ABSTRACT
Il presente contributo esamina le disposizioni introdotte dal decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, così come modificato dal decreto legislativo 21 settembre 2005, n. 238, in materia di tutela dell’ambiente e mette in rilievo i contenuti di alcune sentenze della Corte Costituzionale intervenute nei giudizi di legittimità costituzionale di leggi regionali in materia ambientale e disciplina delle attività a rischio di incidente rilevante.
PREMESSA
Le direttive comunitarie c.d. “Seveso II”[1] e ”Seveso III”[2] dettano disposizioni finalizzate a prevenire gli incidenti rilevanti connessi a determinate sostanze pericolose e a limitarne le conseguenze per l’uomo e per l’ambiente.
Per quanto riguarda la disciplina sulla tutela dell’ambiente, non solo le Regioni ordinarie non hanno acquisito maggiori competenze – invocabili anche dalle Regioni a statuto speciale – ma, al contrario, è stata espressamente riconosciuta allo Stato una competenza legislativa esclusiva, sia pure in termini che non escludono il concorso di normative delle Regioni; queste ultime fondate sulle rispettive competenze, per il conseguimento di finalità di tutela ambientale (cfr. sentenze della Corte Costituzionale n. 407 del 2002, n. 307 e n. 312 del 2003, n. 259 del 2004).
Alcune recenti sentenze della Corte Costituzionale intervenute nei giudizi di legittimità costituzionale, promossi con ricorsi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, relativi a leggi regionali in materia ambientale mettono in rilievo che la normativa regionale non può contrastare con i principi stabiliti dallo Stato in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione) e nelle materie di competenza legislativa regionale di tipo concorrente, quali la “tutela della salute”, il “governo del territorio”, la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali” e la “protezione civile”, quest’ultima intesa in senso preventivo (art. 117, secondo comma, lettere l e m, nonché art. 3 della Costituzione).
Nella fase di attuazione del diritto comunitario, come precisato dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 336 del 27 luglio 2006), la definizione del riparto interno di competenze tra Stato e Regioni in materie di legislazione concorrente e, dunque, la stessa individuazione dei principî fondamentali, non può prescindere dall’analisi dello specifico contenuto e delle stesse finalità ed esigenze perseguite a livello comunitario.
1) LA TUTELA DELL’AMBIENTE
Il tema della tutela ambientale entra a far parte del testo costituzionale soltanto nel 2001, quando il nuovo art. 117, secondo comma, lettera s), stabilisce che lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di “tutela dell’ambiente” (legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n.3).
Invero, dall’elaborazione giurisprudenziale della Corte Costituzionale, anche antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione (cfr. sentenze n. 507 e n. 504 del 2000, n. 382 del 1999 e n. 273 del 1998), è agevole ricavare una configurazione dell’ambiente come “valore” costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia trasversale, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando tuttavia allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli della disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale.
L’evoluzione normativa e la giurisprudenza costituzionale, quindi, portano ad escludere che la “tutela dell’ambiente” possa configurarsi in una materia in senso stretto, dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia con altri interessi e competenze e rappresenta, invece, un compito nell’esercizio del quale lo Stato conserva il potere di fissare standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale.
Ciò non esclude, però, la possibilità che il legislatore regionale, nell’esercizio della potestà concorrente di cui all’articolo 117 della Costituzione, possa assumere tra i propri scopi la cura di “interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali” (cfr. sentenze n. 135 e n. 62 del 2002; n. 307 e n. 222 del 2003; sentenza n. 407 del 2002).
In una recente sentenza (n. 182 del 2006), la Corte Costituzionale ha precisato che lo Stato deve far valere la propria potestà legislativa primaria in materia di ambiente e beni culturali (art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione) e la propria potestà di stabilire principi fondamentali in materia di governo del territorio e valorizzazione dei beni culturali (art. 117, terzo comma, della Costituzione), ai quali le Regioni devono sottostare nell’esercizio delle proprie competenze, cooperando eventualmente ad una maggior tutela del paesaggio, ma sempre nel rispetto dei principi fondamentali fissati dallo Stato.
2) LA DISCIPLINA DELLE ATTIVITA’ A RISCHIO DI INCIDENTE RILEVANTE
L’art. 18 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose) stabilisce che «La Regione disciplina, ai sensi dell’articolo 72 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, l’esercizio delle competenze amministrative in materia di incidenti rilevanti.
A tal fine, la Regione: a) individua le autorità competenti titolari delle funzioni amministrative e dei provvedimenti discendenti dall’istruttoria tecnica e stabilisce le modalità per l’adozione degli stessi, prevedendo la semplificazione dei procedimenti ed il raccordo con il procedimento di valutazione di impatto ambientale; b) definisce le modalità per il coordinamento dei soggetti che procedono all’istruttoria tecnica, raccordando le funzioni dell’ARPA con quelle del comitato tecnico regionale di cui all’articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 29 luglio 1982, n. 577, e degli altri organismi tecnici coinvolti nell’istruttoria, nonché, nel rispetto di quanto previsto all’articolo 25, le modalità per l’esercizio della vigilanza e del controllo; c) definisce le procedure per l’adozione degli interventi di salvaguardia dell’ambiente e del territorio in relazione alla presenza di stabilimenti a rischio di incidente rilevante».
3) LESENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE SU LEGGI REGIONALI IN MATERIA DI “NORMATIVA SEVESO” e “TUTELA DELL’AMBIENTE”.
Nella sentenza n. 407 del 26 luglio 2002, la Corte Costituzionale interviene nel giudizio nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, 4, comma 2, 5, commi 1 e 2, della legge della Regione Lombardia 23 novembre 2001, n. 19 (Norme in materia di attività a rischio di incidenti rilevanti), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Nel caso in esame, il ricorrente sosteneva che la disciplina delle attività a rischio di incidenti rilevanti sarebbe stata riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettere h) ed s), nel testo modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, in quanto riconducibile alle materie «sicurezza» e «tutela dell’ambiente».
In tal senso, infatti, l’art.18 del d.lgs. 17 agosto 1999, n. 334 e l’art. 72 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, hanno attribuito alle regioni il potere di regolamentare il procedimento di istruttoria tecnica, le autorità titolari delle competenze conseguenti, il raccordo con il procedimento di valutazione di impatto ambientale, le modalità di coordinamento dei soggetti che svolgono l’istruttoria tecnica, le procedure per gli interventi di salvaguardia dell’ambiente e del territorio.
La Regione Lombardia, invece, adduceva l’argomentazione che, sebbene il controllo sugli impianti e sulle industrie a rischio di incidenti rilevanti riguardasse sia la materia “sicurezza”, sia la materia “tutela dell’ambiente”, gli artt. 72 del d.lgs. n. 112 del 1998 e 18 del d.lgs. n. 334 del 1999 dimostrerebbero che questo controllo interferisce con le materie “governo del territorio”, “tutela della salute” e “protezione civile”, attribuite alla competenza legislativa di tipo concorrente della Regione. Inoltre, il d.m. 9 maggio 2001[3], disponendo che «le Regioni assicurano il coordinamento delle norme in materia di pianificazione urbanistica, territoriale e di tutela ambientale con quelle derivanti dal decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 e dal presente decreto», nonché «il coordinamento tra i criteri e le modalità stabiliti per l’acquisizione e la valutazione delle informazioni di cui agli articoli 6, 7 e 8 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 e quelli relativi alla pianificazione territoriale e urbanistica» (art. 2, commi 1 e 3), conforterebbero che la prevenzione ed il controllo sui rischi di incidenti rilevanti è riconducibile anche a materie attribuite alla competenza legislativa regionale di tipo concorrente.
Nella sentenza in esame, la Corte Costituzionale ha sancito che la disciplina delle attività a rischio di incidente rilevante è riconducibile al disposto dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, relativo alla tutela dell’ambiente e non può rientrare nell’ambito materiale riservato alla competenza esclusiva dello Stato dalla lettera h) dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione.
Al riguardo, la Corte Costituzionale precisa che non tutti gli ambiti materiali specificati nel secondo comma dell’art. 117 possono, in quanto tali, configurarsi come "materie" in senso stretto, poiché, in alcuni casi, si tratta più esattamente di competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralità di materie (cfr. sentenza n. 282 del 2002). In questo senso l’evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico, qualificabile come "tutela dell’ambiente", dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una configurazione dell’ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale (cfr., da ultimo, sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998).
D’altra parte, i lavori preparatori relativi alla lettera s) del nuovo art. 117 della Costituzione inducono a considerare che l’intento del legislatore sia stato quello di riservare comunque allo Stato il potere di fissare standards di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, senza peraltro escludere in questo settore la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. In definitiva, si può quindi ritenere che riguardo alla protezione dell’ambiente non si sia sostanzialmente inteso eliminare la preesistente pluralità di titoli di legittimazione per interventi regionali diretti a soddisfare contestualmente, nell’ambito delle proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato.
Anche nella fattispecie in esame, del resto, emerge dalle norme comunitarie e statali, che disciplinano il settore, una pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti e funzionalmente collegati con quelli inerenti in via primaria alla tutela dell’ambiente. A questo proposito occorre, innanzi tutto, ricordare che nei "considerando" della citata direttiva 96/82/CE si afferma, tra l’altro, che la prevenzione di incidenti rilevanti è necessaria per limitare le loro "conseguenze per l’uomo e per l’ambiente", al fine di "tutelare la salute umana", anche attraverso l’adozione di particolari politiche in tema di destinazione e utilizzazione dei suoli. Più specificamente, il citato decreto legislativo di recepimento n. 334 del 1999, dopo avere, all’art. 1, premesso che il decreto stesso contiene disposizioni finalizzate a prevenire incidenti rilevanti connessi a determinate sostanze pericolose e a "limitarne le conseguenze per l’uomo e per l’ambiente", all’art. 3, comma 1, lettera f), definisce "incidente rilevante" l’evento che "dia luogo ad un pericolo grave, immediato o differito, per la salute umana o per l’ambiente". E gli stessi concetti vengono sostanzialmente ribaditi anche negli artt. 7, comma 1, e 8, commi 2 e 10, cosicché si può fondatamente ritenere, in riferimento alle norme citate, che il decreto in esame attenga, oltre che all’ambiente, anche alla materia "tutela della salute", la quale, ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, rientra nella competenza concorrente delle regioni.
Così pure rientra nella competenza concorrente regionale la cura degli interessi relativi alla materia "governo del territorio", cui fanno riferimento, in particolare, gli artt. 6, commi 1 e 2, 8, comma 3, 12 e 14 dello stesso decreto, i quali prescrivono i vari adempimenti connessi all’edificazione e alla localizzazione degli stabilimenti, nonché diverse forme di "controllo sull’urbanizzazione". Anche le competenze relative alla materia della "protezione civile" possono essere individuate in alcune norme del citato decreto, come, ad esempio, l’art. 11, l’art. 12, l’art. 13, comma 1 lettera c), comma 2 lettere c) e d), l’art. 20 e l’art. 24, le quali prevedono essenzialmente la disciplina dei vari piani di emergenza nei casi di pericolo "all’interno o all’esterno dello stabilimento". Infine, alcune norme, come, in particolare, i citati artt. 5, commi 1 e 2, ed 11 dello stesso decreto, sono riconducibili anche alla materia “tutela e sicurezza del lavoro”, egualmente compresa nella legislazione concorrente.
In definitiva, sostiene la Corte Costituzionale nella sentenza in esame, il decreto legislativo n. 334 del 1999 riconosce che le regioni sono titolari, in questo campo disciplinare, di una serie di competenze concorrenti, che riguardano profili indissolubilmente connessi ed intrecciati con la tutela dell’ambiente.
Nella sentenza n. 62 del 29 gennaio 2005[4] viene affermato che la competenza statale in tema di tutela dell’ambiente, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione, non esclude la concomitante possibilità per le Regioni di intervenire, anche perseguendo finalità di tutela ambientale (cfr. sentenze n. 407 del 2002, n. 307 del 2003 e n. 259 del 2004), nell’esercizio delle loro competenze in tema di “tutela della salute” e di “governo del territorio”, ovviamente nel rispetto dei livelli minimi di tutela apprestati dallo Stato e dell’esigenza di non impedire od ostacolare gli interventi statali necessari per la soddisfazione di interessi unitari, eccedenti l’ambito delle singole Regioni.
Ciò non comporta che lo Stato debba necessariamente limitarsi a stabilire solo norme di principio, lasciando sempre spazio ad una ulteriore normativa regionale; del pari, l’attribuzione delle funzioni amministrative il cui esercizio sia necessario per realizzare interventi di rilievo nazionale può essere disposta, in questo ambito, dalla legge statale, nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione, e in base ai criteri generali dettati dall’art. 118, primo comma, della Costituzione, vale a dire ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Nella stessa sentenza, viene affermato che, quando gli interventi individuati come necessari dallo Stato, in vista di interessi unitari di “tutela ambientale”, concernono l’uso del territorio, e in particolare la realizzazione di opere e di insediamenti atti a condizionare in modo rilevante lo stato e lo sviluppo di singole aree, l’intreccio, da un lato, con la competenza regionale concorrente in materia di “governo del territorio”, oltre che con altre competenze regionali, dall’altro lato con gli interessi delle popolazioni insediate nei rispettivi territori, impone che siano adottate modalità di attuazione degli interventi medesimi che coinvolgano, attraverso opportune forme di collaborazione, le Regioni sul cui territorio gli interventi sono destinati a realizzarsi (cfr. sentenza n. 303 del 2003); il livello e gli strumenti di tale collaborazione possono naturalmente essere diversi in relazione al tipo di interessi coinvolti e alla natura e all’intensità delle esigenze unitarie che devono essere soddisfatte.
Nei suddetti casi, per garantire i principi costituzionali di sussidiarietà, di ragionevolezza e di leale collaborazione, è necessario che siano previste idonee forme di partecipazione della Regione interessata, fermo restando che in caso di dissenso irrimediabile possono essere previsti meccanismi di deliberazione definitiva da parte di organi statali, previa adozione di adeguate garanzie procedimentali anche ai sensi della legge n. 241 del 1990 e s.m.i..
Come precisato in un’altra sentenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 336 del 27 luglio 2005), la salvaguardia di tali garanzie, dopo le modifiche apportate all’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990dall’art. 11 della legge 11 febbraio 2005, n. 15 (Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa), passa – nel caso in cui il dissenso verta tra una amministrazione statale ed una amministrazione regionale – attraverso il coinvolgimento diretto della Conferenza Stato-Regioni.
Nella sentenza n. 182 del 5 maggio 2006[5]viene affermato chela tutela dell’ambiente e dei beni culturali è riservata allo Stato (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.) mentre la valorizzazione dei secondi è di competenza legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.): da un lato, spetta allo Stato il potere di fissare principi di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, e, dall’altro, le leggi regionali, emanate nell’esercizio di potestà concorrenti, possono assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale, purché siano rispettate le regole uniformi fissate dallo Stato.
Appare, in sostanza, legittimo, di volta in volta, l’intervento normativo (statale o regionale) di maggior protezione dell’interesse ambientale (sentenze n. 62, n. 232 e n. 336 del 2005).
In relazione alla pianificazione paesaggistica, lo Stato, nella parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio, pone una disciplina dettagliata, cui le Regioni devono conformarsi, provvedendo o attraverso tipici piani paesaggistici, o attraverso piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici (art. 135, comma 1).
La legge della Regione Toscana n. 1 del 2005 sul governo del territorio tende al superamento della separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall’altro, facendo rientrare la tutela del paesaggio nell’ambito del sistema della pianificazione del territorio e rendendo pertanto partecipi anche i livelli territoriali inferiori di governo (province e comuni) nella disciplina di tutela del paesaggio.
Il principio di fondo di questo sistema – che è condivisibile nella misura in cui gli enti locali sono chiamati a contribuire alla pianificazione regionale (art. 144, comma 1, del Codice); ed in cui gli strumenti di pianificazione territoriale dei livelli sub-regionali di governo perseguano, attraverso la propria disciplina, obiettivi di tutela e valorizzazione del paesaggio (art. 145, comma 4) – presenta però il suo elemento critico, laddove, trasferendo le decisioni operative concernenti il paesaggio alla dimensione pianificatoria comunale, si pone in contraddizione con il sistema di organizzazione delle competenze delineato dalla legge statale a tutela del paesaggio, che costituisce un livello uniforme di tutela, non derogabile dalla Regione, nell’ambito di una materia a legislazione esclusiva statale ex art. 117 Cost., ma anche della legislazione di principio nelle materie concorrenti del governo del territorio e della valorizzazione dei beni culturali.
La giurisprudenza costituzionale ha ammesso che le funzioni amministrative, inizialmente conferite alla Regione, possano essere attribuite agli enti locali (sentenze n. 259 del 2004 e n. 214 del 2005) in materia ambientale, ma è l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica che è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale: il paesaggio va, cioè, rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali.
4)CONCLUSIONI
La disciplina delle industrie a rischio di incidente rilevante di cui al decreto legislativo n. 334 del 1999, come modificato ed integrato dal decreto legislativo n. 238 del 2005, "è riconducibile al disposto dell’articolo 117, secondo comma, lettera s), Cost., relativo alla tutela dell’ambiente" e incide su una “pluralità di interessi e di oggetti, in parte di competenza esclusiva dello Stato, ma in parte anche -come si è visto- di competenza concorrente delle regioni, i quali appunto legittimano una serie di interventi regionali nell’ambito, ovviamente, dei principi fondamentali della legislazione statale in materia”.
Dalla giurisprudenza costituzionale, è agevole ricavare una “configurazione dell’ambiente come ‘valore’ costituzionalmente protetto, che […] delinea una sorta di materia ‘trasversale’" idonea a investire e a intrecciarsi con "competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale". L’intento del Legislatore, quale emerge dai lavori preparatori sull’articolo 117, secondo comma, Cost., è stato "quello di riservare comunque allo Stato il potere di fissare standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, senza peraltro escludere in questo settore la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali".
Ciascuna Regione, nell’ambito delle proprie competenze concorrenti e secondo le previsioni dell’art.18. del D. Lgs. n. 334/1999, può adottare una disciplina che sia maggiormente rigorosa rispetto ai limiti fissati dal legislatore statale, se diretta ad assicurare un più elevato livello di garanzie per la popolazione ed il territorio interessati.
Ing. Concetto APRILE [6]
Siti internet consultati:
· www.vigilfuoco.it;
· www.diritto.it.
[1] La direttiva 96/82/CE del Consiglio dell’Unione Europea del 9 dicembre 1996 è stata recepita con il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 recante “Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose”.
[2] La direttiva 2003/105/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2003 (in GUCE del 31 dicembre 2003) è stata recepita con il decreto legislativo 21 settembre 2005, n. 238 recante “Attuazione della direttiva 2003/105/CE, che modifica della direttiva 96/82/CE sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose”.
[3] Decreto del Ministro dei lavori pubblici del 9 maggio 2001 (pubblicato in S.O. n. 151 alla G.U. n. 138 del 16 giugno 2001) recante “Requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante”.
[4] La sentenza riguarda il giudizio di legittimità costituzionale in relazione alla legge della Regione Toscana del 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il Governo del Territorio), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri.
[5] Sentenza nei giudizi di legittimità costituzionale della legge della Regione Sardegna n. 8 del 3 luglio 2003, legge della Regione Basilicata n. 31 del 21 novembre 2003 e legge della Regione Calabria n. 26 del 5 dicembre 2003 promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio dei Ministri.
[6] Dirigente Ministero dell’Interno – Dipartimento Vigili del Fuoco – Area Rischi Industriali
Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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