di Lilla Laperuta
Il principio è affermato dal Consiglio di Stato, sez. V, nella sentenza n. 6374 depositata lo scorso 2 dicembre.
In tale sede i giudici di Palazzo Spada puntualizzano alcuni cardini teorici che ruotano intorno all’istituto dell’ errore di fatto. Quest’ultimo per configurarsi come idoneo a fondare la domanda di revocazione ex art. 395 n. 4 c.p.c., deve rispondere a tre distinti requisiti, consistenti:
a) nel derivare da una pura e semplice errata od emessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere esistente un fatto documentalmente escluso o inesistente un fatto documentalmente provato;
b) nell’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
c) nell’essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando cioè un rapporto di causalità tra l’erronea supposizione e la pronuncia stessa.
Di conseguenza, con riferimento al punto sub c), l’errore revocatorio può ragionevolmente essere invocato solo quando vi sia un rapporto di causalità necessaria fra l’erronea od omessa percezione fattuale e documentale e la pronuncia in concreto adottata dal Giudice. Di qui, ancora, la non rilevanza dell’istituto in parola quando la sentenza si fondi su fatti, seppure erronei, che non siano decisivi in se stessi ai fini del decidere, ma debbano essere valutati in un più ampio e complesso quadro probatorio (si richiama debitamente in merito l’indirizzo espresso dalla Suprema Corte di Cassazione, sez. III, 20 luglio 2011 n. 15882).
L’errore di fatto revocatorio si configura, quindi, ad avviso del Collegio, come un “abbaglio dei sensi, per effetto del quale si determina un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa”. Esso può essere apprezzato solo quando risulti da atti o documenti ritualmente acquisiti agli atti del giudizio, con esclusione, quindi, delle produzioni inammissibili.
Non può ritenersi, pertanto, ammissibile il rimedio della revocazione per un errore di percezione rispetto ad atti o documenti non prodotti ovvero per un errore di fatto la cui dimostrazione avviene mediante deposito di un documento prodotto per la prima volta in sede di revocazione (cfr. sul punto anche Cons. Stato, sez. V, 16 novembre 2010, n. 8061; sez. VI, 23 febbraio 2011 n. 1145).
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