Cos’è un “Internet Service Provider”?
Si definiscono “Internet Service Provider” le aziende che operano nella società dell’informazione fornendo servizi internet.[1]
Nello specifico, un provider è un intermediario della comunicazione, che crea un collegamento tra chi intende comunicare un’informazione e i destinatari della stessa.
La direttiva europea 31/2000/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del giorno 8 giugno 2000 sul commercio elettronico ha regolamentato l’attività degli intermediari della comunicazione in maniera unitaria all’interno dell’Unione Europea.
Tale direttiva è stata recepita dall’Italia con il Decreto Legislativo del 9 aprile 2003 n. 70, finalizzato a promuovere la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione, fra i quali il commercio elettronico, appunto.
In questo articolo soffermiamo la nostra attenzione su due sentenze “gemelle” pronunciate dalla Suprema Corte, che attengono a due servizi forniti in rete: quello di hosting provider (che ospita siti internet) e quello di caching provider (che immagazzina, automaticamente, dati provenienti dall’esterno in un’area di memoria temporanea veloce, la cache, al fine di accelerare la navigazione in rete).
Riportiamo ed esaminiamo di seguito le massime desunte dalle due sentenze n. 7708 e 7709 del 19/03/2019 della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione.
La sentenza n. 7708 del 19/03/2019 – La responsabilità dell’hosting
Nel primo caso la Cassazione si è pronunciata sulla controversia tra Reti Televisive Italiane S.p.A. (società del gruppo Mediaset) e Yahoo! Italia S.r.l. per aver quest’ultimo divulgato sul proprio portale video tratti dalle trasmissioni “Amici” e “Striscia la notizia” in titolarità dell’attrice, in violazione del diritto d’autore.
“Nell’ambito dei servizi della società dell’informazione, la responsabilità dell’hosting provider, prevista dall’art. 16 d.lgs. n. 70 del 2003, sussiste in capo al prestatore di servizi che non abbia provveduto alla immediata rimozione dei contenuti illeciti, nonchè se abbia continuato a pubblicarli, pur quando ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: a) sia a conoscenza legale dell’illecito perpetrato dal destinatario del servizio, per averne avuto notizia dal titolare del diritto leso oppure aliunde; b) l’illiceità dell’altrui condotta sia ragionevolmente constatabile, onde egli sia in colpa grave per non averla positivamente riscontrata, alla stregua del grado di diligenza che è ragionevole attendersi da un operatore professionale della rete in un determinato momento storico; c) abbia la possibilità di attivarsi utilmente, in quanto reso edotto in modo sufficientemente specifico dei contenuti illecitamente immessi da rimuovere. Resta affidato al giudice del merito l’accertamento in fatto se, sotto il profilo tecnico-informatico, l’identificazione di video, diffusi in violazione dell’altrui diritto, sia possibile mediante l’indicazione del solo nome o titolo della trasmissione da cui sono tratti, od, invece, sia indispensabile, a tal fine, la comunicazione dell’indirizzo “url”[2], alla stregua delle condizioni esistenti all’epoca dei fatti”.
La Suprema Corte, quindi, con la sentenza in esame riconosce la figura dell’hosting “attivo”, che si distingue da quello “passivo” di cui all’art. 16[3] del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, ed è conseguentemente sottratto al regime di esenzione di responsabilità ivi previsto.
In particolare, secondo la Corte, si può parlare di hosting “attivo” quando sia ravvisabile una condotta attiva che può desumersi da una serie di “indici di interferenza” che il giudice di merito deve accertare: “le attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l’adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione”.
Affermata tale distinzione, la Cassazione ritiene che Yahoo! sia in questo caso qualificabile come hosting meramente “passivo”, ex art. 16 del D. Lgs. n.70/2003.
Dovrebbe allora scattare l’esenzione, ma la sua applicazione viene esclusa dalla Cassazione, valorizzando la posizione di garanzia dell’hosting provider. I giudici di legittimità, infatti, specificano che l’hosting provider è in ogni caso responsabile quando sia a conoscenza dell’illiceità dell’informazione e non provveda a rimuoverla. Quindi, anche l’hosting provider passivo –un’attività quindi di ordine meramente tecnico, automatico e passivo- può essere chiamato a rispondere per violazioni al copyright commesse dagli utenti e se riceve una specifica segnalazione dal titolare del diritto leso (o comunque quando sia ragionevolmente constatabile da un operatore professionale) deve rimuovere immediatamente i contenuti coperti da diritto d’autore.
