La rotazione preventiva (o ordinaria) del personale nella pubblica amministrazione

La rotazione preventiva (o ordinaria) del personale nella pubblica amministrazione, fa la sua comparsa nel diritto amministrativo italiano in termini relativamente recenti.

La sua positivizzazione risale a poco meno di dieci anni fa ad opera della legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione).

Scopo del presente articolo è fornire un quadro normativo di tale istituto utile – questo è l’auspicio – a quanti, per lavoro o per studio, siano chiamati a confrontarsi con esso, il tutto, evidentemente, in coerenza con le ragioni di economicità del presente strumento.

Consigliamo l’articolo La rotazione successiva (o straordinaria) del personale nella p.a.

Essendo la rotazione del personale soltanto una delle (diverse) misure individuate dal legislatore del 2012 per contrastare il fenomeno della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione italiana, qualsiasi riflessione su tale misura non può prescindere da un inquadramento generale della L. 190/2012 e, più in particolare, dall’esatta individuazione della relativa genesi perché della stessa partecipano, inevitabilmente, tutti gli istituti e tutte le misure che in tale legge trovano la propria disciplina o, quanto meno, il proprio riferimento normativo primario.

In principio era la corruzione e l’illegalità nella pubblica amministrazione.

Complice la triste abitudine del nostro legislatore a legiferare spesso sull’onda emotiva di accadimenti tragici, o di fatti di cronaca forieri di profondo sdegno nell’opinione pubblica, si sarebbe indotti a ritenere che (anche) la L. 190/2012 – la cui rubrica vale sostanzialmente come una “dichiarazione di guerra” alla corruzione nella pubblica amministrazione – abbia alimentato tale poco edificante prassi[1].

Una considerazione questa che potrebbe addirittura correre il rischio di risultare banale richiamando alla mente il fatto che, proprio nel periodo in cui tale legge veniva discussa e approvata in Parlamento, la cronaca giudiziaria riferiva – pressoché quotidianamente – di indagini sulla gestione delle spese in diversi Consigli regionali (c.d. “Rimborsopoli”).

Ancorché non si possa escludere che, proprio l’eco di detti fatti di cronaca, abbia avuto un qualche effetto acceleratorio nell’iter parlamentare di approvazione del disegno di legge AS 2156, della XVI legislatura (c.d. Governo Berlusconi IV), la genesi della L. 190/2012 va ricercata, tuttavia, ben oltre le contingenze del periodo nel quale essa fu approvata dovendosene ricercare le radici piuttosto in accordi di diritto internazionale.

Per meglio comprendere tali origini è necessario muovere dalla considerazione che il rapporto “pubblica amministrazione/fenomeno corruttivo” e, più in dettaglio, l’esigenza di contrastare l’elemento al denominatore in favore della legittimità e della maggiore efficacia, efficienza e economicità dell’azione amministrativa, a ben vedere, può essere considerata una questione atavica, per certi versi, genetica, al concetto stesso di pubblica amministrazione/burocrazia, intesa nella sua accezione weberiana, ancora oggi sostanzialmente attuale. Un problema che non riguarda solo la pubblica amministrazione italiana ma che investe, evidentemente, le pubbliche amministrazioni di tutto il mondo.

Volutamente si è fatto poc’anzi riferimento al concetto di fenomeno corruttivo, in luogo del più circoscritto e tecnico “corruzione”, per mettere in evidenza che l’impianto normativo recato dalla L. 190/2012, e quello che dalla stessa ne è derivato[2], non si presta ad essere circoscritto nella sfera del (solo) penalmente rilevante.

Indubbiamente, parlare di fenomeno corruttivo evoca nella mente del giurista – e non solo – il diritto penale e, più in particolare, le diverse ipotesi di corruzione previste dal nostro ordinamento giuridico.

La finalità della disciplina de qua non è tuttavia quella di prevedere e sanzionare nuove fattispecie di reato, quanto, piuttosto, quella di adottare prassi, istituti e, più in generale, misure che anziché operare “a posteriori” rispetto al fatto corruttivo – secondo il tipico paradigma penale/repressivo – permettano di evitare (o quanto meno ridurre la possibilità) che un fatto corruttivo si verifichi all’interno della pubblica amministrazione. Si tratta di un approccio di tipo preventivo/culturale perché volto, per l’appunto, a contrastare a monte l’insorgenza di fenomeni corruttivi e non a sanzionare, a valle, fenomeni corruttivi già verificatesi.

Proprio dalla particolare prospettiva d’azione in cui opera la L. 190/2012 (preventiva e non repressiva) discende, quale inevitabile corollario, la diversa accezione e portata del concetto stesso di corruzione o, come sopra si è detto, del fenomeno corruttivo.

A sottolinearlo è la stessa Autorità nazionale anticorruzione (in seguito per brevità ANAC o Autorità), nella propria deliberazione n. 1064 del 13 novembre 2019[3], recante il Piano Nazionale Anticorruzione 2019 (PNA 2019), attualmente vigente.

L’Autorità, in tale sede, definisce la corruzione come “comportamenti soggettivi impropri di un pubblico funzionario che, al fine di curare un interesse proprio o un interesse particolare di terzi, assuma (o concorra all’adozione di) una decisione pubblica, deviando, in cambio di un vantaggio (economico o meno), dai propri doveri d’ufficio, cioè dalla cura imparziale dell’interesse pubblico affidatogli.”

Si tratta di una definizione che ANAC non ha coniato ex novo ma che, al contrario, ha mutuato e derivato da specifici accordi internazionali finalizzati alla lotta contro la corruzione, quali: la Convenzione delle Nazioni Unite del 31 ottobre 2003 contro la corruzione (c.d. Convenzione di Merida), ratificata dall’Italia con la legge 3 agosto 2009. n. 116 e la Convenzione penale sulla corruzione di Strasburgo del 27 gennaio 1999, ratificata dall’Italia con legge 28 giugno 2012, n.110.

Proprio in tali accordi internazionali vanno ricercate le radici della L. 190/2012.

A suggellare l’esistenza di tale stretta relazione è lo stesso legislatore del 2012 che ha ancorato e giustificato la costituzione di ANAC, e l’affidamento alla stessa, a livello nazionale, di poteri regolatori, di controllo e sanzionatori in materia di contrasto della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, proprio all’attuazione di alcuni specifici obblighi assunti dallo Stato italiano con la sottoscrizione di tali  accordi[4].

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Le materie del contrasto alla corruzione e della trasparenza nelle pubbliche amministrazioni sono state oggetto di numerosi interventi normativi negli ultimi anni: sull’anticorruzione, con la Legge 6 novembre 2012, n. 190, fondata sull’introduzione di strumenti di prevenzione attiva; sulla trasparenza, con il D.lgs. n. 33/2013, che ha previsto gli obblighi di pubblicazione di documenti, dati e informazioni e con il D.lgs. n. 97/2016, che ha introdotto l’istituto dell’accesso generalizzato.Altra significativa innovazione è stata la costituzione progressiva di un’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), autorità indipendente che ha contribuito a produrre nuove regole, anche in via di interpretazione della legislazione vigente.Considerata la forte dispersione della disciplina, per entrambe le materie, in distinti corpi normativi e il concorrere di fonti di rango diverso, questo nuovissimo Codice organizza in modo strutturato i principali atti normativi e si configura come un supporto conoscitivo indispensabile per i RPCT e operatori del diritto sui principali strumenti di contrasto alla corruzione introdotti dall’ordinamento.Il Codice è articolato in 10 parti: 1. Convenzioni internazionali 2. La disciplina in materia di prevenzione della corruzione3. La repressione penale della corruzione4. La disciplina in materia di trasparenza5. La disciplina delle inconferibilità, incompatibilità, ineleggibilità e incandidabilità nel settore pubblico6. La normativa in materia di conflitti di interesse e di codici di comportamento dei dipendenti pubblici7. La disciplina delle segnalazioni di illeciti da parte dei dipendenti pubblici (c.d. “whistleblowers”) 8. La disciplina delle società a partecipazione pubblica e degli altri enti di diritto privato in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione9.Le misure straordinarie di gestione,sostegno e monitoraggio delle imprese10. L’organizzazione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione), ciascuna delle quali preceduta da una brevissima presentazione e contenente norme legislative, norme regolamentari e norme di soft law (prevalentemente nella veste di Linee guida), emanate dall’A.N.A.C.Raffaele Cantone – Presidente dell’Autorità Nazionale AnticorruzioneFrancesco Merloni – Consigliere A.N.AC.Barbara Coccagna – Funzionario A.N.AC.Vittorio Scaffa – Funzionario A.N.AC. 

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La rotazione preventiva (o ordinaria) del personale

Chiarite, nei termini anzidetti, le origini della disciplina generale in materia di anticorruzione nel nostro ordinamento giuridico, è possibile a questo punto entrare nel merito dell’istituto in oggetto analizzandone forme, contenuti e caratteristiche.

In via preliminare occorre precisare che nel nostro ordinamento la rotazione del personale può assumere, come di fatto assume, più di una forma. Esistono, infatti, due diverse tipologie di rotazione del personale, entrambe finalizzate al contrasto della corruzione: la rotazione preventiva (detta anche ordinaria), oggetto del presente lavoro, e quella successiva (detta anche straordinaria)[5].

L’elemento in relazione al quale viene stabilito il carattere preventivo o successivo della rotazione è l’evento corruttivo, sicché, nel primo caso, la rotazione del personale opera prima che detto evento si verifichi, nel secondo caso, invece, la rotazione  interviene successivamente all’evento corruttivo ed è sostanzialmente finalizzata ad evitare la reiterazione dello stesso[6].

La rotazione preventiva (o ordinaria) del personale, da un punto di visto funzionale, si presenta come una misura organizzativa teleologicamente orientata ad impedire (o quanto meno limitare) che i dipendenti della pubblica amministrazione, rivestendo sempre gli stessi ruoli ed esercitando sempre le stesse funzioni/poteri possano, nel tempo, tessere e consolidare rapporti di permanenza dai quali, in via potenziale, possono derivare condotte non adeguate, segnatamente, un esercizio dei pubblici poteri non imparziale e dunque, in ultima analisi, contrario al dettato costituzionale dell’articolo 97 Cost..

La prima questione che tale istituto impone di affrontare è quella relativa alla delimitazione del relativo ambito soggettivo di applicazione.

Sul punto ANAC[7] ha avuto modo di precisare che non è sufficiente domandarsi solo a quali enti/organizzazioni siano applicabili le disposizioni sulla rotazione de qua ma che, contestualmente, è necessario interrogarsi anche in ordine a quali posizioni organizzative – all’interno di tali enti/organizzazioni – dette disposizioni siano riferibili.

Quanto agli enti/organizzazioni, la norma di riferimento appare essere l’articolo 1, comma 59, della L. 190/2012, ai sensi del quale “Le disposizioni di prevenzione della corruzione di cui ai commi da 1 a 57 del presente articolo, di diretta attuazione del  principio di imparzialità di cui all’articolo 97 della Costituzione, sono applicate in tutte le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30  marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni “.

A ben vedere, il problema dell’individuazione degli enti/organizzazioni tenute al rispetto della disciplina della rotazione preventiva del personale è solo una species del più generale problema della individuazione dei soggetti tenuti al rispetto della (generale) disciplina in materia di anticorruzione e, a seguito dell’adozione del decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 (Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), anche della disciplina relativa alla trasparenza[8].

Per la definizione di tali questioni ANAC, nel vigente PNA 2019, ha chiarito che occorre tener conto non solo delle norme di grado primario sopra richiamate – da integrare con le previsioni di cui all’articolo 1, comma 2-bis, della L. 190/2012 e all’articolo 2-bis del decreto legislativo 4 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni) – ma anche delle linee guida dalla stessa dettate nel tempo tra le quali, in particolare, meritano di essere qui ricordate quelle contenute nella deliberazione n. 1310 del 28 dicembre 2016 (Prime linee guida recanti indicazioni sull’attuazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni contenute nel d.lgs. 33/2013 come modificato dal d.lgs. 97/2016) e quelle di cui alla deliberazione n. 1134 dell’8 novembre 2017 (Nuove linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici).

L’economia del presente lavoro non consente un’analisi approfondita di tali linee guida, sul punto ci si limita qui a sintetizzare le conclusioni cui ANAC giunge ritenendo  le disposizioni in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza riferibili:

  • alle pubbliche amministrazioni definite all’art. 1, comma 2, del D.lgs. 165/2001[9];
  • alle Autorità di sistema portuale;
  • alle Autorità amministrative indipendenti;
  • agli ordini professionali;
  • agli enti pubblici economici;
  • alle società in controllo pubblico, anche congiunto;
  • alle associazioni, le fondazioni e gli altri enti di diritto privato che abbiano le caratteristiche precisate all’art. 2-bis, co. 2, del d.lgs. n. 33/2013;
  • alle società a partecipazione pubblica;
  • alle associazioni, le fondazioni e gli altri enti di diritto privato che abbiano le caratteristiche indicate all’art. 2-bis, co. 3, del D.lgs. n. 33/2013.

Tornando alla questione dalla quale siamo partiti, appare ragionevole ritenere che la misura della rotazione preventiva (o ordinaria) del personale non riguardi solo gli enti/organizzazione rientranti nell’elenco di cui all’articolo 1, comma 2, del D.lgs. 165/2001, ma anche, pur con i dovuti adattamenti, enti di diritto privato[10] come ben ha precisato da ANAC nella Parte V (Prevenzione della corruzione e trasparenza negli enti di diritto privato) della deliberazione 1064 del 13 novembre 2019, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti sul punto.

Quanto invece all’individuazione delle posizioni organizzative da sottoporre a rotazione, ancora una volta, il solo dato positivo di legge non risulta sufficiente dovendosi, anche in questo caso, tener conto delle indicazioni di ANAC.

Sul piano normativo le fonti che rilevano sono l’articolo 1, comma 4, lettera e), della L. 190/2012 e il successivo comma 10, lettera b), del medesimo articolo. La prima di tali norme assegna ad ANAC[11] il compito di stabilire i “criteri per assicurare la rotazione dei dirigenti nei settori particolarmente esposti alla corruzione e misure per evitare sovrapposizioni di funzioni e cumuli di incarichi nominativi in capo ai dirigenti pubblici, anche esterni”. L’altra norma assegna invece al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPTC) – individuato ai sensi del comma 7 del medesimo articolo 1 – il compito di provvedere “alla verifica, d’intesa con il dirigente competente, dell’effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attività nel cui ambito è più elevato il rischio che siano commessi reati di corruzione”.

Nonostante il dato positivo appena richiamato faccia espressamente riferimento alla figura dei “dirigenti” e a quella meno circoscritta degli “incarichi negli uffici ”, ANAC si è sempre professata – da ultimo nell’allegato 2 del PNA 2019 (La rotazione “ordinaria” del personale) – a favore di un’interpretazione estensiva, tale per cui, la rotazione preventiva (o ordinaria) deve interessare tutti i dipendenti pubblici (alias tutti i dipendenti degli enti/organizzazioni obbligate a rispettare la misura della rotazione preventiva).

Come ogni misura organizzativa che attiene alla gestione e all’articolazione delle risorse umane, anche la rotazione qui in esame necessita in fase attuativa, pur nel rispetto delle finalità cui la stessa tende, di essere customizzata e, dunque, di tener conto di alcuni limiti che in concreto possono frapporsi alla relativa attuazione.

ANAC, al riguardo, parla[12] espressamente di veri e propri “vincoli” distinguendo tra “vincoli soggettivi” e “vincoli oggettivi”.

I primi, in verità, hanno poco a che vedere con aspetti e peculiarità del soggetto istituzionale obbligato ad attuare la rotazione preventiva. Infatti, con l’espressione “vincoli soggettivi” l’Autorità individua tutti quei particolari status riconosciuti dall’ordinamento ai lavoratori (ad esempio i c.d. “permessi L. 104/1992”) dei quali non si può non tener conto in fase di attuazione di misure rotazione preventiva.

Quanto ai “vincoli oggettivi”, con essi l’Autorità fa complessivamente riferimento a tutte quelle situazioni che impongono la necessità di una correlazione e ponderazione tra esigenze di rotazione del personale e salvaguardia del buon andamento e continuità dell’azione nella pubblica amministrazione.

Per controbilanciare tali vincoli ANAC individua una serie di “contromisure” per facilitare comunque l’attuazione della rotazione, ovvero, laddove essa appaia del tutto irrealizzabile, una serie di “misure alternative” alla rotazione stessa.

La principale contromisura utile a permettere la rotazione del personale è rappresentata dall’attività di formazione del personale che, non a caso, costituisce essa stessa misura di contrasto alla corruzione. Grazie alla formazione, infatti, è possibile non solo educare alla legalità i dipendenti ma, anche, colmare eventuali gap conoscitivi/competenziali che se non affrontati con adeguata programmazione e gradualità, operano come ostacoli insormontabili ad ogni forma di rotazione del personale[13].

Laddove la rotazione preventiva (o ordinaria) risulti comunque non attuabile[14] i soggetti tenuti all’applicazione della disciplina anticorruzione hanno l’obbligo di motivare, nel proprio Piano triennale per la prevenzione della corruzione e della trasparenza (PTPCT), le ragioni dell’impossibilità di adottare misure di rotazione, nonché, quello di prevedere le cd “misure alternative” alla rotazione.

In ordine a tale specifico aspetto l’Allegato 2 del vigente PNA 2019, a titolo esemplificativo, contiene un’elencazione di tali misure:

  • rafforzamento delle misure di trasparenza – anche prevedendo la pubblicazione di dati ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria – in relazione al processo rispetto al quale non è stata disposta la rotazione;
  • previsione di modalità operative di svolgimento delle funzioni che favoriscano una maggiore compartecipazione del personale alle attività dell’ufficio di appartenenza;
  • nelle aree di attività identificate come più a rischio e per le istruttorie più delicate, preferenza per meccanismi di condivisione delle fasi procedimentali;
  • attuazione di un’articolazione dei compiti e delle competenze utile ad evitare che, l’attribuzione di più mansioni e più responsabilità in capo ad un unico soggetto, possa esporre l’amministrazione a rischi di errori o comportamenti scorretti;
  • programmazione, all’interno di un determinato ufficio/struttura, di una rotazione “funzionale”, mediante la modifica periodica di compiti e responsabilità, anche con una diversa ripartizione delle pratiche secondo un criterio di causalità;
  • previsione della “doppia sottoscrizione” degli atti (soggetto istruttore e il titolare del potere di adozione dell’atto finale) a garanzia della correttezza e legittimità degli stessi;
  • collaborazione tra diversi ambiti con riferimento ad atti ad elevato rischio (ad esempio, lavoro in team che peraltro può favorire nel tempo anche una rotazione degli incarichi e, soprattutto, la condivisione e la circolazione delle competenze).

Ovviamente nulla vieta che, all’interno di un determinato PTPCT, possano essere previste anche combinazioni plurime di tali misure.

Conclusioni

Come indicato in premessa, la rotazione preventiva (o ordinaria) del personale rappresenta solo una delle misure che la L. 190/2012 e, più in generale, il nostro ordinamento giuridico, ha previsto per combattere e contrastare il fenomeno della corruzione nella pubblica amministrazione e negli enti di diritto privato che dalla stessa sono controllati o partecipati.

Essa non esaurisce, quindi, il quadro di tali misure piuttosto concorre con le altre a realizzare detta azione di contrasto. Ognuna di esse è chiamata a fare la propria parte nella consapevolezza che la complessità del fenomeno corruttivo richiede la definizione di una strategia altrettanto complessa.

Rinviando a successivo lavoro l’analisi dei contenuti dell’altra forma di rotazione del personale (rotazione successiva o straordinaria) preme, a chiusura del presente e breve contributo, sottolineare che l’obiettivo del contrasto della corruzione nella pubblica amministrazione – secondo anche lo spirito degli accordi internazionali dai quali è derivata la L. 190/2012 – deve essere percepito come un obiettivo primario per tutte le pubbliche amministrazioni, e non solo.

Affinché ciò avvenga è necessario che tutti gli attori coinvolti assumano il giusto approccio “culturale” considerando i vari adempimenti richiesti non fini a se stessi o, peggio ancora, semplicemente “nuove carte” da predisporre, piuttosto, come una vera e propria occasione per contribuire fattivamente ad un profondo processo di riforma della pubblica amministrazioni e, più in generale, ad una nuova visione del rapporto tra amministrazione e amministrati.

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Note:

[1]Pressoché sterminata sarebbe qualsiasi elencazione dei provvedimenti normativi adottati sull’onda di eventi tragici nel nostro Paese. Molte volte tali atti hanno assunto contenuti quasi di “amministrazione attiva”, come se fossero dei veri e propri provvedimenti amministrativi (alimentando in questo modo la discussa categoria delle “leggi provvedimenti”) altre volte, invece, sono stati il preludio, l’atto iniziale, di vere e proprie innovazioni, in primis culturali, oltre che evidentemente giuridiche trattandosi per l’appunto di norme.
È stato questo – tanto per citare un esempio dotato di una particolare forza innovatrice – il caso della legge 14 gennaio 1994, n 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti).
Tale legge nacque (anche) sull’onda e, dunque, quale reazione, ai numerosi e gravi episodi di tangenti oggetto di altrettante inchieste giudiziarie (la più famosa delle quali fu senza dubbio quella di “Mani pulite”), che segnarono irrimediabilmente ogni aspetto della vita pubblica del nostro Paese a tal punto dall’essere state assunte a spartiacque per il passaggio dalla “prima Repubblica” alla “seconda Repubblica”.
Con tale legge si ridisegna l’architettura generale della disciplina dei controlli nella pubblica amministrazione il cui architrave è chiaramente rappresentato dalla Corte dei Conti. Con essa, per quanto qui interessa, si avvia un profondo e complesso processo di revisione del ruolo e delle funzioni dei controlli nella pubblica amministrazione, non solo quelli esterni incentrati appunto sulla Corte dei Conti, ma anche e, per certi versi, soprattutto, interni. Tale processo, che per molti aspetti non può ancora dirsi esaurito, raggiungerà una prima maturazione tra la fine del ‘900 (con l’adozione della D.Lgs. 286/1999, adottata in attuazione dell’articolo 11 della L. 59/1997, cd. “prima legge Bassanini”) e i primi anni 2000 (revisione del Titolo quinto della Costituzione e, in particolare, con l’abrogazione del primo comma dell’articolo 125 e dell’intero articolo 130, in materia di controlli di legittimità preventivi sugli atti di Regioni, Province e Comuni e degli altri enti locali) alla quale seguirà una seconda tappa evolutiva in occasione della crisi economico-finanziaria del 2008 e della conseguente crisi dei debiti sovrani (D.Lgs. 174/2012 che segnò un rafforzamento dei controlli finanziari della Corte di Conti).

[2] Il riferimento è in particolare a:

  • Decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190) (in G.U. 04/01/2013, n.3);
  • Decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni) (in G.U. 05/04/2013, n.80);
  • Decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 (Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190) (in G.U. 19/04/2013, n.92).

[3] Pagina 11 di tale provvedimento.

[4] Il riferimento è all’attuazione delle previsioni contenute all’articolo 6 della Convenzione di Merida e agli articoli 20 e 21 della Convenzione penale sulla Convenzione di Strasburgo.

[5] Della quale ci si limiterà qui solo a qualche cenno.

[6] In questo senso si può osservare che, anche la rotazione successiva (o straordinaria) del personale nella pubblica amministrazione, partecipa della funzione di prevenzione di fenomeni corruttivi.

[7] Allegato n. 2 del PNA 2019.

[8] A tale decreto legislativo si deve, tra le altre cose, il merito di aver “positivizzato” la stretta relazione che esiste tra la disciplina relativa alla lotta e al contrasto della corruzione e quella relativa alla trasparenza (per un quadro generale della recente evoluzione del principio generale della trasparenza dell’attività amministrativa, sia consentito rinviare a mio precedente articolo “Trasparenza: l’evoluzione continua di un principio generale dell’attività amministrativa già pubblicato su questa rivista e reperibile al link: https://www.diritto.it/trasparenza-levoluzione-continua-di-un-principio-generale-dellattivita-amministrativa/ ).
In particolare i contenuti dell’originario “Programma triennale per la trasparenza e l’integrità”, previsto dall’articolo 10 del D.lgs. 33/2013, con le modifiche a tale articolo apportate dal D.lgs. 97/2016, divengono un’apposita sezione del Piano triennale per la prevenzione della corruzione di cui all’articolo 1, comma 5, del L. 190/2012, che, pertanto, diverrà in seguito Piano triennale per la prevenzione della corruzione e della trasparenza (PTPCT).

[9] L’articolo 1, comma 2, del D.lgs. 165/2001, recita: “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro  consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di  commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI

[10]  Espressione onnicomprensiva all’interno della quale vanno tenute distinte due diverse fattispecie: società a controllo pubblico e altri enti di diritto privato ad esse assimilati, ai sensi dell’art. 2-bis, co. 2, del d.lgs. 33/2013 e società partecipate (non in controllo pubblico) ed enti di diritto privato di cui all’art. 2-bis, co. 3, del d.lgs. 33/2013.

[11]  Formalmente la norma richiamata assegna tale compito al Dipartimento della funzione pubblica (c/o la Presidenza del Consiglio).
Il decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ha disposto (con l’art. 19, comma 15) che “Le funzioni del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri in materia di trasparenza e prevenzione della corruzione di cui all’articolo 1 , commi 4, 5 e 8, della legge 6 novembre 2012 n. 190, e le funzioni di cui all’articolo 48 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, sono trasferite all’Autorità nazionale anticorruzione

[12]  Allegato 2 PNA 2019.

[13]  Poiché il processo di acquisizione delle competenze è un processo lungo, la formazione deve essere concepita non in modo asettico ma declinata in una logica di programmazione e di gradualità. “Programmazione” e “gradualità”, in questo senso, possono essere anch’esse considerate, al pari della formazione, altre importanti “contromisure” utili al superato dei vincoli all’attuazione di una efficiente ed efficace politica di rotazione del personale.

[14]  Eventualità questa particolarmente ricorrente nelle organizzazioni di piccole dimensioni.

Dott. Franco Scaramella

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