La retrocessione dei beni espropriati

Redazione 27/08/00
Alla luce del d.lgs 80/1998

Un aspetto poco discusso che il famigerato d.lgs 80/98 pone riguarda l’istituto della retrocessione dei beni espropriati dalla P.A.

La retrocessione dei beni espropriati è prevista dalla legge fondamentale sull’espropriazione del 1865 n° 2359; essa è altresì regolata dalle leggi del 1971 n° 865 e del 1977 n° 1 in cui si attribuisce agli enti territoriali (regione, provincia e comune) un diritto di prelazione sui beni oggetto di retrocessione per la realizzazione di altre opere pubbliche o di intervento pubblico di interesse locale.

La retrocessione, come istituto generale disciplinato dalla legge del 1865, può essere sia totale che parziale: la prima si ha nei casi in cui l’Amministrazione non abbia, nei termini previsti dalla Dichiarazione di Pubblica Utilità, realizzato l’opera pubblica; la seconda si ha nei casi in cui la P.A. abbia solo in parte usato il suolo espropriato per l’ultimazione dei lavori pubblici.

Il termine retrocessione, implicando una perdita del potere funzionale della Amministrazione pubblica sul bene del privato espropriato, sembra evocare un diritto di natura reale restitutorio ma non è così perché questo fenomeno di vero e proprio ritrasferimento non si fonda sul venir meno del procedimento espropriativo ma sorge perché l’Amministrazione non ha emanato nei tempi indicati il Decreto di Esproprio o non ha ultimato i lavori. E’ una vicenda di ritrasferimento rispetto alla quale il legislatore prevede una nuova quantificazione e fissazione dell’indennizzo: la P.A. è, infatti, nel frattempo divenuta proprietaria del bene del privato (anche se si discute ancora sul se l’acquisto sia a titolo originario o derivativo).

Per effetto della mancata utilizzazione del suolo privato, ormai diventato pubblico in seguito all’emanazione della Dichiarazione di pubblica utilità, sorge il diritto al ritrasferimento che comporta una nuova valutazione del valore del bene secondo i criteri usati per l’indennizzo espropriativo. L’indennizzo si valuta secondo i valori dell’epoca in cui il privato richiede la retrocessione: di solito si procede tramite un accordo amichevole altrimenti la procedura di fissazione del valore del bene seguirà le regole generali e dunque sarà di competenza del G.O. anche alla luce del d.lgs 80 del 1998 che ha lasciato inalterata la competenza del G.O. in materia.

Con riferimento all’espropriazione di pubblica utilità di interesse regionale o provinciale o comunale le leggi del 1971, del 1974 e del 1978 prevedono un diritto di prelazione degli enti territoriali che risulta agevolato proprio in considerazione del fatto che il bene, ormai espropriato, può servire all’uso di tali enti per la costruzione di altre opere pubbliche o di infrastrutture.

Circa la natura giuridica della retrocessione totale si ritiene di solito essere un diritto soggettivo perfetto ma il problema resta: è un diritto di natura reale o un diritto di natura relativa?

La tesi del diritto di natura reale non regge perché manca il profilo restitutorio; la retrocessione non si sostanzia in una restituzione bensì in un trasferimento perché la proprietà è stata perduta da parte del privato; al più può parlarsi di un diritto personale alla restituzione, ma non è neppure così perché si sostiene (Sandulli e Landi) che questo diritto soggettivo perfetto si rivolge alla P.A. trasformandosi in un diritto potestativo rispetto al quale la stessa P.A. nulla può obiettare: essa, cioè, si trova in una posizione di pati.

Si pone, allora, l’ulteriore problema di come il privato possa tutelare questo suo diritto potestativo qualora la p.a. ponga ostacoli al ritrasferimento o si rifiuti. Il privato potrà attivare i rimedi tipici che il diritto comune appresta col problema del se sia esperibile l’azione ex 2932 c.c. onde ottenere dal giudice una sentenza costitutiva che consente il trasferimento del bene.

La natura di diritto potestativo della retrocessione ha fatto dire alla giurisprudenza che il danno subìto dal privato per il ritardo nell’acquisizione del bene non è risarcibile perché non si è in presenza di un diritto di credito, che di per sé è risarcibile, ma, appunto, di un diritto potestativo che per sua natura è irrisarcibile.

La vicenda si complica nella retrocessione parziale in cui manca quel certo automatismo in quanto è necessario che l’amministrazione espropriante, alla scadenza del termine per l’ultimazione dei lavori, faccia la c.d. dichiarazione dei beni relitti ossia dei beni non utilizzati per la realizzazione dell’opera pubblica. Se non interviene questo provvedimento il privato non può attivare nessun strumento di tutela.

Alcuni autori (Sandulli) sostengono che si tratti di un provvedimento discrezionale che solo l’amministrazione può valutare e che non è surrogabile da nessun atto neanche di natura giurisdizionale; per cui di fronte all’inerzia della p.a. il privato potrà attivare solo la normale procedura del silenzio rifiuto e semmai, una volta ottenuto il provvedimento positivo e a fronte della reiterata inattività della amministrazione, potrà rivolgersi al giudice dell’ottemperanza che attiverà lo strumento dell’intervento sostitutivo a mezzo del commissario ad acta.

