La rifusione del regolamento Bruxelles II bis in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale: le norme sulla giurisdizione [1]

Redazione 21/01/20

di Michele Angelo Lupoi

Sommario

1. Introduzione: il regolamento UE 2019/1111

2. Ambito applicativo e definizioni

3. Le norme sulla giurisdizione

4. Trasferimenti di competenza per ragioni di maggiore idoneità del foro

5. I provvedimenti provvisori e cautelari

6. Questioni incidentali e altre disposizioni in materia di competenza

7. Conclusione “a prima lettura”

1. Introduzione: il regolamento UE 2019/1111

La stagione delle rifusioni dei regolamenti europei in ambito processuale si è di recente arricchita di un ulteriore tassello. Il riferimento è alla recente approvazione, da parte del Consiglio, del regolamento (UE) 2019/1111, di rifusione del regolamento (UE) n. 2201 del 2003, in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale (Bruxelles II bis).

Il regolamento Bruxelles II bis a sua volta rappresentava l’evoluzione di un primo intervento eurounitario in materia di diritto di famiglia (il regolamento n. 1347/2000) e la sua applicazione pratica è andata crescendo nel tempo, a conferma della aumentata rilevanza delle famiglie transfrontaliere nell’ambito dell’Unione. Il regolamento 2201/2003 è considerato, globalmente, uno strumento efficace, avendo contribuito a garantire certezza e prevedibilità del diritto in un contesto delicato quanto importante nell’ambito dello spazio di giustizia europeo[2].

Sul piano applicativo, i principali problemi riscontrati riguardano, sul piano giurisdizionale, la possibilità che il contenzioso relativo alla medesima crisi familiare si “frazioni” in più Stati membri diversi, in ragione della diversità dei criteri di collegamento previsti, rispettivamente, per le controversie matrimoniali e per quelle in materia di potestà genitoriale, in mancanza di una norma generale sulla giurisdizione per motivi di connessione. Terreno ancora più delicato è quello dell’esecuzione cross-border dei provvedimenti in materia di responsabilità genitoriale, in particolare quelli relativi al ritorno nello Stato di origine di minori sottratti illecitamente[3]. Come dimostra la giurisprudenza degli Stati membri e della Corte di giustizia, in questo ambito, di là dalla enunciazione dei principi e dalla formulazione delle norme, si registra p>

E’ dunque con riferimento alle problematiche insorte nel primo decennio di applicazione del regolamento Bruxelles II bis, ed in particolare al fine di dare migliore protezione all’interesse superiore del minore[4], che, nel giugno 2016, la Commissione ha formulato, dopo un intenso lavoro di raccolta ed elaborazione di dati e sondaggi, una proposta di rifusione del regolamento 2201/2003.

Nel documento del 30 giugno 2016 che accompagnava la proposta di rifusione del regolamento, la Commissione proponeva alcuni obiettivi generali, a loro volta articolati in obiettivi specifici.

E così, gli obiettivi di migliorare l’accesso alle corti e la corretta ed efficiente amministrazione della giustizia nonché di garantire parità di accesso alla giustizia nell’Unione per entrambi i coniugi, si declinavano nella proposta di aumentare l’autonomia delle parti, al fine di incrementare la prevedibilità nel contenzioso matrimoniale, di facilitare la riunione di diversi procedimenti in materia familiare, di limitare la “corsa al foro” e conseguentemente ridurre i costi correlati, di semplificare lo schema normativo della giurisdizione nelle cause matrimoniali e di introdurre flessibilità rispetto ai poteri delle corti di tenere in considerazione i procedimenti pendenti in Stati terzi. In materia di responsabilità genitoriale, poi, si prospettava l’obiettivo generale di scoraggiare la sottrazione dei minori, proteggere la relazione genitori- figli e conseguentemente preservare il prevalente interesse dei minori; obiettivo che veniva poi “specificato” con la garanzia del rapido e sicuro ritorno del minore nello Stato di origine, semplificando la relativa procedura. La Commissione faceva pure riferimento all’obiettivo di proteggere l’interesse prevalente del minore assicurando che i bambini in stato di bisogno potessero essere collocati in un altro Stato membro, semplificando e rendendo più veloci le relative procedure. L’obiettivo di proteggere il prevalente interesse del minore veniva in rilievo anche in materia di circolazione delle decisioni in materia di responsabilità genitoriali, rispetto alla quale si prospettavano la semplificazione delle procedure di riconoscimento e di esecuzione, riducendone i tempi e i costi e il rafforzamento della fiducia reciproca tra gli Stati membri, con particolare riferimento all’ascolto del minore e ai prevalenti interessi del minore stesso. Infine, la Commissione prendeva in considerazione la cooperazione tra autorità nazionali, indicando come obiettivo generale il miglioramento di tale cooperazione e la semplificazione della cooperazione transfrontaliera tra le autorità centrali, e, come obiettivi specifici, la riduzione dei ritardi nei casi transfrontalieri relativi a minori e il miglioramento della fiducia reciproca tra autorità nazionali e in particolare tra autorità centrali.

Sulla proposta della Commissione si è pronunciato il Parlamento, con un intervento di “compromesso” politico da parte del Consiglio. Al termine del percorso normativo, ha infine visto la luce il regolamento (Ue) n. 2019/1111 del 25 giugno 2019, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori. Esso è entrato in vigore il ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, ma la sua applicazione è rinviata al 1° agosto 2022[5], ad eccezione degli art. 92, 93 e 103 che si applicano dal 22 luglio 2019.

Non tutte le proposte della Commissione sono poi confluite nel testo finale approvato dal Consiglio, ma le esigenze evidenziate nella proposta originale sono state valorizzate. In effetti, il nuovo regolamento Bruxelles II ter introduce importanti innovazioni rispetto al sistema previgente, in un delicato gioco di equilibri tra tutela del minore, interessi nazionali, coordinamento con altri strumenti internazionali, nel prisma del rafforzamento della fiducia reciproca tra i sistemi giudiziari degli Stati membri (considerando n. 3).

[1] Una versione più ampia di questo scritto, con titolo diverso, è destinata al volume in memoria di Franco Cipriani.

[2] Il considerando 1, afferma, al riguardo: “il regolamento (CE) n. 2201/2003 è uno strumento che funziona in maniera corretta e ha offerto importanti vantaggi ai cittadini, ma che vi è la possibilità di migliorare le norme esistenti. Si rendono necessarie varie modifiche di tale regolamento. A fini di chiarezza, è opportuno procedere alla sua rifusione”.

[3] V. anche Honorati, La proposta di revisione del regolamento Bruxelles II-bis : più tutela per i minori e più efficacia nell’esecuzione delle decisioni, in Riv. dir. int. priv. proc., 2017, p. 248.

[4] Carpaneto, La ricerca di una (nuova) sintesi tra interesse superiore del minore “in astratto” e “in concreto” nella riforma del regolamento Bruxelles II-bis, in Riv. dir. int. priv. proc., 2018, p. 974.

[5] Dalla medesima data, l’art. 104 prevede l’abrogazione del regolamento n. 2201 del 2003. Il nuovo regolamento si applicherà solo alle azioni proposte, agli atti pubblici formalmente redatti o registrati e agli accordi registrati il o posteriormente al 1° agosto 2022. Il regolamento n. 2201/2003, per contro, continuerà ad applicarsi alle decisioni rese nelle azioni proposte, agli atti pubblici formalmente redatti o registrati e agli accordi che sono divenuti esecutivi nello Stato membro in cui sono stati conclusi anteriormente al 1° agosto 2022 e che rientrano nel suo ambito di applicazione (art. 100).

2. Ambito applicativo e definizioni

Il nuovo regolamento conserva la struttura e l’ambito applicativo di quello precedente, rispetto al quale si pone in continuità: esso si occupa infatti, della giurisdizione, della circolazione e dell’esecuzione delle decisioni, della sottrazione internazionale di minori, della cooperazione giudiziaria transfrontaliera nelle materie considerate. Continua a restare fuori dall’ambito del regolamento Bruxelles II ter la disciplina sulla legge applicabile: per il divorzio, dunque, si dovrà fare riferimento al regolamento 1259 del 2010 mentre, per la responsabilità genitoriale, in mancanza di normative armonizzate eurounitarie, il considerando n. 92[6] rinvia alle disposizioni del capitolo III della convenzione dell’Aia del 1996[7]. Nel testo del nuovo regolamento, peraltro, aumentano le norme di diritto uniforme, che si innestano sulle normative procedurali della lex fori, prevalendo sulle disposizioni nazionali incompatibili.

Il regolamento si ad applica, come già il regolamento 2201/2003, da un lato, alle materie civili relative al divorzio, alla separazione personale e all’annullamento del matrimonio e, dall’altro, all’attribuzione, all’esercizio, alla delega, alla revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale. Rispetto alle materie incluse in tale secondo ambito, l’art. 1, para. 2 elenca, come già nel regolamento n. 2201, il diritto di affidamento e il diritto di visita; la tutela, la curatela ed altri istituti analoghi; la designazione e le funzioni di qualsiasi persona o ente aventi la responsabilità della persona o dei beni del minore o che lo rappresentino o assistano; i provvedimenti di protezione del minore legati all’amministrazione, alla conservazione o all’alienazione dei beni del minore; il collocamento del minore in affidamento presso una famiglia o un istituto. Rispetto a tale ultimo ambito, il considerando 11 chiarisce che, nella nozione di “collocamento”, dovrebbe rientrare qualsiasi tipo di collocamento di un minore in affidamento presso una famiglia, ossia, conformemente al diritto e alle procedure nazionali, presso una o più persone fisiche, o in un istituto, ad esempio in un orfanotrofio o in una comunità per minori, in un altro Stato membro. Resta comunque escluso il collocamento in vista dell’adozione, il collocamento presso un genitore o, se del caso, presso un altro prossimo congiunto dichiarato dallo Stato membro di accoglienza. Di conseguenza, si legge nel considerando 11, dovrebbero essere inclusi anche i «collocamenti a fini educativi» disposti da un’autorità giurisdizionale o organizzati da un’autorità competente con il consenso dei genitori o del minore o su loro richiesta a seguito di comportamenti devianti del minore, dovendo essere escluso solo un collocamento -di carattere educativo o punitivo – disposto o organizzato a seguito di un atto del minore che, se commesso da un adulto, potrebbe costituire un fatto punibile ai sensi del diritto penale nazionale, indipendentemente dal fatto che nel caso di specie ciò possa condurre o meno a una condanna[8].

Il para. 3 dell’art. 1 precisa che i capi III e VI del regolamento si applicano ai casi di trasferimento illecito o di mancato ritorno di un minore concernenti più di uno Stato membro, a integrazione della convenzione dell’Aia del 1980, mentre il capo IV del regolamento stesso si applica all’esecuzione transfrontaliera delle decisioni che dispongono il ritorno del minore in un altro Stato membro ai sensi di tale convenzione. Non si tratta di una novità sostanziale, dal momento che anche nel regolamento n. 2201 erano affrontati i medesimi temi. Nel nuovo regolamento, peraltro, la materia è affrontata in modo più organico e sistematico. Il maggior rilievo attribuito dal legislatore europeo a questo tema è dimostrato anche dal fatto che la sottrazione internazionale dei minori è stata inserita nello stesso “titolo” del regolamento n. 1111.

Nell’ambito di applicazione del regolamento non rientrano solo procedimenti giurisdizionali in senso proprio. Come precisa l’art. 2, para. 2, quando il regolamento usa il termine “autorità giurisdizionale”, infatti, si fa riferimento all’autorità di qualsiasi Stato membro avente competenza giurisdizionale per le materie rientranti nell’ambito di applicazione del regolamento; al riguardo, il considerando 14 precisa che, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, al termine «autorità giurisdizionale» occorre attribuire un significato ampio, comprendente anche autorità amministrative o altre autorità, quali i notai, che talvolta esercitano funzioni giudiziarie in materia matrimoniale o di responsabilità genitoriale.

Sul piano soggettivo, inoltre, l’art. 2, para. 2 propone per la prima volta la definizione di «minore», intesa come persona di età inferiore agli anni 18, sulla falsariga di quanto previsto al riguardo dalla convenzione dell’Aia del 19 ottobre 1996 sulla competenza giurisdizionale, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori; tale limite di età, come specifica il considerando 17, vale anche nei casi in cui i minori abbiano acquisito la capacità di agire, prima di compiere 18 anni, in virtù della legge che disciplina il loro stato personale, ad esempio tramite emancipazione per matrimonio, in modo da evitare una sovrapposizione con l’ambito di applicazione della Convenzione dell’Aia del 13 gennaio 2000 sulla protezione internazionale degli adulti, che si applica alle persone a partire dall’età di 18 anni, e al contempo scongiurare vuoti tra i due strumenti. Con la precisazione che tale definizione non interferisce con l’ambito applicativo della convenzione dell’Aia del 1980 (e, di conseguenza, del capo III del regolamento, che integra l’applicazione della convenzione del 1980 nei rapporti tra gli Stati membri che ne sono parti) che, come noto riguarda i minori fino al raggiungimento dell’età di 16 anni.

Le norme del regolamento in materia di responsabilità genitoriale evocano a più riprese e vanno comunque interpretate alla luce del c.d. “best interest of the child” (interesse prevalente del minore)[9]. Di tale “interesse” il regolamento non propone una definizione in via diretta. Nel considerando 19, peraltro, si legge che ogni riferimento all’interesse superiore del minore dovrebbe essere interpretato alla luce dell’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e della Convenzione delle Nazioni Unite del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo come recepiti nell’ordinamento e nelle procedure nazionali.

Fatte queste doverose premesse, in questo scritto, mi concentrerò sulle novità introdotte dal regolamento n. 1111 del 2019 in materia di giurisdizione.

[6] Al riguardo, v. Carpaneto, La ricerca di una (nuova) sintesi tra interesse superiore del minore, cit., p. 954, che avrebbe preferito la previsione nel regolamento di un titolo dedicato alla legge applicabile e, al suo interno, di una norma contenente il richiamo alle norme di conflitto della convenzione del 1996.

[7] Precisando che, nell’applicare detta convenzione in un procedimento dinanzi a un’autorità giurisdizionale di uno Stato membro in cui si applica il regolamento n. 1111, il riferimento di cui all’articolo 15, para. 1, di tale convenzione alle «disposizioni del capitolo II» della medesima convenzione si intende fatto alle «disposizioni del presente regolamento»

[8] Per Carpaneto, op. cit., p. 955, si tratta di una interpretazione restrittiva e formalistica.

[9] In arg., di recente, Carpaneto, op. cit., p. 944 ss.

3. Le norme sulla giurisdizione

In materia di giurisdizione, il regolamento non propone novità per le controversie matrimoniali[10]. Contro la proposta “restrittiva” della Commissione, resta, dunque, la “giurisdizione diffusa” basata su una molteplicità di criteri di collegamento alternativi tra loro, per favorire l’accesso alle corti in questo ambito.

Il nuovo art. 6, d’altro canto, “fonde” le previsioni degli art. 6 e 7 del regolamento n. 2201, confermando, da un lato, la natura esclusiva dei criteri di collegamento posti dagli artt. 3, 4 e 5 rispetto al coniuge che risieda abitualmente nel territorio di uno Stato membro o abbia la cittadinanza di uno Stato membro, e, dall’altro, la competenza residua, esercitabile in base alla lex fori, qualora nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro sia competente ai sensi degli art. 3, 4 e 5. Si registra, peraltro, rispetto a tale competenza “residua” una novità: il para. 1 del nuovo art. 6, infatti, fa “salvo” il para. 2: con la conseguenza che la lex fori non possa essere comunque applicata rispetto a un coniuge che risieda abitualmente nel territorio di uno Stato membro ovvero che abbia la cittadinanza di uno Stato membro, a prescindere dal fatto che la sua residenza abituale sia collocata in uno Stato membro o non. Anche in mancanza di una residenza all’interno dell’Unione, dunque, nei confronti di tale coniuge la giurisdizione di uno Stato membro potrà essere esercitata solo in base agli artt. 3, 4 e 5, senza possibilità di fare ricorso alle disposizioni della lex fori.

In materia di responsabilità genitoriale, il criterio di collegamento principale resta la residenza abituale del minore, in attuazione del principio di prossimità (considerando 20). Esso, peraltro, trova oggi sede nell’art. 7 e, dello stesso, il regolamento continua (giustamente) a non fornire una definizione[11]. Il considerando 19, peraltro, indica che le regole di competenza in materia di responsabilità genitoriale si informano all’interesse superiore del minore e dovrebbero essere applicate in sua conformità. L’interesse del minore, in altre parole, è elevato a canone ermeneutico dei criteri di collegamento giurisdizionale in questo ambito.

La residenza abituale deve sussistere al momento della domanda: in caso di trasferimento legittimo in un altro Stato membro dopo l’inizio del procedimento, d’altro canto, la certezza giuridica e l’efficienza della giustizia giustificano il mantenimento di tale competenza fintantoché detti procedimenti non abbiano condotto a una decisione definitiva o siano altrimenti conclusi (salva la possibilità per l’autorità giurisdizionale dinanzi alla quale pende un procedimento, in talune circostanze, di trasferire la competenza allo Stato membro in cui il minore vive a seguito di un trasferimento legittimo) (considerando 21)[12].

Quello della residenza abituale resta un criterio non esclusivo. Anzi, almeno sul piano della formulazione delle norme, le deroghe ad esso previste, nel regolamento n. 1111, sono aumentate.

L’art. 8 del nuovo regolamento sostituisce il precedente art. 9, con l’unica novità contenuta nella rubrica della norma: dove l’art. 9 del regolamento n. 2201 si riferiva alla ultrattività della “competenza della precedente residenza abituale del minore”, la nuova disposizione utilizza una formulazione più precisa, ovvero “Ultrattività della competenza in relazione al diritto di visita”. In effetti, la norma, in caso di lecito trasferimento della residenza di un minore da uno Stato membro a un altro che diventa la sua residenza abituale, “proroga”, per un periodo di tre mesi dal trasferimento, la competenza delle autorità giurisdizionali dello Stato membro della precedente residenza abituale del minore appunto per modificare una decisione sul diritto di visita resa in detto Stato membro prima del trasferimento del minore, se la persona cui la decisione ha accordato il diritto di visita continua a risiedere abitualmente nello Stato membro della precedente residenza abituale del minore.

In caso di “trasferimento illecito o mancato ritorno di un minore” (anche in questo caso la norma ha una nuova rubrica più precisa rispetto alla precedente, che parlava di “competenza in caso di sottrazione di minori), l’art. 9 (corrispondente al precedente art. 10), continua a prevedere che resti ferma la competenza dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento illecito o del mancato ritorno. Viene però fatto salvo l’art. 10, ovvero la norma di nuova introduzione in materia di scelta del foro in materia di responsabilità genitoriale. La competenza dello Stato d’origine del minore continua d’altro canto, ad essere “limitata”, sul piano temporale: essa, in effetti, come già nel regime previgente, permane “fino a che il minore non abbia acquisito la residenza abituale in un altro Stato membro”, a determinate condizioni. L’ipotesi suba) (“se ciascuna persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento ha accettato il trasferimento o mancato ritorno”) resta identica rispetto alla norma precedente. L’ipotesi sub b), invece (“se il minore ha soggiornato in quell’altro Stato membro almeno per un anno da quando la persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento ha avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava e il minore si è integrato nel nuovo ambiente e sia soddisfatta almeno una delle condizioni seguenti”) prevede oggi 5 condizioni (in precedenza erano 4). Le condizioni sub i)[13] e ii)[14]” restano invariate. La condizione sub v) (“l’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o del mancato ritorno ha reso una decisione sul diritto di affidamento che non comporta il ritorno del minore”) corrisponde alla condizione sub iv) dell’art. 10 del regolamento n. 2201. La nuova condizione sub iii) (“una domanda di ritorno presentata dal titolare del diritto di affidamento è stata respinta da un’autorità giurisdizionale di uno Stato membro per motivi diversi da quelli di cui all’articolo 13, primo comma, lettera b), o all’articolo 13, secondo comma, della convenzione dell’Aia del 1980 e tale decisione non è più soggetta a impugnazione ordinaria”) sostituisce quella in precedenza elencata sub iii) (“un procedimento dinanzi all’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento o del mancato rientro è stato definito a norma dell’articolo 11, paragrafo 7”) ed è complementare alla successiva condizione iv); ove, infatti, il giudice dello Stato “di rifugio” abbia negato il ritorno per motivi diversi da quelli per cui è previsto il nuovo meccanismo di “coordinamento” dell’art. 29, la relativa decisione implica il venir meno della giurisdizione dello Stato d’origine[15]. La nuova condizione sub iv) (“non è stata adita alcuna autorità giurisdizionale a norma dell’articolo 29, paragrafi 3 e 5, nello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento illecito o del mancato ritorno”) si è resa necessaria a seguito delle modifiche apportate alla procedura successiva al diniego del ritorno da parte delle autorità dello Stato membro “di rifugio” del minore. Oggi, infatti, come si vedrà, l’art. 29 prevede un diverso meccanismo più articolato per il coordinamento dell’attività che si svolge, rispettivamente, nello Stato di rifugio e nello Stato d’origine rispetto a quanto previsto dall’art. 11 del regolamento n. 2201. La nuova condizione sub iv), in sostanza, a completamento delle ipotesi configurabili, implica che, qualora l’autorità dello Stato di rifugio abbia negato il ritorno del minore “sottratto” e nessuna delle parti interessate si sia attivata per chiedere l’intervento delle autorità dello Stato d’origine, venga meno la competenza di queste ultime e si consolidi quella delle corti dello Stato si trova in cui il minore.

La principale novità in materia di giurisdizione nel regolamento n. 1111 è probabilmente contenuta nell’art. 10, che ha introdotto una (limitata) possibilità per le parti di “scegliere” il foro in materia di responsabilità genitoriale, in modo da rendere possibile, ad esempio, il radicamento della competenza per le controversie in tale ambito nello Stato membro in cui tra i genitori è pendente un procedimento di divorzio o di separazione personale. La Commissione, in effetti, nel presentare la sua proposta, aveva evidenziato l’opportunità di introdurre tale possibilità, nell’ottica di scoraggiare il forum shopping e di rendere più prevedibile la giurisdizione in un’area del diritto tanto delicata. Nel testo infine approvato, peraltro, la possibilità di proroga è stata (forse incongruamente) esclusa per la materia matrimoniale e, per la responsabilità genitoriale, è stata circondata da una articolata serie di condizioni e requisiti.

In effetti, l’art. 10 conferisce una giurisdizione esclusiva in materia di responsabilità genitoriale alle autorità giurisdizionali di uno Stato membro a condizione che il minore abbia un legame sostanziale con quello Stato membro (lett. a), con la precisazione che tale legale sussiste in quanto almeno uno dei titolari della responsabilità genitoriale vi risiede abitualmente (i), in tale Stato membro si trovava la precedente residenza abituale del minore (ii) o il minore è cittadino di quello Stato (iii). Inoltre, la norma richiede (b) che le parti e qualsiasi altro titolare della responsabilità genitoriale abbiano liberamente convenuto la competenza giurisdizionale al più tardi alla data in cui è adita l’autorità giurisdizionale (i) o accettato espressamente la competenza giurisdizionale nel corso del procedimento e l’autorità giurisdizionale si sia assicurata che tutte le parti siano informate del loro diritto di non accettare la competenza (ii) e che l’esercizio della competenza giurisdizionale sia conforme all’interesse superiore del minore.

In altre parole, la proroga della giurisdizione può derivare da un accordo precedente o contestuale alla data di inizio del procedimento oppure da una accettazione nel corso del procedimento stesso. Nel primo caso, ai sensi del para. 2, l’accordo di scelta del foro deve avere forma scritta e deve essere datato e firmato dalle parti oppure messo agli atti dell’autorità giurisdizionale conformemente al diritto e alle procedure nazionali, con la precisazione (ormai di prassi in questi ambiti) che qualsiasi comunicazione elettronica che consenta una registrazione durevole dell’accordo sia da considerare equivalente alla forma scritta. Il para. 2 precisa, altresì, che i soggetti che diventino eventualmente parte del procedimento dopo che è stata adita l’autorità giurisdizionale possono esprimere il loro accordo dopo l’inizio del procedimento stesso, anche in forma tacita: in mancanza di una loro contestazione, infatti, il loro accordo è considerato implicito. L’accettazione delle parti nel corso del procedimento, per contro, non può essere tacita.

In caso di accordo o di accettazione, inoltre, la norma richiede al giudice di verificare che tale accettazione avvenga nella consapevolezza che le parti potrebbero contestare la competenza della corte adita. In sostanza, il meccanismo è analogo a quello previsto dall’art. 26, para. 2 del regolamento n. 1215/2012, il quale, rispetto alle materie oggetto di giurisdizione para-esclusiva (contratti di assicurazione, contratti conclusi dai consumatori, contratti di lavoro), richiede al giudice di verificare che l’eventuale accettazione della giurisdizione da parte del soggetto “debole” del rapporto sostanziale avvenga nella consapevolezza di rinunciare al diritto di eccepire l’incompetenza dell’autorità giurisdizionale adita. Anche qui, dunque, si introduce una norma di diritto sostanziale uniforme che impone al giudice un ruolo “informativo” rispetto alle prerogative delle parti, di particolare importanza qualora la lex fori consenta alla parte di partecipare al processo senza difensore tecnico. Come chiarisce il considerando 23, compito dell’autorità giurisdizionale è esaminare se tale accordo o accettazione si basi su una scelta libera e informata delle parti interessate e non sia dovuto al fatto che una parte sfrutti la situazione difficile o la posizione di debolezza dell’altra parte.

Il para. 4 precisa che la competenza così conferita ha natura esclusiva. In effetti, come si è visto, il nuovo art. 9, sulla competenza in caso di sottrazione di minore, fa appunto salvo l’art. 10 qui in esame.

L’importanza teorica della nuova disposizione appare fortemente ridimensionata sul profilo pratico, dal momento che l’accordo o l’accettazione delle parti è comunque limitato ad ipotesi molto circoscritte. In sostanza, la scelta può essere effettuata rispetto al giudice dello Stato di cui il minore sia cittadino o nel quale fosse residente prima di un trasferimento lecito in uno Stato diverso) e che, in tale Stato, continui a risiedere almeno uno dei titolari della responsabilità genitoriale. Si può fare l’esempio della clausola di scelta del foro italiano inserita in un accordo di separazione tra due genitori abitualmente residenti in Italia, azionata dopo che uno dei due sia stato autorizzato a trasferirsi con il figlio minorenne in un altro Stato membro.

Un tale accordo, peraltro, non ha efficacia automatica, dal momento che il giudice adito (in ipotesi anche quello scelto dalle parti) è comunque chiamato a valutare che l’esercizio della competenza così prorogata sia conforme all’interesse superiore del minore. Si prevede, in altre parole, un potere discrezionale del giudice, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto: anche in questo ambito, il legislatore eurounitario dimostra di avere recepito la dottrina sul forum (non) conveniens di common law, tradizionalmente applicata, come noto, anche ai fini dell’efficacia di clausole di scelta del foro.

Non basta: ai sensi del para. 3, salvo diverso accordo tra le parti, la competenza esercitata conformemente al para. 1 cessa non appena la decisione emessa nel quadro del relativo procedimento non sia più soggetta a impugnazione ordinaria (a) o il procedimento sia terminato per un’altra ragione (b). E’ evidente, in effetti, che l’accettazione alla giurisdizione espressa “a procedimento iniziato” sia limitata alla durata di tale procedimento. Rispetto ad un’eventuale clausola di scelta del foro, invece, la norma non implica il venir meno della relativa efficacia: la clausola, in effetti, resterà operativa ma, in un eventuale successivo procedimento, dovrà essere riconsiderato ex novo il requisito di cui all’art. 10, para. 1, lett. c), ovvero che l’esercizio della competenza sia conforme all’interesse superiore del minore.

[10] Per un’analisi delle “scelte politiche” compiute a questo riguardo, Honorati, La proposta di revisione del regolamento Bruxelles II-bis, cit., p. 249.

[11] V. anche Carpaneto, op. cit., p. 958.

[12] Non è stata in effetti accolta la proposta della Commissione di prevedere, in caso di trasferimento legittimo del minore in un altro Stato membro, lo spostamento della giurisdizione avanti a tale Stato: v. Carpaneto, op. cit., p. 961.

[13] “Entro un anno da quando il titolare del diritto di affidamento ha avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava non è stata presentata alcuna domanda di ritorno del minore dinanzi alle autorità competenti dello Stato membro nel quale il minore è stato trasferito o dal quale non ha fatto rientro”.

[14] “Una domanda di ritorno presentata dal titolare del diritto di affidamento è stata ritirata e non è stata presentata una nuova domanda entro il termine di cui al punto i“.

[15] V. Honorati, op. cit., p. 253.

4. Trasferimenti di competenza per ragioni di maggiore idoneità del foro

Nel regolamento n. 1111, è stata drasticamente ridisegnata la disciplina della giurisdizione per motivi di connessione tra cause. L’art. 12 del regolamento 2201, che prevedeva (limitate) ipotesi di “attrazione” delle domande in materia di responsabilità genitore avanti al foro in cui pendeva una controversia matrimoniale, è stato eliminato. In effetti, il regolamento n. 1111 non prevede un “tradizionale” criterio di collegamento basato sulla connessione in quanto tale ma prevede due ipotesi particolari di deroga “discrezionale” al foro della residenza abituale del minore, utilizzabili (anche) per consentire il “consolidamento” tra domande relative alla prole minorenne e controversie matrimoniali.

Ciò è avvenuto, in sostanza, riscrivendo ed estendendo l’ambito dell’art. 15 del regolamento n. 2201, che prevedeva la possibilità di trasferire la competenza a una autorità giurisdizionale più adatta a trattare il caso. Le norme che vengono in rilievo, nel regolamento n. 1111, sono l’art. 12 e l’art. 13.

La prima di tali disposizioni, con la rubrica “Trasferimento della competenza all’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro” rappresenta la diretta evoluzione dell’art. 15 di Bruxelles II bis. Anche qui, in effetti, si prevede che, in circostanze eccezionali, l’autorità giurisdizionale di uno Stato membro competente a conoscere del merito possa, in sostanza, “trasferire” la controversia all’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro, sulla base di valutazioni discrezionali circa la maggiore idoneità di tale altra autorità di pronunciarsi sulla materia. Si tratta, come noto, di una forma di esercizio discrezionale della giurisdizione che il legislatore europeo ha delineato ispirandosi alla dottrina anglosassone del forum non conveniens. Nel “vecchio” art. 15, il foro straniero doveva essere “più adatto a trattare il caso o una sua parte specifica” e il trasferimento doveva corrispondere “all’interesse superiore del minore”. Nel para. 1 del nuovo art. 12, si richiede, invece, in modo più generico che l’autorità straniera sia “più indicata a valutare l’interesse superiore del minore nel caso specifico”. In ogni caso, ciò che si richiede è una maggiore “appropriatezza” del foro alternativo per la decisione della controversia di riferimento.

Il meccanismo per il trasferimento di competenza può essere avviato (come già nell’art. 15 del regolamento n. 2201) sia su istanza di parte che d’ufficio. In tale seconda ipotesi, peraltro, non si richiede più che il trasferimento sia accettato da almeno una delle parti.

Il presupposto per il trasferimento resta il medesimo, ovvero la sussistenza di un legame particolare tra l’autorità giurisdizionale “alternativa” e il minore. I “parametri” su cui valutare la sussistenza di tale legame particolare sono elencati, in modo esaustivo (considerando 26), nel para. 4 e sono rimasti invariati[16]. Ciò che è cambiato è invece il meccanismo processuale del trasferimento.

Nell’art. 15 del regolamento n. 2201, infatti, si prevedeva che l’autorità giurisdizionale inizialmente adita potesse: “a) interrompere l’esame del caso o della parte in questione e invitare le parti a presentare domanda all’autorità giurisdizionale dell’altro Stato membro conformemente al paragrafo 4 oppure b) chiedere all’autorità giurisdizionale dell’altro Stato membro di assumere la competenza ai sensi del paragrafo 5.” Nel primo caso, ai sensi del para. 4: “L’autorità giurisdizionale dello Stato membro competente a conoscere del merito fissa un termine entro il quale le autorità giurisdizionali dell’altro Stato membro devono essere adite conformemente al paragrafo 1. Decorso inutilmente tale termine, la competenza continua ad essere esercitata dall’autorità giurisdizionale preventivamente adita ai sensi degli articoli da 8 a 14.” Il para. 5 dell’art. 15 di Bruxelles II bis stabiliva poi: “Le autorità giurisdizionali di quest’altro Stato membro possono accettare la competenza, ove ciò corrisponda, a motivo delle particolari circostanze del caso, all’interesse superiore del minore, entro 6 settimane dal momento in cui sono adite in base al paragrafo 1, lettere a) o b). In questo caso, l’autorità giurisdizionale preventivamente adita declina la propria competenza. In caso contrario, la competenza continua ad essere esercitata dall’autorità giurisdizionale preventivamente adito ai sensi degli articoli da 8 a 14.”

Nel nuovo art. 12, il meccanismo è disciplinato in modo più preciso sul piano terminologico e specifico quanto alle dinamiche e alle tempistiche.

Qualora, dunque, il giudice adito ritenga vi sia un’altra autorità giudiziaria più indicata a valutare l’interesse superiore del minore nel caso concreto, disporrà la sospensione del procedimento (o di parte di esso), potendo poi, alternativamente:

a) stabilire un termine entro il quale una o più parti possono informare l’autorità giurisdizionale del foro alternativo del procedimento pendente e della possibilità di un trasferimento di competenza nonché presentare un’istanza a detta autorità giurisdizionale;

b) chiedere a un’autorità giurisdizionale dell’altro Stato membro di assumere la competenza.

Il considerando 26 aggiunge che l’autorità giurisdizionale competente dovrebbe presentare la richiesta all’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro solo qualora la sua precedente decisione di sospendere il procedimento e richiedere un trasferimento di competenza sia passata in giudicato, laddove detta decisione sia impugnabile ai sensi del diritto nazionale. In altre parole, si configura un meccanismo bifasico, che presuppone prima il confronto dialettico, eventualmente anche in sede di impugnazione, sulla decisione del giudice di sospendere il procedimento ai fini del trasferimento della competenza, con la possibilità di formulare la richiesta all’altro giudice solo dopo che la relativa decisione sia divenuta definitiva. In Italia, si potrebbe prospettare la proposizione, contro il provvedimento di sospensione, del regolamento di competenza. Le tempistiche di questo meccanismo possono, peraltro, scoraggiare il ricorso all’istituto qualora vi sia contrasto in merito all’opportunità del trasferimento.

L’autorità giurisdizionale “alternativa”, a quel punto, può accettare la competenza, ove ciò corrisponda, a motivo delle particolari circostanze del caso, all’interesse superiore del minore, entro sei settimane: a) dal momento in cui è adita da almeno uno delle parti interessate (lett. a); o b) dal momento del ricevimento della richiesta del giudice inizialmente adito (lett. b).

Qualora la corte “alternativa” accetti il trasferimento di competenza a proprio favore, il giudice preventivamente adito può declinare la propria competenza. Al contrario, esso continua a esercitare tale competenza qualora non abbia ricevuto dal giudice dell’altro Stato membro l’accettazione della competenza entro sette settimane da quando: a) è scaduto il termine entro il quale le parti possono presentare un’istanza all’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro a norma del para. 1, lett. a); o b) l’autorità giurisdizionale ha ricevuto la richiesta a norma del para. 1, lett. b). In sostanza, nell’attuale formulazione, le dinamiche per disporre o negare il trasferimento di competenza si esauriscono nell’arco di sette settimane, rendendo certi i relativi tempi.

Il para. 5 della norma in esame chiarisce che, qualora la competenza esclusiva dell’autorità giurisdizionale sia stata stabilita a norma dell’art. 10 (sulla proroga di competenza), essa non potrà trasferire la competenza al giudice di un altro Stato membro. Si tratta, in effetti, di un ovvio corollario dell’esclusività della giurisdizione conferita ai sensi del nuovo art. 10.

Il nuovo art. 13 completa lo scenario, disciplinando la “Richiesta di trasferimento di competenza da parte di un’autorità giurisdizionale di uno Stato membro non competente”, sviluppando l’ipotesi prevista dalla lett. c) dell’art. 15, para. 2 del regolamento n. 2201. Con la specificazione che tale richiesta non può essere avanzata dal giudice dello Stato in cui si trovi un minore sottratto illecitamente dalla propria residenza abituale (il para. 1 della norma fa, infatti, salvo l’art. 9).

Anche qui, la richiesta di trasferimento può essere effettuata solo “in circostanze eccezionali”. Il presupposto è che l’autorità giurisdizionale di uno Stato membro, non competente ai sensi del regolamento, ritenga comunque, alla luce del legame particolare con cui il minore (nel senso già visto nel contesto dell’art. 12), di essere più indicata a valutare l’interesse superiore del minore stesso nel caso specifico. In tal caso, essa può richiedere un trasferimento di competenza al giudice dello Stato membro di residenza abituale del minore (a prescindere dal fatto che in tale Stato sia già pendente un procedimento relativo alla responsabilità genitoriale su quel minore). Entro sei settimane dal ricevimento di tale richiesta, l’autorità giurisdizionale destinataria della stessa può accettare di trasferire la sua competenza. Ciò avverrà qualora, per via delle specifiche circostanze del caso, essa ritenga tale trasferimento corrispondente all’interesse superiore del minore. In questo caso, il giudice destinatario della richiesta deve informare senza ritardo l’autorità giurisdizionale richiedente della propria accettazione. In assenza di una tale accettazione entro il termine di sei settimane, l’autorità giurisdizionale richiedente non può esercitare la competenza.

Anche in questo contesto è venuto meno il requisito dell’accettazione del trasferimento da parte di almeno una delle parti. Seppure la norma non lo espliciti, mi sembra peraltro che l’autorità giudiziaria destinataria della richiesta non possa provvedere al riguardo senza avere prima stimolato il contraddittorio con i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale sul minore.

Un trasferimento di competenza, sia esso richiesto da un’autorità giurisdizionale che intenda trasferire la propria competenza o da un’autorità giurisdizionale che intenda ottenere la competenza, produce effetti solo per il caso specifico per il quale è effettuato. Una volta terminato il procedimento per il quale è stato richiesto e concesso tale trasferimento, quest’ultimo non produce effetti per procedimenti futuri (considerando 28).

[16] “Ai fini del paragrafo 1, si ritiene che il minore abbia un legame particolare con uno Stato membro se tale Stato membro:

a) è divenuto la residenza abituale del minore dopo che l’autorità giurisdizionale di cui al paragrafo 1 è stato adito;

b) è la precedente residenza abituale del minore;

c) è lo Stato di cui il minore è cittadino;

d) è la residenza abituale di uno dei titolari della responsabilità genitoriale; o

e) è il luogo in cui sono situati i beni del minore e la causa riguarda i provvedimenti di protezione del minore legati all’amministrazione, alla conservazione o all’alienazione di tali beni”.

5. I provvedimenti provvisori e cautelari

Più articolata rispetto al regolamento n. 2201 è anche la disciplina prevista dal nuovo art. 15, in materia di “Provvedimenti provvisori, inclusi i provvedimenti cautelari, in casi d’urgenza”.

Il precedente art. 20 stabiliva che “1. In casi d’urgenza, le disposizioni del presente regolamento non ostano a che le autorità giurisdizionali di uno Stato membro adottino i provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge interna, relativamente alle persone presenti in quello Stato o ai beni in esso situati, anche se, a norma del presente regolamento, è competente a conoscere nel merito l’autorità giurisdizionale di un altro Stato membro. 2. I provvedimenti adottati in esecuzione del paragrafo 1 cessano di essere applicabili quando l’autorità giurisdizionale dello Stato membro competente in virtù del presente regolamento a conoscere del merito abbia adottato i provvedimenti ritenuti appropriati.”

Per contro, il para. 1 dell’art. 15 del regolamento n. 1111 fa espresso riferimento alla “competenza” dell’autorità giurisdizionale non competente per il merito ad emettere “i provvedimenti provvisori, inclusi i provvedimenti cautelari” previsti dalla legge di tale Stato membro, precisando che tali provvedimenti debbono riguardare non “persone” in generale, bensì “un minore presente in quello Stato membro” o “beni di un minore che si trovano in quello Stato membro”.

Il nuovo para. 2, poi, introduce un meccanismo di “dialogo” tra corti, prevedendo che, qualora lo renda necessario la tutela dell’interesse superiore del minore, l’autorità giurisdizionale non competente per il merito che ha disposto provvedimenti provvisori ne informa senza ritardo l’autorità giurisdizionale o l’autorità competente dello Stato membro competente ai sensi dell’art. 7 oppure, se del caso, un’autorità giurisdizionale di uno Stato membro che eserciti la competenza ai sensi del regolamento a conoscere del merito, direttamente (ai sensi dell’art. 86) o tramite le autorità centrali designate a norma dell’art. 76. Tale comunicazione appare funzionale a mettere il giudice competente per il merito in condizione di adottare i provvedimenti appropriati che, a quel punto, si sostituiranno a quelli emessi, in via provvisoria dal giudice “cautelare”.

Ai sensi del considerando 30, i provvedimenti emessi ai sensi dell’art. 15 non dovrebbero essere riconosciuti né eseguiti in alcun altro Stato membro ai sensi del regolamento, ad eccezione di quelli adottati per proteggere il minore dal grave rischio di cui all’art. 13, comma 1°, lett. b), della convenzione dell’Aia del 1980 (e dunque in materia di sottrazione di minori)[17]. Il considerando 30 chiarisce altresì che, la mancata comunicazione dei provvedimenti adottati all’autorità giurisdizionale dello Stato membro competente a conoscere del merito ai sensi del regolamento non dovrebbe tuttavia costituire di per sé un motivo di non riconoscimento dei provvedimenti stessi.

[17] Il concetto è ribadito dal considerando 59.

6. Questioni incidentali e altre disposizioni in materia di competenza

Il regolamento n. 1111 contiene un nuovo art. 16, rubricato “Questioni incidentali”: esso, in sostanza, esplicita che, qualora l’esito di un procedimento pendente davanti a un giudice di uno Stato membro in una materia che non rientra nell’ambito di applicazione del regolamento n. 1111 dipenda dalla risoluzione di una questione incidentale riguardante la responsabilità genitoriale, un giudice di quello Stato può risolvere tale questione ai fini del procedimento in questione anche se quello Stato non è competente ai sensi del regolamento in esame. Il para. 2 della norma chiarisce che tale pronuncia sulla questione incidentale produce effetti solo nel procedimento per cui è stata resa (incidenter tantum).

Il para. 3 precisa che, qualora la validità di un atto giuridico compiuto o da compiere per conto di un minore nel quadro di un procedimento successorio dinanzi a un’autorità giurisdizionale di uno Stato membro richieda l’autorizzazione o l’approvazione di un’autorità giurisdizionale, un’autorità giurisdizionale di quello Stato membro può decidere di autorizzare o approvare tale atto giuridico anche se non è competente ai sensi del regolamento n. 1111[18].

Il para. 4, un po’ laconicamente, afferma, infine, che “l’articolo 15, paragrafo 2, si applica di conseguenza”. In altre parole, si prevede che il giudice che abbia deciso questioni incidentali ai sensi della norma in esame ne informi senza ritardo l’autorità giurisdizionale competente in materia di responsabilità genitoriale. Non è peraltro chiaro se e cosa debba a quel punto fare quest’ultima autorità.

La sezione dedicata alle disposizioni comuni in materia di giurisdizione, per contro, non propone particolare novità. Il nuovo art. 17, in materia di “Adizione di un’autorità giurisdizionale”, si limita ad aggiungere, ai fini della determinazione della pendenza della lite, l’ipotesi in cui il procedimento sia avviato d’ufficio: facendo riferimento, in tal caso, alla data in cui l’autorità giurisdizionale adotta la decisione di avviare il procedimento o, qualora tale decisione non sia richiesta, alla data in cui la causa è registrata dall’autorità giurisdizionale. Non si tratta, peraltro, di una novità assoluta nella normativa uniforme dello spazio europeo di giustizia. Un’analoga previsione è, infatti, contenuta nell’art. 14, lett. c) del regolamento n. 650 del 2012, in materia di successioni e nell’art. 14, lett. c) dei regolamenti n. 1103 e 1004 del 2016.

Vale la pena menzionare, in questo contesto, il considerando 35, nel quale si afferma che, data l’importanza crescente della mediazione e di altri metodi di risoluzione alternativa delle controversie, anche durante il procedimento giudiziario, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, un’autorità giurisdizionale deve considerarsi adita alla data in cui la domanda giudiziale o un atto equivalente sono depositati presso l’autorità giurisdizionale nei casi in cui il procedimento sia stato nel frattempo sospeso allo scopo di trovare una composizione amichevole, su richiesta della parte che ha promosso il procedimento, senza che la domanda giudiziale sia ancora stata notificata o comunicata al convenuto e senza che quest’ultimo sia stato messo a conoscenza del procedimento o vi abbia partecipato in qualsiasi modo, purché successivamente la parte che ha promosso il procedimento non abbia omesso di prendere tutte le misure cui era tenuto affinché fosse effettuata la notificazione o la comunicazione al convenuto. Il considerando 35 evidenzia, al riguardo, che, per la giurisprudenza della Corte di giustizia, in caso di litispendenza, la data di avvio di una procedura obbligatoria di conciliazione dinanzi a un’autorità di conciliazione nazionale dovrebbe essere ritenuta la data in cui un’«autorità giurisdizionale» è considerata adita. Il riferimento è alla recente decisione della Corte di giustizia nel caso Brigitte Schlömp (relativa all’interpretazione delle norme sulla litispendenza della convenzione di Lugano)[19], con riferimento alla data di avvio della procedura obbligatoria di conciliazione dinanzi all’autorità di conciliazione di diritto svizzero. La decisione in questione, peraltro, riguarda un contesto procedimentale invero un po’ particolare. Ai sensi dell’art. 209 del c.p.c. svizzero, rubricato «Autorizzazione ad agire», infatti, la conciliazione obbligatoria non costituisce una semplice condizione di procedibilità (come per l’Italia): in caso di esito negativo della conciliazione, infatti, l’autorità di conciliazione “verbalizza la mancata conciliazione e rilascia l’autorizzazione ad agire”. Tale autorizzazione, ai sensi della medesima norma, permette di inoltrare la causa al tribunale entro tre mesi dalla notificazione: in mancanza di autorizzazione, la domanda è ritenuta inammissibile, il che vuol dire che vi è uno stretto nesso di “strumentalità necessaria” tra fase conciliativa e fase di merito. Come la Corte, inoltre, osserva, d’altro canto, in base alle regole del c. p. c. svizzero il deposito dell’istanza di conciliazione determina la pendenza della causa. La procedura, poi, può sfociare o in una decisione vincolante per le parti (per le controversie il cui valore non superi i 2000 franchi), o in una proposta di giudizio che può acquisire autorità di giudicato in assenza di contestazione (controversie il cui valore non superi i 5000 franchi). Alla luce di queste peculiarità, trasferire il principio di diritto enunciato dalla decisione Brigitte Schlömp a contesti in cui la mediazione, ancorché obbligatoria, presenti connotazioni diverse non appare scontato, come il considerando n. 35 fa, invece, pensare.

In materia di “Litispendenza e connessione”, infine, il nuovo art. 20, al para. 2, precisa (ove la cosa potesse essere revocata in dubbio) che non sussiste litispendenza tra un procedimento instaurato ai sensi dell’art. 15, per l’emissione di provvedimenti provvisori, ed uno pendente avanti al giudice competente per il merito.

Di maggiore rilevanza appare la previsione dei para. 4 e 5 dell’art. 20 che, in sostanza, introducono un meccanismo analogo a quello previsto, in materia civile e commerciale, dall’art. 31 del regolamento n. 1215 del 2012. Anche qui, infatti, la prevenzione temporale non opera a scapito del giudice la cui competenza esclusiva sia stata oggetto di accordo o di accettazione ai sensi dell’art. 10, anche qualora tale giudice sia adito per secondo. In tale ipotesi, qualunque autorità giurisdizionale di un altro Stato membro sospende il procedimento fino a quando l’autorità giurisdizionale adita sulla base dell’accordo o dell’accettazione dichiara di non essere competente ai sensi dell’accordo o dell’accettazione. Se e nella misura in cui l’autorità giurisdizionale accettata abbia accertato la propria competenza esclusiva in base all’accettazione della competenza di cui all’art. 10, qualunque autorità giurisdizionale di un altro Stato membro dichiara la propria incompetenza a favore della prima.

[18] Il considerando n. 32 fa l’esempio di una controversia relativa a una successione in cui è coinvolto un minore ed è necessario nominare un tutore ad litem che rappresenti il minore nel procedimento: in tal caso, lo Stato membro competente per la controversia relativa alla successione dovrebbe poter nominare il tutore per il procedimento pendente, indipendentemente dal fatto che abbia competenza in materia di responsabilità genitoriale ai sensi del presente regolamento.

[19] Corte giust., 20 dicembre 2017, c Brigitte Schlömp c. Landratsamt Schwäbisch Hall.

7. Conclusione “a prima lettura”

A conclusione di questa disamina “a prima lettura”, sembra che, in materia di giurisdizione, a parte alcuni “ritocchi” di non particolare rilevanza, le principali novità siano poco incisive sul piano concreto.

In particolare, i nuovi meccanismi per il trasferimento della competenza da uno Stato all’altro appaiono più interessanti sul piano sistematico-intellettuale che su quello dell’applicazione pratica, tanti sono i requisiti e i presupposti per la relativa applicazione. Lo stesso dicasi per l’accordo sulla proroga di giurisdizione.

Con riserva di verificare come la prassi recepirà i nuovi istituti, il rischio è che la montagna abbia partorito un topolino, non riuscendo, in particolare, ad evitare la frammentazione del contenzioso in materia familiare.

Redazione

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