Indice:
- Il fatto
- Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione
- Le valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni Unite
- Conclusioni
Il fatto
Il Tribunale di Lecco assolveva un imputato dal reato di furto in abitazione aggravato per “per insufficienza della prova circa la commissione del fatto”.
In particolare, dagli atti emergeva che all’udienza fissata nel decreto di citazione diretta a giudizio, dopo la verifica della regolare costituzione delle parti, il difensore dell’imputato aveva sollevato eccezione “preliminare” di inutilizzabilità degli accertamenti genetici compiuti dalla polizia giudiziaria su alcuni reperti biologici, lamentando che gli stessi fossero stati eseguiti successivamente all’originaria archiviazione della notizia di reato disposta per essere rimasto ignoto il suo autore, ma prima dell’adozione di un formale provvedimento di riapertura delle indagini.
Il giudice, verificato che effettivamente l’atto probatorio era stato eseguito in data 22 marzo 2011 e, quindi, prima della riapertura delle indagini, formalmente intervenuta il 16 maggio 2011, invitava le parti a concludere e concordemente il pubblico ministero e il difensore dell’imputato chiedevano l’assoluzione dell’imputato ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen..
Ciò posto, nel motivare tale scelta decisoria, la sentenza il Tribunale aveva evidenziato come l’accertamento sui reperti biologici costituisse la prova “cardine” sulla quale era fondata l’accusa mossa all’imputato e che, pertanto, la sua rilevata inutilizzabilità comportava, seppure con “formula dubitativa“, la sua inevitabile assoluzione.
Avverso la suddetta pronuncia proponeva appello il pubblico ministero, rilevando anzitutto come dalla lettura della sentenza non risulti comprensibile se la decisione sia stata assunta ai sensi dell’art. 129, piuttosto che dell’art. 469 cod. proc. pen..
La parte pubblica deduceva poi che l’eccezione della difesa non poteva essere ritenuta “preliminare“, come invece affermato in sentenza, attenendo a questione relativa alla fase relativa all’ammissione delle prove, invero mai svolta e che, in ogni caso, anche ove si fosse ritenuta l’inutilizzabilità dell’atto di indagine in questione, ciò non avrebbe impedito l’assunzione nel corso del dibattimento di prove testimoniali idonee e sufficienti a dimostrare la colpevolezza dell’imputato.
Infine, si eccepiva che il Tribunale avrebbe erroneamente rilevato l’inutilizzabilità degli atti compiuti dalla polizia giudiziaria non considerando il consolidato insegnamento giurisprudenziale per cui, nel caso di archiviazione per essere rimasti ignoti gli autori del reato, non è richiesto alcun provvedimento di autorizzazione alla riapertura delle indagini, sicché l’accertamento, che aveva condotto all’individuazione dell’imputato, doveva ritenersi, invece, pienamente valido ed utilizzabile.
Investita dell’impugnazione, la Corte di Appello di Milano, una volta rilevato che la sentenza era stata adottata in pubblica udienza, dopo la verifica della regolare costituzione delle parti, ma prima della formale apertura del dibattimento, stimava quindi ritenuto che, seppure adottata fuori dai casi previsti dall’art. 469 cod. proc. pen., la stessa dovesse essere qualificata come sentenza predibattimentale e dunque, in quanto tale, non appellabile, ma esclusivamente ricorribile in cassazione ed aveva conseguentemente disposto ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen. la trasmissione degli atti alla Cassazione.
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“La sentenza di proscioglimento”
di Alessandra Concas, Diritto.it 30 ottobre 2019
Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione
La Quinta Sezione, cui originariamente era stato assegnato il procedimento, disponeva la rimessione alle Sezioni Unite della questione concernente la possibilità di qualificare quale sentenza predibattimentale la pronuncia resa in pubblica udienza ed al di fuori dei casi disciplinati dall’art. 469 cod. proc. pen., fondata su una valutazione di merito.
L’ordinanza individuava a tal riguardo due profili di criticità del provvedimento impugnato in merito ai quali segnala la sussistenza nella giurisprudenza della Corte di soluzioni interpretative difformi.
Il primo riguardava la possibilità di qualificare come sentenza di proscioglimento predibattimentale anche la pronunzia emessa non già all’esito dell’udienza camerale menzionata dalla citata disposizione, bensì in pubblica udienza una volta regolarmente costituite le parti.
Il secondo la riconducibilità al paradigma della sentenza anticipata di proscioglimento anche di quella che devia nel contenuto dallo schema tipico in quanto si traduce in una assoluzione nel merito e non si limita a rilevare una causa di estinzione del reato o di improcedibilità ovvero la particolare tenuità del fatto.
Ed in tal senso i giudici rimettenti, nel dar conto dei diversi orientamenti formatisi sul tema, sottolineavano come la soluzione del quesito in ordine alla qualificazione della sentenza, ed al conseguente regime di impugnazione, possa risentire non solo della fase in cui la decisione viene adottata, ma anche del suo contenuto, prospettando la possibilità che una decisione “nel merito” potrebbe escludere la natura di proscioglimento predibattimentale della sentenza, con conseguente appellabilità della stessa.
