L’art. 10 della legge di riforma dell’Università.
L’esclusione del rapporto di impiego dei docenti universitari dall’ambito di operatività della contrattualizzazione comporta, con riferimento alla materia disciplinare, che la stessa non è soggetta alle norme previste per i dipendenti pubblici “privatizzati”[1].
Sulla materia è intervenuta da ultimo la legge di riforma dell’Università del 30 dicembre 2010, n. 240 (c.d. riforma Gelmini), che detta alcune prescrizioni sulla competenza e sui profili procedurali in materia disciplinare[2], ma lascia immodificato il quadro previgente con riferimento ai profili sostanziali degli illeciti e delle sanzioni disciplinari applicabili ai docenti universitari (art. 10, legge n. 240/2010)[3].
La nuova normativa introduce due rilevanti novità, rappresentate dal decentramento del potere disciplinare presso i singoli Atenei[4] e dall’attribuzione della potestà di irrogare la sanzione disciplinare al Consiglio di amministrazione, e non al Rettore, come previsto invece dall’art. 3 della legge n. 18/2006, espressamente abrogato dalla riforma Gelmini[5].
In particolare, la legge n. 240/2010 decentra alle singole Università il potere sanzionatorio in precedenza attribuito in sede nazionale al Cun e prevede che la fase istruttoria del procedimento disciplinare si svolge in ambito locale davanti ad un Collegio appositamente istituito, fatta eccezione per la sanzione della censura che rimane devoluta al Rettore. A quest’ultimo continua a spettare il compito di avviare l’azione disciplinare e di relazionare, personalmente o per il tramite di un delegato, davanti al Collegio di disciplina, oltre che quello di svolgere una fase preistruttoria dovendo lo stesso formulare una proposta motivata al Collegio. In sostanza, qualora pervenga al Rettore notizia di un comportamento, da parte di un docente dell’Ateneo, non conforme ai doveri disciplinari, bisogna distinguere: 1) nell’ipotesi in cui il Rettore ritenga che il fatto possa dar luogo all’irrogazione della sanzione disciplinare della censura, non trasmette gli atti al Collegio di disciplina e al termine dell’istruttoria, udito il docente ed eventuali altri interessati al procedimento, provvede a disporre l’archiviazione del procedimento disciplinare ovvero l’irrogazione della censura; 2) il fatto può dar luogo all’irrogazione di una “sanzione più grave della censura tra quelle previste dall’art. 87 T.U. delle leggi sull’istruzione superiore di cui al R.D. n. 1592/1933”. Soltanto in questa ipotesi il Rettore trasmette gli atti al Collegio di disciplina e formula motivata proposta. Nel nuovo sistema spetta formalmente al Consiglio di amministrazione, senza la rappresentanza degli studenti, e non più al Rettore, in conformità al parere vincolante espresso dal Collegio “sulla proposta avanzata dal Rettore sia in relazione alla rilevanza dei fatti sul piano disciplinare sia in relazione al tipo di sanzione da irrogare”, infliggere la sanzione ovvero disporre l’archiviazione del procedimento, che si estingue ove la decisione da parte del Consiglio di amministrazione non intervenga entro il termine di centottanta giorni dalla data di avvio del procedimento[6].
Gli illeciti sostanziali e le sanzioni disciplinari applicabili ai docenti universitari.
Gli aspetti sostanziali del regime disciplinare dei docenti universitari sono previsti, con una sovrapposizione di interventi normativi risalenti che rende complessa la ricostruzione del quadro di riferimento, nell’art. 12 della legge sullo stato giuridico ed economico dei professori universitari (legge 18 marzo 1958, n. 311), che opera ancora oggi, non essendo stato abrogato dalla legge n. 240/2010, un rinvio alle disposizioni degli artt. 87, 88, 89, 90 e 91 del regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592 (T.U. delle leggi sull’istruzione superiore) e, in quanto non contrastanti con le norme del T.U., degli artt. 85, 91, 96, 97 e 98 del D.P.R. 10 gennaio, n. 3 (T.U. delle disposizioni concernenti lo statuto giuridico degli impiegati civili dello Stato)[7].
