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Gli aspetti processuali
I tempi delle cose quotidiane e quelli del diritto non sempre coincidono. Ma l’ordinamento giuridico prevede sempre degli strumenti per consentire la rapida soluzione di alcune problematiche.
Uno di questi è proprio quello che ci accingiamo a trattare a dispetto dell’apparenza marginale e forse anche della sua semplicità: il pagamento delle spese di giudizio e i suoi profili fiscali, tenuto conto che il processo è fonte diretta e indiretta di varie e considerevoli spese per le parti, il cui importo può essere tutt’altro che trascurabile.[1]
L’occasione per questa riflessione mi è data dalla sentenza nr. 4485/2013 Trib. Bari Art. Rutigliano G.U Dr. De Palma, poi definitiva in grado di appello (II Corte Appello Bari sent. nr. 1071/2018 Pres. Di Leo), sentenza che mi vede coinvolto come patrocinatore, in prima e seconda istanza, di una delle parti su un’opposizione a decreto ingiuntivo in materia di contratti bancari, ad eccezione del “pagamento dell’Iva sulle spese legali della fase monitoria. Infatti la Suprema Corte ha più volte chiarito che le somme dovute in rimborso dell’Iva vanno pagate in aggiunta all’importo capitale, quale spese accessorie, solo se l’avente diritto non abbia diritto al rimborso o alla detrazione dell’Iva, a causa dell’attività svolta. La parte soccombente in giudizio non è quindi tenuta a rimborsare alla parte vittoriosa anche l’Iva sulla somma dovuta in rimborso delle spese legali, ai sensi dell’art. 91 cpc, qualora l’avente diritto, come nella specie, sia titolare di partita Iva, quindi in grado di detrarre l’imposta (cfr: artt. 18 e 19 Dpr 633/1972”).
E ci riferiamo alla regolamentazione definitiva delle spese ex art. 91 cpc e cioè alla sentenza, il provvedimento con cui il giudice definisce il giudizio (“chiude il processo”) davanti a se, e a tutti quei provvedimenti aventi forma diversa ma un contenuto risolutivo della controversia apud iudicem su una posizione giuridica soggettiva[2].
Il regolamento delle spese di lite è consequenziale ed accessorio rispetto alla definizione del giudizio, potendo, perciò, la condanna al relativo pagamento legittimamente essere emessa, a carico della parte soccombente ed ex art. 91 cpc, anche d’ufficio, pur se difetti una esplicita richiesta in tal senso della parte vittoriosa. Ne consegue che, ove il difensore di quest’ultima abbia omesso di produrre la nota spese, prevista dall’art. 75 disp. att. cpc ai fini del controllo della congruità ed esattezza della richiesta e di conformità alle tariffe professionali, il giudice deve provvedervi d’ufficio sulla base degli atti di causa[3].
Quindi regolamentazione definitiva delle spese è quella contenuta nel decreto ingiuntivo ex artt. 641 e 653 cpc e nelle corrispondenti ordinanze ex artt. 186 ter e quater cpc; come anche nei provvedimenti resi dal giudice cautelare ex art. 669 septies cpc prima dell’inizio della causa di merito o ex art. 669 octies cpc quando il giudice anticipatorio o d’urgenza della decisione di merito.
Ancora; pronuncia definitiva delle spese si ha nei giudizi di impugnazione in tutti i sensi, dalla definitività delle opposizioni a decreto ingiuntivo e ai reclami ex art. 669 terdicies, al grado diverso e all’accoglimento, rispetto a quelli precedenti, con riferimento all’esito complessivo della lite.
La statuizione sulle spese, immediatamente esecutiva, ricomprende tutte quelle relative agli atti difensivi, la cd. difesa tecnica, quelle per le consulenze tecniche per le attività di accertamento resesi necessari per la lite, il contributo unificato (che ha sostituito le imposte di bollo, la tassa di iscrizione a ruolo. I diritti di cancelleria), le spese di notificazione degli atti, di copia autentica (il tutto regolato dal T.U. spese di giustizia DPR 115/2002), le imposte di registro (sugli atti da registrare in caso d’uso), nonché quelle di registrazione e trascrizione della sentenza.
La liquidazione giudiziale delle spese comprende il compenso dell’avvocato relativo agli atti difensivi predisposti e quindi alla difesa tecnica in generale, comprensiva dell’imposta sul valore aggiunto, del contributo previdenziale, e di una somma dovuta, ex art. 13 co. 10 l. 247/2012, per il rimborso delle spese forfettarie, la cui misura massima deve essere indicata sempre tramite decreto attuativo.
La pronuncia di liquidazione definitiva delle spese, per quel che concerne i compensi e gli accessori, è resa in favore della parte patrocinata, e non del difensore.
Quest’ultimo può solo (sempre che non gli sia stata revocata la procura) chiedere la distrazione degli onorari e delle spese da lui anticipate ex art. 93 cpc (fermo il principio che l’istanza di distrazione non attribuisce comunque al difensore la qualità di parte e che l’omessa pronuncia sul punto deve trovare rimedio nel procedimento di correzione ex artt. 287 e 288).[4]
La condanna alle spese viene intesa come conseguenza automatica della soccombenza nella lite[5], anche se ampie deroghe al principio victus victori[6] sono state introdotte con la violazione del dovere di probità e lealtà ex art. 88 cpc, dell’abuso del processo e per favorire la conciliazione in sede giudiziale e stragiudiziale, ma soprattutto dalle nuove ipotesi di compensazione delle spese ex L. 10.11.2014 n. 162 che ha novellato il 2° comma dell’art. 92 cpc con le ipotesi tipiche fissate dalla legge (“assoluta novità della questione” e “novità della giurisprudenza su questione dirimente”) che tanto dibattito stanno suscitando in dottrina “perché se una parte è soccombente senza torto o senza responsabilità della lite, non può essere condannata alle spese e soprattutto, non può essere condannata alle spese in taluni casi e non in altri del tutto analoghi”.[7]
Non formano oggetto di pronuncia di condanna le spese di giustizia sostenute dal creditore per gli atti conservativi e di espropriazione di beni mobili e immobili ex art. 95 cpc, e chiaramente se fatte nell’interesse comune, sono privilegiate ex artt. 2749, 2755, 2770, 2777 c.c., rispetto ad ogni altro credito anche se pignoratizio o ipotecario. Nel caso di espropriazione forzata queste spese sono a carico del debitore esecutato e formano oggetto di accertamento meramente strumentale alla distribuzione della somma ricavata ex art. 510 cpc o alla determinazione della somma da sostituire al bene pignorato in sede di conversione ex art. 495 cpc.[8]
La statuizione sulle spese si ha anche nelle ipotesi in cui sia eccezionalmente prevista la definizione del processo con ordinanza, in particolare nel caso di pronuncia d’incompetenza che oggi, a seguito della riforma del 2009, assume, per l’appunto, la forma dell’ordinanza e in relazione al procedimento sommario di cognizione che è sempre definito con ordinanza ex art. 702 ter u.c.
Se le parti soccombenti sono più, il giudice condanna ciascuna di esse alle spese e ai danni in proporzione del rispettivo interesse nella causa. Può anche pronunciare condanna solidale di tutte o di alcune tra esse, quando hanno interesse comune. Se la sentenza non statuisce sulla ripartizione delle spese e dei danni, questa si fa per quote eguali (art. 97 cpc).
Quindi lo ius exigendi per il pagamento delle spese di giudizio deve avvenire in virtù di un titolo idoneo regolarmente notificato a’sensi dell’art. 144 cpc; ma anche la notifica a cura della cancelleria è ritenuta equivalente a quella su istanza di parte purchè riguardi l’intero contenuto del provvedimento giurisdizionale.