Sul punto:”La responsabilita’ del Provider”
La sentenza n. 7709 del 19/03/2019 – La responsabilità del caching
Diversa è la conclusione, invece, nella controversia Reti Televisive Italiane S.p.A. contro Yahoo!Search, contestato l’ulteriore abusiva diffusione di filmati delle tv Mediaset, ma che i giudici hanno ritenuto del tutto distinta da quello svolto di Yahoo! Italia Video, in quanto riconducibile alla mera attività di caching regolata dall’art. 15[4] del D.Lgs. n. 70/2003, che si realizza, su istanza degli utenti, semplicemente attraverso la ricerca e la successiva riproposizione di link a siti diversi all’interno dei quali si trovano i contenuti richiesti.
“Nell’ambito dei servizi della società dell’informazione, la responsabilità del c.d. caching, prevista dall’art. 15 d.lgs. n. 70 del 2003, sussiste in capo al prestatore dei servizi che non abbia provveduto alla immediata rimozione dei contenuti illeciti, pur essendogli ciò stato intimato dall’ordine proveniente da un’autorità amministrativa o giurisdizionale”.
Prestando doveroso ossequio alla succitata sentenza, si deve concludere che al prestatore del servizio che fornisce una mera attività neutrale di caching solo perché reso edotto di specifici contenuti illeciti con una diffida extragiudiziale o perché proponga una domanda giudiziale al riguardo, la legge non richiede che spontaneamente li rimuova; è necessario, ai fini dell’obbligo di rimozione, un ordine dell’autorità amministrativa o giudiziale.
La ratio di tale distinzione rispetto alla responsabilità dell’hosting provider sta nella circostanza che il caching provider non interferisce con le informazioni trasmesse, ma ha il solo scopo di aumentare l’efficienza della rete, conservando, per un periodo limitato di tempo, le informazioni a cui hanno accesso gli utenti del servizio, in modo da favorire l’accesso alle medesime informazioni da parte di altri utenti.
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Note
[1] Con l’espressione “servizi della società dell’informazione” si intende l’insieme delle attività economiche svolte on line, nonché qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi.
[2] La locuzione Uniform Resource Locator (in acronimo URL)è una sequenza di caratteri che identifica l’indirizzo di una risorsa in Internet.
[3] Art. 16 (Responsabilità nell’attività di memorizzazione di informazioni – hosting-) 1. Nella prestazione di un servizio della società dell’informazione, consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non e’ responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione e’ illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illiceità dell’attività o dell’informazione; b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso.
- Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano se il destinatario del servizio agisce sotto l’autorità o il controllo del prestatore.
- L’autorità giudiziaria o quella amministrativa competente può esigere, anche in via d’urgenza, che il prestatore, nell’esercizio delle attività di cui al comma 1, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse
[4] Art. 15 (Responsabilità nell’attività di memorizzazione temporanea – caching)
1. Nella prestazione di un servizio della società dell’informazione, consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non e’ responsabile della memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di tali informazioni effettuata al solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltro ad altri destinatari a loro richiesta, a condizione che:
a) non modifichi le informazioni;
b) si conformi alle condizioni di accesso alle informazioni;
c) si conformi alle norme di aggiornamento delle informazioni, indicate in un modo ampiamente riconosciuto e utilizzato dalle imprese del settore;
d) non interferisca con l’uso lecito di tecnologia ampiamente riconosciuta e utilizzata nel settore per ottenere dati sull’impiego delle informazioni;
e) agisca prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato, o per disabilitare l’accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano inizialmente sulla rete o che l’accesso alle informazioni e’ stato disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa ne ha disposto la rimozione o la disabilitazione.
- L’autorità giudiziaria o quella amministrativa aventi funzioni di vigilanza può esigere, anche in via d’urgenza, che il prestatore, nell’esercizio delle attività di cui al comma 1, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse.
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