L’annullamento di un atto di compravendita
Il presente contributo si occupa di analizzare sinteticamente le conseguenze derivanti dall’annullamento di un atto di compravendita e del diritto spettante al proprietario reintegrato del bene di ottenere la restituzione dall’ex acquirente di tutto ciò che sia stato percepito durante il periodo di efficacia dell’atto traslativo della proprietà, con particolare riferimento alla somma di denaro percepita a titolo di indennità di esproprio.
In particolare, si analizzerà l’ipotesi in cui il soggetto che ha acquistato, nelle more di svolgimento del giudizio di declaratoria di invalidità della compravendita, abbia avanzato nei confronti dell’ente espropriante un’istanza di cessione volontaria dei terreni, ottenendo la corresponsione del relativo indennizzo.
Nel caso di specie, il proprietario reintegrato del bene potrà esercitare un’azione di ripetizione di indebito, in applicazione del combinato disposto degli art. 1189 e 2033 cc. nei termini in cui vengono interpretati dalla giurisprudenza di legittimità.
Ed infatti, il consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione afferma che “il proprietario del bene espropriato (o il suo avente causa) non ha azione nei confronti dell’espropriante per il pagamento dell’indennità di esproprio ove questa sia stata conferita a chi appariva di essere proprietario, essendosi il debito dell’espropriante estinto a seguito del pagamento in buona fede al creditore apparente (art. 1189 c.c., comma 1); egli, pertanto, può agire esclusivamente nei confronti di quest’ultimo secondo (art. 1189 c.c., comma 2) le regole stabilite per la ripetizione dell’indebito (Cass. n. 20905 del 27/10/2005) e, nella certezza di essere titolare di un diritto di credito nei confronti del soggetto che ha percepito quanto viene richiesto in restituzione” (cfr. Cass. sez. II – sent. 29 agosto 2014, n.18452).
Tale figura è assai peculiare in quanto, qualora la causa accipiendi sia venuta meno in un momento successivo, dovrà trovare applicazione la categoria giuridica del c.d. indebito oggettivo formatosi successivamente all’avvenuto “pagamento”.
I casi di indebito oggettivo
Sul punto è stato chiarito che “l’indebito oggettivo si verifica o perchè manca la causa originaria giustificativa del pagamento (“conditio indebiti sine causa”) o perchè la causa del rapporto originariamente esistente è poi venuta meno in virtù di eventi successivi che hanno messo nel nulla o reso inefficace il rapporto medesimo (“conditio ob causam finitam”)”, e ciò secondo una “distinzione che risale al diritto romano”, e che “è ripresa dalla dottrina italiana, sulla base del nuovo testo dell’art. 2033 c.c. nel quale è stato trasfuso l’art. 1327 codice abrogato (1865) che stabiliva il principio della inefficacia degli atti privi di una “causa solvendi“” ( cfr. Cass. Civ. sent 11 febbraio 2020, n. 3314; così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 1 luglio 2005, n. 14084, Rv. 582690-01; in senso analogo già Cass. Sez. 3, sent. 20 dicembre 1974, n. 4378, Rv. 373059-01 e Cass. Sez. 3, sent. 22 settembre 1979, n. 4889, Rv. 401528-01).
La circostanza che l’acquirente abbia beneficiato dell’indennizzo durante il periodo di validità dell’atto di compravendita, poi annullato, ne legittima la restituzione sul presupposto che, ove il titolo non fosse esistito, a “godere” dell’indennità di esproprio sarebbe stato il proprietario reintegrato.
Per tali ragioni la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha avuto modo di chiarire che “l’art. 2033 … è applicabile per analogia anche alle ipotesi di indebito oggettivo sopravvenuto per essere venuta meno, in dipendenza di qualsiasi ragione, in un momento successivo, la causa debendi” (cfr. Cass. SS.UU. 5624/2009).
Ancora più nello specifico, l’indebito oggettivo va assimilato “all’indebito soggettivo ex persona accipientis che ricorre quando il debito di colui che ha eseguito il pagamento esiste, ma non verso colui che lo ha ricevuto (quando in altri termini il solvens è debitore, ma non l’accipiens) – integrando gli estremi di una fattispecie pressoché identica a quella dell’indebito oggettivo, e deve pertanto ritenersi disciplinato dall’art. 2033 c.c.” (cfr. Cass. 3802/2003).
Qualora, poi, venga dimostrata anche la malafede dell’accipiens, il proprietario reintegrato avrà diritto, oltre agli interessi maturati sulla somma percepita a titolo di indennizzo dall’acquirente, una somma a titolo di rivalutazione monetaria, in ragione del mancato godimento di quell’indennizzo riconosciuto dall’amministrazione locale in ragione dell’esproprio subito.
Tale orientamento è stato confermato nella recente pronuncia della Corte di Giustizia Europea, la quale ha stabilito chiaramente che le somme indennitarie devono essere adeguatamente attualizzate tenuto conto del fenomeno inflattivo, così come già sancito, fra l’altro, nelle sentenze Scordino c/Italia del 2006 (ric. n. 36813/1997) nonché in Raffinerie Greche Stran e Stratis c. Grecia del 1994 e Motais de Narbonne c. Francia del 2002, precisando che il valore venale del suolo ablato deve essere rivalutato per compensare gli effetti devastanti dell’inflazione e su questa somma andranno calcolati gli interessi legali.
Nei medesimi termini si è espressa la Sentenza 14 aprile 2015, su ricorso n. 22432, secondo cui le somme indennitarie, quand’anche dovute a titolo di esproprio “legittimo”, debbano essere adeguatamente attualizzate tenuto conto del fenomeno inflattivo e questo lo avevano già sancito, fra l’altro, nelle sentenze Scordino c/Italia del 2006 (ric. n. 36813/1997) nonché in Raffinerie Greche Stran e Stratis c. Grecia del 1994 e Motais de Narbonne c. Francia del 2002.
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