Non vi può essere alcun dubbio che il legislatore della riforma, nella redazione del testo, si sia ispirato agli approcci ermeneutici in tema di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale Ex Art. 603 com. 3 cpp formulati dalla giurisprudenza di legittimità a seguito della sentenza della Corte di Giustizia Europea del 5 Luglio 2011 nel caso Dan c/ Moldovia[1].
Fu la Sez. VI della Suprema Corte che per prima, ispirandosi alla statuizione di giudici europei, con la sentenza n. 16566 del 26 febbraio 2013 delinea la strada che il Giudice d’appello deve seguire per poter validamente riformare in pejus una sentenza. La Corte CEDU ha infatti ormai chiarito che è l’Art. 6 par. 2 lett. d) la norma di riferimento cui l’interprete può ritrovare uno dei principi cardine del giusto processo: la possibilità per l’imputato di confrontarsi con il proprio accusatore consentendo, in tal modo, di formare la prova nel pieno contraddittorio delle parti. Il disposto dell’Art. 6 CEDU ha permesso ai giudici di Strasburgo di poter affermare quel principio di “civiltà giuridica” secondo cui un processo può realmente considerarsi giusto nel momento in cui l’imputato è posto nella condizione di potersi confrontare con i testimoni, alla presenza di un giudice equo. Ciò perché l’osservazione diretta da parte del giudicante del comportamento tenuto dal testimone può essere determinante per la sorte dell’imputato.
Volume consigliato:
Appello e cassazione penale dopo la L. 103/2017
Alla luce delle modifiche introdotte dalla Legge n. 103 del 23 giugno 2017 (G.U. 4 Luglio 2017, n. 154), ai codici penale e di procedura penale e all’ordinamento penitenziario, questa nuovissima Opera analizza nell’ambito del processo penale, l’atto di appello e il ricorso per cassazione quali mezzi di impugnazione. Attraverso costanti richiami alla più significativa giurisprudenza di settore e al supporto ditabelle riepilogative, il testo si configura come uno strumento indispensabile per il Professionista legale, fornendo indicazioni operative sulla corretta redazione degli atti e strategie sulle procedure da seguire, per evitare d’incorrere in errori. Nella prima parte, la trattazione esamina gli aspetti pratici e quelli prevalentemente giuridici dell’appello, senza tralasciare le norme che regolano questo mezzo d’impugnazione in processi penali diversi da quello ordinario, ad esempio, quello minorile e in alcuni procedimenti speciali, tipo quello previsto per le misure di prevenzione. A partire dall’analisi delle decisioni della Corte di Cassazione e dalle fonti normative, la seconda parte del testo ha l’intento di semplificare il complesso “meccanismo” del ricorso in Cassazione ed evitare l’inosservanza o erronea applicazione della normativa. Antonio Di Tullio D’ElisiisAvvocato in Larino, autore di pubblicazioni cartacee e numerosi articoli su riviste giuridiche telematiche.Gabriele EspositoAvvocato cassazionista del Foro di Napoli, specializzato in Diritto e Procedura Penale e Cultore della materia in Procedura Penale.
A. Di Tullio D’Elisiis, G. Esposito | 2017 Maggioli Editore
34.00 € 27.20 €
In buona sostanza, a parere di chi scrive, la Corte Europea sembra voler richiedere al giudice di valutare oltre alle parole riferite dal testimone anche di leggere il “metalinguaggio” di costui.
Da tale approdo interpretativo di matrice “europea” la giurisprudenza di legittimità ha riprodotto anche nel diritto interno tale principio ritenendo, inizialmente, che: “Il giudice d‟appello per riformare in peius una sentenza assolutoria è obbligato – in base all‟Art. 6 CEDU così come interpretato nel caso Dan c/ Moldovia – alla rinnovazione dell‟istruttoria dibattimentale solo quando intende operare un diverso apprezzamento di attendibilità di una prova orale, ritenuta in primo grado non attendibile”.[2]
L’interpretazione su esposta è poi stata estesa ai casi di riforma della sentenza emessa in seguito ad un giudizio di primo grado tenuto nelle forme del giudizio abbreviato[3]; con esclusione dell’obbligo, è stato chiarito, del caso in cui il giudice d’appello abbia riformato la sentenza basando il proprio convincimento sulla rivalutazione di prove non dichiarative bensì documentali[4]. Il lavoro normofilattico compiuto dalla Corte di legittimità è stato definitivamente cristallizzato nella recente sentenza emessa dalle Sezioni Unita della Suprema Corte di Cassazione, nota ai giuristi con il nome “Dasgupta” ( Cass. SS. UU. Pen. N. 27620 del 28 Aprile 2016, Presidente Canzio G., relatore Conti G., Pg Gaeta P.)
Nella sentenza citata le Sezioni Unite hanno espresso ben quattro principi di diritto5 tuttavia, per quel che interessa questo lavoro, si ritiene opportuno analizzare solo il secondo ed il terzo i quali si pongono in logica conseguenza tra loro.
Nello specifico si è stabilito il principio di diritto secondo cui: “La previsione contenuta nell‟art. 6 per. 3 lett. d) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell‟uomo e delle libertà fondamentali, relativa ai diritti dell‟imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l‟esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte CEDU, la quale costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne, implica che nel caso di appello del pubblico ministero avverso una sentenza assolutoria, fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, il giudice di appello non può riformare la sentenza impugnata nel senso dell‟affermazione della responsabilità penale dell‟imputato, senza avere proceduto, anche d‟ufficio, a norma dell‟Art. 603 comma 3 c.p.p., a rinnovare l‟istruzione dibattimentale attraverso l‟esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado.” Come conseguenza logica del precedente principio, la stessa sentenza chiarisce che: “L‟affermazione di responsabilità dell‟imputato pronunciata dal giudice d‟appello su impugnazione del pubblico ministero, in riforma di una sentenza assolutoria fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell‟Art. 603 com. 3 c.p.p., integra di per sé un vizio di motivazione della sentenza di appello, Ex Art. 606 com. 1 lett. e), per mancato rispetto del canone di giudizio „al di là del ragionevole dubbio‟ di cui l‟art. 533 com. 1 c.p.p. In tal caso, al di fuori dei casi di inammissibilità del ricorso, qualora il ricorrente abbia impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, pur senza specifico riferimento al principio contenuto nell‟Art. 6 par. 3 lett. d) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell‟uomo e delle libertà fondamentali, la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata.” I principi di diritto illustrati dalle SS UU rappresentano un completamento, a parere dello scrivente, delle garanzie poste a tutela dell’imputato già assolto in primo grado il quale potrà essere condannato solamente se il convincimento del giudice del gravame ha superato la soglia del ragionevole dubbio. Valore minimo, questo, che non potrà mai considerarsi veramente superato qualora il giudicante non abbia disposto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale della prova testimoniale che il suo collega ha precedentemente valutato inidonea a ritenere pienamente provata e certa – giudizialmente parlando – la penale responsabilità dell’imputato.
L’interpretazione illustrata ha il pregio di garantire i principi dell’“oralità”, del “contraddittorio” e dell’ “immediatezza” nella formazione della prova nei processi penali di stampo accusatorio – o “tendenzialmente” tali – tutelando l’imputato da un processo d’appello puramente cartolare, in cui l’accertamento della sua responsabilità penale si basa solamente sulla sterile rilettura del verbale di assunzione della prova testimoniale e senza che il giudice abbia la diretta percezione della prova orale già formata in altra sede e d’innanzi ad altri. Occorre aggiungere, prima di illustre al lettore le conclusioni, che la strada tracciata dalla giurisprudenza citata vale anche nel caso di riformatio in peius della sentenza assolutoria emessa a seguito di giudizio abbreviato “non condizionato”, poiché anche in tale ipotesi la rinnovazione è ritenuta indispensabile al di là del fatto che le prove dichiarative sono state valutate solamente in maniera cartolare (si pensi al verbale di sommarie informazione rese durante le indagini dal possibile testimone). In tali circostanze andrà considerato solamente il fatto che la Procura, nel proprio atto d’appello, ha mosso delle censure sulla valutazione data dal primo giudice mentre la Corte d’Appello ritiene di dover vagliare diversamente la prova al fine di ribaltare le statuizioni del suo predecessore. Solamente con queste modalità si potrà salvaguardare i principi di oralità, immediatezza e contraddittorio ben noti ai giuristi. Le indicazioni espresse nelle massime su richiamate sono stati ripresi di recente dal legislatore dell’attuale riforma e trasposti nel nuovo comma 3-bis dell’Art. 603 c.p.p. introdotto dal comma 58 della L. 103/2017. Pur consapevoli che queste non sono altro che scelte politiche riservate esclusivamente all’organo legislativo, ciò non lo esime il giurista dal poterle leggere criticamente, soprattutto nel momento in cui quest’ultimo scorge un palese vizio di legittimità costituzionale.
È pare di chi scrive, difatti, il chiaro errore commesso nella formulazione lessicale della disposizione poiché va a creare una disparità di trattamento delle parti processuali[5] – vietata Ex Art. 111 com. 2 Cost. – nel momento in cui si obbliga il giudice dell’appello a rinnovare l’istruttoria dibattimentale solamente qualora l’organo d’accusa abbia prospettato una diversa lettura del dato probatorio emerso dall’esame del testimone e non anche qualora le censure siano mosse nell’atto di gravame proposto dalle altre parti processuali[6], in primis l’imputato. Tanto rilevato va ad incidere profondamente sulla legittimità costituzionale dell’Art. 603 co. 3-bis c.p.p. che nella sua formulazione tradisce la giurisprudenza che ne aveva ispirato la scrittura, passando da un’interpretazione sostanzialmente garantista nei confronti dell’imputato, ad un dettato normativo che attribuisce all’organo d’accusa un’ulteriore opportunità negandola, nello stesso tempo, alla difesa.
Ben avrebbe fatto il legislatore ad evitare la scrittura della disposizione con queste modalità, o quantomeno a meglio ponderare sui risultati ermeneutici dalla giurisprudenza della Suprema Corte, evitando così che una riforma tanto voluta venisse licenziata con parti già costituzionalmente illegittime.
[1] Sentenza preceduta da altre decisioni poi tutte cristallizzate dalla sentenza Dan c/ Moltovia, si vedano P.K. c Fillandia (dec.) 37442/97; mutatis mutandis Pitkanen c Fillandia, n. 30508/96; Milan c/ Italia n. 32219/02; Hanu c/ Romania n. 10890/2004.
[2] Cass. Pen. Sez. VI, 26. Febbraio 2011 n. 16566.
[3] Cass. Pen. Sez. VI, 11 Febbraio 2014 n. 8654; Conf. SS. UU. Pen. N. 18620 del 14 aprile 2017.
[4] Cass. Pen. Sez. II, 25 Febbraio 2014 n. 13233, nello specifico la Suprema Corte ha ritenuto la non sussistenza dell’obbligo di rinnovazione nel caso in cui si tratta di dover dare una diversa valutazione del dato emerso a seguito di riprese video. 5 Riportiamo qui per completezza gli altri due principi stabiliti dalle Sezioni Unite:
- “I principi contenuti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell‟uomo e delle libertà fondamentali, come viventi nella giurisprudenza consolidata della Corte CEDU, pur non traducendosi in norme di diretta applicabilità nell‟ordinamento nazionale, costituiscono criteri di interpretazione („convenzionalmente orientata‟) ai quali il giudice nazionale è tenuto ad ispirarsi nell‟applicazione delle norme interne.”
- “La previsione contenuta nell‟art. 6 per. 3 lett. d) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell‟uomo e delle libertà fondamentali, relativa ai diritti dell‟imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l‟esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte CEDU, la quale costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne, implica che nel caso di appello del pubblico ministero avverso una sentenza assolutoria, fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, il giudice di appello non può riformare la sentenza impugnata nel senso dell‟affermazione della responsabilità penale dell‟imputato, senza avere proceduto, anche d‟ufficio, a norma dell‟Art. 603 comma 3 c.p.p., a rinnovare l‟istruzione dibattimentale attraverso l‟esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado.”
- “Gli stessi principi trovano applicazione nel caso di riforma della sentenza di proscioglimento di primo grado, ai fini delle statuizioni civili, sull‟appello proposto dalla parte civile.”
[5] Per un approfondimento sul tema – Paolo Tonini – “Manuale di Procedura Penale” – Giuffré 2016.
[6] Si ricorda al lettore che la Sentenza Dasgupta aveva esteso l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale anche nel caso in cui l’appello fosse stato proposto dalla parte civile. Vedi nota 5.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento