In caso di sinistro, è frequente il verificarsi dell’ipotesi per cui si è costretti al mancato utilizzo della propria auto incidentata in ragione della necessaria riparazione per i danni subiti.
Se a seguito dell’avvenuto sinistro è inoltrata una richiesta di risarcimento di danni da esso derivanti, è possibile chiedere anche quello del cosiddetto “danno da fermo tecnico”.
In ordine alla risarcibilità di questa autonoma voce di danno, che si aggiunge a quello materiale riportato dal veicolo stesso, occorre fare riferimento all’orientamento giurisprudenziale rinvenibile in una serie di sentenze che hanno riconosciuto il danno da fermo tecnico come danno in re ipsa ed in quanto tale risarcibile automaticamente per il solo verificarsi del sinistro.
Recentemente oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza, che ha trattato l’argomento in maniera incisiva nel corso del 2010 (Cass., sent. n. 1688/2010 e sent. n. 7781/2010), riprendendo quanto già affermato dalla stessa Corte di Cassazione al riguardo in una nota sentenza del 2004 Cass. Sent. n. 12908/2004), e successivamente nel 2006 (Cass. sent. n. 23916/2006), appare oggi questione indiscutibile in ordine alla sua ammissibilità e legittimità. Nella prima delle suindicate pronunce la Corte ha infatti affermato che “il giudice di merito non può ignorare che il danno al mezzo meccanico da sinistro stradale provoca al danneggiato questo ulteriore pregiudizio economico, costituito dalla perdita della disponibilità del mezzo meccanico durante il tempo necessario per le riparazioni, e in presenza di un danno certo, ma non determinato nella sua esatta entità, ha l’obbligo di provvedere alla liquidazione del medesimo in via equitativa, secondo il disposto dell’art. 1226 c.c., servendosi dei mezzi di prova a disposizione, tutte le volte che il danno da sosta tecnica, per la esiguità delle riparazioni, non risulti irrisorio”. L’esistenza di un simile pregiudizio risulta innegabile, in presenza di determinati presupposti, a fronte, per esempio, dell’unicità, nell’ambito della disponibilità del possibile ricorrente, del veicolo danneggiato come mezzo per recarsi sul posto di lavoro, nonché, semplicemente, per provvedere ai molteplici spostamenti che la vita quotidiana richiede od impone.
Inoltre, in aggiunta al pregiudizio subito a causa dell’impossibilità di utilizzo del veicolo protagonista e vittima del sinistro in oggetto, si consideri la perdurante necessità di provvedere, da parte del proprietario di un automezzo, a sostenere le spese che allo stesso si collegano, quali ad esempio bollo ed assicurazione, e che prescindono dal suo materiale utilizzo. Con riferimento a taluni oneri economici, quali quelli appena menzionati, un’automobile ferma richiede spese analoghe a quelle di un’automobile che viene utilizzata con più o meno assidua frequenza. Conseguentemente, appare doveroso considerare, all’interno della somma che verrà richiesta a titolo di risarcimento, anche le spese inerenti a questi ultimi aspetti, nonché, il deprezzamento di valore che il mezzo inevitabilmente subisce col decorso del tempo, nonostante il suo mancato utilizzo, imputabile in tal caso a responsabilità altrui e non certo del proprietario. D’altronde, un simile orientamento è stato espresso dalla stessa Corte di Cassazione in una sentenza che si colloca a soli due anni di distanza da quella poc’anzi citata, la n. 23916/2006, che in tema di risarcimento del danno da fermo tecnico costituisce la pronuncia cui la stessa Corte negli anni successivi ha più volte fatto riferimento per confermare la debenza di tale voce di danno. In tale pronuncia, essa espressamente precisa, con chiarezza ed esaustività indiscutibili, come “principio giurisprudenziale di questa Corte che, in tema di risarcimento del danno da incidente stradale, ritiene possibile la liquidazione equitativa del cd. danno da fermo tecnico subito dal proprietario dell’autovettura per impossibilità di utilizzarla durante il tempo necessario alla sua riparazione anche in assenza di una prova specifica in ordine al danno perché ciò che conta è che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a cui esso era destinato, giacchè l’auto è, anche durante la sosta, fonte di spese (tassa di circolazione, premio di assicurazione), che vanno perdute per il proprietario, ed è soggetta a un naturale deprezzamento di valore, calcolato sul prezzo di acquisto del veicolo” (sent. 13 luglio 2004 n. 12908; Cass. 3 aprile 1.987 n. 3234; 28 agosto 1978 n. 4009;5 maggio 1975 n. 1737; 23 giugno 1972 n. 2109). Si ricordi, ancora, come la Corte ha avuto modo di tornare sull’argomento anche di recente, manifestando coerenza quanto all’orientamento in precedenza espresso. Basti citare la sentenza della Cassazione n. 1688/2010, in cui si è ribadito che “con riferimento al cosiddetto danno da fermo tecnico subito dal proprietario dell’autovettura danneggiata a causa della impossibilità di utilizzarla durante il tempo necessario alla sua riparazione, è stato affermato che è possibile la liquidazione equitativa di detto danno anche in assenza di prova specifica in ordine al medesimo, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a cui esso era destinato. L’autoveicolo è, difatti, anche durante la sosta forzata, fonte di spesa (tassa di circolazione, premio di assicurazione) comunque sopportata dal proprietario, ed è altresì soggetta a un naturale deprezzamento di valore, del veicolo” (in materia, v. anche Cass., sent. n. 7781/2010, e Trib. di Roma, sent. n. 9653 del 03/05/2010). Altro dato ricavabile da quanto illustrato è di indubbia ovvietà: il danno da fermo tecnico è non solo risarcibile ma liquidabile anche con ricorso all’equità.
Infine, un ulteriore profilo degno di considerazione in merito alla materia trattata è quello concernente la risarcibilità dell’IVA quando le riparazioni non siano ancora state eseguite.
Ebbene, censurando le pronunce dei giudici di merito, la Suprema Corte riconosce, infatti, appieno il diritto del danneggiato di ottenerne il rimborso, a titolo di anticipazione, nell’ipotesi in cui, nel momento del giudizio, il veicolo risulta non essere stato riparato. Tale riconoscimento si poggia sul rilievo che, in capo al riparatore, esiste l’obbligo giuridico, e non una mera facoltà, di addebitare l’imposta sul proprietario, a titolo di rivalsa, allorché il veicolo sarà riparato o, comunque, gli saranno corrisposte le somme dovute per le riparazioni eseguite. Quindi, il principio da seguire, precisato nella succitata sent. n. 1688/2010, è il seguente: “poiché il risarcimento del danno si estende agli oneri accessori e conseguenziali, se esso è liquidato in base alle spese da affrontare per riparare un veicolo, il risarcimento comprende anche l’IVA, pur se la riparazione non è ancora avvenuta – e a meno che il danneggiato, per l’attività svolta, abbia diritto al rimborso o alla detrazione dell’IVA versata – perchè l’autoriparatore, per legge (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 18), deve addebitarla, a titolo di rivalsa, al committente”.
Tale riconoscimento è conforme al principio giurisprudenziale in ragione del quale il risarcimento del danno da fatto illecito ha la funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato senza l’evento lesivo e, quindi, trova presupposto e limite nell’effettiva perdita subita da quel patrimonio in conseguenza del fatto stesso, indipendentemente dagli esborsi materialmente effettuati (tra le varie, Cass. 5 luglio 2002, n. 9740).
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