo criterio è stato bocciato dalla Cassazione la quale ha dichiarato che “tale valutazione dell’entità del patema d’animo della vittima o dei suoi familiari contrasta col sentimento umano ancor prima che con il principio che assicura pari dignità sociale a tutti i cittadini”. [3]
NOTE
[1] P. G. Monateri “Il danno alla persona”, UTET, Torino, 1998, pp. 47-50.
[2] P. G. Monateri “Il danno alla persona”, UTET, Torino, 1998, pp. 50-53.
[3] P. G. Monateri “Il danno alla persona”, UTET, Torino, 1998, pp. 53-58.
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