Molte volte vengono chiesti pagamenti in base alla notifica del solo dispositivo della sentenza. Simili richieste non possono essere accolte; l’individuazione del titolo esecutivo è disciplinato dall’art. 474 cpc il quale sancisce al punto 1) che i titoli esecutivi sono la sentenza (di condanna) ed i provvedimenti a cui la legge attribuisce espressamente tale efficacia, come ad es. l’art. 431 cpc in materia di controversie di lavoro (“all’esecuzione della sentenza di condanna a favore del lavoratore, per crediti derivanti da rapporti in materia di lavoro, si può procedere, in pendenza del termine per il deposito della sentenza, con la sola copia del dispositivo”). Nell’ipotesi in cui non sussiste tale previsione normativa, l’ordinamento della spesa e l’eventuale azionabilità in executivis di tale pretesa deve avvenire unicamente in base all’intero provvedimento del giudice.
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Gli aspetti tributari
Spesso, non ponendo particolare attenzione agli obblighi di carattere fiscale in vario modo legati alla pronuncia giudiziale, viene invocata dalla parte vittoriosa o dal suo legale distrattario ex art. 93 cpc una “discrezionalità fiscale” che non c’è e che la legittima a detrarre a propria scelta l’imposta Iva e a riversare “potestativamente” sul debitore (soccombente in lite) il risultato di tale opzione, anche quando per es. il soggetto beneficiario della refusione può per la sua qualità professionale, portare in detrazione l’imposta. Vogliamo ricordare che si violano i principi regolatori della materia ex Dpr 633/1972, per la parte sull’Iva e sulla fatturazione, ed ex Dpr n. 600/1973, per la parte sulla ritenuta fiscale, e che comunque vi sono circostanze fattuali che possono escludere la concreta rivalsa o comunque l’esigibilità dell’imposta.[9]
Il principio civilistico della condanna alle spese può dunque trovare estrinsecazione mediante la condanna della parte soccombente al rimborso a favore della di quella vittoriosa dell’onorario o compenso, delle spese processuali e dell’Iva (ex art. 91 cpc) ovvero attraverso la distrazione a favore del legale della parte vittoriosa degli onorari e delle spese anticipate (art. 93 cpc).
Per l’avvocato della parte vittoriosa, antistatario o meno, il legittimo destinatario della fattura non va trovato nel buon senso. Dall’art. 18 comma 1 del Dpr n. 633/1972, che disciplina il rapporto sinallagmatico tra avvocato e cliente, discende ai sensi del successivo art. 21, l’obbligo dell’emissione della fattura, che deve essere sempre rilasciata in favore del proprio cliente quale committente del servizio legale, non essendovi alcun rapporto di diritto sostanziale tra il difensore della parte vittoriosa ed il soccombente.
La fattura dell’avvocato prestatore del servizio legale nei confronti del proprio cliente deve contenere l’importo dovuto a titolo di compenso, delle spese processuali e della relativa imposta Iva addebitata., salvo che per quest’ultima non abbia titolo per esercitare la detrazione. Se il cliente vincitore della causa è un soggetto privato per il soccombente l’Iva è equiparata ad una spesa processuale e il relativo pagamento avviene non a titolo di rivalsa ma a titolo di condanna “un titolo nuovo e diverso rispetto a quello tributario …. un ulteriore diritto di credito avente natura privatistica e non tributaria”.[10]
Se il vincitore di causa, in quanto soggetto passivo di imposta e titolare di partita iva e la vertenza inerisce all’esercizio della propria attività di impresa o professionale, ha titolo ad esercitare la detrazione dell’imposta stessa (art. 19 Dpr. 633/72), il soccombente non dovrà eseguire alcun rimborso Iva e corrisponderà il solo importo delle spese legali liquidate; sarà viceversa la parte vincitrice a pagare l’Iva al proprio difensore per poi recuperarla in sede di liquidazione periodica e dichiarazione annuale.[11]
Ciò anche se la sentenza di condanna non si pronuncia espressamente in ordine al tributo.
Per quanto attiene agli eventuali obblighi di effettuazione della ritenuta fiscale ex art. 25 1° comma Dpr 600/73 è evidente che il vincitore che paga il compenso al proprio difensore, cui è legato da un rapporto di natura sillagmatica, solo se assume la qualifica di sostituto d’imposta (società o persona fisica che esercita attività commerciale, lavoratore autonomo o libero professionista) dovrà applicare la ritenuta d’acconto.
Nel caso di distrazione delle spese in favore del legale del vincitore ex art. 93 cpc[12], le spese di giudizio devono essere pagate direttamente dalla parte soccombente, che diviene il soggetto effettivamente inciso anche se terzo di sinallagmaticità avvocato-cliente, e sarà lo stesso soccombente a dover operare la ritenuta d’acconto prevista ex art. 25 Dpr 600 cit. “ancorchè … rese a terzi o nell’interesse di terzi” se riveste la qualifica di sostituto d’imposta non rilevando il fatto che la parte vittoriosa sia rappresentato da un privato piuttosto che da altro soggetto sostituto d’imposta[13].
Quindi se la parte vittoriosa non ha partita Iva, e come abbiamo già detto non ha titolo per recuperare l’imposta in sede di esercizio del diritto di detrazione, l’avvocato chiederà direttamente al soccombente il pagamento di quanto dovutogli nella sua totalità, iva compresa ed emettere regolare fattura al proprio cliente all’atto dell’effettivo pagamento (ex art. 6, comma 3, e 21 comma 4 Dpr. 633/72 cit.) specificando di aver percepito anche l’imposta.
Se il cliente dell’avvocato è un soggetto passivo d’imposta e quindi titolare di partita iva e del diritto della relativa detrazione, non potendo il tributo iva essere considerato una spesa accessoria, l’imposta iva sarà corrisposta all’avvocato dal suo assistito e nella relativa fattura si evidenzierà che il pagamento è avvenuto da parte del soccombente e che l’iva dovuta è versata dallo stesso cliente. Al soccombente si deve lasciare sempre copia.
Da ultimo la Corte di Cassazione[14] ha ancora una volta ribadito il principio che l’avvocato distrattario può richiedere alla parte soccombente l’importo dovuto a titolo di onorario e spese processuali e non anche l’importo iva che gli sarebbe dovuta, a titolo di rivalsa, dal proprio cliente, abilitato a detrarla. Ciò in quanto, in materia fiscale costituisce principio informatore l’addebitabilità di una spesa al debitore solo se sussista il costo corrispondente e non anche qualora quest’ultimo venga normalmente recuperato, poiché non può essere considerata legittima una locupletazione da parte di un soggetto altrimenti legittimato a conseguire due volte la stessa somma di denaro.[15]
Sovente accade anche che l’avvocato agisca in giudizio nel proprio interesse, senza il patrocinio di altro legale. Vanno tenuti distinti i casi in cui l’avvocato agisce come privato cittadino e quelli in cui egli agisce invece in veste professionale, come avvocato di se stesso: “Le spese rimborsate alla parte vittoriosa che ha agito come privato cittadino (ex art. 82 comma 1 cpc) non rivestono alcuna rilevanza reddituale data la loro natura risarcitoria; invece, le somme liquidate a titolo di refusione delle spese di giudizio (comprensive degli onorari professionali) all’avvocato che ha agito in base all’art. 86 cpc, mantengono la stessa qualificazione e lo stesso trattamento fiscale propri delle somme corrisposte normalmente dalla parte soccombente direttamente alla parte vittoriosa che ha ottenuto la distrazione delle spese processuali a suo diretto favore”.[16] La parte soccombente che paga i suddetti compensi professionali, nella sua qualità di sostituto d’imposta, deve applicare la ritenuta d’acconto del 20% ex art. 25 Dpr 600/73 cit. Infine si precisa che, nel caso in cui l’avvocato eserciti la professione come membro di uno studio professionale, le somme liquidate in sentenza per l’attività professionale resa e le relative ritenute, dovranno essere imputate all’associazione professionale.