Al personale docente universitario si continua ad applicare, in virtù del rinvio operato dall’art. 10, comma 2, legge n. 240/2010, il catalogo delle sanzioni previste dall’art. 87 del T.U. del 1933. Pertanto, per effetto del rinvio, esteso per ragioni sistematiche agli artt. 88 e 89 dello stesso T.U., trovano applicazione nei confronti dei docenti universitari, “secondo la gravità delle mancanze” (art. 87), le seguenti sanzioni:
- la censura, definita dall’art. 88, comma 1, come una “dichiarazione di biasimo per mancanze ai doveri di ufficio o per irregolare condotta, che non costituiscano grave insubordinazione e che non siano tali da ledere la dignità e l’onore del professore”;
- la sospensione dall’ufficio e dallo stipendio fino ad un anno[8], applicabile “secondo i casi e le circostanze, per le seguenti mancanze: a) grave insubordinazione; b) abituale mancanza ai doveri di ufficio; c) abituale irregolarità di condotta; d) atti in genere, che comunque ledano la dignità e l’onore del professore” (art. 89, comma 1);
- le sanzioni espulsive della revocazione e della destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad assegni, applicabili alle stesse mancanze già oggetto di tipizzazione con riferimento alla sanzione più lieve della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio, ma in fattispecie caratterizzate dalla maggiore gravità[9].
E’ evidente che il sistema disciplinare di illeciti e sanzioni individuato dal legislatore per i docenti universitari è caratterizzato da un grado elevato di indeterminatezza ed elasticità[10]. Si riscontra inoltre una lacuna rappresentata dalla generica individuazione degli illeciti sostanziali e dalla mancata previsione della correlazione tra questi e le sanzioni applicabili. L’impressione è quindi che il legislatore del 2010, che è intervenuto con riferimento alla competenza ed ai profili procedurali, rinunciando invece in materia di illeciti e sanzioni, ha perso una importante occasione di ammodernamento del sistema sanzionatorio dei docenti universitari, per i quali continua ad essere rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione la valutazione circa la rilevanza disciplinare del comportamento tenuto, con il rischio, in un sistema in cui spetta al Collegio di disciplina locale individuare di volta in volta la sanzione proporzionata da irrogare, di possibili trattamenti difformi tra Università diverse.
I Codici etici delle Università e le norme disciplinari.
Nel quadro delineato si inserisce la innovativa previsione della legge n. 240/2010 relativa all’introduzione dell’obbligo per tutte le Università di adottare un proprio codice etico (art. 2, comma 4).
E’ opportuno sottolineare come i codici si rivolgono all’intera comunità universitaria; quindi, non solo al personale docente e ricercatore, ma anche al personale tecnico-amministrativo ed agli studenti. Per quanto concerne il contenuto del codice, esso determina i valori fondamentali della comunità universitaria, promuove il riconoscimento e il rispetto dei diritti individuali, nonché l’accettazione di doveri e responsabilità nei confronti dell’istituzione di appartenenza, e detta le regole di condotta nell’ambito della comunità. Le norme dei codici devono essere volte ad evitare forme di discriminazione e di abuso, nonché a regolare gli eventuali casi di conflitto di interessi o di proprietà intellettuale[11].
La novità più rilevante è rappresentata dall’obbligo per gli Atenei di prevedere un regime sanzionatorio in caso di violazione del codice etico[12]; ciò significa che i codici definiscono obblighi giuridicamente rilevanti per tutti gli appartenenti alla comunità universitaria (docenti, personale amministrativo, studenti), la cui violazione può assumere rilievo disciplinare[13]. Con riferimento ai docenti universitari, si è osservato in dottrina come l’obbligo di prevedere le sanzioni per le violazioni del codice etico sia importante, in quanto rappresenta l’occasione per le Università di rimediare alla indeterminatezza del quadro degli illeciti e delle sanzioni e di porre le premesse per una maggiore utilizzazione della responsabilità disciplinare, che in passato veniva attivata soltanto nei casi di maggiore gravità[14].
Emerge quindi la necessità di un coordinamento tra le disposizioni contenute nel codice etico e le norme disciplinari. In proposito, l’art. 2, comma 4, ultima parte, legge n. 240/2010, testualmente dice “sulle violazioni del codice etico, qualora non ricadano sotto la competenza del collegio di disciplina, decide, su proposta del rettore, il senato accademico”. In sostanza, quando la violazione del codice etico costituisce anche illecito disciplinare, la sanzione disciplinare prevale su quella etica e la competenza, se si tratta di docenti, spetta al Collegio di disciplina; nel caso di illecito etico, la legge si limita a stabilire che decide il Senato accademico, su proposta del Rettore.
Sotto il profilo procedimentale, la norma è molto generica, ma ha il merito di lasciare ampio spazio alle Università, che devono stabilire quali condotte costituiscono violazione delle correlate regole di comportamento; devono individuare sanzioni disciplinari che siano differenziate per le varie categorie di personale, specificandole e precisandole nell’ambito di quelle già previste dalla legge e irrogate per i docenti dal Consiglio di amministrazione; nell’individuare gli illeciti disciplinari devono infine procedere a stabilire le corrispondenti sanzioni, nel rispetto dei principi di gradualità e proporzionalità[15].
Alle Università dunque residuano ampi margini di autonomia che devono essere utilizzati per raggiungere migliori livelli di efficacia delle norme in materia disciplinare dei docenti, anche in considerazione del fatto che un potere sanzionatorio efficace potrebbe contribuire allo sviluppo della qualità e della competitività delle strutture universitarie[16]. A tal fine, dal momento che il regime sanzionatorio delineato dalla legge n. 240/2010, a causa della mancanza di effettività per l’indeterminatezza di illeciti e sanzioni, appare, almeno sotto il profilo delle sanzioni, inadeguato, le Università dovranno provvedere, attraverso la modifica degli Statuti e dei regolamenti, a colmare le lacune legislative per evitare di avallare, come è accaduto fino ad oggi, una situazione di inerzia punitiva. Anche per quanto attiene alle violazioni del codice etico, è da ritenere che il sistema sanzionatorio possa essere valorizzato dagli Atenei, i quali possiedono adeguati strumenti per individuare gli illeciti e specificare le sanzioni nei limiti della legge e non devono sottrarsi ad una importante occasione di rinnovamento del sistema che potrebbe agevolare il corretto esercizio del potere disciplinare da parte degli organi competenti.
[1] V. il volume F. Carinci-V. Tenore-A. Dapas-L. Viola (a cura di), Il pubblico impiego non privatizzato, vol. V, I professori universitari, Milano, 2010; M.T. Carinci, L’ambito di applicazione della privatizzazione: docenti e ricercatori universitari, in F. Carinci-L. Zoppoli (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Comm. diretto da F. Carinci, V, tomo I, Torino, 2004, 44 ss.
[2] Sugli aspetti relativi alle varie fasi del procedimento disciplinare, ai termini, ai rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale, alla disciplina della sospensione cautelare, v. M. Capece, Le regole del procedimento disciplinare dei docenti universitari dopo la legge 30 dicembre 2010, n. 240, in www.amministrativamente.com, 1 e ss.; P.L. Portaluri, Note de iure condendo sul procedimento disciplinare nei confronti dei docenti universitari, in www.federalismi.it, 2013, n. 1, 3 e ss.; V. Tenore, Profili ricostruttivi del procedimento disciplinare nei confronti dei professori universitari a cinque anni dalla riforma Gelmini, in GiustAmm.it, 2015, fasc. 4, 1 e ss.; G. Tripi, I procedimenti disciplinari nei confronti dei docenti universitari, in Lav. nelle P.A., 2004, 5, 977 e ss.; L. Viola, Il procedimento disciplinare dei docenti universitari dopo la riforma Gelmini, in www.federalismi.it, 2011, n. 3, 2 e ss., da cui si citerà in seguito; Id., in Lav. nelle P.A., 2010, 5, 995 e ss.
[3] S. Mainardi, Collegio di disciplina, codice etico e incompatibilità, in M. Brollo-R. De Luca Tamajo (a cura di), La riforma dell’Università tra legge e statuti, Milano, 2011, 183.
[4] Il Collegio di disciplina viene istituito presso ciascuna Università e non opera più in ambito nazionale in seno al Cun.
[5] Nel regime previgente l’art. 3 della legge n. 18/2006 stabiliva che il compito di svolgere i procedimenti disciplinari a carico dei docenti universitari, per ogni fatto che dava luogo all’irrogazione di una sanzione più grave della censura, spettava ad un Collegio di disciplina composto da cinque consiglieri eletti in seno al Cun. La sanzione veniva inflitta, su “conforme” parere del Collegio, dal Rettore dell’Ateneo interessato, al quale spettava anche il compito di promuovere l’azione disciplinare al termine di una istruttoria locale e di svolgere le funzioni di relatore davanti al Collegio.
[6] Per alcuni rilievi critici in ordine al profilo della competenza in materia disciplinare dei docenti universitari, sia consentito il rinvio a L. Ferluga, I doveri dei professori e ricercatori universitari e il regime delle sanzioni tra norme disciplinari e codici etici, in corso di pubblicazione in Lav. nelle P.A., 2016.
[7] Cass., Sez. lav., 25 maggio 2012, n. 8304, in Giust. Civ. Mass., 2012, 5, 669, secondo la quale, anche dopo la riforma del 2010, ai professori universitari continuano ad applicarsi le sanzioni previste dal T.U. sull’istruzione superiore del 1933.
[8] Tale sanzione comporta anche l’esonero dall’insegnamento, dalle funzioni accademiche e da quelle ad esse connesse, e la perdita, ad ogni effetto, dell’anzianità per tutto il tempo della sua durata; inoltre, il professore che sia incorso in questa sanzione non può per 10 anni solari (a prescindere dall’effettiva durata della sanzione principale, Cass., Sez. lav., 25 maggio 2012, n. 8304, cit.) essere nominato Rettore o Direttore di Istituzione universitaria (art. 89, comma 2).
[9] Non è più applicabile invece la sanzione della destituzione con perdita del diritto a pensione o ad assegni, per effetto dell’abrogazione, di tutte la disposizioni che prevedono, a seguito di condanna penale o di provvedimento disciplinare, la riduzione o la sospensione del diritto dei dipendenti pubblici al conseguimento della pensione o di altro assegno o indennità da liquidarsi in conseguenza della cessazione del rapporto di lavoro (art. 1, legge 8 giugno 1966, n. 424).
[10] La dottrina è concorde sul punto: S. Cimini, Potere sanzionatorio e competitività nel sistema universitario italiano, in E. Picozza- A. Police (a cura di), Competizione e governance del sistema universitario, Torino, 2013, 215; S. Mainardi, Collegio di disciplina, codice etico e incompatibilità, cit., 188; B.G. Mattarella, La responsabilità disciplinare dei docenti universitari dopo la legge Gelmini, in Giorn. dir. amm., 2013, 99; P.L. Portaluri, Note de iure condendo sul procedimento disciplinare nei confronti dei docenti universitari, cit., 2; L. Viola, Il procedimento disciplinare dei docenti universitari dopo la riforma Gelmini, cit., 7.
[11] I codici etici devono essere rispettati dai regolamenti universitari sulle chiamate dei professori e sul conferimento dei contratti di insegnamento (artt. 18, comma 1, e 23, comma 2, legge n. 240/2010).
[12] Sui codici etici in vigore prima della riforma Gelmini, M. Asaro- G. Mannocci, Università italiane: un codice etico per la comunità, in www.dirittoe processo.com, 3 e ss.
[13] La legge Gelmini ha anticipato per le università un obbligo che successivamente è stato esteso a tutte le amministrazioni pubbliche dalla legge anticorruzione (art. 1, comma 44, legge 6 novembre 2012, n. 190), che, modificando l’art. 54, d.lgs. n. 165/2001, ha, tra l’altro, espressamente previsto che la violazione dei doveri contenuti nel codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni costituisce fonte di responsabilità disciplinare (comma 3), modificando il valore giuridico del codice e trasformando le violazioni delle norme in esso contenute in illeciti disciplinari. E’ appena il caso di osservare inoltre che l’art. 2 della legge Gelmini prevale per la sua specialità sull’art. 54, d.lgs. n. 165/2001 (nonostante la legge anticorruzione sia successiva), con la conseguenza che il codice dei dipendenti pubblici privatizzati non opera nei confronti dei docenti universitari. In dottrina, F. Midiri, I codici etici universitari dalla riforma Gelmini alla legge anticorruzione, in Jus, 2015, 2, 19 e ss.
[14] B.G. Mattarella, La responsabilità disciplinare dei docenti universitari dopo la legge Gelmini, cit., 100.
[15] In realtà, la maggior parte dei codici etici già emanati raramente ha fissato regole stringenti né ha provveduto alla correlazione tra illeciti sostanziali e sanzioni.
[16] In questo senso, S. Cimini, Potere sanzionatorio e competitività nel sistema universitario italiano, cit., 205 e ss.
Volume consigliato:
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento