La sanzione pecuniaria prevista dal comma 4-bis dell’art. 31 del d.p.r. n. 380 del 2001: orientamenti giurisprudenziali

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Nell’ambito dell’articolato procedimento sanzionatorio dettato dall’art. 31 del T.U. dell’Edilizia (D.P.R. n. 380 del 2001) in presenza di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, la più recente delle sanzioni introdotte dal legislatore alla fine del 2014 con la legge 11/11/2014, n. 164 (entrata in vigore il successivo 12 novembre) è la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dai commi 4-bis, 4-ter e 4-quater dello stesso art. 31, i quali così testualmente stabiliscono:

«4-bis. L’autorità competente, constatata l’inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l’applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti. La sanzione, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell’articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima. La mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità penali, costituisce elemento di valutazione della performance individuale nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.

«4-ter. I proventi delle sanzioni di cui al comma 4-bis spettano al comune e sono destinati esclusivamente alla demolizione e rimessione in pristino delle opere abusive e all’acquisizione e attrezzatura di aree destinate a verde pubblico.

«4-quater. Ferme restando le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, le regioni a statuto ordinario possono aumentare l’importo delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal comma 4-bis e stabilire che siano periodicamente reiterabili qualora permanga l’inottemperanza all’ordine di demolizione».

Trattasi di una sanzione pecuniaria che, come affermato in giurisprudenza (fra molte, T.a.r. Campania, Napoli, sez. VI, 13/7/2017, n. 3763), si aggiunge, non sostituendola, alla sanzione dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale prevista dal precedente comma 3 dello stesso art. 31 in parola. Il carattere sanzionatorio di detta acquisizione è assolutamente pacifico, essendo costantemente affermato in giurisprudenza che «la misura della avocazione alla mano pubblica del manufatto oggetto di intervento abusivo non rappresenta una reazione diretta dell’ordinamento contro l’abusivismo edilizio quanto piuttosto una sanzione conseguente all’inottemperanza dell’ordine demolitorio, in funzione di una maggiore efficacia del sistema sanzionatorio con effetti deterrenti sull’inerzia nell’esecuzione degli ordini di ripristino (ordini che costituiscono il necessario strumento per ristabilire l’ordinato sviluppo del territorio pregiudicato dagli interventi abusivi)» (in termini, ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 20/10/2016, n. 4400).

La Corte Costituzionale ancora con la recente pronuncia n. 140 del 5/7/2018 (con la quale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 2, comma 2, della L. Reg. Campania n. 19/2017) ha ribadito che l’acquisizione de qua costituisce una sanzione in senso stretto, distinta ed autonoma rispetto alla demolizione, che rappresenta la reazione dell’ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi, dapprima esegue un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla (con ciò rifacendosi espressamente alle proprie precedenti sentenze nn. 345/1991 e 427/1995 e ordinanza n. 82/1991). Con la stessa citata pronuncia del 2018 la Consulta ha anche fatto un cenno alla novella di cui al comma 4-bis dell’art. 31, affermando che «L’inottemperanza all’ordine di demolizione è presidiata anche dalla sanzione pecuniaria prevista dal comma 4-bis dell’art. 31 D.P.R. n. 380 del 2001», confermando appunto che tale sanzione pecuniaria si aggiunge a quella ablativa in caso di inottemperanza all’ingiunzione demolitoria.

Le sanzioni in discorso hanno, comunque, natura diversa, l’una (l’acquisizione, al pari della demolizione) avente carattere reale (fra molte, Cons. Stato, sez. VI, 20/10/2016, n. 4400; T.a.r. Campania, Napoli, sez. IV, 11/9/2017, n. 4346), l’altra (quella pecuniaria) avente carattere personale (T.a.r. Campania, Napoli, sez. III, 28/8/2017, n. 4146). Tant’è vero che quest’ultima ha per destinatario solo il responsabile dell’abuso.

Al riguardo si richiama Cons. Stato, sez. VI, 10/7/2017, n. 3391 che, nel puntualizzare che – a differenza del 2° comma dell’art. 31 (che menziona il proprietario ed il responsabile dell’abuso quali destinatari dell’ingiunzione demolitoria) – il comma 4-bis non indica espressamente i destinatari della sanzione pecuniaria ivi prevista, afferma che comunque «la lettura del comma 4 ter dell’articolo 31 (“I proventi delle sanzioni di cui al comma 4 bis spettano al comune e sono destinati esclusivamente alla demolizione ed alla rimessione in pristino delle opere abusive e all’acquisizione e attrezzatura di aree destinate a verde pubblico”) in combinato disposto con il comma 3 (“se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi…”) ed il comma 5 (“L’opera acquisita è demolita con ordinanza …a spese dei responsabili dell’abuso…”) consentono di ritenere, in via interpretativa che destinatario della sanzione pecuniaria sia il “responsabile” dell’abuso e non anche il proprietario». Quanto a quest’ultimo la sua responsabilità in proposito può, invero, sorgere solo nel caso in cui egli sia appunto responsabile dell’abuso ovvero quando, avendo la disponibilità ed il possesso del bene o avendoli successivamente acquisiti, non abbia provveduto alla demolizione.

La sanzione pecuniaria di cui trattasi non può, pertanto, trovare applicazione nei confronti del proprietario non responsabile dell’abuso e che non abbia il possesso del bene per poter procedere alla demolizione. Giova, peraltro, ricordare che soggetti “responsabili” degli abusi, anche alla luce dell’art. 29 del T.U.E., vanno individuati «neltitolare del titolo abilitativo, nel committente e nel costruttore», nonché nel “direttore dei lavori”» (in termini, Cons. Stato n. 3391/2017, cit.), oltre che nello stesso proprietario tutte le volte in cui egli risulti connivente o autore materiale degli stessi abusi.

A ben vedere, sulla sanzione pecuniaria prevista dal citato comma 4-bis dell’art. 31 i Giudici amministrativi sono stati già ripetutamente chiamati ad esprimersi, enunciando principi che qui meritano di essere richiamati, senza alcuna pretesa di esaustività.

Va premesso che i provvedimenti sanzionatori di cui al ridetto comma 4-bis sono autonomamente impugnabili per vizi propri degli stessi e non certo per recuperare l’eventuale omissione dell’impugnazione della precedente ordinanza di demolizione (nel senso che al Giudice dell’impugnazione della sanzione pecuniaria non è devolvibile l’esame di ipotetici vizi della pregressa ordinanza demolitoria), pur dovendosi precisare che l’eventuale annullamento, in sede giurisdizionale o di autotutela, dell’ordinanza di demolizione tempestivamente impugnata comporta l’annullamento anche dell’ordinanza sanzionatoria pecuniaria irrogata per inottemperanza alla prima, trattandosi di provvedimento derivato (fra molte, T.a.r. Campania, Napoli, sez. VII, 11/1/2017, n. 280).

Natura della sanzione pecuniaria

Quanto alla natura punitiva/afflittiva (con funzione di punizione del trasgressore) o ripristinatoria (con finalità di ripristino dell’ordine urbanistico violato) da riconoscersi alla sanzione in parola, riconoscimento da cui discendono, come vedremo, varie implicazioni anche di ordine pratico oltre che strettamente giuridico, la questione rientra, tra l’altro, nell’atavico dibattito della riconducibilità o meno di tutte le sanzioni pecuniarie in materia edilizia alla disciplina di cui alla L. n. 689/1981, dibattito mai sopito e che si riflette inevitabilmente pure sulla non univocità di statuizioni che fino ad oggi si registrano sui vari particolari profili concernenti i provvedimenti sanzionatori ex art. 31, comma 4-bis, T.U.E..

Da un lato, la natura ripristinatoria della sanzione in esame è stata propugnata da T.a.r. Piemonte, sez. II, con la sentenza n. 336 del 20/3/2018 sulla base della seguente argomentazione: «La sanzione in questione è stata introdotta in sede di conversione del Decreto “Sblocca Italia” (D.L. 133/2014, convertito con modificazioni dalla L. 164/2014), allo scopo di tenere economicamente indenne l’Amministrazione comunale dalle spese di ripristino conseguenti alle ordinanze di demolizione non eseguite. La richiamata sanzione ha quindi lo scopo di fornire all’Amministrazione la provvista per procedere al ripristino, senza necessità di anticipare le relative somme, per poi rivalersi sul responsabile dell’abuso, semmai inutilmente nel caso di insolvenza dello stesso”; la sanzione pecuniaria ha lo scopo di tenere indenne l’amministrazione comunale dall’impegno economico derivante dall’abbattimento delle opere abusive. Non a caso, infatti, il comma 4-ter del menzionato art. 31 introduce un chiaro vincolo di destinazione stabilendo che: “I proventi delle sanzioni di cui al comma 4-bis spettano al comune e sono destinati esclusivamente alla demolizione e rimessione in pristino delle opere abusive e all’acquisizione e attrezzatura di aree destinate a verde pubblico». Partendo da tale premessa, gli stessi Giudici torinesi hanno, quindi, escluso in specie l’applicazione dell’art. 16 L. 689/1981, non ammettendo la possibilità che la sanzione in parola, per la sua natura appunto ripristinatoria, possa essere assoggetta a riduzione, «perché ciò vanificherebbe la finalità prevista dal legislatore».

Allineata a tale orientamento risulta essere anche la pronuncia n. 647 del 27/3/2018 del T.a.r. Sicilia di Catania, sez. I, ove si afferma, con specifico riguardo alla sanzione ex art. 31 comma 4-bis, T.U.E., che la disciplina degli abusi edilizi ha «carattere speciale e non risulta omologabile al sistema sanzionatorio previsto, per la generalità delle violazioni amministrative, dalla Legge n. 689/81. A precludere ulteriormente l’applicazione della disciplina di cui alla Legge n. 689/81 concorre, inoltre, la finalità propriamente ripristinatoria e non afflittiva delle sanzioni conseguenti alla perpetrazione di illeciti in materia edilizia. E cioè l’avere la pena irrogata il precipuo scopo di reintegrare, seppure per equivalente, l’ordine urbanistico violato, essendo viceversa ad essa estranea ogni finalità retributiva a fronte del comportamento illecito».

A ben vedere tale orientamento riecheggia quello formatosi in tema di sanzioni pecuniarie adottate ai sensi del 2° comma dell’art. 34 del T.U.E., con riguardo anche alle quali è stata affermata la loro «natura riparatoria – ripristinatoria correlate all’abusivismo edilizio, come tali prive del carattere esclusivamente punitivo proprio dei procedimenti sanzionatori considerati dalla L. 689/1981:  Cons. di Stato, sez. II, 13 novembre 1996, n. 1026 secondo cui: “la sanzione pecuniaria per abuso edilizio non è retributiva di un comportamento illecito, bensì ripristinatoria dell’ordine urbanistico violato, seppure per equivalente”)» (così, T.a.r. Lombardia, sez. II, 14/6/2012, n. 1656).

Dall’altro lato, va però considerato che, laddove viene affermato (T.a.r. Campania, Napoli, n. 4146/2017, cit.; cfr. anche T.a.r. Puglia, Lecce, sez. III, 12/7/2016, n. 1105) che ciò che viene sanzionato dal comma 4-bis dell’art. 31 «non è la realizzazione dell’abuso edilizio in sé», bensì unicamente la mancata spontanea ottemperanza all’ordine di demolizione, che viene qualificata come una «condotta omissiva» (v. anche T.a.r. Campania, Salerno, sez. I, 10/7/2018, n. 1057; 6/7/2018, n. 1045), logico corollario di tale assunto, per il quale la sanzione in parola altro non è che una sanzione punitiva o afflittiva per comportamento omissivo, sarebbe il riconoscimento – rispetto alla stessa- della possibilità di applicazione dello schema procedimentale di cui alla L. 689/1981 (in termini,  Cons. Stato, sez. VI, 20/10/2016, n. 4400), schema che al contrario non trova mai applicazione per le misure ripristinatorie e riparatorie reali, nel cui alveo viene invece pacificamente iscritta la diversa sanzione dell’acquisizione gratuita.

Peraltro, per completezza va rimarcato che anche in ordine alla diversa sanzione di cui al prefato art. 34 T.U.E. si è, comunque, formato un orientamento, divergente rispetto a quello innanzi richiamato, secondo cui tale sanzione pecuniaria costituisce una misura alternativa e afflittiva all’ordine di demolizione e non ha «natura ripristinatoria, poiché non tende alla eliminazione della situazione antigiuridica e al ripristino dello “status quo ante”, bensì alla riparazione dell’abuso (in via alternativa al ripristino) mediante il pagamento di una somma di denaro (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27.3.2012 n. 1793; Sez. V, 5.9.2011 n. 4982; Sez. V, 1.2.1995 n. 151)» (così, T.a.r. Marche, sez. I, 21/2/2013, n. 142).

E’ evidente che dal riconoscimento o dall’esclusione dell’applicabilità della L. n. 689/1981 alla sanzione pecuniaria di cui al ridetto comma 4-bis discendono vari corollari quali, oltre la valenza o meno per la stessa del principio di legalità dettato dall’art. 1 della citata L. n. 689/1981, la soluzione di plurime questioni sottese alla stessa ratio di tale sanzione, quali l’individuazione del soggetto destinatario, l’ammissibilità della sua prescrizione con fissazione del relativo dies a quo, l’ammissibilità di un pagamento in misura ridotta, la giurisdizione compente a conoscere delle relative impugnative e così via, profili che nello specifico si approfondiscono come segue.

Retroattività o irretroattività

Va anzitutto osservato che in materia è principio consolidato quello secondo cui il comportamento sanzionato con il disposto del comma 4-bis è «il medesimo cui fa riferimento il precedente comma 3, relativo ai presupposti per l’acquisizione al patrimonio comunale, ovvero la mancata ottemperanza all’ingiunzione di demolizione nel termine di 90 giorni dalla sua notifica, previo accertamento della relativa inottemperanza e non l’esecuzione delle opere abusive, per cui alcuna rilevanza assume la data della realizzazione delle medesime e finanche la data dell’adozione dell’ordinanza di demolizione, conseguendo la sanzione pecuniaria di cui è causa ipso iure alla mancata ottemperanza all’ingiunzione di demolizione nel termine legale di 90 giorni» (in termini, T.a.r. Campania, Salerno, sez. II, 12/3/2018, n. 380; T.a.r. Campania, Napoli, sez. VII, 14/2/2017, n. 897).

Sulla base di tale assunto i Giudici amministrativi risolvono la questione circa la retroattività o l’irretroattività della sanzione pecuniaria in parola con riguardo alle ordinanze di demolizione adottate prima dell’entrata in vigore della citata legge n. 164/2014 che, come detto, ha introdotto i commi 4 bis, ter e quater dell’art. 31 del T.U.E..

In particolare, viene in via generale affermato che «anche nella materia de qua devono ritenersi applicabili i principi generali di legalità e di irretroattività previsti per le sanzioni amministrative. Come evidenziato dalla giurisprudenza “In materia di sanzioni amministrative trova applicazione il principio di stretta legalità ribadito all’ art. 1, comma secondo, della legge n. 698/1981, in base al quale “le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati”. La disposizione pone una riserva di legge analoga a quella di cui all’art. 25 cost. Le fattispecie soggette a sanzione pecuniaria si caratterizzano per tipicità e determinatezza. Resta in particolare esclusa ogni integrazione analogica della norma sanzionatrice per estenderne l’applicazione a ipotesi in essa non contemplate” (Cons. Stato Sez. VI, 28-06-2010, n. 4141- conferma della sentenza del T.a.r. Lazio – Roma, sez. III, n. 3749/2006)» (in termini, T.a.r. Campania, Napoli, sez. VI, 17/1/2019, n. 238; T.a.r. Napoli n. 897/2017, cit.).

La norma in questione è, quindi, comunemente interpretata nel modo seguente: «In base ad un’interpretazione rispettosa del principio di legalità e di irretroattività delle sanzioni amministrative (ex art. 1 l. 689/1981), oltre che del principio di colpevolezza delle medesime ex art. 3 della medesima legge (che deve coprire l’intera fattispecie sanzionata, ovvero nell’ipotesi di specie la mancata ottemperanza nel termine di 90 gg. all’ingiunzione di demolizione), il disposto de quo è applicabile anche in riferimento alle ingiunzioni di demolizione notificate in data antecedente l’entrata in vigore della legge L. 11 novembre 2014, n. 164, che, in sede di conversione del D.L. 12 settembre 2014, n. 133 ha aggiunto i commi 4 bis e ss. nel corpo dell’art. 31 D.P.R. 380/01, purché l’inottemperanza all’ingiunzione medesima, posta a base della sanzione, sia accertata decorso il termine di 90 gg. a decorrere dall’entrata in vigore della medesima L. 11 novembre 2014 (ovvero a decorrere dal 12 novembre 2014)» (così, fra molte, T.a.r. Campania, Napoli, sez. VI, n. 238/2019, cit.; 8/11/2018, n. 6524; T.a.r. Campania, Salerno, sez. II, 15/6/2018, n. 955; T.a.r. Campania, Salerno, n. 380/2018; T.a.r. Campania, Napoli, sez. VI, 3/5/2017, n. 2387; T.a.r. Campania, Napoli n. 897/2017, cit.).

Tale principio viene corroborato sulla base del rilievo che, allorquando una norma sopravvenuta introduce un termine perentorio per l’adempimento di determinati obblighi, pena l’applicazione di determinate sanzioni (come nella specie), ovvero per l’esercizio di determinate potestà pubblicistiche (pena la decadenza dell’esercizio delle medesime), ai fini dell’applicazione della norma sopravvenuta nel rispetto del principio di irretroattività della legge, occorre che il destinatario dell’obbligo o il soggetto chiamato ad esercitare la potestà possa godere, a far data dall’entrata in vigore della novella normativa, dell’intero termine previsto dalla medesima (illuminante al riguardo risulta essere la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 250/2017, secondo la quale, per l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti adottati anteriormente all’attuale versione dell’art. 21-nonies L. n. 241/1990, il termine dei diciotto mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione e salva, comunque, l’operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione di detto art. 21-nonies).

Va, tuttavia, segnalata l’ordinanza cautelare n. 178 del 19/1/2018 della VI sezione del Consiglio di Stato (tra le pochissime rese in materia dai Giudici amministrativi di secondo grado) che ha sospeso l’esecutività della sentenza n. 2387/2017 della VI sezione del T.A.R. Campania di Napoli «tenuto conto sia della circostanza che, per il noto principio della irretroattività, non può imporsi il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria laddove la disposizione legislativa che ha introdotto la previsione punitiva sia entrata in vigore in epoca successiva rispetto al momento in cui si è maturata la trasgressione (nella specie la sanzione è stata imposta facendo riferimento all’art. 31, comma 4-bis, D.P.R. 380/2001, disposizione introdotta con il d.l. 133/2014, convertito in l. 164/2014, per la violazione dell’ordinanza ingiuntiva n. 4 emessa dal Comune di Barano d’Ischia il 16 gennaio 2012), sia della incerta completezza del quadro istruttorio relativo al giudizio di primo grado», con ciò apparentemente sconfessando i surrichiamati principi giurisprudenziali enunciati peraltro dal T.A.R. partenopeo anche con la predetta sentenza di cui il Consiglio di Stato ha sospeso l’esecutività. Ad oggi non risulta che l’appello sia stato deciso nel merito e sarà, quindi, interessante leggere le definitive statuizioni sul punto da parte del Consiglio di Stato.

Sta di fatto che pure successivamente a tale ordinanza dei Giudici di Palazzo Spada i TT.AA.RR., anche con le sentenze innanzi menzionate e pure in sede cautelare, hanno continuato a sostenere quei principi a prima vista disattesi dalla citata ordinanza del 2018 del Consiglio di Stato (cfr., da ultimo, T.a.r. Campania, Napoli, ord. 23/1/2019, n. 109, che valorizzando il carattere permanente dell’illecito de quo, ha affermato che «la sanzione applicata, nella misura imposta alla legge per gli abusi realizzati in zone assoggettate a vincolo, risulta conseguenziale ad un comportamento illecito di carattere permanente, consistente nella inottemperanza all’originaria ingiunzione di demolizione, che si è protratta per lungo tempo anche successivamente all’introduzione della sanzione pecuniaria in questione, per cui sembra da escludere un’applicazione retroattiva della legge n. 164 del 2014»).

Non sono, comunque, mancate nel recente passato pronunce di diverso avviso per le quali l’applicazione del principio d’irretroattività delle sanzioni amministrative pecuniarie comporta l’impossibilità, per un Comune, d’irrogare la sanzione pecuniaria de qua al destinatario di un’ordinanza di demolizione, emanata e notificata prima dell’entrata in vigore della legge n. 164/2014, che detta sanzione ha introdotto -con carattere di novità- nell’ordinamento, non essendo «al momento dell’accertamento dell’inottemperanza alla demolizione che occorre guardare, per verificare il rispetto del principio dell’irretroattività della sanzione amministrativa pecuniaria in oggetto, quanto, piuttosto, direttamente al momento dell’emissione e della notifica, al destinatario, dell’ordinanza in cui, venendo disposto il ripristino dello stato dei luoghi, si produce la lesione del suo interesse legittimo oppositivo (in giurisprudenza: “Per determinare tipo ed entità della sanzione urbanistica rileva il regime normativo esistente alla data di adozione della misura ripristinatoria” – T. A. R. Liguria, Sez. I, 12/03/2009, n. 306)» (in termini, T.a.r. Campania, Salerno, sez. I, 20/4/2016, n. 1042).

