Durante l’espropriazione forzata può accadere che vengano pignorati beni del debitore con valore superiore a quanto necessario per soddisfare le esigenze dei creditori, sia procedenti che intervenuti.
Nell’ipotesi in cui il valore del “pignorato” superi quanto necessario a soddisfare i creditori procedenti, ed eventualmente intervenuti, in ragione dei loro crediti (per capitale, interessi e spese – comprese quelle del procedimento di espropriazione), il debitore può chiedere al giudice dell’esecuzione la “riduzione del pignoramento”.
In particolare, l’art. 496 c.p.c. prevede che su istanza del debitore o anche d’ufficio, quando il valore dei beni pignorati è superiore all’importo delle spese e dei crediti, il giudice, sentiti il creditore pignorante e i creditori intervenuti, può disporre la riduzione del pignoramento.
La domanda di riduzione del pignoramento ai sensi dell’art. 496 c.p.c. attiene alle misure speciali intese ad evitare eccessi nell’uso del procedimento di esecuzione forzata. Come tale essa deve essere proposta al giudice dell’esecuzione il quale è il dominus dell’espropriazione forzata, anche se la stessa domanda potrà formare oggetto di successiva cognizione in sede di opposizione agli atti esecutivi, ove l’accoglimento o il rigetto di essa non sia conforme agli interessi delle parti del processo esecutivo. Detta domanda non può invece essere proposta per la prima volta nel giudizio di opposizione all’esecuzione, al quale essa è naturalmente estranea (Cass. civ., sez. III, 9 dicembre 1992, n. 1321).
La valutazione delle condizioni che autorizzano la riduzione del pignoramento resta affidata ai poteri discrezionali di apprezzamento del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità quando sia congruamente e correttamente motivata (Cass. civ., sez. III., 16 gennaio 2016, n. 702; Cass. civ., sez. III, 3 aprile 1979, n. 1919; Cass. civ., sez. I, 1 marzo 1986, n. 1305).
Nel sistema processuale vigente non esiste nessun principio attraverso il quale si possa qualificare come illecita la richiesta di pignoramento da chiunque provenga e comunque sia stata posta in essere, poiché in presenza di discrezionalità del giudice, quale prevista dall’art. 496 c.p.c., in materia di riduzione, anche d’ufficio, del pignoramento, è da escludere qualsiasi forma di illegittimità o invalidità del pignoramento (Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 1994, n. 8464). Il tema della “sproporzione” tra valore dei beni materialmente pignorati e valore effettivo dei crediti si intreccia con quanto stabilito dall’art. 96, comma 2, c.p.c. in ordine alla responsabilità processuale aggravata, che genera in capo al debitore il diritto di chiedere il risarcimento dei danni qualora sia accertata l’inesistenza del diritto per cui è stata (tra le altre) iniziata o compiuta l’esecuzione forzata.
La giurisprudenza di legittimità, in passato, ha esteso il concetto di “inesistenza del credito” (che è fonte di responsabilità aggravata) anche alla fattispecie in cui sussista una grande sproporzione tra il valore dei beni pignorati e i crediti effettivi. Ciò ha destato non poche perplessità tenuto conto che l’art. 2740 c.c. stabilisce il principio generale per cui il debitore risponde con l’intero patrimonio dei debiti contratti e che l’ordinamento appresta delle misure specifiche in favore del debitore proprio per “mitigare” l’eventuale “sproporzione” tra valore dei beni materialmente pignorati e valore effettivo dei crediti: non ultima l’istanza di riduzione del pignoramento; e, soprattutto, in tal senso la Suprema Corte ha chiarito che la responsabilità processuale aggravata può essere configurata solo nel caso in cui il diritto per il quale si è proceduto sia risultato inesistente.
Il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione, d’ufficio, riduce il pignoramento o, su istanza del debitore, accoglie o rigetta la domanda è, discrezionale e opponibile con il mezzo dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., così come l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione decide sul cumulo dei mezzi espropriativi (nonostante il codice parli espressamente di ordinanza non impugnabile riferendosi evidentemente al ricorso per Cassazione).
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