La riserva di codice in materia penale: novità dalla Gazzetta

E’ stato pubblicato il 22 marzo del 2018 il decreto con cui viene data attuazione al principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma  85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103, vale a dire il decreto legislativo, 1 marzo 2018, n. 21.

Come si ricorderà, detta legge delega prevedeva come il Governo fosse delegato ad adottare un decreto legislativo volto a dare attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale, e ciò, sempre alla luce di quanto stabilito dall’art. 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103, “al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e  quindi  dell’effettivita’ della funzione rieducativa della pena” ritenuto ciò “presupposto indispensabile perche’ l’intero ordinamento  penitenziario  sia  pienamente conforme ai principi costituzionali, attraverso l’inserimento nel  codice  penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni  di  legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale, in particolare i valori della persona  umana, e tra questi il principio di uguaglianza, di non  discriminazione e di divieto assoluto di ogni forma di sfruttamento a fini di profitto della persona  medesima, e i beni della salute, individuale e collettiva, della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico, della salubrita’ e integrita’ ambientale, dell’integrita’ del territorio, della correttezza e trasparenza del sistema economico di mercato”.

Orbene, dopo siffatta doverosa premessa, va osservato come il Governo abbia dato concreta attuazione a questo principio, da un lato, riconoscendo espressamente ex lege siffatto principio, dall’altro, inserendo alcune fattispecie criminose, già previste in specifiche normative, in seno al codice penale.

Posto ciò, il presente scritto rappresenta uno dei tanti attraverso i quali si commenterà questa nuova normativa.

Chiarito ciò, si inizierà anzitutto ad esaminare l’art. 1 che introduce nel nostro ordinamento giuridico il principio di riserva del codice penale il quale è stato a sua volta inserito nel codice penale attraverso l’aggiunta, dopo l’art. 3 del codice penale, del seguente precetto normativo: «Art.  3-bis  (Principio della riserva di codice). – Nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell’ordinamento solo se modificano il codice penale ovvero sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia.».

Pertanto, per effetto di questo innesto legislativo, è ora espressamente sancito che di norma, ogniqualvolta vengono introdotti dal legislatore nuovi illeciti penali, le relative norme incriminatrici devono essere inserite all’interno del codice penale salvo il caso in cui detti reati concernino materie per i quali sono vigenti normative che le regolano in modo organico e unitario (esempio: la disciplina degli stupefacenti) atteso che, in questo secondo caso, le nuove norme incriminatrici dovranno essere incluse all’interno di siffatte discipline giuridiche.

Orbene, come si evince dalla relazione illustrativa al presente testo normativo (disponibile sul sito internet del Ministero della Giustizia), nel varare questo decreto legislativo, ci si è avvalsi “dei risultati del lavoro della Commissione, presieduta dal dott. Gennaro Marasca, istituita con decreto del Ministro della giustizia del 3 maggio 2016, e composta da magistrati e professori universitari, espressamente per l’elaborazione di una proposta attuativa della delega di recepimento del principio della cd. “tendenziale riserva di codice in materia penale””.

Detto progetto, sempre da quanto si evince da questa relazione illustrativa, prevede “un “riordino” della materia penale, “ferme restando le scelte incriminatrici già operate dal Legislatore”, così da preservare la centralità del codice penale secondo la gerarchia di interessi che la Costituzione delinea” e in “questo senso deve essere letta la delega nella parte in cui discorre di “inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore: tale dizione sembra, pertanto, escludere che l’attività delegata possa consistere in modifiche alle fattispecie criminose vigenti, contenute in contesti diversi dal codice penale” atteso che l’“intento del legislatore delegante risulta essere, infatti, quello di razionalizzare e rendere, quindi, maggiormente conoscibile e comprensibile la normativa penale e di porre un freno alla eccessiva, caotica e non sempre facilmente intellegibile produzione legislativa di settore”.

Da ciò emerge, come risulta sempre in questa relazione, “l’enunciazione di una norma di principio che riserva al codice un ruolo propulsivo di un processo virtuoso che ponga freno alla proliferazione della legislazione penale, rimettendo al centro del sistema il codice penale e ponendo le basi per una futura riduzione dell’area dell’intervento punitivo, secondo un ragionevole rapporto fra rilievo del bene tutelato e sanzione penale” dato che, operando in tal guisa, si “costruisce in tal modo una norma di indirizzo, di sicuro rilievo, in grado di incidere sulla produzione legislativa futura in materia penale”.

Come esposto prima, detta norma di principio non vale sempre e comunque atteso che il “nuovo” art. 3-bis c.p. prevede che le nuove norme incriminatrici possono anche essere inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia.

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Una scelta di tal fatta è stata dettata del fatto che, sempre come trapela dalla relazione illustrativa summenzionata, non si è ritenuto di prevedere l’inserimento di disposizione legislative all’interno del codice penale “nei casi in cui sussista una forte interrelazione dei singoli precetti penali con la disciplina di base che già li contiene” essendo stato stimato “sconsigliabile esportare precetti penali dal corpo originario che li contiene, quando già organico o di tipo anch’esso codicistico” come, ad esempio, “le disposizioni penali in materia di sicurezza nella circolazione stradale, anche se comunque preposte alla tutela della vita e dell’incolumità personale” ovvero quelle contemplate “per il settore degli infortuni sul lavoro (da intendere in senso ampio, e dunque comprensivo anche delle malattie professionali)” o, ancora, le norme giuridiche inerenti la materia della prostituzione, la tutela dell’ambiente, il settore del gioco e le scommesse nonchè le armi (così: relazione illustrativa in oggetto).

Orbene, la scelta di evitare l’ingresso automatico di norme incriminatrici afferenti beni tutelati (il più delle volte non solo penalmente) da leggi distinte dal codice penale, si appalesa perfettamente condivisibile in quanto, agendo in tal modo, si evita una proliferazione di norme incriminatrici in seno al codice penale in ordine alla tutela di interessi non precedentemente tutelati dal codice penale stesso.

Si è evitato tra l’altro, ove si fosse proceduto in tal senso, il rischio di una diversa regolamentazione giuridica della stessa materia a seconda se le norme inerenti detta materia avessero avuto rilevanza penale o meno; ciò, invero, avrebbe ingenerato il rischio di  una regolamentazione della materia disorganica e frammentaria che avrebbe determinato l’effetto opposto di quello richiesto dalla legge di delega ossia, come anche visto prima, il fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e  quindi  dell’effettivita’ della funzione rieducativa della pena.

Posto ciò, una volta brevemente analizzato il primo articolo di questa disciplina giuridica, non resta che vedere cosa prevedono quelli successivi (cosa che faremmo nei prossimi giorni in altri articoli).

 

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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