L’incostituzionalità

Taluni hanno tentato di sollevare la questione di incostituzionalità del comma 4-bis dell’art. 31 del T.U.E. per essere state con esso introdotte nuove sanzioni, aggiuntive rispetto a quelle originariamente previste dal testo del citato art. 31, creando in tal modo un’ingiustificata duplicazione del trattamento repressivo ed un cumulo, asseritamente indebito, di misure sanzionatorie (acquisizione e sanzione pecuniaria) per un’unica sostanziale condotta, che si porrebbero in contrasto con i principi di cui agli artt. 3 e 97 Cost..

Il T.a.r. Veneto, sez. II, 3/1/2019, n. 14 ha di recente reputato manifestamente infondata tale questione affermando che «non si ravvisa nella previsione in parola alcuna ingiustificata duplicazione del trattamento sanzionatorio previsto dal legislatore in relazione alle fattispecie di abusiva edificazione: con la sanzione pecuniaria in oggetto si intende infatti reagire al fenomeno dell’inosservanza all’ordine di demolizione impartito dalla P.A. e dunque reprimere una condotta diversa -seppur consequenziale- rispetto a quella dell’edificazione senza titolo, punita, appunto, con la demolizione e la sottrazione al proprietario della disponibilità del bene».

Già in precedenza, peraltro, il T.a.r. Campania di Napoli, sez. III, con la citata pronuncia n. 4146/2017, aveva del pari escluso qualsiasi incostituzionalità, affermando che «Il legislatore, con la nuova previsione normativa – che il Collegio ravvisa del tutto ragionevole rispetto all’importanza degli obiettivi da perseguire, legati al ripristino del bene “territorio” violato – ha inteso introdurre una sanzione di carattere personale che si aggiunge a quella reale dell’acquisizione gratuita del manufatto al patrimonio dell’Ente, al preciso scopo di sollecitare il responsabile degli abusi a rimuoverli sollecitamente. In questo senso, se da un lato, l’acquisizione gratuita è una sanzione di carattere reale che assume il valore di forte deterrente nei confronti di coloro che intendono commettere un abuso, ben consapevoli delle conseguenze, in termini di perdita del diritto dominicale, alle quali vanno incontro, tra l’altro non legate direttamente all’abuso stesso, bensì alla mancata ottemperanza all’ordine di demolizione, dall’altro, la sanzione pecuniaria ha lo scopo di tenere indenne l’amministrazione comunale dall’impegno economico derivante dall’abbattimento delle opere abusive (…). In questa prospettiva, non si ravvisa alcun contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. per violazione del divieto di cumulo fra sanzioni amministrative, posto che le stesse, pur avendo a riferimento un’unica condotta, rispondono ad obiettivi diversi e tra loro complementari».

Con altra censura di presunta illegittimità costituzionale è stato dedotto, sostanzialmente, che la norma in parola – in combinato disposto con l’art. 27, comma 2 dello stesso Testo Unico -, assoggettando alla sanzione pecuniaria massima di Euro 20.000,00 tutti gli abusi commessi “sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell’art. 27” del D.P.R. n. 380/2001 – senza tenere conto della relativa consistenza e della concreta lesività degli stessi, sulla base del mero presupposto oggettivo di essere stati realizzati sui predetti edifici ed aree ed a prescindere dalle effettive dimensioni delle opere (in quella fattispecie trattavasi di una “baracca in lamiera di 12 mq.”) -, contrasterebbe con i principi costituzionali di proporzionalità e ragionevolezza.

Anche tale censura è stata ritenuta manifestamente infondata con la già citata sentenza n. 1045/2018 dal T.a.r. Campania di Salerno, che ha confermato la propria pronuncia n. 103 del 16/1/2017 con la quale era stato già precisato che: «In base all’art. 31, comma 4- bis  del D.P.R. n. 380 del 2001 e ss.mm.ii. la sanzione pecuniaria è sempre inflitta nella misura massima, senza alcun margine di discrezionalità circa la sua graduazione, nel caso di abusi realizzati “sulle aree e sugli edifici” di cui all’ art. 27 comma 2 del D.P.R. n. 380 del 2001 (…). Orbene, considerato il corretto ambito di applicazione delle su riportate disposizioni normative, non si ravvisa, ad avviso del Tribunale, la denunciata violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità della entità della sanzione di Euro 20.000,00 in relazione ad abusi edilizi non macroscopici (come nella specie), se “realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell’articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato”. Difatti, come condivisibilmente osservato in sede pretoria (T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, Sent., 12/07/2016, n. 1105) “ciò che viene sanzionato – nella misura massima di Euro 20.000,00 – dall’art. 31, comma 4-bis del D.P.R. n. 380 del 2001 e ss.mm.ii. non è la realizzazione dell’abuso edilizio in sé considerato (nel qual caso, evidentemente, rileverebbe la consistenza e l’entità dello stesso), bensì (unicamente) la mancata spontanea ottemperanza all’ordine di demolizione legittimamente impartito dalla P.A. per opere abusivamente realizzate in zona vincolata, che è condotta (omissiva) identica, sia nel caso di abusi edilizi macroscopici, sia nell’ipotesi di più modesti abusi edilizi: il disvalore (ex se rilevante) “colpito” è l’inottemperanza all’ingiunzione di ripristino (legittimamente impartita dalla P.A.) inerente agli abusi in quelle particolari (e circoscritte) “aree” ed in quei particolari (e circoscritti) “edifici” specificamente indicati nell’art. 27, comma 2 dello stesso D.P.R. n. 380 del 2001”».

Sulla motivazione del provvedimento sanzionatorio

In generale, il provvedimento che commina la sanzione pecuniaria de qua viene considerato «un atto dovuto che il Comune doveva necessariamente emanare una volta constatata la mancata esecuzione della ordinanza di demolizione, sicché lo stesso non doveva essere ulteriormente motivato quanto alle ragioni di pubblico interesse poste a sua giustificazione né preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento» (T.a.r. Campania, Salerno, n. 955/2018, cit.).

Nello specifico, quanto all’entità della sanzione va preliminarmente valutato se l’abuso sia stato realizzato o meno sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell’articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, posto che, nell’ipotesi affermativa, il comma 4-bis dell’art. 31 è chiaro e categorico nel disporre che la sanzione è sempre irrogata nella misura massima di 20.000 euro.

In altri termini, la presenza dei vincoli paesaggistici ed ambientali priva l’amministrazione comunale del potere discrezionale di valutare l’importo della sanzione da irrogare, la quale va disposta sempre nella misura massima, tanto più che aggiunge il citato comma 4-bis: «La mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità penali, costituisce elemento di valutazione della performance individuale nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente».

Alla stregua di ciò, stante anche la chiarezza del testo normativo, si afferma che la sanzione pecuniaria in esame nelle aree vincolate «costituisce un atto vincolato anche con riferimento al suo ammontare che deve essere irrogato nella misura massima» (T.a.r. Toscana, sez. III, 4/1/2019, n. 6).

Peraltro, nelle stesse aree vincolate è stata ritenuta del tutto irrilevante la mancata adozione, da parte del Comune, di un regolamento relativo alle sanzioni pecuniarie previste dal comma 4-bis, non occorrendo affatto alcun regolamento comunale che disciplinasse e regolasse i criteri per l’applicazione della sanzione (in termini, T.a.r. Campania, Salerno, n. 955/2018, cit.).

D’altro canto, è stato chiarito che «ciò che viene sanzionato nella misura massima dall’art. 31, comma 4-bis del d.p.r. 380/2001 non è la realizzazione dell’abuso edilizio in sé considerato – nel qual caso, evidentemente, rileverebbe la consistenza e l’entità dello stesso – bensì unicamente la mancata spontanea ottemperanza all’ordine di demolizione legittimamente impartito dall’amministrazione per opere abusivamente realizzate in zona vincolata, la quale si pone quale condotta omissiva identica nei casi sia di abusi edilizi macroscopici sia di abusi più modesti. In altri termini, il disvalore – di per sé rilevante – colpito è l’inottemperanza all’ordine di ripristino impartito dall’amministrazione per rimediare agli abusi perpetrati in quelle particolari e circoscritte “aree” ed in quei particolari e circoscritti “edifici”, puntualmente indicati dall’art. 27, comma 2, d.p.r. 380/2001 (cfr. sul punto, T.A.R. Campania, Salerno, 16 gennaio 2017, n. 103)» (così, T.a.r. Campania, Napoli, n. 4146/2017, cit.; cfr. anche T.a.r. Puglia, Lecce, n. 1105/2016, cit.).

Al contrario, in caso di aree ed edifici diversi da quelli di cui al 2° comma dell’art. 27 e di aree non soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, si è invece affermato che «La formulazione della norma, che contempla la previsione di un minimo e di un massimo edittale, presuppone la possibilità di una graduazione della sanzione pecuniaria che è legata a una valutazione relativamente discrezionale dell’amministrazione, commisurata alla tipologia di abuso in concreto realizzato, come si evince dalla specifica previsione secondo cui essa deve essere sempre irrogata nella misura massima per specifiche tipologie di abusi stabiliti dalla norma stessa. Conseguentemente il Comune deve determinare l’importo complessivo della sanzione da applicare nel caso concreto (in misura compresa tra il minimo e il massimo) in base a criteri di proporzionalità e ragionevolezza riferiti alla tipologia e alle caratteristiche dell’opera abusiva, dandone conto con adeguata motivazione» (T.a.r. Sicilia, Palermo, sez. I, 14/5/2018, n. 1068). Motivazione che, ove carente, comporterebbe l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio.

Irrilevanza di un’ottemperanza tardiva, che non impedisce l’ingiuzione della sanzione pecuniaria

Al riguardo la giurisprudenza appare del tutto rigorosa, dando continuità ai propri consolidati orientamenti formatisi in relazione all’altra sanzione dell’acquisizione al patrimonio comunale.

Tant’è vero che viene affermato che «alcuna rilevanza potrebbe annettersi alla tardiva ottemperanza all’ingiunzione di demolizione, avvenuto dopo il decorso del predetto termine e soprattutto in data posteriore all’accertamento dell’inottemperanza da parte del Comune, assumendo unicamente rilievo la circostanza che l’inottemperanza sia stata accertata decorso il termine di novanta giorni dalla notifica dell’ingiunzione medesima» (T.a.r. Campania, Napoli, sez. VII, 19/1/2018, n. 433). La stessa giurisprudenza ha precisato che «La correttezza di tale esegesi si evince altresì dal disposto del successivo comma 4 quater, il quale prevede la possibilità per le Regioni, non solo di aumentare l’importo della sanzione, ma altresì di reiterare l’irrogazione della medesima, in ipotesi di permanenza dell’inottemperanza, il che dimostra vieppiù che l’inottemperanza alla quale la norma attribuisce rilievo è quella che si verifica al decorso del termine assegnato di 90 giorni dalla notifica dell’ordinanza di demolizione, potendo l’ulteriore inottemperanza costituire il presupposto per la reiterazione della sanzione pecuniaria, ove le leggi regionali dispongano in tal senso» (T.a.r. Campania, Salerno, n. 380/2018, cit.; T.a.r. Campania, Napoli, sez. VII, 14/2/2017, n. 896).

Per stabilire la tempestività o meno dell’ottemperanza, qualora vi sia divergenza tra il privato e l’Amministrazione, va fatto riferimento al verbale di sopralluogo della Polizia Municipale, che è un atto fidefacente fino a querela di falso ai sensi dell’art. 2700 c.c., senza che possa assumere rilievo «la circostanza che l’accertamento sia stato effettuato in assenza di contradditorio con l’interessata (non richiesto dalla norma) o che il relativo verbale non sia stato previamente notificato alla medesima, poiché il verbale di accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione non assume alcun contenuto dispositivo, per cui la previa notifica non è necessaria né ai fini dell’irrogazione della sanzione pecuniaria di cui è causa, né ai fini dell’adozione dell’ordinanza di acquisizione al patrimonio comunale (ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 08/05/2014, n. 2368» (T.a.r. Campania, Napoli, n. 896/2017, cit.).

E’ stata, inoltre, ritenuta irrilevante, per comprovare la tempestività dell’ottemperanza, la data dell’istanza che sia stata presentata per richiedere il “nulla osta alla demolizione”, posto che tale istanza viene ritenuta del tutto superflua «in quanto la demolizione non era da autorizzare ulteriormente, essendo già stata imposta – e non solo assentita – con l’ordinanza» demolitoria precedentemente notificata, che costituiva già titolo per l’esecuzione delle opere. «La richiesta di nulla osta non costituisce quindi neanche un principio di esecuzione limitandosi a comunicare l’intenzione di procedere, comunicazione che in nessun modo assolve al dovere di rimozione effettiva delle opere abusivamente edificate» (T.a.r. Campania, Napoli, n. 433/2018, cit.). In quella fattispecie risultava, peraltro, che i lavori erano stati avviati solo dopo tre mesi dalla presentazione della predetta istanza.

Pure è stato escluso che possa costituire un’esimente rispetto ad una tardiva (quindi, non del tutto omessa) ottemperanza un’asserita «assenza dovuta per degenza di salute» (fattispecie esaminata da T.a.r. Campania, Salerno, n. 380/2018, cit.), posto che «l’inottemperanza all’ingiunzione a demolire l’immobile abusivo s’era già da tempo cristallizzata, essendo decorsi (…) ben più di novanta giorni dall’entrata in vigore dell’art. 31, comma 4 bis, del d. P. R. 380/2001 (12.11.2014)».

Sulle ragioni addotte a giustificazione dell’inottemperanza, tra cui l’assoggettamento delle opere a sequestro penale

I Giudici escludono che la perdita della titolarità del bene in ragione dell’acquisizione automatica (ipso jure) al patrimonio comunale, per effetto dell’inutile decorso del termine di novanta giorni dalla notifica dell’ordinanza di demolizione, possa impedire la comminatoria della sanzione pecuniaria in parola, affermando che «l’irrogazione della sanzione in discorso è prevista dalla legge proprio per il caso di inottemperanza alla ingiunzione di demolire, ovvero nella fattispecie in esame» (T.a.r. Veneto n. 14/2019, cit.).

Allo stesso modo viene escluso che l’eventuale provvedimento di sequestro delle opere possa sottrarre il responsabile all’ingiunzione della sanzione pecuniaria di cui si discute.

Al riguardo, secondo l’indirizzo assolutamente prevalente, la sottoposizione a sequestro penale preventivo di una costruzione abusiva da parte della competente autorità giudiziaria non esime il destinatario dell’ingiunzione demolitoria dall’ottemperanza alla stessa, ben potendo essere richiesto in sede penale il dissequestro del bene al solo fine di provvedere alla demolizione, così da evitare il provvedimento di acquisizione (fra molte, Cons. Stato, sez. VI, 7/5/2018, n. 2700; 28/1/2016, n. 283; 9/7/2013, n. 3626; T.a.r. Puglia, Bari, sez. III, 9/4/2015, n. 577; T.a.r. Campania, Napoli, sez. II, 30/1/2015 n. 601). Peraltro, l’esistenza di un sequestro penale sul manufatto abusivo oggetto di ingiunzione comunale di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi non determina la sospensione del termine di novanta giorni, il cui decorso comporta, in caso di inottemperanza, l’acquisizione gratuita di diritto al patrimonio del Comune, non rientrando il sequestro tra gli impedimenti assoluti che non consentano di dare esecuzione all’ingiunzione. In questi casi, infatti, costituisce onere del responsabile dell’abuso motivatamente domandare all’Autorità giudiziaria il dissequestro dell’immobile, secondo la procedura prevista dall’art. 85 disp. att. c.p.p. (in materia di restituzione delle cose sequestrate con imposizione di prescrizioni), al fine di ottemperare all’ingiunzione a demolire (Cons. Stato sez. IV, 16/1/2019, n. 398; Cons. Stato, sez. I, parere n. 274/2018, cit.; T.a.r. Campania, Napoli, sez. III, 31/10/2018, n. 6416; sez. VII, 4/5/2018, n. 3002; sez. IV, 24/7/2014, n. 4205; Cons. Stato sez. IV, 18/4/2014, n. 1994; Cons. Stato, sez. IV, 8/5/2013 n. 2484; Cons. Stato, sez. VI, 9/7/2013, n. 3626; T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, 23/3/2012, n. 910). Il soggetto che intenda evitare l’effetto del provvedimento dell’acquisizione gratuita, legato ope legis alla scadenza del termine per ottemperare all’ordine di demolizione, ove il manufatto sia stato sottoposto a sequestro penale, deve, invero, attivarsi positivamente e tenere un comportamento volto a eliminare l’abuso perpetrato sollecitando il dissequestro all’autorità giudiziaria allo scopo di poter provvedere all’eliminazione (T.a.r. Calabria, Catanzaro, sez. II, 22/01/2019, n. 117; Cons. Stato, sez. VI, 28/1/2016, n. 335; sez. IV, 18/4/2014, n. 1994; sez. VI, 9/7/2013, n. 3626; sez. IV, 6/3/2012, n. 1260).

In consapevole dissenso da tale orientamento del tutto prevalente si pone la pronuncia del Cons. Stato, sez. VI, 17/5/2017, n. 2337, che considera invece dirimente in materia l’argomentazione per la quale «l’ordine di demolizione di un immobile colpito da un sequestro penale dovrebbe essere ritenuto affetto dal vizio di nullità, ai sensi dell’art.21-septies l. n.241 del 1990 (in relazione agli artt. 1346 e 1418 c.c.), e, quindi, radicalmente inefficace, per l’assenza di un elemento essenziale dell’atto, tale dovendo intendersi la possibilità giuridica dell’oggetto del comando. In altri termini, l’ingiunzione che impone un obbligo di facere inesigibile, in quanto rivolto alla demolizione di un immobile che è stato sottratto alla disponibilità del destinatario del comando (il quale, se eseguisse l’ordinanza, commetterebbe il reato di cui all’art. 334 c.p.), difetta di una condizione costituiva dell’ordine, e cioè, l’imposizione di un dovere eseguibile (C.G.A.R.S., Sezioni Riunite, parere n. 1175 del 9 luglio 2013 – 20 novembre 2014, sull’affare n.62/2013).

«In quest’ordine di idee, l’ordine di una condotta giuridicamente impossibile si rivela, quindi, privo di un elemento essenziale e, come tale, affetto da invalidità radicale, e, in ogni caso, per quanto qui rileva, inidoneo a produrre qualsivoglia effetto di diritto (…).

«6. – L’affermazione dell’eseguibilità dell’ingiunzione di demolizione di un bene sequestrato, per quanto tralatiziamente ricorrente nella giurisprudenza amministrativa, non può, infatti, essere convincentemente sostenuta sulla base dell’assunto della configurabilità di un dovere di collaborazione del responsabile dell’abuso, ai fini dell’ottenimento del dissequestro e della conseguente attuazione dell’ingiunzione.

«Tale argomentazione dev’essere, infatti, radicalmente rifiutata: sia perché riferisce a un’eventualità futura, astratta e indipendente dalla volontà dell’interessato la stessa possibilità (giuridica e materiale) di esecuzione dell’ingiunzione, mentre, come si è visto, l’impossibilità dell’oggetto attiene al momento genetico dell’ordine e lo vizia insanabilmente all’atto della sua adozione; sia perché, assiomaticamente, finisce per imporre al privato una condotta priva di qualsivoglia fondamento giuridico positivo; sia, infine, perché si risolve nella prescrizione di una iniziativa processuale (l’istanza di dissequestro) che potrebbe contraddire le strategie difensive liberamente opzionabili dall’indagato (o dall’imputato) nel processo penale, peraltro interferendo inammissibilmente nell’esercizio di un diritto costituzionalmente protetto, quale quello di difesa (basti porre mente, in proposito, al caso che il mantenimento del sequestro penale –sub specie probatorio, ex art. 253 c.p.p. – risulti funzionale ad assicurare, per il seguito delle indagini o per il dibattimento, la prova che quanto realizzato non fosse abusivo, o non fosse conforme a quanto contestato o ritenuto dalla pubblica accusa, ovvero avesse altre caratteristiche scriminanti o anche solo attenuanti l’illiceità penale del fatto ascritto).

Il caso deciso dalla VI Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 2337/2017 cit. riguarda le ipotesi in cui l’ordine di demolizione (o di riduzione in pristino stato) sia stato adottato nella vigenza di un sequestro penale.

Nondimeno, come pure sottolineato nella pronuncia in esame, «sia per l’ipotesi che si ritenesse di poter prescindere dalla più persuasiva prospettazione, che si è sin qui illustrata, che qualifica in termini di nullità il vizio che affligge l’ordinanza di demolizione emanata nella pendenza del sequestro dell’immobile di cui trattasi; sia, comunque, con riferimento ai casi in cui l’ordine demolitorio o ripristinatorio sia stato adottato (e, in tal caso, validamente) in un momento in cui il bene non fosse sequestrato, ma venga invece sequestrato successivamente e nella pendenza del termine assegnato per ottemperare all’ingiunzione de qua – va ulteriormente indagato, per completezza di sistema, il tema dell’incidenza del sequestro penale (se non, in queste ipotesi, sulla validità) sull’efficacia dell’ordine di demolire e, derivativamente, sulla decorrenza o meno del termine a tal fine assegnato fintanto che il sequestro permanga efficace».

A tale riguardo, secondo tale sentenza, deve ritenersi che «finché il sequestro perdura, la demolizione (…) certamente non può eseguirsi».

A questo semplice rilievo consegue necessariamente che «per tutto il tempo in cui il sequestro perdura (e, qui si aggiunge, indipendentemente dalla condotta attiva o passiva serbata dall’autore dell’abuso rispetto al sequestro stesso), la non ottemperanza all’ordine di demolizione non può qualificarsi non iure, appunto a causa della già rilevata oggettiva impossibilità giuridica di procedervi». Ciò non può «non implicare, come conseguenza giuridicamente necessaria, l’interruzione o, quantomeno, la sospensione del decorso del termine assegnato per demolire, per tutto il tempo in cui il sequestro rimane efficace. Detto termine, dunque, inizierà nuovamente a decorrere – per intero ovvero per la sua parte residua, secondo che si opti per l’interruzione o per la sospensione di esso in costanza di sequestro – solo allorché il sequestro venga meno, per qualunque ragione».

Siffatto innovativo indirizzo giurisprudenziale (da ultimo condiviso da C.G.A.R.S., sez. riunite, parere n. 301 dell’11/10/2018; parere n. 180 del 4/5/2018; parere n. 5 dell’11/1/2018) rimane allo stato minoritario, anche se non sono mancati arresti più recenti (Cons. Stato, sez. VI, 20/7/2018, n. 4418; T.a.r. Lazio, Roma, sez. II-bis, 14/5/2018, n. 5342) che hanno mostrato di condividere i principi esposti dalla prefata sentenza n. 2337/2017, affermando che «in presenza di un sequestro penale e nella vigenza dello stesso, il termine per l’ottemperanza non decorre fino a che tale misura cautelare non sia venuta meno ed il bene ritornato nella disponibilità del privato. Deve, pertanto, ritenersi che l’ingiunzione comunque non possa produrre i suoi effetti nei confronti del privato fino alla restituzione del bene ad esso sottratto. Da tale momento cominciano, infatti, a decorrere i 90 giorni per l’ottemperanza e, pertanto, l’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune si verifica solo ove non si sia data esecuzione all’ingiunzione entro tale nuovo termine» (in termini, Cons. Stato n. 4418/2018, cit.).

Permane, in ogni caso, la netta prevalenza del surrichiamato insegnamento tradizionale (prevalenza da ultimo ribadita pure da T.a.r. Lazio, Roma, sez. II-quater, 4/1/2019, n. 139; T.a.r. Toscana, sez. III, 4/1/2019, n. 4), anche se va segnalata una pronuncia (T.a.r. Campania, Napoli, sez. VII, 27/11/2017, n. 5576) ove appare appena affievolito il rigore di tale orientamento dominante, nella misura in cui, pur ribadendo l’inescusabilità dell’inottemperanza in presenza di un sequestro delle opere disposto dall’Autorità giudiziaria, viene comunque affermato che le sanzioni conseguenti a detta inottemperanza, tra cui anche l’acquisto coattivo dell’Amministrazione finalizzato alla demolizione d’ufficio dell’immobile, assumono «connotazione di illegittimità solo allorquando il destinatario dell’ordine a demolire abbia richiesto al giudice la revoca del sequestro allo scopo di poter procedere alla demolizione e questa ragione sia stata negativamente valutata dall’autorità giudiziaria».

Su analoghe posizioni si attesta anche la recente pronuncia del Consiglio di Stato, sez. VI, 8/1/2019, n. 180, che ha ritenuto di puntualizzare che la circostanza per cui un dato immobile è sottoposto a sequestro penale «non impedisce in assoluto che esso sia demolito, se il Giudice penale lo consenta, sul presupposto della cessazione delle esigenze probatorie che il sequestro intendeva assicurare. Il destinatario dell’ordine di demolizione, pertanto, deve dare per lo meno la prova, che nella specie non consta, di essersi diligentemente attivato in tal senso, richiedendo al Giudice penale stesso di pronunciarsi al riguardo».

Con particolare riferimento a quanto poi concerne la sanzione amministrativa pecuniaria di cui al comma 4-bis dell’art. 31 T.U.E. , tale sanzione pecuniaria, così come quella dell’acquisizione, è stata ritenuta inapplicabile in un caso in cui il responsabile dell’abuso si sia attivato positivamente per rimuovere l’intervento oggetto dell’ordine di demolizione, richiedendo tempestivamente il dissequestro e iniziando i lavori di ripristino, portati solo in parte a termine e non interamente conclusi a causa dell’esiguità del termine del concesso dissequestro, (in quella fattispecie pari a 15 giorni), escludendosi in tal caso che l’interessato sia venuto meno al suo onere di agire positivamente al fine di eliminare l’abuso e al suo dovere di diligenza. «Le circostanze che parte ricorrente si sia attivata secondo diligenza, chiedendo il dissequestro dell’area ed effettuando dei lavori di ripristino, ma che la stessa abbia potuto usufruire per terminare le opere di un termine esiguo, e comunque di gran lunga inferiore ai 90 giorni previsti dall’art. 31, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, comporta l’inapplicabilità della sanzione dell’acquisizione delle aree al patrimonio comunale e della comminazione della sanzione pecuniaria prevista nel comma 4 bis del medesimo articolo» (T.a.r. Campania, Napoli, sez. VIII, 28/1/2016, n. 563).

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Sulla giurisdizione

Sul tema della giurisdizione sulle sanzioni amministrative pecuniarie in materia urbanistica ed edilizia va registrata una non univocità di orientamenti, come ben riassunti da T.a.r. Piemonte, sez. II, 30/1/2015, n. 172, che così si è espresso: «(…) il Collegio deve dare atto del fatto che – come già evidenziato nella pronuncia del TAR Puglia-Bari, sez. III, n. 3830 del 27/10/2010 (che dà conto dei precedenti esistenti in materia, alla quale pertanto si rinvia per più ampi ragguagli) – in ordine alla giurisdizione sulle sanzioni adottate in materia urbanistica ed edilizia si è formato un contrasto di giurisprudenza.

«7.2.1. Secondo un orientamento rientrano nella giurisdizione esclusiva del GA, ai sensi dell’art. 34 D. L.vo 80/98 ed ora ai sensi dell’art. 133 comma 1 lett. f), sia i provvedimenti con i quali vengono comminate le sanzioni a carattere ripristinatorio previste dalle norme urbanistiche ed edilizie, sia quelle a carattere meramente pecuniario previste dalle norme medesime, e ciò per la ragione che si tratterebbe comunque di sanzioni strumentali all’esercizio della vigilanza sul territorio. Le sanzioni pecuniarie alternative a quelle aventi carattere ripristinatorio sarebbero soggette, parimenti, alla giurisdizione del Giudice Amministrativo.

«7.2.2. Altro orientamento, valorizzando l’eccezionalità della giurisdizione del Giudice Amministrativo sui diritti, propende per la sussistenza della giurisdizione del Giudice Ordinario in ordine alle sanzioni di natura pecuniaria, a prescindere dalla funzione da esse svolta in concreto, per la ragione che si tratterebbe comunque di provvedimenti incidenti sul diritto alla integrità del patrimonio dell’interessato.

«7.2.3. Il Collegio, aderendo ad un orientamento intermedio, ritiene sussistere la giurisdizione del Giudice Amministrativo in ordine alle sanzioni pecuniarie adottate in materia urbanistica ed edilizia, ma solo quando tali sanzioni abbiano funzione ripristinatoria, risarcitoria o comunque quando si tratti di sanzioni la cui determinazione sia ancorata al valore di opere, che spetti all’organo accertatore monetizzare. A tali sanzioni risultano infatti inapplicabili i principi di cui alla legge n. 689/81, che devolve al Giudice Ordinario il contenzioso sulle sanzioni amministrative pecuniarie, per tali dovendosi intendere, appunto, solo le sanzioni con funzione essenzialmente punitiva. In tali casi, inoltre, la determinazione della “sanzione”, lungi dall’essere ancorata a dei minimi e massimi edittali, presenta stretti collegamenti con l’uso ed il governo del territorio, comportando, a seconda dei casi, una valutazione inerente la necessità del ripristino e/o una valorizzazione in termini economici dell’ambiente danneggiato dal manufatto ovvero delle opere eseguite, richiedendosi pertanto, in capo all’organo accertatore, delle valutazioni che vanno al di là di un mero giudizio di colpevolezza. La giurisdizione del Giudice Amministrativo in ordine a questa tipologia di “sanzioni” pecuniarie non risulta contrastare con le coordinate ermeneutiche tracciate dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 204/2004, 191/06 e 35/2010, venendo in considerazione atti che incidono, al contempo, su diritti soggettivi e su interessi pubblici in una materia specifica e devoluta alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo. Fuori da tali ipotesi, e quindi laddove si tratti di comminare una sanzione pecuniaria con valenza meramente punitiva, pertanto da determinarsi tenendo presente non l’entità del danno cagionato o il valore delle opere eseguite, quanto piuttosto la natura del coefficiente soggettivo di colpevolezza e la gravità della stessa, il Collegio non ravvisa ragioni per derogare al principio generale secondo il quale la giurisdizione va determinata secondo la causa petendi, con conseguente riconoscimento della giurisdizione del Giudice Ordinario sulle sanzioni pecuniarie a valenza meramente punitiva determinate, tra un minimo ed un massimo edittale, solo sulla base della colpevolezza: e ciò anche laddove vengano in considerazione sanzioni adottate in applicazione di norme afferenti la materia urbanistica od edilizia».

Va, in ogni caso, rimarcato, che proprio in tema di giurisdizione sulle impugnazioni dei provvedimenti di cui all’art. 31, co. 4-bis, T.U.E., il Consiglio di Stato, sez. VI, con la recente pronuncia n. 6970 del 10/12/2018, ha affermato che l’art. 16, rubricato ‘tutela giurisdizionale’, della L. n. 10/1977, recante norme per la edificabilità dei suoli, disponeva che “I ricorsi giurisdizionali contro (…) la determinazione e la liquidazione (…) delle sanzioni (…) sono devoluti alla competenza dei tribunali amministrativi regionali (…)”. E’ pur vero che tale norma è stata abrogata dall’art. 136, rubricato ‘abrogazioni’, del T.U.E., ma è altrettanto vero che, per effetto di tale abrogazione, non sempre e non tutte le questioni inerenti provvedimenti sanzionatori in materia edilizia sono, per ciò solo, devolute alla giurisdizione del Giudice ordinario, giacchè a tal proposito sovvengono pur sempre i principi generali in materia di riparto di giurisdizione.

Per cui, allorquando non si fa questione (o, quanto meno, non se ne fa questione in modo diretto e prioritario) dell’esazione della sanzione irrogata dal Comune agli appellanti o dei criteri e delle modalità di calcolo cui il Comune si sarebbe attenuto, ma ciò di cui invece principalmente ci si duole è il fatto che tale provvedimento sanzionatorio risulterebbe affetto da un “vizio di derivazione” nel presupposto (affermato) della illegittimità dell’accertamento di un abuso a carico degli stessi destinatari della sanzione pecuniaria, in tale ipotesi -esaminata appunto dalla richiamata pronuncia del Consiglio di Stato- «secondo i principi generali, non può dubitarsi della sussistenza della giurisdizione del Giudice amministrativo in rapporto ai profili di censura effettivamente prospettati nel caso di specie» (Cons. Stato, n. 6970/2018, cit.).

Sulla prescrizione e sulla individuazione del relativo dies a quo

Superando, in tema di prescrizione, ogni questione circa l’applicabilità o meno alla sanzione in esame della L. n. 689/1981, la giurisprudenza, nel riferirsi all’art. 28 della stessa legge ed alla prescrizione quinquennale da esso prevista ed evidenziando anche sul punto il carattere permanente dell’illecito in esame, afferma che «deve osservarsi in accordo con la giurisprudenza formatasi sul punto che “Ai fini dell’irrogazione della sanzione pecuniaria per il caso di inottemperanza all’ordine di demolizione, la prescrizione quinquennale di cui all’art. 28, l. 24 novembre 1981 n. 689 inizia a decorrere solo dal giorno in cui è cessata la situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni, ovvero – in mancanza delle stesse – con la effettiva demolizione delle opere abusive; infatti, per la decorrenza della prescrizione dell’illecito amministrativo permanente, trova applicazione il principio relativo al reato permanente, secondo cui il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza (art. 158, comma I, cod. pen.), con la conseguenza che il potere amministrativo repressivo può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell’esercizio del potere” (cfr. di recente T.A.R. Lazio, Latina 16 marzo 2018, n. 115) (…) La giurisprudenza di questo T.A.R. (Sez. VII 3 agosto 2017, n. 4032) è nel senso che l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione va considerata alla stregua di un illecito permanente, che non esaurisce i propri effetti alla scadenza del termine di novanta giorni dalla notifica dell’ordinanza di demolizione, sicché ben può l’amministrazione applicare la sanzione pecuniaria introdotta per i casi di ordini di demolizione rimasti inevasi dal 12 novembre 2014, per effetto del d.l. 11 settembre 2014 n. 133, convertito con modifiche dalla l. 11 novembre 2014 n. 164» (T.a.r. Campania, Napoli, sez. VI, 8/11/2018, n. 6524).

Altre pronunce appaiono valorizzare, invece, la data in cui è stata accertata l’inottemperanza, che considerano il presupposto applicativo del citato art. 28 L. n. 689/1981, «ed è da tale data che decorre il termine di prescrizione e non da date anteriori (commissione dell’illecito edilizio, data dell’ordinanza di demolizione) che alcuna rilevanza hanno ai fini della integrazione della fattispecie sanzionatoria ancorata al diverso momento dell’accertamento dell’inottemperanza» (T.a.r. Campania, Salerno, n. 955/2018, cit.).

Avv. Esposito Ennio

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