La richiesta formulata dal condannato perché sia dichiarata la non esecutività della sentenza, non è riqualificabile come richiesta di rescissione del giudicato

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La richiesta formulata dal condannato perché sia dichiarata la non esecutività della sentenza ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen. in ragione di nullità che abbiano riguardato la citazione a giudizio nel procedimento di cognizione ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen.

(Ricorso dichiarato inammissibile)

(Riferimenti normativi: Cod. proc. pen., artt. 568, c. 5, 670)

Il fatto

Il Tribunale di Palermo, quale Giudice dell’esecuzione, decidendo de plano, respingeva una richiesta di sospensione dell’ordine di esecuzione emessa dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo.

In particolare, tale richiesta era stata proposta dal condannato ex art. 670 cod. proc. pen. in relazione ad una sentenza di condanna emessa dallo stesso Tribunale, e divenuta irrevocabile, con cui l’imputato era stato condannato alla pena di trenta giorni di reclusione.

Ciò posto, il provvedimento di rigetto in questione, a sua volta, veniva adottato dal Giudice dell’esecuzione sull’assunto che la mancata conoscenza del giudizio di merito da parte del condannato, dovuta alla circostanza che la notifica del decreto di citazione diretta era stata effettuata nei confronti di un professionista diverso da quello che lo assisteva, non assumeva rilievo ai presenti fini processuali non essendo deducibili in sede di esecuzione i vizi verificatisi nel processo di cognizione.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso tale ordinanza veniva proposto ricorso per Cassazione deducendosi due motivi di ricorso.

Con il primo motivo di ricorso si prospettava la violazione di legge del provvedimento impugnato conseguente al fatto che il Giudice dell’esecuzione, nel respingere l’incidente di esecuzione, non aveva tenuto conto della nullità della sentenza irrevocabile presupposta, rilevante ex artt. 178 e 179 cod. proc. pen. che traeva origine dalla circostanza, incontroversa, che nel giudizio di merito la notifica del decreto di citazione diretta dell’imputato era stata disposta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo nei confronti di un avvocato diverso da quello che assisteva il ricorrente.

Con il secondo motivo di ricorso, proposto in via subordinata al respingimento della doglianza precedente, si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato conseguente al fatto che, laddove non avesse ritenuto ammissibile l’incidente di esecuzione proposto nell’interesse del condannato il Tribunale di Palermo avrebbe dovuto provvedere a riqualificarlo, ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., come appello tardivo ovvero come richiesta di rescissione del giudicato ex art. 629-bis cod. proc. pen., disponendo la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Palermo, funzionalmente competente.

Le considerazioni esposte, per la difesa, imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.

Per quanto concerne la prima doglianza, gli Ermellini osservavano in particolare che, se era pacifico che l’omessa osservanza delle formalità relative alla notifica della sentenza di primo grado traeva origine all’erronea vocatio in iudicium del condannato, era altrettanto pacifico che tale patologia processuale, laddove eccepita nel processo di cognizione, avrebbe concretizzato una nullità assoluta e insanabil, in linea con quanto affermato dalle Sezioni Unite secondo cui: «L’omessa notifica all’imputato dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare configura un’ipotesi di nullità assoluta ed insanabile, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento equiparabile all’omessa citazione dell’imputato» (Sez. U, n. 7697 del 24/11/2016).

Tuttavia, a fronte di ciò, per i giudici di piazza Cavour, tale patologia processuale, che comportava la violazione del diritto di difesa del ricorrente, doveva essere eccepita con lo strumento processuale previsto dall’art. 629-bis cod. proc. pen. – che disciplina le ipotesi di rescissione del giudicato – e non con quello di cui all’art. 670 cod. proc. pen., che risultava essere stato attivato nell’interesse del condannato sulla base di argomentazioni che, pur pregevolmente sostenute, non apparivano essere, per la Suprema Corte, meritevoli di accoglimento.

Sul punto, si richiamava a tal riguardo il recente intervento chiarificatore delle Sezioni Unite che hanno escluso che, in sede di esecuzione, le patologie processuali verificatesi nel giudizio di merito possano essere fatte valere con lo strumento previsto dall’art. 670 cod. proc. pen., affermando il seguente principio di diritto: «Il condannato con sentenza pronunciata in assenza che intenda eccepire nullità assolute ed insanabili, derivanti dall’omessa citazione in giudizio propria e/o del proprio difensore nel procedimento di cognizione, non può adire il giudice dell’esecuzione per richiedere ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen. in relazione ai detti vizi, la declaratoria della illegittimità del titolo di condanna e la sua non esecutività. Può, invece, proporre richiesta di rescissione del giudicato ai sensi dell’art. 629-bis cod. proc. pen., allegando l’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo che possa essere derivata dalle indicate nullità» (Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020).

Le considerazioni esposte imponevano quindi, per la Corte di legittimità ordinaria, di ritenere inammissibile il primo motivo di ricorso.

Ciò posto, quanto alla seconda doglianza, si evidenziava come un analogo giudizio di inammissibilità dovesse esprimersi per il secondo motivo di ricorso, proposto in via subordinata al respingimento della doglianza precedente, con cui si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, conseguente al fatto che il Tribunale di Palermo, laddove non avesse ritenuto ammissibile l’incidente di esecuzione proposto nell’interesse del condannato ex art. 670 cod. proc. pen., avrebbe dovuto provvedere a riqualificarlo, ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., come appello tardivo ovvero come richiesta di rescissione del giudicato ex art. 629-bis cod. proc. pen., disponendo la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Palermo, funzionalmente competente.

Si ribadiva difatti come non sia possibile, come suesposto prima, convertire l’incidente di esecuzione proposto dal condannato ex art. 670 cod. proc. pen., favor impugnationis, quale rescissione del giudicato ovvero quale appello tardivo, in linea con quanto richiesto dalla difesa del ricorrente ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen. dato che la possibilità di effettuare la conversione dell’incidente di esecuzione richiesta dal condannato è preclusa dall’inutilizzabilità dello strumento di cui all’art. 629-bis cod. proc. pen. al di fuori dalle ipotesi espressamente previste da tale disposizione, che non può ritenersi applicabile estensivamente ai casi in cui si censura la non esecutività della sentenza ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen. richiamandosi a tal riguardo il recente arresto chiarificatore delle Sezioni Unite, che, sulla possibilità di convertire l’incidente di esecuzione ex art. 568, comma 5, cod. proc. pen., hanno affermato il seguente principio di diritto: «La richiesta formulata dal condannato perché sia dichiarata la non esecutività della sentenza ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen. in ragione di nullità che abbiano riguardato la citazione a giudizio nel procedimento di cognizione, non è riqualificabile come richiesta di rescissione del giudicato ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen.» (Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020).

Queste ragioni inducevano la Suprema Corte a ritenere inammissibile pure il secondo motivo di ricorso.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi ribadito un precedente arresto giurisprudenziale con cui le Sezioni Unite hanno postulato che la richiesta formulata dal condannato perché sia dichiarata la non esecutività della sentenza ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen. in ragione di nullità che abbiano riguardato la citazione a giudizio nel procedimento di cognizione, non è riqualificabile come richiesta di rescissione del giudicato ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen..

E’ dunque sconsigliabile procedere con tale richiesta ove si verifichi una situazione processuale di questo genere.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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