A fronte di ciò, l’ordinanza di rimessione individuava due contrapposti orientamenti.
Il primo è propenso a ritenere che la sentenza pronunciata in pubblica udienza, dopo la costituzione delle parti, non possa essere ricondotta nell’alveo dell’art. 469 cod. proc. pen., anche quando venga emessa con riferimento ad una delle ipotesi ivi disciplinate, a nulla rilevando né che la decisione sia stata adottata su conformi conclusioni delle parti, né che sia stata pronunciata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.
In particolare, secondo tale impostazione – chiaramente improntata a restringere l’ambito di applicazione della disposizione summenzionata – il proscioglimento predibattimentale si inserisce in una fase ben delimitata, che precede l’udienza dibattimentale, e destinata a concludersi con il suo avvio, come confermerebbe la previsione della necessaria fissazione di un’apposita udienza camerale per instaurare il contraddittorio con le parti principali (pubblico ministero e imputato) e raccogliere la loro volontà di non opporsi al proscioglimento anticipato fermo restando che tale conclusione sarebbe ancor più fondata in quei casi in cui la sentenza predibattimentale assolva l’imputato nel merito dell’accusa, anziché limitarsi a prender atto della sussistenza di una delle tre fattispecie tipizzate disciplinate dall’art. 469 citato.
Secondo altro orientamento, invece, la sentenza emessa prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia pur non conforme allo schema dettato dall’art. 469 cod. proc. pen., avrebbe sempre natura di proscioglimento predibattimentale e, in quanto tale, sarebbe esclusivamente ricorribile in cassazione.
L’ordinanza di rimessione, inoltre, dava infine atto dei principi affermati da Sez. U, n. 3027 del 19/12/2001, implicitamente ritenendo che tale pronuncia non consentisse di per sé di superare i dubbi ermeneutici evidenziati.
Le valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite, dopo avere fatto presente che la questione di diritto in oggetto era se «la sentenza di proscioglimento “nel merito“, pronunciata dopo la regolare costituzione delle parti e prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia riconducibile al modello di cui all’art. 469 cod. proc. pen. e se, di conseguenza, essa sia inappellabile», affermavano come la sua soluzione presupponesse prima di tutto l’accertamento della effettiva iscrivibilità della sentenza di proscioglimento pronunziata in pubblica udienza prima della formale apertura del dibattimento nello schema tipizzato dall’art. 469 cod. proc. pen. e, come segnalato dall’ordinanza di rimessione, in merito alla definizione dell’esatto ambito di applicazione di tale disposizione sussiste nella giurisprudenza di legittimità un evidente ed oramai radicato contrasto interpretativo.
Delineanti i termini della questione, i giudici di legittimità ordinaria prendevano atto come, secondo un primo orientamento, l’operatività della disposizione menzionata deve essere circoscritta alle sole ipotesi in cui il proscioglimento venga pronunziato nella fase degli atti preliminari al dibattimento, dovendosi pertanto escludere che la sentenza resa in udienza pubblica dopo il controllo della costituzione delle parti e prima dell’apertura del dibattimento possa essere qualificata come sentenza predibattimentale, quale che sia il nomen iuris attribuitole dal giudice (Sez. 2, n. 32449 del 18/9/2020; Sez. 5, n. 14690 del 21/02/2020; Sez. 2, n. 673 del 23/10/2019; Sez. 2, n. 2153 del 16/12/2016; Sez. 2, n. 51513 del 4/12/2013; Sez.1, n.48124 del 3/12/2008; Sez. 4, n. 48310 del 28/11/2008; Sez. 2, n. 48340 del 17/11/2004; Sez. 1, n. 25121 del 15/04/2003), rilevandosi al contempo, da un lato, come tale principio si fondi sostanzialmente sulla collocazione dell’art. 469 nel Titolo I del Libro VII del codice di rito, considerata indicativa della volontà del legislatore di confinarne, per l’appunto, l’applicazione esclusivamente nella fase degli atti preliminari al dibattimento, da ritenersi costituita come fase autonoma e distinta da quella degli atti introduttivi, ricostruita (spesso implicitamente) come il segmento inziale del dibattimento, dall’altro, che quanto sin qui esposto costituisce un’affermazione che alcune pronunzie (come, ad esempio, la sentenza n. 48310/2008) reputano poi trovare ulteriore conferma nella stessa formulazione della norma la quale, imponendo la fissazione di una udienza camerale per instaurare il contraddittorio con il pubblico ministero e l’imputato, configurerebbe il proscioglimento anticipato come l’esito di una fase incidentale necessariamente precedente ed incompatibile con l’avvio del dibattimento.
Pertanto, secondo le sentenze riconducibili all’indirizzo in esame, la sentenza, emessa una volta instaurato il contraddittorio nell’udienza pubblica, deve considerarsi sempre adottata ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., anche qualora resa su conforme richiesta delle parti o pronunziata per l’improcedibilità o l’estinzione del reato, risultando conseguentemente appellabile dal pubblico ministero, nonché dall’imputato, ove ricorrano le condizioni di cui all’art. 593 cod. proc. pen..
Oltre a ciò, era infine evidenziato come alcune pronunzie (quali, ad esempio, delle sentenze nn. 32449/2020 e 14690/2020) abbiano espressamente escluso la riconducibilità allo schema di cui all’art. 469 cod. proc. pen. anche in ragione del contenuto della sentenza adottata dopo la regolare costituzione delle parti in udienza pubblica, trattandosi di casi in cui la decisione riguardava il merito dell’imputazione e, dunque, il proscioglimento era stato pronunziato per ragioni diverse da quelle elencate nella disposizione citata, tenuto conto altresì del fatto che questa circostanza era ritenuta di per sé un elemento di incompatibilità rispetto alla sentenza predibattimentale tipizzata dalla legge processuale, proprio perché quest’ultima può essere emessa solo per rilevare l’estinzione del reato, una causa di improcedibilità dell’azione ovvero la particolare tenuità del fatto.
Pur tuttavia, a fronte di questo primo orientamento, gli Ermellini osservavano come si sia progressivamente contrapposto un altro indirizzo interpretativo incline a riconoscere la natura di sentenze predibattimentali anche a quelle pronunziate in pubblica udienza successivamente alla costituzione delle parti, ma prima della formale dichiarazione di apertura del dibattimento, nel senso che se alcune pronunzie si sono limitate a riproporre tralaticiamente il principio, quando non addirittura ad evocarlo, solo implicitamente, nell’affermare l’inappellabilità delle decisioni assunte nel menzionato segmento processuale (Sez. 3, n. 1578 del 22/10/2019; Sez. 6, n. 28151 del 24/6/2014; Sez. 2, n. 8667 del 7/2/2012; Sez. 1, n. 11249 del 4/3/2009; Sez. 1, n. 48128 del 4/12/2008; Sez. 6, n. 23466 del 16/05/2001), quelle che si sono invece impegnate nel ricercare il fondamento dell’affermata estensione dell’ambito di applicazione dell’art. 469 cod. proc. pen. hanno osservato come l’adempimento previsto dall’art. 492 cod. proc. pen. rappresenti in realtà l’unico riferimento sistematico in grado di segnare l’effettiva chiusura della fase degli atti preliminari, scandendo l’inizio di quella dibattimentale in senso proprio intesa, rimanendo irrilevante la circostanza che la sentenza venga pronunziata in pubblica udienza, piuttosto che nella sede camerale specificamente deputata, secondo la previsione della prima delle due disposizioni summenzionate (Sez. 6, n. 1571 dell’11/11/2020; Sez. 1, n. 2441 del 16/12/2008) ed in tal senso è stato altresì osservato come il proscioglimento pronunziato nell’udienza pubblica prima del compimento delle formalità di apertura del dibattimento presenti la medesima funzione deflattiva che caratterizza l’istituto disciplinato dal citato art. 469 e sia caratterizzato dalla medesima preclusione per il giudice di accedere agli atti di indagine sulla cui base è stata formulata l’imputazione, che pure caratterizza la decisione assunta nella fase antecedente alla costituzione delle parti (Sez. 5, n. 19517 del 15/4/2016).
Oltre a ciò, era altresì osservato come le tre pronunzie testè menzionate ritengano inoltre che la soluzione interpretativa adottata trovasse implicito avallo nella stessa giurisprudenza delle Sezioni Unite.
Il riferimento è in particolare a Sez. U, n. 3027 del 19/12/2001, la quale, pur riguardando i diversi profili attinenti la qualificazione ed il regime di impugnazione del proscioglimento anticipato adottato per cause diverse da quelle espressamente previste dall’art. 469 cod. proc. pen., avrebbe però implicitamente attribuito natura “predibattimentale” anche alla sentenza pronunziata nella fase antecedente alla dichiarazione di apertura del dibattimento, posto che tale era il provvedimento oggetto di ricorso nel caso di specie.
Secondo la sentenza n. 19517/2016, inoltre, un ancor più solido ancoraggio alla tesi in esame sarebbe poi offerto da Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, la quale ha invece esplicitamente qualificato come emessa nella «fase predibattimentale» la pronunzia adottata prima del compimento delle formalità di apertura del dibattimento.
Infine, per le sentenze riconducibili all’orientamento in esame, la sentenza predibattimentale conserva la sua natura anche qualora emessa al di fuori delle ipotesi consentite dall’art. 469 cod. proc. pen., rimanendo anche in tal caso inappellabile e dunque impugnabile unicamente con il ricorso per Cassazione.
Terminata la disamina di questi diversi e contrapposti orientamenti nomofilattici, era opinione delle Sezioni Unite che il contrasto dovesse essere ricomposto aderendo all’interpretazione sostenuta dal primo dei due orientamenti illustrati.
Si notava a tal proposito prima di tutto che il conflitto tra i due indirizzi interpretativi è invero conseguenza della differente ricostruzione della sistematica sottesa al Libro VII del codice di rito, ossia quello intitolato al «Giudizio» ed è dunque da tale questione che appare opportuno prendere le mosse.
Precisato ciò, gli Ermellini sottolineavano che il sistema processuale vigente è, come di massima tipico di ogni modello procedimentale, articolato in fasi fermo restando che ciò che lo caratterizza nella sua ispirazione ideologica di stampo accusatorio è però la chiara contrapposizione di due fasi principali – quella preliminare e quella del giudizio di merito — strutturate come autonome in termini di diversità di organi, ma soprattutto di funzioni, in ragione della centralità assegnata al dibattimento nella elaborazione della prova.
Dalla netta cesura tra le due fasi è derivata dunque l’esigenza, puntualmente avvertita dai codificatori, di una più precisa sistemazione rispetto al passato delle attività di raccordo tra le medesime in funzione dell’avvio del giudizio di merito e, in tal senso, il codice del 1988 – nel Titolo I e nel Capo II del Titolo II del citato Libro VII – ha quindi distinto due segmenti processuali (o sub-fasi che dir si voglia) dedicati, rispettivamente, agli «atti preliminari al dibattimento» ed agli «atti introduttivi».
Nel primo (artt. 465 – 469) sono stati collocati gli atti di natura organizzativa propedeutici alla celebrazione del dibattimento, oltre alla disciplina dell’assunzione delle prove non rinviabili e, per l’appunto, della sentenza anticipata di proscioglimento.
Il secondo (artt. 484 – 495), invece, coagula in una fase organica una serie eterogenea di attività processuali – che vanno dalla verifica della costituzione delle parti e dalla deduzione, discussione e decisione delle questioni preliminari, alla formale dichiarazione di apertura del dibattimento ed all’assunzione dei provvedimenti del giudice in ordine alla prova – accomunate dalla strumentale funzione di garantire la regolare introduzione del dibattimento, ma soprattutto dalla circostanza che, al contrario di quelle menzionate nel Titolo I, si tratta di attività che vengono svolte nell’udienza dedicata alla celebrazione dello stesso dibattimento.
In particolare, mentre il primo segmento corrisponde sostanzialmente a quello degli «atti preliminari al giudizio» isolato nel Titolo I del Libro III del codice previgente, la formale configurazione di quello ulteriore è frutto di una inedita scelta del legislatore del 1988, posto che nell’assetto previgente le attività che al suo interno sono ora raggruppate non avevano un altrettanto definita sistemazione; circostanza questa che aveva suscitato qualche dubbio sull’effettiva estensione del periodo “predibattimentale” in assenza di una chiara cesura tra l’attività preparatoria svolta prima e nel corso dell’udienza, nonché dei dubbi da alcuni sollevati in merito all’inquadramento sistematico della disposizione relativa alle formalità di apertura del dibattimento (l’art. 430 del codice del 1930) a causa della sua mancata collocazione nella sezione del Titolo dedicata agli «atti del dibattimento».
Orbene, ad avviso delle Sezioni Unite, è proprio sull’esatta definizione dei confini del segmento predibattimentale che i due orientamenti divergono pervenendo conseguentemente a diverse conclusioni nell’individuazione dell’ambito di applicazione dell’art. 469 cod. proc. pen. in quanto, per le pronunzie riconducibili all’orientamento “estensivo“, sostanzialmente la fase predibattimentale si prolungherebbe, senza soluzione di continuità, fino al momento in cui vengono compiute le formalità di apertura del dibattimento di cui tratta l’art. 492, ritenuto l’unico riferimento sistematico idoneo a segnare un chiaro sbarramento tra i diversi segmenti processuali ed a siglare l’inizio della fase dibattimentale.
Per la Corte di legittimità, tuttavia, tale ricostruzione non poteva però essere condivisa.
Anzitutto la stessa contrastava, ad avviso della Suprema Corte, con la già illustrata impostazione sistematica adottata dal legislatore il quale ha inteso scandire con maggior nettezza rispetto al passato la sequenza procedimentale relativa alla fase del giudizio di merito attraverso la configurazione di una serie di segmenti cronologicamente e funzionalmente ordinati, nella quale, con l’esaurimento di quello precedente ha inizio quello successivo.
E non v’è quindi dubbio, per la Cassazione, che, seguendo tale impostazione, si sia voluto isolare la sub-fase degli atti preliminari da quella degli atti introduttivi, collocandone la disciplina in titoli distinti del Libro VII, apparendo in tal senso appare priva di un effettivo ancoraggio sistematico l’opzione proposta dall’orientamento qui criticato, che si risolve, da un lato, nella ripartizione del segmento degli atti introduttivi in due ulteriori sub-fasi separate dall’adempimento delle formalità di cui all’art. 492 cod. proc. pen., nonostante lo stesso sia stato invece configurato come un insieme unitario dai codificatori, e, dall’altro, nella creazione di una macro-fase – nella quale viene identificato il “predibattimento” – costituita dalla saldatura del segmento relativo agli atti preliminari con quello ad oggetto gli atti introduttivi che precedono l’apertura del dibattimento.
In secondo luogo, sempre ad avviso della Suprema Corte, non è condivisibile l’assunto da cui tale percorso esegetico prende le mosse, ossia che la cesura tra il “predibattimento” ed il “dibattimento” sarebbe stata espressamente fissata dal codice nel compimento delle formalità di cui all’art. 492 cod. proc. pen., con conseguente espunzione dall’ambito del secondo dell’attività introduttiva posta in essere precedentemente.
In definitiva, per la Corte, ciò che viene attribuito al legislatore è di aver aderito ad una accezione riduttiva del dibattimento, ma ancora una volta l’assunto finisce per risultare in contrasto con le scelte di ordine sistematico operate dal medesimo atteso che nulla nell’impianto codicistico consente di asseverare tale conclusione, mentre plurimi sono gli indici di segno contrario, evidenziandosi a tal proposito, sotto un primo profilo, che l’intera disciplina degli atti introduttivi è stata collocata nel Titolo II del Libro VII intitolato al «dibattimento», rivelando la chiara volontà del legislatore di considerare tale segmento nella sua globalità come parte integrante dello stesso, e ciò indubbiamente risulta coerente alla logica sottesa alla selezione delle attività la cui disciplina è stata condensata nello stesso Titolo (e non solo nel Capo II del medesimo), il cui comune denominatore è costituito dal fatto che esse – al contrario di quelle compiute nella precedente fase degli atti preliminari, come di quelle attinenti alla successiva fase della deliberazione – vengono indistintamente svolte nell’udienza pubblica con la partecipazione di tutte le parti legittimate a comparire dinanzi al giudice competente per il giudizio.
Risulta allora, per la Cassazione, agevole riconoscere che nell’intitolazione del Titolo II il legislatore ha inteso identificare come “dibattimento” l’intera sequenza procedimentale ricompresa tra la verifica della costituzione delle parti e la dichiarazione di cui all’art. 524 cod. proc. pen., considerando dunque anche gli atti introduttivi antecedenti alla dichiarazione di cui all’art. 492 come parte integrante del medesimo ma ciò non significa tuttavia che il suddetto termine sia sempre stato utilizzato dal legislatore in tale ampia accezione, dovendosi invece di volta in volta stabilirne la portata definitoria alla luce della specificità del contesto normativo in cui viene dispiegato; così, ad esempio, in accordo con la ratio del principio di immutabilità, non è in dubbio che l’art. 525, comma 2, cod. proc. pen., nello stabilire che alla deliberazione provveda il giudice che ha partecipato al dibattimento, si riferisce alle sole attività processuali specificamente volte alla verifica processuale dell’ipotesi accusatoria, ossia quelle concernenti l’ammissione e l’assunzione delle prove (Sez. U, n. 41736 del 30/05/2019; Sez. U, n. 2 del 15/01/1999).
Per converso è altrettanto indubbio, per i giudici di piazza Cavour, che in altri ambiti il “dibattimento” viene evocato praticamente come sinonimo di giudizio, come nel caso dell’art. 18, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen. il quale, tra le ipotesi che legittimano la separazione nel processo soggettivamente cumulativo, espressamente contempla quelle della mancata comparizione «al dibattimento» di un imputato o del suo difensore in conseguenza della rilevata omissione o invalidità della citazione o della relativa notifica, così come analoghe considerazioni valgono per l’art. 23, comma 1, cod. proc. pen. che disciplina la dichiarazione dell’incompetenza rilevata «nel dibattimento di primo grado».
II carattere polisemico che assume nel lessico codicistico il termine “dibattimento” porta quindi la Corte di legittimità a ridimensionare la rilevanza dell’art. 492 cod. proc. pen., indicato invece dalla sentenza n. 2441/2008 e da quelle che l’hanno richiamata come unico riferimento sistematico attendibile per individuare la cesura tra la fase predibattimentale e quella dibattimentale.
In proposito era anzitutto sottolineato che la formula «dichiara aperto il dibattimento» riproduce in maniera tralaticia quella del già citato art. 430 del codice del 1930 mentre però nell’assetto previgente l’apertura del dibattimento era preceduta esclusivamente dalla verifica della costituzione delle parti e dalla lettura delle imputazioni, in quello voluto dalla riforma del 1988, come si è già ricordato, la fase introduttiva del giudizio di merito ha assunto un ben più articolato contenuto, divenendo ad esempio la sede preposta alla proposizione e decisione delle questioni preliminari nel pieno contraddittorio di tutte le parti legittimamente costituite.
In tal senso all’adempimento di cui all’art. 492 cod. proc. pen. sembra essere stato dunque assegnato il significato formale di riferimento temporale per l’attivazione di determinati poteri di carattere processuale e sostanziale (si pensi ad esempio alla domanda di oblazione) non più esercitabili nel prosieguo del dibattimento ma, anche a prescindere da tale annotazione, per la Corte di legittimità, non corrisponde al vero che nella traduzione normativa dei vari segmenti in cui si articola la sequenza procedimentale disciplinata nel Libro VII non siano espressamente descritte le cesure che consentano di identificare con certezza la loro estensione temporale atteso che, come già ricordato da Sez. U, n. 6 del 24/03/1995, la fase degli atti preliminari al dibattimento ha inizio non già con il provvedimento con il quale viene disposto il rinvio a giudizio dell’imputato, bensì con la sua effettiva ricezione da parte del giudice designato nello stesso per procedere al giudizio, come chiaramente si evince dall’art. 465 cod. proc. pen., così come analogamente l’esordio degli atti introduttivi trova un preciso riscontro normativo nell’art. 484 cod. proc. pen., mentre l’istruttoria dibattimentale inizia non già con la dichiarazione di apertura del dibattimento, bensì, per come recita l’art. 496 cod. proc. pen., con l’effettiva assunzione delle prove richieste dalla pubblica accusa.
Ed è ovvio dunque, per la Suprema Corte, che ognuno di questi atti scandisce altresì l’esaurimento della sub-fase antecedente secondo la progressione cronologica che alla sequenza procedimentale è stata impressa dal legislatore.
In particolare, proprio l’art. 484 cod. proc. pen. significativamente stabilisce che il giudice, «prima di dare inizio al dibattimento», proceda alla verifica della regolare costituzione delle parti, rivelando come all’adempimento di tale compito prenda avvio senza soluzione di continuità il dibattimento e debba dunque considerarsi esaurita la fase predibattimentale.
Ciò posto, era altresì fatto presente come tali conclusioni non trovino poi effettiva smentita nelle due pronunzie delle Sezioni Unite che sono state richiamate dalle sentenze nn. 2441/2008 e 19517/2016 non avendo la sentenza n. 3027/2001 in alcun modo affrontato la questione di cui si tratta ed appare dunque ultroneo ricavare per implicito dal fatto che la fattispecie concreta oggetto di decisione riguardava una pronunzia di proscioglimento adottata ex art. 469, cod. proc. pen. nella fase degli atti introduttivi un effettivo avallo all’orientamento qui disatteso, dovendosi a tutto concedere quantomeno riconoscersi che la motivazione della citata pronunzia difetta di una effettiva base argomentativa con la quale operare un confronto sul punto.
Considerazioni analoghe valgono, per la Corte, per la sentenza n. 42/1995, essendo vero che in questo caso le Sezioni Unite hanno espressamente riconosciuto natura predibattimentale alla sentenza di proscioglimento pronunziata prima della dichiarazione di cui all’art. 492 cod. proc. pen., ma anche in tale occasione il contrasto interpretativo non riguardava direttamente la questione oggi controversa, mentre il principio è stato affermato in maniera assertiva, senza fornire argomenti a sostegno dell’orientamento “estensivo“.
Alla luce delle considerazioni svolte era dunque condiviso il primo dei due orientamenti precedentemente illustrati laddove esso sostiene che quelle degli atti preliminari e degli atti introduttivi sono fasi processuali distinte ed autonome e che solo nella prima si identifica il predibattimento, costituendo la seconda, invece, parte integrante del dibattimento.
La configurazione di un segmento processuale autonomo dedicato agli atti preliminari al dibattimento è peraltro inevitabile conseguenza del fatto che la transizione del procedimento dalla fase preliminare a quella del giudizio comporta adempimenti di carattere ordinatorio o connessi all’esercizio del diritto alla prova funzionali all’ordinato svolgimento del dibattimento, ma, soprattutto, l’attesa del decorso dei termini dilatori di comparizione delle parti.
In particolare, questa sorta di tempo “sospeso” (ancorchè “operoso” come è stato definito in dottrina), caratterizza la fase rispetto a quella successiva, dalla quale si distingue soprattutto per la mancata instaurazione di un contraddittorio diretto tra le parti ed il giudice, salvo che nell’eccezionale ipotesi in cui, per evitare il rischio di una loro dispersione, venga disposta l’assunzione anticipata di alcune prove.
La dislocazione dell’art. 469 cod. proc. pen. all’interno dello statuto dedicato espressamente (ed esclusivamente) alla disciplina di una fase così fortemente caratterizzata, non può dunque, per la Corte di legittimità, essere considerata neutra e da ciò se ne faceva discendere come, del tutto correttamente, le pronunzie riconducibili al primo dei due orientamenti in contrasto abbiano ricavato da tale dato un sicuro indice della volontà del legislatore di confinare in questo periodo l’ambito di operatività della citata disposizione, traendone coerentemente il principio per cui la sentenza anticipata di proscioglimento può essere pronunziata solo anteriormente all’avvio del dibattimento, come peraltro recita la stessa rubrica dell’articolo in questione.
Ma, ad avviso delle Sezioni Unite, decisivi riscontri a tali conclusioni si traevano anche dalla disciplina e dalla struttura dell’istituto, non essendo dubbio che il proscioglimento anticipato risponde a finalità deflattive e di economia processuale ma, soprattutto, come sottolineato dalla Relazione al Progetto del 1988, nel contesto della codificazione vigente «assume un ruolo prevalente di garanzia per l’imputato che preferisca non affrontare il dibattimento».
Come noto, l’art. 469 cod. proc. pen. trova il suo antecedente storico nell’art. 421 del codice previgente, il cui testo è stato in larga parte riproposto dalla prima disposizione menzionata, ma si riteneva opportuno ricordare come il Progetto di riforma del 1978 avesse affidato esclusivamente all’udienza preliminare la funzione di filtro dell’eventuale sussistenza di cause di improcedibilità o di estinzione del reato, eliminando la figura della sentenza di proscioglimento prima del dibattimento.
Come precisato dalla citata Relazione al Progetto del 1988, il ripristino di tale filtro anche in una fase successiva al rinvio a giudizio si era resa necessaria, oltre che per il riconoscimento di come una causa di estinzione sopravvenuta «non sarebbe accertabile se non che al dibattimento», in conseguenza dell’innovativa introduzione tra i riti speciali anche del giudizio immediato, il quale non contempla l’udienza preliminare.
La funzione dell’istituto e le ragioni del suo ripristino rivelano, dunque, ad avviso della Corte di legittimità, che la sua operatività sia stata comunque concepita come eccezionale, come del resto eccezionale deve considerarsi l’attribuzione di poteri decisori al giudice in una fase anteriore al dibattimento, nella quale egli ha una limitata conoscenza della materia giudiziale e nella quale, soprattutto, non è fisiologicamente contemplata l’instaurazione del contraddittorio con le parti.
Ma, sempre per i giudici di piazza Cavour, l’eccezionalità dell’istituto si apprezza altresì nel confronto proprio con la sua struttura, quel confronto che sostanzialmente le pronunzie dell’orientamento qui disatteso hanno omesso di praticare, dal momento che il proscioglimento anticipato può essere pronunziato esclusivamente laddove il giudice rilevi l’esistenza di una causa di improcedibilità o improseguibilità dell’azione penale ovvero di estinzione del reato o ancora – a seguito delle modifiche apportate dai d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, che ha introdotto nell’art. 469 l’inedito comma 1-bis – dei requisiti per il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. e ritenga non necessario per il loro accertamento procedere al dibattimento.
Tal che se ne faceva discendere come l’orizzonte applicativo della sentenza ex art. 469 sia tassativamente delimitato dalla legge e conseguentemente il giudice può pronunciare il proscioglimento soltanto nelle ipotesi espressamente indicate e in ragione di una verifica meramente “cartolare” dell’inutile prosecuzione del giudizio.
Di conseguenza, in questi esclusivi termini, è stata declinata dal legislatore nella fase degli atti preliminari ed in accordo con la funzione di quest’ultima la regola generale dell’immediata declaratoria delle cause di non punibilità prevista dall’art. 129 cod. proc. pen., a riprova di come tale disposizione non attribuisca al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l’epilogo proscioglitivo nelle varie fasi e nei diversi gradi del processo, ma enunci, per l’appunto, una regola di condotta o di giudizio che deve conformarsi allo stadio processuale in cui deve essere applicata (Sez. U, n. 12283 del 25/01/2005; Corte Cost. sent. n. 91 del 1992).
Ne consegue quindi per la Corte che l’art. 129 cod. proc. pen. non può trovare autonoma applicazione nello specifico segmento processuale cui si rivolge invece l’art. 469 cod. proc. pen., che costituisce fonte e limite del potere di proscioglimento anticipato attribuito al giudice nella fase e devono dunque essere ribadite le conclusioni cui è approdata in tal senso la più volte citata Sezioni Unite n. 3027/2001 con riguardo alla funzione “esclusiva” e non “inclusiva” della clausola con cui esordisce la disposizione da ultima citata («Salvo quanto previsto dall’art. 129 comma 2»).
Nel predibattimento, a fronte dell’accertata sussistenza di una delle cause tassativamente selezionate dall’art. 469, è conseguentemente inibito al giudice di pronunziarsi sul merito della regiudicanda ancorché, alla luce delle cause per cui è consentito il proscioglimento dell’imputato, egli non sia chiamato a pronunziare una sentenza a contenuto esclusivamente processuale posto che egli non nega, sempre e soltanto, la legittimità del processo ma, in alcuni casi, lo stesso dovere di punire, assumendo implicitamente l’astratta ipotizzabilità del reato per cui si procede, il che è particolarmente evidente nell’ipotesi di cui al comma 1-bis del suddetto articolo ma anche, ad esempio, nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Oltre a ciò, era inoltre rilevato come la chiave di volta che legittima questa configurazione e la conseguente restrittiva declinazione dell’obbligo di immediata declaratoria andasse rinvenuta nell’ulteriore condizione posta dall’art. 469 cod. proc. pen. per la pronunzia della sentenza anticipata di proscioglimento, ossia la mancata opposizione del pubblico ministero e dell’imputato alla sua adozione.
Quello configurato dal legislatore – in maniera del tutto innovativa rispetto all’art. 421 del codice del 1930 — è quindi nella sua sostanza un accordo trilaterale la cui iniziativa è rimessa al giudice, al quale le parti consentono di prosciogliere anticipatamente l’imputato per le ragioni tassativamente previste, rinunziando conseguentemente in tali casi al dibattimento ed al diritto di far valere nella loro sede naturale le proprie valutazioni sul merito dell’accusa posto che, come più volte evidenziato, nella fase degli atti preliminari non è contemplata alcuna sede deputata all’interlocuzione dialettica tra il giudice e le parti del processo, l’art. 469 cod. proc. pen. impone al primo l’obbligo di instaurare il contraddittorio camerale al fine di interpellare le seconde sul “progetto” di proscioglimento anticipato ed acquisire il loro eventuale assenso al medesimo nella forma minima della “non opposizione” fermo restando che, per un verso, nell’ipotesi prevista dal comma 1-bis dello stesso articolo, è altresì stabilito che il contraddittorio venga allargato anche alla persona offesa, alla quale viene però garantito soltanto il mero diritto di interlocuzione – esercitabile peraltro solo nel caso la stessa compaia all’udienza camerale – non essendole invece riconosciuto un potere di paralizzare l’iniziativa del giudice analogo a quello assegnato alle parti necessarie, per altro verso, dalla configurazione del proscioglimento predibattimentale come decisione a base sostanzialmente “negoziale” (ancorché vincolata nei contenuti) il legislatore ha poi fatto discendere la previsione della sua inappellabilità, quale logico corollario della implicita rinuncia delle parti alla valutazione del merito dell’accusa.
Il modello di decisione adottato dal legislatore e la sua disciplina risultano dunque, per la Corte, intrinsecamente connessi alla particolare natura e struttura del periodo processuale in cui il proscioglimento anticipato viene pronunziato ed alla funzione di quest’ultimo di evitare, soprattutto (come ricordato) a garanzia dell’imputato, l’effettiva instaurazione del dibattimento.
La configurazione del modello appare in altri termini incompatibile con una fase nella quale si instaura naturalmente il pieno contraddittorio con tutte le parti processuali e non solo con quelle necessarie, come invece imposto dall’art. 469 cod. proc. pen..
Una fase, quella per l’appunto che segue alla verifica della costituzione delle parti, in cui perde di significato e di coerenza la previsione di una udienza camerale dedicata all’interpello delle parti e che correttamente la sentenza n. 48310/2008 ha ritenuto invece un indice della volontà del legislatore di confinare il proscioglimento anticipato nell’intervallo temporale che precede l’avvio del dibattimento, mentre del tutto apodittica risulta la contestazione della rilevanza di tale dato da parte delle sentenze nn. 2441/2008 e 19517/2016.
Non meno coerente risulterebbe essere, ad avviso della Cassazione, consentire poi l’operatività della norma citata successivamente alla costituzione anche delle parti “eventuali” o “accessorie” che dir si voglia, alle quali comunque non viene riconosciuto alcun potere di inibire il proscioglimento anticipato e a cui appare difficile riconoscere a questo punto anche solo un mero diritto di interlocuzione, visto che espressamente lo stesso è stato previsto per la sola persona offesa ed esclusivamente nell’ipotesi disciplinata dal comma 1-bis dello stesso art. 469 cod. proc. pen..
Doveva dunque ritenersi per le Sezioni Unite, in adesione al primo degli orientamenti in contrasto, che la sentenza predibattimentale di proscioglimento ex art. 469 cod. proc. pen. è esclusivamente quella pronunziata nella fase degli atti preliminari, ossia fino al compimento delle formalità previste dall’art. 484 dello stesso codice, che ne segna l’esaurimento mentre il proscioglimento anticipato deciso una volta instaurato il contraddittorio nell’udienza pubblica deve considerarsi sempre pronunziato in applicazione della regola di giudizio di cui all’art. 129 cod. proc. pen. e la relativa sentenza risulta appellabile nei limiti in cui la legge lo consente.
Coerentemente a tali conclusioni doveva parimenti ritenersi che perda di significato la ulteriore questione pure agitata dall’ordinanza di rimessione e relativa alla rilevanza qualificatoria del contenuto della sentenza pronunziata ai sensi dell’art. 469 cod. proc. pen. giacchè, se questa è stata effettivamente emessa nella fase degli atti preliminari, non perde la sua natura di sentenza predibattimentale solo perchè adottata nonostante l’opposizione di una delle parti necessarie ovvero senza che le stesse siano state interpellate o, ancora, per ragioni diverse da quelle per cui il citato articolo consente il proscioglimento anticipato prima del dibattimento e, pertanto – in continuità con quanto già ritenuto in proposito dalle stesse Sezioni Unite n. 3027/2001 – veniva ribadito che l’eventuale illegittimità della sentenza predibattimentale adottata fuori dai casi consentiti è impugnabile esclusivamente mediante il ricorso per cassazione.
Le Sezioni Unite, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, affermavano il seguente principio: «La sentenza di proscioglimento, pronunziata dopo la costituzione delle parti, non è riconducibile al modello di cui all’art. 469 cod. proc. pen. ed è appellabile nei limiti indicati dalla legge».
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante in quanto con essa, componendosi un precedente contrasto giurisprudenziale, dopo un lungo e articolato ragionamento giuridico, si afferma che la sentenza di proscioglimento, pronunziata dopo la costituzione delle parti, non è riconducibile al modello di cui all’art. 469 cod. proc. pen. ed è appellabile nei limiti indicati dalla legge.
La risposta che deve essere data al quesito proposto nel titolo del presente contributo, ossia se la sentenza di proscioglimento, pronunziata dopo la costituzione delle parti, è appellabile, quindi, deve essere positiva.
Non rileverà per contro, nel caso di specie, quanto sancito dall’art. 469 cod. proc. pen. che, come è noto, al contrario sancisce l’inappellabilità della sentenza con cui il giudice, salvo quanto previsto dall’art. 129, co. 2, cod. proc. pen., proscioglie l’imputato se l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, ovvero se il reato è estinto e se per accertarlo non è necessario procedere al dibattimento.
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