(Ricorsi dichiarati inammissibili)
(Orientamento confermato)
(Normativa di riferimento: C.p.p. artt. 599 bis e 602, c. 1-bis)
Il fatto
La Corte di Appello di Salerno il 27 novembre 2017, in riforma della sentenza di primo grado, applicava a D. R. C. e D. R. M. per i reati ascritti, ai sensi dei novellati articoli 599 bis e 602 comma 1 bis cod. proc. pen., la pena concordata con la Pubblica Accusa, previa rinuncia degli ulteriori motivi relativi, in particolare, all’affermazione della penale responsabilità.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione entrambi gli imputati, a mezzo del comune difensore, denunciando genericamente una violazione di legge e una mancanza o illogicità della motivazione in ordine al mancato proscioglimento e alla mancata esclusione della contestata recidiva.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione dichiarava inammissibili i ricorsi proposti alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si osservava prima di tutto che, a seguito della novella del codice di rito, applicabile al caso di specie in quanto i ricorsi erano stati proposti l’11 dicembre 2017 dopo l’entrata in vigore della indicata novella di cui alla legge 23 giugno 2017 n. 103 (2 agosto 2017), gli articoli 599 bis e 602 comma 1 bis cod. proc. pen avevano previsto il cd. concordato a seguito di rinuncia ai motivi di appello.
Posto ciò, la Corte, osservando che dette modifiche legislative riproponevano in sostanza la situazione processuale e quindi l’applicabilità della vecchia giurisprudenza in tema di “cd. patteggiamento in appello”, ne faceva conseguire, come logica conseguenza, il riproporsi di quegli orientamenti nomofilattici già elaborati durante la vigenza delle norme che regolavano questo istituto, e quindi la reviviscenza di quegli approdi ermeneutici con cui, da un lato, veniva affermato che il Giudice d’appello, nell’accogliere la richiesta avanzata a norma dell’articolo 599 cod. proc. pen., comma 4, non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per taluna delle cause previste dall’articolo 129 cod. proc. pen., né sull’insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità della prova, in quanto a causa dell’effetto devolutivo, una volta che l’imputato ha rinunciato ai motivi d’impugnazione, la cognizione del Giudice deve limitarsi ai motivi non rinunciati, essendovi peraltro una radicale diversità tra l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti e quello disciplinato dal citato articolo 599 cod. proc. pen. (così: Cass. Sez. VI 8 maggio 2003, n. 35108), dall’altro, era postulato che il potere dispositivo riconosciuto alla parte dall’articolo 599 cod. proc. pen., comma 4, non solo limita la cognizione del Giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione (così: Cass. pen., Sez. VI 30 novembre 2005 n. 1754).
Tal che gli ermellini, come già rilevato prima, ne facevano conseguire nel caso di specie l’inammissibilità dei ricorsi.
Conclusioni
La sentenza si appalesa in larga parte condivisibile.
Effettivamente l’art. 599 bis c.p.p., inserito nel codice di procedura penale per effetto dell’art. 1, c. 56 e c. 57 della legge 23 giugno 2017 n. 103, riproduce in buona parte quanto già era previsto dall’art. 599, c. 4, c.p.p. prima che venisse abrogato dal d.l. n. 92 del 2008 (poi convertito nella legge n. 125 del 2008).
Pertanto, la Corte di Cassazione, nella pronuncia in commento, ha correttamente riconsiderato quegli orientamenti nomofilattici elaborati durante la vigenza di questa statuizione legislativa fermo restando però che, per quanto attiene il primo indirizzo nomofilattico citato, ossia quello secondo il quale il Giudice d’appello nell’accogliere la richiesta avanzata a norma dell’articolo 599 cod. proc. pen., comma 4, non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per taluna delle cause previste dall’articolo 129 cod. proc. pen., si deve registrare un orientamento ermeneutico di segno contrario secondo il quale, anche in sede di cosiddetto patteggiamento in appello, il giudice deve accertare l’insussistenza delle cause di non punibilità di cui all’art. 129 c.p.p. (così: Cass. pen., sez. V, n. 43367 del 24 settembre del 2008).
Pur tuttavia e concludendo, anche ove la Corte avesse aderito a questo secondo indirizzo interpretativo, ad ogni modo l’altro orientamento, questo sì, ad avviso di chi scrive, costante ed uniforme, non avrebbe permesso di stimare ammissibili i ricorsi proposti giacchè, al di là del pronunciamento menzionato in questa decisione (vale a dire: . pen., Sez. VI 30 novembre 2005 n. 1754) in altre sentenze i giudici di Piazza Cavour avevano parimenti asserito come fosse inammissibile il ricorso per Cassazione relativo a questioni anche rilevabili di ufficio alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena in appello [in questi termini: Cass. pen., sez. I, 15/11/2007, n. 43721; vedasi anche Cass. pen., sez. VII, 17/10/2001, n. 40767 (“È inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, c.p.p., il ricorso proposto deducendo motivi già oggetto di ratifica, da parte del giudice di appello, su concorde richiesta delle parti, ovvero già rinunciati nel secondo grado di giudizio, i quali non possono essere riproposti in sede di legittimità, atteso che la relativa rinunzia consolida gli effetti della preclusione processuale”)].
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