La revoca di un’aggiudicazione definitiva in vista del contenzioso giurisdizionale è illegittima

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Anche se non è ancora stato stipulato il contratto con l’aggiudicatario, quando la revoca si fonda su sopravvenuti motivi di opportunità (e non su ragioni giuridiche) la sua posizione non è rimovibile sulla base di presupposti di fatto di scarsa importanza.

 

Decisione: Sentenza n. 2095/2016 Consiglio di Stato – Sezione V

Classificazione: Amministrativo

Parole chiave: aggiudicazione definitiva – bando di gara – revoca per sopravvenuti motivi di opportunità – ammissibilità – non sussiste

 

Il caso.

Una ditta partecipante a un bando di gara proponeva ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale, contestando la sussistenza dei requisiti in capo alla ditta aggiudicataria definitiva (la quale aveva indicato quale direttore dei lavori un architetto, e non un ingegnere come richiesto dal Regio Decreto n. 2537/1925).

Il bando riguardava l’affidamento del servizio di direzione lavori, e altre attività inerenti l’intervento di potenziamento e sistemazione della rete idrica comunale.

Nella more del giudizio innanzi al T.A.R., il comune provvedeva a revocare in autotutela la gara di appalto, disponendo la nomina di una figura interna all’ente: dopo aver deciso di esternalizzare il servizio di direzione lavori dell’impianto idrico, dopo non molto tempo venivano rinvenute proprie risorse interne che ne permettevano l’internalizzazione (tra l’altro, si trattava di figure apicali già esistenti nella pianta organica del comune).

Sia l’aggiudicataria che la ditta controinteressata impugnavano il provvedimento di revoca avanti al T.A.R., il quale rigettava le istanze cautelari, successivamente accolte in riforma dal Consiglio di Stato.

Il T.A.R. decideva poi sui due ricorsi, previa loro riunione, affermando la legittimità del provvedimento di revoca del comune.

Le due ditte ricorrono al Consiglio di Stato, il quale accoglie i ricorsi e riforma la sentenza impugnata del T.A.R.

 

La decisione.

Dopo aver dato conto dello svolgimento dei giudizi innanzi al T.A.R., il Consiglio di Stato affronta le motivazioni addotte dai ricorrenti e le giustificazioni del comune per la revoca in autotutela dell’aggiudicazione, tali ultime così sintetizzabili: «La revoca era stata giustificata con la necessità di provvedere con la massima urgenza alla nomina del direttore dei lavori per non perdere il finanziamento»; «I tempi occorrenti per la definizione dei giudizio dinanzi al TAR aveva inibito la sottoscrizione del contratto di appalto e conseguentemente la nomina del direttore dei lavori e l’attesa avrebbe potuto compromettere il finanziamento dei lavori»; «La nomina di personale interno aveva reso necessaria la revoca in autotutela della gara di appalto indetta con determina dirigenziale (…), ed i principi di buon andamento e di economicità dell’azione pubblica, oltre al risparmio per le casse comunali, rendevano indispensabile che tale passaggio: infatti era sopraggiunta la disponibilità da parte del responsabile dell’ufficio tecnico comunale ad assumere l’incarico di direzione dei lavori»; «la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca era giustificata dalle richiamate esigenze di celerità ».

Le motivazioni del T.A.R. che hanno portato a ritenere legittima la revoca possono essere così riassunte: «il Collegio riteneva che sarebbe stato comunque applicabile alla fattispecie in questione il disposto dell’art.21 octies della legge 7 agosto 1990 n.241, in quanto il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato»; «Il Collegio rilevava come l’ordinamento giuridico riconosceva in via generale ad un’amministrazione potesse revocare l’affidamento dell’incarico e l’intera procedura di gara di gara, fino alla stipula del contratto di appalto, qualora l’affidamento non fosse più rispondente all’interesse pubblico, salve le conseguenze di natura risarcitoria o indennitarie»; «Nel caso di specie poi la motivazione di interesse pubblico fornita dal Comune, consistente nelle ragioni di urgenza di far iniziare i lavori dell’appalto collegato, per il rischio di perdere il finanziamento relativo a quest’ultimo, giustificava del tutto la revoca».

La ditta appellante, da parte sua, si doleva della disapplicazione delle norme in materia di necessità della comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca, considerato che l’aggiudicazione definitiva è idonea ad ingenerare legittimo affidamento in tal maniera da imporre l’instaurazione del contraddittorio procedimentale prima di un passaggio così radicale.

E censurava la sentenza del T.A.R. relativamente all’assolvimento degli oneri di motivazione: «altrettanto illegittima era la mancata contestualità, ritenuta non necessaria dal giudice di primo grado, della fissazione di un indennizzo ai sensi dell’art. 21 quinquies della L. 241 del 1990, così come era illogico il richiamo alle “lungaggini” dei tempi di definizione del processo amministrativo, soprattutto ove si fosse andato a rilevare la gara era stata bandita il 14 maggio 2014 ed era trascorso oltre un anno per giungere all’aggiudicazione definitiva, senza ignorare l’accelerazione processuale dei giudizi in materia di appalti»; da ultimo, «quanto ai costi sostenuti, la sentenza è erronea, poiché il risparmio per le casse pubbliche è del tutto inesistente rispetto all’offerta dell’aggiudicataria e non si comprende come tale evenienza sia sopraggiunta dopo tanto tempo».

Il Consiglio di Stato ritiene le censure dei ricorrenti fondate: infatti «Se l’emanazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva non è sufficiente in generale per superare la potestà della pubblica amministrazione di emanare atti di secondo grado, impediti solo dalla sussistenza del seguente contratto con l’aggiudicatario, si deve però rilevare che la posizione dell’aggiudicatario definitivo non è rimovibile in base a presupposti di fatto di scarsa consistenza così come quelli invocati dalla resistente P.A.

Si deve considerare innanzitutto quanto deliberato dal Comune non appare configurare un annullamento d’ufficio giustificato in primo luogo da ragioni giuridiche, ma esso riveste la tipologia della revoca per sopravvenuti motivi di opportunità, motivi che si dovrebbero rinvenire tra il non previsto contenzioso giurisdizionale apertosi a seguito dell’aggiudicazione, contenzioso che avrebbe portato l’affidamento definitivo a tempi lunghi e comunque alla perdita dei finanziamenti, alla possibilità sopravvenuta di “internalizzare” la direzione dei lavori idraulici oggetto della gara ed infine la minor spesa derivante alle casse comunali da tale “internalizzazione”.

Ora, come si è appena ritenuto, la revoca dell’aggiudicazione definitiva può sempre intervenire, ma deve essere accompagnata da ragioni convincenti sull’interesse della pubblica amministrazione coinvolta tanto da non comprimere oltre la giusta misura l’affidamento del privato e soprattutto deve essere corredata da un’applicazione corretta delle norme in materia e dei principi generali dell’ordinamento giuridico.

Nel caso di specie, si deve ritenere patentemente illegittima una deliberazione di ritiro di un’aggiudicazione definitiva in vista del formarsi di un contenzioso giurisdizionale, sia perché ciò porterebbe ad una chiara ed evidente violazione della tutela dei diritti degli interessi dei soggetti, principio garantito dall’art. 24 della Costituzione, e ciò in un campo ove la velocizzazione dei processi negli ultimi anni non può essere messa in discussione, se non cadendo in grave mala fede e senza ignorare i lunghi tempi amministrativi richiamati dalle parti appellanti che hanno preceduto l’aggiudicazione in questione; sia perché una diversa interpretazione potrebbe portare facilmente ed assurdamente ad una continua elusione di qualsiasi forma di tutela giurisdizionale.

Non è poi del tutto comprensibile la vicenda della modificazione delle decisioni del Comune di “esternalizzare” dapprima il servizio di direzione dei lavori acquedottistici ponendolo in gara e quindi, in tempi non lunghi, del rinvenimento delle proprie risorse interne che permettevano l’”internalizzazione”, trattandosi tra l’altro individuare figure professionali di carattere apicale esistenti nella pianta organica comunale.

Ancora, sono del tutto inadeguati richiami ai risparmi (…)»

Il Collegio, infine, chiosa affermando: «Se a tali conclusioni si aggiungono la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca con il conseguente mancato ascolto delle parti interessate, passaggio che avrebbe implicato la spendita di pochi giorni e la mancata previsione di un indennizzo, rinviabile ma nemmeno menzionata, si comprendono appieno le ragioni degli appellanti».

Infine, pronuncia per l’annullamento della revoca impugnata, che comporta la reviviscenza dell’aggiudicazione definitiva e la procedibilità della ditta controinteressata avverso l’aggiudicazione.

 

Osservazioni.

La pronuncia del Consiglio di Stato ribadisce i limiti della potestà della pubblica amministrazione di emanare atti tra l’aggiudicazione e il contratto con l’aggiudicatario, affermando che la posizione di quest’ultimo non è rimovibile in base a presupposti di fatto di scarsa consistenza: per arrivare alla revoca dell’aggiudicazione definitiva per sopravvenuti motivi di opportunità devono essere allegate ragioni convincenti sull’interesse della pubblica amministrazione che non comprimano oltre la giusta misura l’affidamento del privato, e corredate da una corretta applicazione delle norme in materia e dei principi generali dell’ordinamento giuridico.


Disposizioni rilevanti.

REGIO DECRETO 23 OTTOBRE 1925, N. 2537

APPROVAZIONE DEL REGOLAMENTO PER LE PROFESSIONI DI INGEGNERE E DI ARCHITETTO

Capo IV – DELL’OGGETTO E DEI LIMITI DELLA PROFESSIONE DI INGEGNERE E DI ARCHITETTO

 

Art. 51

Sono di spettanza della professione d’ingegnere, il progetto, la condotta e la stima dei lavori per estrarre, trasformare ed utilizzare i materiali direttamente od indirettamente occorrenti per le costruzioni e per le industrie, dei lavori relativi alle vie ed ai mezzi di trasporto, di deflusso e di comunicazione, alle costruzioni di ogni specie, alle macchine ed agli impianti industriali, nonché in generale alle applicazioni della fisica, i rilievi geometrici e le operazioni di estimo.

 

Art. 54

Coloro che abbiano conseguito il diploma di laurea d’ingegnere presso gli istituti d’istruzione superiore indicati nell’art. 1 della L. 24 giugno 1923, n. 1395, entro il 31 dicembre 1924, ovvero lo conseguiranno entro il 31 dicembre 1925, giusta le norme stabilite dall’art. 6 del R.D. 31 dicembre 1923, n. 2909, sono autorizzati a compiere anche le mansioni indicate nell’art. 52 del presente regolamento.

Coloro che abbiano conseguito il diploma di laurea d’ingegnere-architetto presso gli istituti d’istruzione superiore indicati nell’art. 1 della legge entro il 31 dicembre 1924, ovvero lo conseguiranno entro il 31 dicembre 1925, giusta le norme stabilite dall’art. 6 del R.D. 31 dicembre 1923, n. 2909, sono autorizzati a compiere anche le mansioni indicate nell’art. 51 del presente regolamento, eccettuate le applicazioni industriali.

La presente disposizione è applicata anche a coloro che abbiano conseguito il diploma di architetto civile nei termini suddetti, ad eccezione però di quanto riguarda le applicazioni industriali e della fisica, nonchè i lavori relativi alle vie, ai mezzi di comunicazione e di trasporto e alle opere idrauliche.


LEGGE 7 agosto 1990, n. 24

Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi

Vigente al: 4-6-2016

 

Art. 21-octies – Annullabilità del provvedimento

1. E’ annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.

2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Graziotto Fulvio

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