La responsabilita’ di cosa in custodia ex art. 2051 c.c. non richiede la prova dell’insidia

Corte di Cassazione- sezione III civile – sentenza n. 21684 del 9 novembre 2005
 
 
MASSIMA
 
“Ai fini della responsabilità per danni cagionati da cose in custodia, non occorre dimostrare il carattere insidioso della res da cui deriva il pregiudizio.
La sussunzione di un fattispecie nell’alveo della norma speciale sulla responsabilità per danni cagionati da cose in custodia esclude l’applicabilità della norma generale in tema di responsabilità per fatto illecito”
COMMENTO
Con la sentenza n. 21684/2005 la Corte di Cassazione pone nuovamente l’accento sulle differenze intercorrenti tra le azioni di responsabilità ex art. 2043 e 2051 c.c., in termini di accertamento e prova del nesso eziologico tra il fatto ingiusto e la lesione derivante dallo stesso.
 
La responsabilità per i danni da cosa in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., si fonda, infatti, sulla presunzione di colpa di colui che ha un dovere giuridico di custodia sull’oggetto che ha prodotto il danno.
 
La Corte, quindi, concorda con la tesi esposta dal Giudice di prime cure, secondo la quale, poiché la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. si fonda sul rapporto oggettivo del custode con la cosa custodita, essa prescinde dal carattere insidioso di questa, ossia dalla imprevedibilità e invisibilità della cosa dannosa, sicchè il danneggiato non deve dimostrare tale carattere, come invece è necessario se agisce, ai sensi dell’art. 2043 c.c. per la generale responsabilità da fatto illecito.
 
La S.C., nella sentenza in commento abbraccia la teso secondo la quale l’art. 2051 c.c. configurerebbe un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente per l’applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo, senza che assuma rilievo in sè la violazione dell’obbligo di vigilare sulla cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito.
 
Ne consegue che sul danneggiato grava, a differenza che nell’ipotesi di azione ex art. 2043 c.c., il solo onere di provare l’effettiva verificazione del fatto lesivo.
Mentre spetta al custode, per liberarsi dalla presunzione ex lege, dimostrare il “caso fortuito”, ossia l’esistenza di un fattore, estraneo alla sfera oggettiva che sia stato idoneo ad interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno, e che può identificarsi anche nel fatto di un terzo o nella colpa del danneggiato.
 
 
 
