Indice
- Il fatto
- I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
- Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
- Conclusioni
1. Il fatto
La Corte di Appello di Perugia dichiarava inammissibile una istanza di revisione formulata avverso una sentenza della Corte di Assise di Appello di Roma, Sezione seconda, che aveva condannato l’istante alla pena di anni sedici e mesi nove di reclusione per i reati di cui agli artt. 630 cod. pen. (capo A), 110, 61 n. 5, 582, 585, in relazione all’art. 576, n. 1, cod. pen. (capo B), uniti dal vincolo della continuazione.
In particolare, il ricorrente aveva evidenziato due distinti profili, ritenuti rilevanti ex art. 630, comma 1, lett. a) e c), cod. proc. pen., per i quali aveva richiesto la revisione della sentenza.
Più nel dettaglio, sotto un primo aspetto, si evidenziava ex art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. la presenza di elementi di prova da cui desumere che l’istante non avesse preso parte alla fase del sequestro mentre, sotto un secondo aspetto, ritenuto rilevante ex art. 630, lett. a), cod. proc. pen., la difesa rappresentava l’inconciliabilità tra il contenuto della sentenza di cui si richiedeva la revisione della seconda Sezione della Corte di Assise di Appello di Roma – a carico della sola parte interessata nel caso di specie – e una sentenza della Prima sezione della Corte di Assise di Appello di Roma, a carico di tutti gli altri imputati, che lo aveva collocato a Catania e, pertanto, quale soggetto non facente parte del gruppo di persone che aveva partecipato al prelievo del sequestrato.
Ciò posto, dal canto suo, la Corte di Appello di Perugia aveva dichiarato inammissibile l’istanza in quanto ritenuta carente, in primo luogo, circa il requisito dell’irrevocabilità della sentenza della Sezione seconda della Corte di Assise di Appello di Roma, tenuto conto altresì del fatto che, ad opinione della Corte territoriale, anche a voler ritenere sussistente il requisito dell’irrevocabilità, l’istanza di revisione non avrebbe potuto essere accolta visto che la tesi secondo cui l’istante avrebbe partecipato solo alla successiva fase della condotta delittuosa, avrebbe ipoteticamente condotto, al più, ad una diversa qualificazione del grado di sua compartecipazione al delitto sub capo A.
2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il provvedimento summenzionato il difensore del richiedente proponeva ricorso per Cassazione, deducendo i seguenti motivi: 1) violazione di legge e travisamento del presupposto in ordine alla ritenuta inammissibilità in relazione agli artt. 630, lett. a) e c), e 633 cod. proc. pen.; 2) violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 630, lett. c), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 631 e 634 cod. pen.; 3) violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 630, lett. a), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 631 e 634 cod. proc. pen..
>>>Sull’argomento leggi anche: La revisione nel processo penale
3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso era stimato inammissibile, risultando determinante, in quanto idonea a confutare tutti i profili censurati dal ricorrente, ad avviso del Supremo Consesso, il dato secondo cui la rappresentazione del ricorrente tende a diversamente qualificare il contributo in termini di differente apporto nel sequestro di persona e non anche di estraneità in ordine ai fatti per i quali vi era stata condanna mentre, sulla base di consolidato orientamento della Cassazione, in ragione del generale limite posto dall’art. 631 cod. proc. pen., è inammissibile la richiesta fondata sulla prospettazione di elementi tali da poter dar luogo, se accertati, non al proscioglimento, ma alla dichiarazione di responsabilità per un diverso e meno grave reato (Sez. 6, n. 4121 del 16/05/2019; Sez. 1, n. 19342 del 22/04/2009) posto che, se la ragione che è alla base della rivalutazione del giudicato penale, in deroga al principio della sua – ormai tendenziale – intangibilità, attiene alla necessità di risolvere un contrasto esistente tra verità formale (attestata dal giudicato) e verità fenomenica venuta in luce a seguito di situazioni o emergenze nuove non considerate dalla sentenza irrevocabile di condanna, è evidente, sempre per la Suprema Corte, che la disciplina dell’istituto della revisione ex art. 630 cod. proc. pen., finalizzato alla salvaguardia del favor innocentiae (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, 2002, omissis, Rv. 220441), è di stretta applicazione e non tollera estensioni analogiche. In caso contrario si andrebbe a compromettere il giudicato penale assegnando valenza al raggiungimento di obbiettivi estranei alla ratio della disciplina, quali sarebbero quelli tesi al disconoscimento di una circostanza aggravante ovvero alla riqualificazione giuridica del reato ascritto, giudizio non idoneo a confutare l’esito dell’affermata colpevolezza del condannato conformemente al testo dell’art. 631 cod. proc. pen..
Ciò posto, era reputata oltre tutto apodittica la censura rivolta dal ricorrente alla Corte di merito secondo cui detta valutazione avrebbe travalicato i limiti di accertamento demandati al Collegio tenuto conto che la valutazione, lungi dall’essere stata effettuata a causa di un penetrante e non consentito giudizio demandato alla fase rescissoria, per la Corte di legittimità, era stata corrispondente all’esame della mera prospettazione operata dalla difesa del ricorrente.
In egual misura, si ravvisava la manifesta infondatezza dell’ultimo motivo secondo cui si sarebbe voluta accreditare la tesi secondo cui l’istante non aveva partecipato al segmento di condotta che vedeva il gruppo criminale prelevare da Pomezia il sequestrato, ritenendosi, sul punto, la sentenza impugnata munita di una motivazione corretta e logica.
4. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse, essendo ivi chiarito, stante quanto previsto dall’art. 631 cod. proc. pen. (“Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena d’inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530 o 531” cod. proc. pen.), e sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che è inammissibile la richiesta fondata sulla prospettazione di elementi tali da poter dar luogo, se accertati, non al proscioglimento, ma alla dichiarazione di responsabilità per un diverso e meno grave reato.
E’ quindi sconsigliabile intraprendere una linea difensiva con cui, anzichè chiedere la revisione avanzata sulla base di elementi atti ad acclarare, se verificati, che il condannato debba essere prosciolto ai sensi degli artt. 529, 530 o 531 cod. proc. pen., si formuli la medesima domanda attraverso l’esposizione di elementi in grado di potere dar luogo, sempre in caso di loro verificazione, ad una mera dichiarazione di responsabilità per un diverso e meno grave reato.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
Volume consigliato
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento