La risarcibilità del danno da fermo tecnico a seguito di incidente stradale. Il contrasto giurisprudenziale: il danno è o non è in re ipsa?

Dopo la sentenza della III sezione civile n. 20620 del 14/10/2015, diventa improcrastinabile l’intervento delle Sezioni Unite.

Per danno da fermo tecnico, argomentando dalla giurisprudenza formatasi in materia, s’intende comunemente il pregiudizio subito dal proprietario dell’autovettura danneggiata a causa della impossibilità di utilizzarla durante il tempo necessario alla sua riparazione.

Questo perché, l’autoveicolo, anche durante la sosta forzata, continua a generare spese – si pensi alla tassa di circolazione ovvero al premio della polizza assicurativa – comunque sopportate dal proprietario oltre al naturale deprezzamento di valore.

Ciò posto, la giurisprudenza si è chiesta a quale regime di prova si dovesse assoggettare il danno da fermo tecnico.

Una prima corrente di pensiero ritiene che: “Il c.d. “danno da fermo tecnico”, patito dal proprietario di un autoveicolo a causa della impossibilità di utilizzarlo durante il tempo necessario alla sua riparazione, può essere liquidato anche in assenza di una prova specifica, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a cui esso è destinato” (Da Ultimo: Cass. civ. Sez. III, 26/06/2015, n. 13215. Nello stesso senso ex multis:  Cass. civ. Sez. VI – 3 Ordinanza, 04/10/2013, n. 22687; Cass. civ. Sez. III, 09/11/2006, n. 23916; Cass. civ. Sez. III, 08/05/2012, n. 6907; Cass. civ. Sez. III, 27/01/2010, n. 1688).

In questo senso si è espressa anche parte della giurisprudenza di merito: Trib. Padova Sez. II, 12/02/2015; Trib. Milano Sez. XII, 10/04/2013; Trib. Salerno Sez. II, 05/02/2013.

In altri termini, non sarebbe necessaria una prova rigorosa del danno patito a seguito di incidente stradale e della conseguente impossibilità di utilizzo dell’autovettura incidentata, risultando questa una conseguenza ineludibile del sinistro.

Il pregiudizio del danno da fermo tecnico, pertanto, secondo la giurisprudenza sopra richiamata, sarebbe in re ipsa (in se stesso) e risulterebbe peraltro liquidabile in via equitativa: ”È possibile la liquidazione equitativa del danno cd. da “fermo tecnico” anche in assenza di prova specifica, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a cui esso era destinato” (Cass. civ. Sez. III, 08/05/2012, n. 6907. Nello stesso senso: Cass. civ. Sez. III, 27/01/2010, n. 1688; Cass. civ. Sez. III, 09/11/2006, n. 23916; Cass. civ. Sez. III, 14/12/2002, n. 17963; Cass. civ. Sez. III, 03/04/1987, n. 3234).

In buona sostanza, il richiamato orientamento si fonda sulla circostanza, incontestabile, che nel tempo necessario ad effettuare le riparazioni al veicolo danneggiato, questo non può essere utilizzato, perché “ciò che conta è che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a cui esso era destinato, giacché l’auto è, anche durante la sosta, fonte di spese, che vanno perdute per il proprietario, ed è soggetta a un naturale deprezzamento di valore, calcolato sul prezzo di acquisto del veicolo” (In motivazione: Cass. n. 23916/2006).

Il suddetto orientamento era da ritenersi oramai consolidato, nonostante, in precedenza, non sono mancate pronunce di segno contrario.

Tanto è vero che, la medesima Suprema Corte, II sezione civile, aveva ritenuto che: “Il c.d. danno da fermo tecnico non può considerarsi sussistente “in re ipsa”, per il solo fatto che un veicolo sia stato inutilizzato per un certo lasso di tempo. Come ogni danno, anche quello da fermo tecnico deve essere provato. La prova deve concernere sia il dato della inutilizzabilità del veicolo in relazione ai giorni in cui esso è stato illegittimamente sottratto alla disponibilità del proprietario, sia il dato della necessità del proprietario di servirsi del mezzo, cosicché, dalla impossibilità della sua utilizzazione, egli abbia riportato un danno, perché, ad esempio, non abbia potuto svolgere una determinata attività lavorativa ovvero abbia dovuto fare ricorso a mezzi sostitutivi” (Cass. civ. Sez. II, 09/08/2011, n. 17135. Nello stesso senso: Cass. civ. Sez. III, 09/03/2011, n. 5543; Cass. civ. Sez. III, 19/11/1999, n. 12820).

 

Come dicevamo, questo orientamento era da considerarsi superato, siccome risalente e nonostante – anche di recente – fosse stato condiviso da una parte minoritaria della giurisprudenza di legittimità (Trib. Torre Annunziata, 25/02/2015; Trib. Ragusa, 29/03/2014; Giudice di pace Perugia, 15/07/2013), sembrava definitivamente accantonato dalla Suprema Corte, con la citata pronuncia della III sezione civile, datata 26 giugno 2015, n. 13215.

Tuttavia, come nel migliore “film giallo”, dove il colpo di scena è sempre dietro l’angolo, preannunciata dall’ordinanza della Sez. VI – 3, del 17/07/2015, n. 15089, per la quale: “la liquidazione equitativa attiene pur sempre al quantum del risarcimento e non all’an, per cui ad essa si può fare ricorso in presenza della sicura esistenza dell’an. In altre parole, il fatto che un soggetto sia stato privato della vettura per un certo periodo di tempo comporta, in astratto, la ragionevole probabilità che un danno vi sia stato; ma non comporta anche che tale danno sia da ritenere per ciò solo dimostrato, perchè altrimenti si tratterebbe di un danno in re ipsa, con una sorta di capovolgimento dell’onere della prova. Ben si può, invece, fare ricorso, ai fini della dimostrazione del danno, ai criteri presuntivi, stante la piena dignità di prova che questa Corte ha riconosciuto alle presunzioni, proprio ai fini della dimostrazione dell’esistenza di un danno risarcibile (v. Sezioni Unite, sentenza 24 marzo 2006, n. 6572, nonchè sentenza 16 giugno 2014, n. 13665)”, è intervenuta la medesima III sezione civile della Suprema Corte, in data 14/10/2015, con la sentenza n. 20620, la quale, tornando nuovamente sulla questione si è discostata – ancora una volta – dal principio del danno da fermo tecnico in re ipsa che, oramai, si riteneva fosse da considerarsi consolidato.

– La vicenda processuale –

A seguito di incidente stradale con danni solo a cose, il danneggiato, non soddisfatto del risarcimento, ottenuto evocava in giudizio – tra gli altri – la compagnia di assicurazioni, per vedersi riconosciuta l’intera obbligazione risarcitoria.

Il giudice di pace prima, e il Tribunale di Roma poi, quale giudice d’appello, rigettavano la domanda, ritenendo satisfattiva la somma ottenuta dal danneggiato in via stragiudiziale.

Questi, tuttavia, non demordeva e proponeva ricorso per cassazione sulla base di otto motivi, tra i quali quello della violazione di legge (artt. 1208, 1219 e 1220 c.c.; artt. 112, 115 e 116 c.p.c.; D.P.R. 16 gennaio 1981, n. 45, art. 9), della nullità processuale e il vizio di motivazione, per avere il Tribunale ritenuto la mancanza di prova in merito alla sussistenza e all’ammontare del danno fermo tecnico che, tuttavia, risultava effettivo, siccome rinveniente “dalla necessità di lasciare il veicolo all’autoriparatore; sia dalla necessità di tenerlo a disposizione dell’assicuratore, perché compia le proprie verifiche, per il periodo di otto giorni stabilito dal D.P.R. 16 gennaio 1981, n. 45, art. 9” e che, conseguentemente, doveva essere risarcito.

– La soluzione giudiziale –

La Suprema Corte, relatore il dott. Marco Rossetti, nell’esaminare l’anzidetto motivo da atto del contrasto giurisprudenziale in atto riferendo come: “Da oltre quarant’anni (dal 1972, per l’esattezza) nella giurisprudenza di questa Corte si registra un contrasto irrisolto sulla prova del c.d. danno da fermo tecnico: vale a dire del pregiudizio patito dal proprietario di un veicolo per non averne potuto disporre durante il tempo necessario alle riparazioni”.

Riferisce quindi del primo e, a questo punto, più remoto orientamento per il quale, il danno da fermo tecnico può essere liquidato “anche in assenza di prova specifica, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato dei veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso a cui esso era destinato“, fondato sul deprezzamento del veicolo e sulle voci di spesa comunque presenti, anche in caso di mancato utilizzo dello stesso, quali la tassa di circolazione e il premio di assicurazione, cui si contrappone quello che esclude una automaticità della risarcibilità per il solo fatto dell’incidente occorso, risultando invece necessaria una “esplicita prova”, tanto dell’effettiva impossibilità di utilizzazione del mezzo, quanto del fatto che il proprietario dello stesso avesse concretamente necessità di servirsene ricorrendo, pertanto, a mezzi sostitutivi.

 

La sezione della Suprema Corte, nella sentenza in commento ritiene non condivisibile il primo orientamento, sulla scorta delle seguenti motivazioni:

1) Il danno causato dalla mera indisponibilità del veicolo non può essere in re ipsa. Nel nostro sistema legislativo, infatti, “non esistono danni in rebus ipsis”, di talché in assenza di un concreto pregiudizio, questo non risulta risarcibile. Tanto è vero che dalla mera lesione di un diritto non può dirsi automaticamente rinveniente un danno giuridico, salvo non ne sia derivata una perdita (patrimoniale o non patrimoniale);

2) Non veritiera è l’affermazione per cui, dimostrata l’inutilizzabilità del veicolo per un certo lasso di tempo, il danno può essere liquidato in via equitativa in virtù dell’art. 1226 c.c. Ed invero, al fine di provvedere alla liquidazione equitativa occorre che il danno sia certo nella sua esistenza ma, tuttavia, non dimostrabile nel suo ammontare. “L’orientamento qui contestato ricorre all’art. 1226 c.c., per liquidare un danno che è addirittura incerto nella sua stessa esistenza”;

3) Anche la circostanza relativa alla presenza di una danno relativo alla spesa per la tassa di circolazione, quale conseguenza della sosta forzata del veicolo, risulta errata. Infatti, la tassa è collegata all’iscrizione del veicolo nel pubblico registro automobilistico, e ciò a prescindere dalla sua circolazione, “non è quindi corretto sostenere che la tassa sia stata “pagata invano” nel caso di sosta forzosa del veicolo”.

4) Analogo discorso per la spesa relativa al premio assicurativo “inutilmente pagato“, vuoi perché il rischio risulta comunque sussistente anche quando lo stesso è inutilizzato ovvero in riparazione, ben potendo provocare danni a terzi (ad esempio in caso di incendio o in fase di collaudo), sia perché comunque il proprietario potrebbe, anzi dovrebbe, richiedere la sospensione della polizza e ove non lo facesse non potrebbe imputare a terzi questa sua negligenza;

5) Altrettanto erronea è la circostanza relativa al deprezzamento dei veicolo. Questa, infatti, discende dalla necessità della riparazione e non dalla sua durata. La stessa, peraltro, non è una conseguenza obbligata del fermo tecnico ma, semmai, da accertare caso per caso, si pensi, a titolo di esempio, che “la riparazione d’un veicolo obsoleto e malandato potrebbe addirittura fargli acquistare un valore superiore a quello che aveva prima del sinistro”.

6) Pure l’affermazione per la quale la non disponibilità nel tempo necessario alle riparazioni comporterebbe un danno patrimoniale “a prescindere dall’uso a cui esso era destinato”, non risulterebbe corretta, in considerazione del fatto che: “non potere utilizzare un veicolo per svago o diporto non costituisce una perdita patrimoniale, ma un pregiudizio d’affezione: come tale non risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c., mancando la lesione d’un interesse della persona costituzionalmente garantito”.

– Il “suggerimento” rinveniente dalla sent. 20620/2015 –

(a) L’indisponibilità d’un autoveicolo durante il tempo necessario per le riparazioni è un danno che deve essere allegato e dimostrato;

(b) la prova del danno non può consistere nella dimostrazione della mera indisponibilità del veicolo, ma deve consistere nella dimostrazione della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo, ovvero nella dimostrazione della perdita subita per avere dovuto rinunciare ai proventi ricavati dall’uso del mezzo”.

In assenza di questi presupposti e, pertanto, in mancanza della prova, ma anche – nel caso oggetto di giudizio – di allegazione dei sopra detti pregiudizi subiti da parte attrice, consegue il rigettato la relativa domanda.

– L’auspicio –

Pur nella consapevolezza che tale voce di danno risulta quasi sempre di modesto valore, rispetto a quello relativo alla riparazione dell’autovettura coinvolta nel sinistro stradale, ma che lo stesso può aumentare esponenzialmente nel caso di necessità di noleggio di un veicolo sostitutivo, magari necessario alla propria attività lavorativa, in virtù dello stridente e, per quanto visto sopra, assoluto contrasto giurisprudenziale, risulta improcrastinabile l’intervento risolutorio delle Sezioni Unite.

Probabilmente, partendo dal presupposto che l’autovettura oramai è divenuta mezzo indispensabile per gli atti quotidiani della vita, fossero anche i bisogni più elementari, accompagnare i figli a scuola, provvedere alla spesa quotidiana ovvero raggiungere la sede lavorativa, specie nelle piccole realtà urbane non servite dal trasporto pubblico, risulta innegabile che l’impossibilità di utilizzo dell’autovettura comporta, comunque, un pregiudizio che, in quanto tale, dovrebbe essere risarcito.

Ciò posto, pur nella bontà delle motivazioni espresse nella sentenza in commento, appare innegabile che la privazione incolpevole del veicolo per un certo tempo, che può anche rivelarsi abbastanza lungo, specie in caso di contestazioni in merito alla dinamica del sinistro, risulta foriera di pregiudizi e danni.

Tanto anche in relazione alle spese, comunque da sostenere nel periodo di non utilizzo, quali la tassa automobilistica (per la quale è pur vero che deve essere pagata a prescindere dal suo utilizzo, ma è altrettanto vero che un conto è l’inutilizzo volontario, altra cosa è l’inutilizzo forzato e incolpevole conseguenza di un sinistro), la spesa assicurativa (che ben può essere sospesa ma che, tuttavia, per come ricordato dalla stessa sentenza in commento, a quel punto esporrebbe il proprietario a responsabilità personali solidali in caso di danno a terzi in ipotesi di incendio ovvero di danni durante il collaudo) e quelle per il deprezzamento del veicolo (in considerazione del fatto che un veicolo incidentato, a prescindere dall’epoca di costruzione, rimarrà sempre tale e, conseguentemente, meno appetibile in caso di compravendita, specie in ipotesi di danni importanti, ad esempio al telaio (chassis) dell’autovettura che, quand’anche mirabilmente riparato, non potrà mai ritornare perfetto come in origine).

In virtù di ciò, sarebbe auspicabile allora una soluzione mediana e mediata, sintesi delle diverse correnti di pensiero che, magari, potrebbe prevedere:

1) La risarcibilità del danno da fermo tecnico senza necessità di specifica prova, e con valutazione equitativa (in relazione al tempo delle riparazioni, all’epoca di costruzione e al valore dello stesso), con riferimento alle spese sopra viste (tassa automobilista, costi assicurativi, deprezzamento) sopportate dal proprietario del veicolo anche nel periodo di inutilizzo;

2) La risarcibilità del danno da fermo tecnico in relazione ad ulteriori pregiudizi economici e non, da provare rigorosamente sia sotto il profilo dell’an che del quantum (si pensi al classico esempio dell’autovettura sostitutiva ottenuta a noleggio).

Avv. Accoti Paolo

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