 
Svolgimento del processo
Grazia Dlx conveniva in giudizio l’Hotel Fys.n.c. in persona del legale rappresentante ed il Comune di Torre Annunziata chiedendone la condanna, in solido od in via alternativa, al risarcimento del danno in suo favore nella misura da accertare in corso di causa, per essere inciampata nella soglia di marmo della scala che accede dall’area esterna al piano seminterrato dell’hotel convenuto.
Il tribunale rigettava la domanda. Avverso la sentenza proponeva appello Grazia Dlx chiedendone la riforma. Si costituivano l’Hotel Fys.n.c. ed il Comune di Torre del Greco chiedendo il rigetto della proposta impugnazione e proponendo, a loro volta, appello incidentale.
La Corte d’Appello, con sentenza in data 11.12.2000, così provvedeva:
in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla Dlx nei confronti del Comune di Torre del Greco, compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di primo grado e dichiara, altresì compensate tra le stesse parti quelle di secondo grado;
rigetta l’appello incidentale proposto dalla s.n.c. Hotel Fy confronti della Dlx;
in accoglimento dell’appello proposto dalla Dlx nei confronti della s.n.c. Hotel Fy, condanna quest’ultimo al pagamento, in favore della Dlx, della somma di L. 13.000.000, nonchè al rimborso delle spese di entrambi i gradi del giudizio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’Hotel Fys.n.c. affidandosi a tre motivi.
La parte intimata non ha svolto difese.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la "Violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e dell’art. 2691 stesso codice anche in combinato disposto ed in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..
Rileva l’erroneità della sentenza di merito che ha ritenuto che la norma dell’art. 2051 c.c. configuri un’ipotesi di responsabilità oggettiva, fondandosi tale responsabilità sul semplice rapporto oggettivo del custode con la cosa custodita, a prescindere dal carattere insidioso di questa, o anche dalla imprevedibilità ed invisibilità della cosa dannosa.
Nel caso di specie è risultato accertato che la soglia in questione non era rotta e non presentava, quindi, alcuna anomalia, e che l’incidente si era verificato ben sei giorni dopo l’arrivo in albergo dell’attrice, quando i luoghi erano ormai ben noti alla stessa.
In tal senso rileva la ricorrente "deve la presunzione di colpa ritenersi giustamente vinta dalla prova desumibile dalle circostanze sopra indicate, e non possono pertanto trovare apprezzabile giustificazione le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte d’Appello, laddove la sentenza espressamente stabilisce che nel caso di specie il nesso eziologico tra la cosa in custodia e l’evento risulterebbe dal solo fatto incontestato della caduta della Dlx, inciampata sulla soglia posta sulla sommità della scala dell’albergo di cui si è detto".
Il motivo è infondato.
In tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all’art. 2051 cod. civ. individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente per l’applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo, senza che assuma rilievo in sè la violazione dell’obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito. Detto fattore attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità. Ne consegue l’inversione dell’onere della prova in ordine al nesso causale, incombendo sull’attore la prova del nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo e sul convenuto la prova del caso fortuito (Cass. 10.3.2005 n. 5326; Cass. 11.1.2005 n. 376).
Inoltre, l’accertamento del nesso causale tra il fatto illecito e l’evento dannoso rientra tra i compiti del giudice del merito ed è sottratto al sindacato di legittimità della S.C. la quale, nei limiti dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. è legittimata al solo controllo sull’idoneità delle ragioni addotte dal giudice del merito a fondamento della propria decisione (Cass. 10.5.2005 n. 9754).
Nella fattispecie concreta in esame, il giudice del merito ha correttamente applicato – senza incorrere in alcuna violazione – i principi sopra indicati, relativi all’art. 2051 c.c..
Ha, infatti, rilevato che “la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. si fonda sul rapporto oggettivo del custode con la cosa custodita e prescinde, quindi, dal carattere insidioso di questa, ossia dalla imprevedibilità e invisibilità della cosa dannosa, sicchè il danneggiato non deve dimostrare tale carattere, come invece è necessario se agisce, ai sensi dell’art. 2043 c.c. per la generale responsabilità da fatto illecito”.
E una volta accertato il collegamento in termini di causalità, tra cosa in custodia e il danno subito, sorge, a carico del custode, la presunzione di responsabilità, per vincere la quale egli deve dimostrare il caso fortuito e in tal senso, quindi, deve essere distribuito l’onere della prova tra le parti.
Ed ha concluso che "Nel caso di specie il nesso eziologico tra la cosa in custodia e l’evento, sufficiente a far scattare la presunzione di colpa in capo al custode risulta dal fatto, incontestato, che la Dlx cadde inciampando in una soglia posta sulla sommità di una scala dell’albergo.
Spettava, quindi, alla convenuta provare che l’evento si era verificato per la condotta della Dlx, idonea ad integrare il caso fortuito".
Ha motivato, poi, tale convincimento in modo congruo, logico e convincente rilevando che "Dalla deposizione di ****************, risulta che l’evento si verificò perchè l’attrice inciampò contro una soglia posta alla sommità di una delle scale che portava a uno degli ingressi dell’albergo; che l’urtò e la conseguente caduta fu determinata dal fatto che la soglia non era posta a livello della restante superficie, ma, rispetto ad essa era rialzata di un dito, un dito e mezzo; che il rialzo era, rispetto alla restante superficie, di colore uniforme e, quindi, non visibile; che nell’edificio vi erano altre scale che conducevano ad altre entrate e che solo in quella utilizzata quel giorno dalla Dlx vi era quel rialzo; che l’albergo era di buon aspetto generale e non presentava rotture nelle scale di accesso";