La retrocessione parziale è stata oggetto di ampi dibattiti in dottrina e in giurisprudenza: ci si è chiesti, come deve essere configurata l’ipotesi in cui la p.a. abbia espropriato più beni del privato o più beni appartenenti a persone diverse e abbia solo in parte utilizzato tali beni per la costruzione di opere pubbliche?

Si è risposto che la questione va vista in un’ottica non quantitativa ma funzionale: occorre raffrontare la dichiarazione programmatica di destinazione del bene espropriato contenuta nella dichiarazione di pubblica utilità e corrispondente al decreto di esproprio; secondo questa prospettiva se tutti i beni sono stati presi in considerazione in modo unitario allora l’inutilizzazione di alcuni dà luogo al fenomeno della retrocessione parziale e non di quella totale (sebbene si tratti di beni appartenenti a diversi proprietari) e, dunque, occorrerà la c.d. dichiarazione di beni relitti affinché il privato possa riappropriarsi del bene.

Ulteriore problema s’è posto con riferimento alle ipotesi in cui la p.a. abbia espropriato il bene per realizzare un’opera diversa da quella programmata nella dichiarazione di pubblica utilità: si tratta di ipotesi di retrocessione totale o parziale? O, addirittura, è ipotesi completamente diversa?

Attraverso una interpretazione che privilegia il dato funzionale si è giunti a ritenere che l’opera radicalmente diversa da quella programmata configuri una ipotesi di retrocessione totale: ma resta il problema, comune anche alle ipotesi di occupazione appropriativa, di come il privato possa tutelarsi anche alla luce del recente d.lgs 80/98.

Sappiamo che nella retrocessione totale sorge subito, per il privato, il diritto al ritrasferimento del bene; mentre nella retrocessione parziale questo automatismo non c’è essendo necessario un intervento della p.a. sotto forma della dichiarazione dei beni relitti. Qualora la p.a., senza giusto motivo, ritardi nel ritrasferire o non provveda a dichiarare l’esistenza di beni relitti e sia per ciò sottoposta alla procedura del silenzio inadempimento, può il privato far valere una pretesa risarcitoria per il danno conseguente a detto ritardo imputabile?

Se si ritiene che la materia ablatoria graviti nell’ambito della giurisdizione esclusiva del TAR, per effetto del d.lgs del 1998 n° 80, non c’è dubbio che si possa ricorrere al G.A. una volta scaduti i termini previsti per l’ultimazione dell’opera o per l’emanazione del decreto di esproprio e non c’è, altresì, dubbio che una volta messa in mora la p.a. sia possibile attivare la procedura di retrocessione.

Il privato potrà adire il G.A., anziché il G.O., ed ottenere quella sentenza che imporrà all’amministrazione di ritrasferire il bene espropriato che, secondo alcuni, avrà natura costitutiva perché il TAR, per effetto dell’ampliamento dei poteri in sede istruttoria e decisoria conseguenti al d.lgs 80, può emanare qualunque tipo di sentenza (di condanna, costitutiva o ad un facere infungibile). Si pone, allora, l’ulteriore problema relativo al risarcimento del danno per il ritardo imputabile alla p.a.

Questa pretesa risarcitoria avversata dalla giurisprudenza che adduce come motivazione del rifiuto il fatto che si è in presenza di un diritto potestativo tutelabile esclusivamente con una sentenza in forma specifica, ha fatto dire alla dottrina, storicamente più incline al risarcimento dei c.d. interessi pretensivi, che un conto è il diritto potestativo alla retrocessione e un altro è il diritto al risarcimento del pregiudizio economico conseguente agli ostacoli frapposti dall’amministrazione al ritrasferimento, pregiudizio che rientra certamente nel concetto di danno ingiusto ex 2043 c.c. Siccome il TAR in via esclusiva è competente ad emanare condanne risarcitorie non c’è dubbio che, se la materia ablatoria vi è compresa secondo una interpretazione estensiva del d.lgs 80 cit., possa, nello stesso giudizio (c.d. simultaneus processus), pronunciare una sentenza costitutiva al ritrasferimento e una pronuncia di condanna al risarcimento del danno.

Con riferimento, invece, alla retrocessione parziale, che richiede il provvedimento di dichiarazione dei beni relitti, il problema si pone allorquando la p.a., in presenza dei presupposti, non lo emetta. Dottrina maggioritaria sostiene che si pone un’esigenza di verifica della natura discrezionale o meno di tale atto amministrativo: se lo si considera a discrezionalità tecnica il TAR potrà disporre la consulenza tecnica ove il privato attivi la procedura del silenzio inadempimento ossia il g.a. anziché accertare l’inadempimento della p.a. avrà la capacità di emanare direttamente una sentenza di condanna ad adottare l’atto di retrocessione parziale e ove l’amministrazione si sottragga ulteriormente si avrà un inadempimento al giudicato che permetterà al privato di ricorrere al giudice dell’ottemperanza di fronte al quale potrà, anche, far valere la pretesa risarcitoria ove ricorrano i presupposti ex 2043 c.c.

Qualora si opti per la natura discrezionale dell’atto il TAR non potrà fare altro che accertare l’inadempimento e imporre all’amministrazione di provvedere “ora per allora” con la conseguenza che solo ove la p.a. rimanga inerte il privato si potrà rivolgere al giudice dell’ottemperanza, ma anche in tal caso non si potrà avere una sentenza in forma specifica stante l’impenetrabilità del merito amministrativo.

Francesca Romana Fuxa Sadurny

Redazione

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