- Il fatto
- I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
- Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
- Conclusioni
Il fatto
La Corte di Appello di Firenze, in sede di rinvio per l’annullamento del precedente provvedimento avvenuto con sentenza della Corte di Cassazione, con ordinanza, accoglieva parzialmente l’istanza volta ad ottenere la riparazione per ingiusta detenzione, limitatamente ad un periodo di detenzione, in carcere, e ad uno per la custodia domiciliare, liquidando per l’ingiusta detenzione la somma di € 8725,34, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo, con la compensazione totale delle spese.
Per approfondimenti leggi l’articolo “Riparazione per l’ingiusta detenzione”
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Ricorreva in Cassazione l’istante deducendo i seguenti motivi:
1) violazione di legge (art. 314, secondo comma, cod. proc. pen.) in quanto la Corte di Appello di Firenze aveva affrontato solo la problematica relativa al primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., senza nessun confronto con la domanda del ricorrente e con la stessa sentenza di annullamento della Cassazione che espressamente si era riferita al secondo comma dell’art. 314 cod. proc. pen. fermo restando che, da un lato, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento, che ha disposto la misura cautelare, è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli art. 273 e 280 cod. proc. pen., spetta la riparazione per l’ingiusta detenzione (art 314, secondo comma, cod. proc. pen.), dall’altro, nel caso in giudizio con archiviazione del G.I.P., era stata accertata l’infondatezza in radice dell’ipotesi accusatoria che aveva comportato la custodia cautelare; per di più, veniva rilevato come la sostanza detenuta dal ricorrente non fosse stupefacente, eroina mentre, per un verso, il ricorrente, al momento dell’interrogatorio, aveva dichiarato che la sostanza stupefacente era stata da lui acquistata per un uso personale, per altro verso, le dichiarazioni del ricorrente non potevano ricevere alcuna valenza per la riparazione dell’ingiusta detenzione e quindi, cosa avrebbe dovuto o potuto dire l’indagato non era chiaro; oltre a ciò, si evidenziava altresì come nel caso di specie fosse configurabile un reato impossibile (art. 49 cod. pen.) rilevandosi al contempo come nessuna causalità, per l’arresto, potesse essere stata determinata dalle dichiarazioni del ricorrente in sede di interrogatorio, o dal suo comportamento al momento dell’arresto, posto che, proprio per la sua dichiarazione (acquisto per un uso personale), egli avrebbe dovuto essere immediatamente scarcerato e, comunque, doveva essere compiuto un accertamento immediato della natura della sostanza, così come erano del tutto irrilevanti, per la detenzione subita, ex art. 314, secondo comma, cod. proc. pen., la violazione dell’obbligo di dimora e il tentativo di disfarsi della sostanza al momento dell’arresto; inoltre, si notava che anche il giorno della scarcerazione (il 4 dicembre 2015, con la sostituzione della custodia in carcere con i domiciliari) doveva essere considerato giorno di custodia in carcere e non ai domiciliari, come ritenuto nell’ordinanza impugnata;
2) omessa, insufficiente e contraddittorietà della motivazione in relazione all’ipotesi del secondo comma dell’art. 314 cod. proc. pen. dal momento che, ad avviso del ricorrente, da una parte, la motivazione dell’ordinanza era apparente, di stile, senza alcuna analisi adeguata, per l’ipotesi del secondo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., dall’altra, il provvedimento impugnato non spiegava perché ci sarebbe stata la colpa ostativa, grave; l’interrogatorio dell’indagato, a sua volta, veniva ritenuto causalmente collegato alla detenzione in quanto anche l’odierno ricorrente riteneva fosse droga (anche se per un uso personale) la sostanza sequestrata fermo restando che, a fronte di ciò, mancava la motivazione sulla sussistenza di un qualsiasi collegamento causale tra il comportamento del ricorrente e la detenzione subita;
3) violazione di legge (art. 314 cod. proc. pen., 91 e 92 cod. proc. civ.) avendo la Corte di Appello, sulla base di una reciproca soccombenza, compensato totalmente le spese anche del giudizio di legittimità mentre, invece, mancava una soccombenza reciproca anche se la domanda era stata accolta solo parzialmente poiché la controparte si era sempre opposta a tutta la domanda del ricorrente chiedendone il rigetto, né la controparte era stata costretta ad una spesa per oneri processuali maggiori di quelli che avrebbe sostenuto se la domanda fosse stata contenuta nel giusto (limitata al solo riconoscimento.
Si concludeva pertanto per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso era stimato infondato e veniva, quindi, respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
A tal proposito si evidenziava, in punto di diritto, tra le diverse argomentazioni addotte nella pronuncia qui in commento, che, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, il giudice di merito, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione “ex ante” – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016 ).
Orbene, in relazione a siffatto approdo ermeneutico, gli Ermellini osservavano come l’ordinanza impugnata avesse analizzato tutto il materiale e tutti i fatti rilevanti, con la suddetta motivazione, ritenendo configurata la “colpa” ostativa alla riparazione deducendosi al contempo come questa conclusione fosse sorretta da una motivazione, logica, non contraddittoria ed adeguata, e, dunque, insindacabile in sede di legittimità come già ritenuto dalla Corte Suprema di Cassazione, in una precedente occasione, nei seguenti termini: “In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se l’imputato vi abbia dato causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare tutti gli elementi probatori disponibili, tenendo conto di quei comportamenti che denotino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di norme o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità” (Sez. 4, n. 14000 del 15/01/2014).
Ciò posto, un’altra censura difensiva, ritenuta non accoglibile nella fattispecie in esame, riguardava
l’interpretazione dell’art. 314, secondo e terzo comma, cod. proc. pen., ovvero se deve valutarsi la condotta del ricorrente (ostativa all’equa riparazione) anche nelle ipotesi dove risulti accertato “che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli art. 273 e 280” cod. proc. pen.
Il ricorrente, in particolare, sosteneva che il suo comportamento risultasse essere irrilevante per la ingiusta detenzione subita in quanto ab origine la stessa era illegale.
Orbene, per il Supremo Consesso, così, invece, non era in quanto, solo se l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura fosse stato compiuto con gli stessi elementi valutati dal giudice della misura cautelare, sarebbe irrilevante la condotta dell’arrestato richiamandosi, a sostegno di tale assunto, quell’orientamento nomofilattico secondo cui, in “tema di riparazione per ingiusta detenzione, ove l’ingiustizia sia correlata alla diversa qualificazione, in sede di merito, del fatto di reato i cui limiti edittali di pena non avrebbero consentito l’applicazione della misura custodiale, la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, integrata dall’avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave, non opera se l’accertamento dell’insussistenza “ab origine” delle condizioni di applicabilità della misura avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha adottato il provvedimento cautelare, in quanto in tal caso la condotta dolosa o colposa dell’imputato è priva di efficienza causale in ordine all’emissione della misura” (Sez. 4, Sentenza n. 16175 del 22/04/2021; nello stesso senso, Sez. 4, Sentenza n. 26261 del 23/11/2016 e Sez. 4, Sentenza n. 8021 del 28/01/2014).
Ebbene, ad avviso della Suprema Corte, nel caso in giudizio, come (stimato) correttamente rilevato dall’ordinanza impugnata, il ricorrente, al momento della convalida dell’arresto, dichiarava di essersi recato a Livorno e di aver acquistato droga da dei marocchini, per un suo uso personale contribuendo così, in modo determinante, alla sua custodia cautelare, come accertato dall’ordinanza impugnata, con valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità mentre, solo successivamente, con la novità rappresentata dalla consulenza tecnica del P.M. sulla sostanza, si era potuto accertare l’insussistenza del reato.
Tal che se ne faceva conseguire che gli elementi dell’arresto e quelli dell’archiviazione non erano gli stessi dal momento che solo con l’accertamento della natura della sostanza con la consulenza del P.M. (che accertava l’assenza di droga) si era potuta disporre l’archiviazione.
Da ultimo, del tutto generica e infondata era reputata la questione della compensazione delle spese. Invero, se per l’art. 92, secondo comma, cod. di proc. civ. “Se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero”, nel caso in giudizio, la Corte di Appello aveva ritenuto una soccombenza reciproca in considerazione del parziale accoglimento della domanda del ricorrente, motivando adeguatamente sul punto, dato che, nel “procedimento di riparazione per l’ingiusta detenzione la pubblica amministrazione, nel caso in cui non si opponga alla pretesa dell’interessato, non può essere considerata soccombente e non può pertanto essere condannata al rimborso delle spese processuali sostenute dalla parte privata, mentre, qualora si costituisca opponendosi alla pretesa dell’istante, la regolamentazione delle spese va effettuata in applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ. nell’attuale formulazione, introdotta dal d. I. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in legge 10 novembre 2014, n. 162, che consente la compensazione integrale o parziale solo in caso di soccombenza reciproca, di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o di altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni” (Sez. 4, Sentenza n. 41307 del 02/10/2019).
Per approfondimenti leggi l’articolo “Può essere riconosciuto il diritto ad ottenere la riparazione per ingiusta detenzione”
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiariti diversi profili giuridici attinenti l’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, così come regolato dall’art. 643 e ss. del cod. proc. pen.
Difatti, in tale pronuncia, sulla scorta di quanto già affermato dalla Cassazione nel passato, si afferma che in tema di riparazione per ingiusta detenzione:
1) il giudice di merito, per valutare se l’imputato vi abbia dato causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare tutti gli elementi probatori disponibili, tenendo conto di quei comportamenti che denotino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di norme o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità;
2) ove l’ingiustizia sia correlata alla diversa qualificazione, in sede di merito, del fatto di reato i cui limiti edittali di pena non avrebbero consentito l’applicazione della misura custodiale, la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, integrata dall’avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave, non opera se l’accertamento dell’insussistenza “ab origine” delle condizioni di applicabilità della misura avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha adottato il provvedimento cautelare, in quanto in tal caso la condotta dolosa o colposa dell’imputato è priva di efficienza causale in ordine all’emissione della misura;
3) nel procedimento di riparazione per l’ingiusta detenzione, la pubblica amministrazione, nel caso in cui non si opponga alla pretesa dell’interessato, non può essere considerata soccombente e non può pertanto essere condannata al rimborso delle spese processuali sostenute dalla parte privata mentre, qualora si costituisca opponendosi alla pretesa dell’istante, la regolamentazione delle spese va effettuata in applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ. nell’attuale formulazione, introdotta dal d. I. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in legge 10 novembre 2014, n. 162, che consente la compensazione integrale o parziale solo in caso di soccombenza reciproca, di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o di altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni.
Tale provvedimento, di conseguenza, alla luce di tali considerazioni giuridiche, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta venga presentata una richiesta di questo genere.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale pronunciamento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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