aggiungendo che "A nulla rileva che la soglia non fosse rotta, posto che il fatto che fosse rialzata di circa un dito e mezzo rispetto alla rimanente superficie, non trova spiegazione nelle normali tecniche di costruzione e costituisce una vera e propria insidia soprattutto per le persone anziane che utilizzano la struttura alberghiera per rilassarsi, legittimamente confidando nel fatto che essa non nasconda particolari pericoli"; precisando, a confutazione della tesi difensiva dell’appellato, che "A nulla, del pari, rileva che la Dlx fosse già da sei giorni nell’albergo, in quanto il dovere di usare la cosa con la necessaria diligenza deve, nel caso di specie, ritenersi essere stato osservato dalla Dlx, la quale, per la condizione generale dei luoghi, aveva fatto legittimo affidamento sulla assenza di quel pericolo e che ben poteva non essersi accorta, in precedenza, dell’esistenza di quell’insidia".
Trattasi, come già detto, di motivazione, puntuale, precisa ed aderente ai principi sopra esposti, come tale incensurabile in questa sede.
Con il secondo motivo denuncia la "Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. anche in relazione all’art. 2697 e. e. – Omessa e insufficiente contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c..
Rileva di avere prodotto nel giudizio di merito certificazione, non contestata, comprovante l’idoneità della struttura, come tale priva di qualsiasi situazione di pericolo.
Tali elementi non sono stati presi in considerazione dal giudice del merito che è venuto meno all’obbligo che impone allo stesso di porre alla base della propria decisione le prove proposte dalle parti, nonchè all’obbligo della motivazione secondo il vizio rappresentato.
Infatti, "1) ha ritenuto di poter accedere in modo acritico alla tesi prospettata dall’appellante, soltanto per il fatto che, siccome non giustificata dalle normali tecniche di costruzione, il rialzo della soglia sia pure di un solo centimetro, costituiva esso stesso un’insidia;
2) trattandosi di soglia esterna non poteva invece la stessa non essere rialzata rispetto al piano di campagna, assolvendo, proprio secondo le normali tecniche di costruzione, alla funzione di proteggere la struttura dagli agenti atmosferici esterni (la scala accedeva al piano seminterrato dell’albergo);
3) nel contrasto delle opinioni espresse, avrebbe dovuto disporsi C.T.U., come richiesto dall’Hotel convenuto, al fine di accertare le reali condizioni dei luoghi e quindi l’eventuale esistenza dell’insidia, oltre che la compatibilità della soglia e del rialzo con le caratteristiche costruttive della scala normalmente praticate, e non ritenute dalla Corte senza alcun supporto probatorio, peraltro in contrasto con la prodotta certificazione".
Il motivo non merita accoglimento.
Il giudice del merito, infatti, come già rilevato nell’esaminare il primo motivo, ha puntualmente applicato i principi vigenti in materia.
in particolare, ha posto alla base della motivazione adottata le risultanze istruttorie, motivando con riferimento sia a quelle ritenute probanti, sia a quelle ritenute prive di significativa valenza probatoria.
Invero, il ricorrente con tale censura pare piuttosto volere ottenere una nuova disamina del materiale probatorio, già effettuata con motivazione congrua, esente da vizi logico- giuridici, dal giudice del merito.
Il giudice di merito, infatti, è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti al giudizio, considerati nel loro complesso (Cass. 7.4.2003 n. 5434).
Nel caso di specie – come già sottolineato nell’esaminare il primo motivo al quale si rinvia – il giudice del merito ha correttamente utilizzato il materiale probatorio fornendo adeguata motivazione del suo convincimento.
Da ultimo deve escludersi l’obbligo del giudice di merito di ricorrere alla c.t.u. – come vorrebbe la ricorrente – rientrando la c.t.u. nella facoltà del giudice di merito e non costituendo mezzo di prova.
Con il terzo motivo denuncia la "Violazione dell’art. 2697 c.c. anche in relazione all’art. 2043 stesso codice e dell’art. 360 n. 3 c.p.c..
Rileva, a tal fine, che le attestazioni e le certificazioni della P.A. prodotte ed il fatto che la scala fosse stata da poco realizzata e non presentasse nel suo sviluppo deformazioni e rotture imputabili ad un inefficiente obbligo di custodia avrebbero dovuto far ricomprendere la fattispecie nell’ipotesi disciplinata dall’art. 2043 c.c..
Conseguentemente non si sarebbe dovuto parlare di presunzione di responsabilità ex art. 2051 c.c. trattandosi di risarcimento per fatto illecito ex art. 2043 c.c. con l’onere dell’attore di dare la prova (non presunta) della colpa di colui che ha cagionato il danno.
Il motivo è infondato.
Come già detto, la fattispecie concreta in esame è riconducibile alla disposizione dell’art. 2051 c.c. in tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, norma speciale rispetto a quella dell’art. 2043 c.c. norma generale in tema di responsabilità da fatto illecito (Cass. 6.7.2004 n. 12329).
L’applicazione della prima esclude l’applicabilità della seconda.
Conclusivamente il ricorso va rigettato.
Nessuna statuizione deve essere adottata in ordine alle spese del giudizio di Cassazione non avendo gli intimati svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione terza Civile della Corte di Cassazione, il 4 ottobre 2005.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2005
 

Malagesi Federica

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