Massima.
In tema di condominio negli edifici, per la legittimità dell’innovazione, ai sensi dell’art. 1120, secondo comma, c.c., è irrilevante che l’autorità amministrativa abbia autorizzato l’opera, in quanto il rapporto tra la pubblica autorità e il condomino esecutore dell’opera non può incidere negativamente sulle posizioni soggettive degli altri condomini.
Il caso.
I Sig.ri R. ed A. vengono condannati in primo grado alla rimozione delle apparecchiature per il funzionamento del condizionatore oltre che all’integrale ripristino dello stato dei luoghi. Tali apparecchiature furono installate sulla facciata comune dello stabile anziché su quella che delimita la singola unità immobiliare. In buona sostanza furono collocate in modo da risultare quasi “aggrappate” alla gronda così da rompere la soluzione di continuità, risultando perciò danneggiato il decoro architettonico.
Per la sanatoria della suddetta opera il Comune emanò apposito provvedimento amministrativo il quale, però, fu ritenuto irrilevante dalla Corte di merito in quanto non influisce nella valutazione della legittimità dell’opera medesima ai sensi dell’art. 1120 c.c..
La Corte d’Appello respinse il gravame.
Il giudizio in Cassazione.
Il giudice di legittimità conferma l’anzidetto principio della irrilevanza del provvedimento amministrativo, statuendo così in modo conforme alle precedenti decisioni delle SS. UU. n. 2552 / 1975, ed alla Cass. n. 1936/1977.
La Corte di cassazione non decide sul primo motivo di ricorso, ma soltanto sul secondo con il quale viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 1120 cc.. Questo perché la sentenza impugnata è sorretta da una duplicità di ratio, in quanto, per un verso, viene contestato l’uso arbitrario della cosa comune – per la precisione la parte più alta della facciata in luogo di quella appartenente alla singola unità immobiliare – configurando così violazione dell’art. 1102 c.c.. Per altro verso, si contesta il pregiudizio all’estetica dell’edificio causato dall’installazione dei suddetti macchinari (quasi “aggrappati” alla gronda). Sulla base di ciò la censura relativa al primo motivo viene dichiarata “inammissibile per carenza di interesse”. Infatti, precisa la Corte, anche un’eventuale insussistenza della motivazione inerente all’uso vietato della cosa comune ai sensi dell’art. 1102 c.c., non comporterebbe comunque la caducazione della sentenza, proprio perchè sorretta dall’altra ratio relativa al pregiudizio al decoro architettonico che viene tutelato dall’ultimo comma dell’art. 1120 c.c., dal momento che vieta quelle innovazioni che possano alterarlo.
In un’altra occasione il giudice di legittimità ha statuito che per la tutela del decoro architettonico della proprietà comune può agire in giudizio ciascun partecipante al condominio, senza la necessaria presenza né di tutti i partecipanti né del condominio (Cass.: n. 14474/2011). Inoltre la giurisprudenza precisa che il danno al decoro architettonico deve essere realmente causato dalla realizzazione dell’opera, nel senso che non si può attribuire a quest’ultima la causa del danno se prima dell’esecuzione dell’opera stessa l’estetica era già rovinata. A tal fine si esegue un raffronto tra lo stato in cui si trovava prima e quello dopo la esecuzione dell’opera modificatrice (Cass.: n. 3549/1982). Conforme a tale orientamento si segnala Cass.: n. 21835/2007 la quale, per la precisione, applica il medesimo principio anche all’opera abusivamente compiuta da uno dei condomini.
L’art. 1120 c.c. non definisce il “decoro architettonico”. A tale scopo soccorre la giurisprudenza la quale, nello stabilire quando si sia verificato un danno al decoro stesso, adotta sostanzialmente due criteri: uno sottolinea soprattutto l’aspetto estetico, l’altro quello economico.
Con riferimento al primo criterio la giurisprudenza stabilisce che il decoro architettonico è “l’estetica del fabbricato data dall’insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli imprimono una determinata armonica fisionomia ed una specifica identità” (Cass. n. 851/2007).
Nello stesso senso Cass.: 17398/2004 e 8830/2008 le quali hanno precisato che il decoro architettonico è un “bene comune” la cui tutela non dipende dalla “validità estetica assoluta delle modifiche che si intendono apportare”. In particolare la prima delle due decisioni sopra richiamate ha altresì precisato che si deve ritenere non consentita quella modifica che alteri sensibilmente la fisionomia, indipendentemente dal fatto che il risultato dell’opera possa risultare gradevole.
Con sentenza del 15 gennaio 1986, n. 175, la Corte di cassazione ha deciso che per la configurazione in concreto dell’alterazione al decoro architettonico non è necessaria una modifica generale, essendo invece sufficiente anche la sola modifica di “singoli elementi o di singole parti dell’edificio” che possono considerarsi dotati di una certa autonomia (Cass.: 175/1986).
Sotto il profilo economico la tutela naturalmente si collega alla diminuzione di valore dell’edificio. Precisamente la Corte ha deciso che il decoro architettonico è suscettibile di valutazione economica in quanto contribuisce a determinare sia il valore delle parti di proprietà individuale che di quelle comuni (Cass.: 6640/1987).
Dunque, la conseguenza del pregiudizio al decoro architettonico è la diminuzione di valore dell’intero edificio. Pertanto, l’accertamento del giudice volto a stabilire se il decoro architettonico sia stato effettivamente pregiudicato, dovrà consistere nella valutazione non soltanto dell’esistenza in concreto di un pregiudizio al decoro architettonico stesso, ma anche se tale pregiudizio abbia causato una diminuzione di valore dell’edificio nel suo complesso, avuto riguardo, conformemente alla decisione della Corte sopra citata, che la diminuzione di valore colpisce l’intero stabile cioè sia le proprietà individuali che quelle collettive. Infatti, ci possono ben essere casi in cui, o la modifica dell’estetica del fabbricato non ha anche prodotto un pregiudizio valutabile economicamente, oppure, pur cagionandolo, si è parimenti prodotta una utilità tale da compensare il deprezzamento dello stabile (Cass.: 4474/1987).
Alla definizione del concetto di decoro architettonico può contribuire anche una norma del regolamento condominiale, in special modo quando stabilisce un divieto alle “innovazioni che modifichino l’architettura, l’estetica o la simmetria del fabbricato” (Cass.: 8861/1987).
Infine, può essere utile precisare che lo stabilire in concreto quando si sia effettivamente verificata l’alterazione al decoro architettonico, è un’indagine “demandata al giudice di merito il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se congruamente motivato” (Cass.: 8731/1998; 10513/1993; 6496/1995; 8389/1995).
In conclusione, la Corte rigetta il ricorso ed obbliga in solido i ricorrenti al pagamento delle spese.
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