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Conclusioni
La condanna alle spese non può che riguardare somme che possono essere pretese in forza del relativo titolo e della effettiva doverosità di tali prestazioni aggiuntive (ovvero “se dovute”).[17]
Bisogna sempre rispettare il principio dell’effettiva
detraibilità ex lege dell’imposta, unico presupposto sulla base del quale, come evidenziato dalla stessa S.C. va stabilita la sua doverosità, a nulla valendo che il dispositivo della sentenza contenga o meno il riferimento alla rivalsa dell’imposta che trova titolo solo nella legge e non nella liquidazione del Giudice.
Di qui la giusta conseguente possibilità per la parte soccombente di esercitare la facoltà di contestare sul punto il titolo esecutivo con l’opposizione a precetto o all’esecuzione, al fine di far valere eventuali circostanze che, secondo le previsioni del Dpr n. 633 del 1972, possono escludere nei singoli casi la concreta rivalsa o, comunque, l’esigibilità dell’imposta iva.
Logica la potestà giudiziale di intervenire, in senso modificativo o integrativo, nel bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti, alla luce dei principi di buona fede e di correttezza, che devono improntare, sia nel momento generativo che in quello esecutivo, tutti i rapporti obbligatori, non potendosi riconoscere tutela a comportamenti del creditore arbitrari e pertanto contra legem, qualora sia necessario per garantire, prevenire o reprimere l’abuso del diritto[18].
Avv. Prof. Nicola Milillo e Dr. Stefano Umberto Milillo curatore della ricerca giurisprudenziale e dottrinaria
Note
[1] Le norme di riferimento e i precedenti della giurisprudenza di legittimità che vengono in rilievo nel caso de quo: Codice di procedura civile: 75 disp. att. – 82 – 86 – 88 – 91 – 92 – 93 – 95 – 96 – 97 – 144 – 186 ter – 186 quater – 287 – 288 – 431 – 474 – 495 – 510 – 641 – 653 – 669 septies – 669 octies – 669 terdicies – 702 ter.
Codice civile: 2749 – 2755 – 2770 – 2777.
Disposizioni fiscali: Dpr 26 ottobre 1972 n. 633, Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto: 5 – 6 – 18 – 19 – 21; Dpr 27 settembre 1973 n. 600, Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi: 25.
Ministero delle Finanze Direzione Generale per gli Affari giuridici e per il contenzioso tributario: Circolare n. 203/E del 8.12.1994; Circolare n. 91/E del 24.7.1998; Circolare n. 106/E del 19.9.2006.
Avvocatura Generale dello Stato: parere consultivo nr. 4322/1992.
Giurisprudenza fondamentale: Cass. Sez. Civ. Un. 12.6.1982 n. 3544. Cass. Civ. II Sez. n. 2474 del 21.2.2012.
Dpr n. 115 del 30.5.2002, Testo unico sulle spese di giustizia.
Legge nr. 247 del 31.12.2012, Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense.
[2] LORENZETTO PESERICO A., Voce Spese giudiziali in Digesto Dir. Priv. Sez. Civ. XVIII, Torino, 1998.
[3] Per tutte Cass. Civ. n. 42/2012.
[4] CARRATO A., L’omessa pronuncia sulla distrazione delle spese può essere recuperata con procedimento di correzione, in Corr. Giur. 2010,1168
[5] Vedasi CORDOPATRI F., La condanna alla refusione delle spese di lite e l’evoluzione del principio di soccombenza, in Gius. Proc. Civ. 2014, 369.
[6] CORDOPATRI F., Un principio in crisi: victus victori, in Riv. Dir. Proc. 2011, pp. 265 e ss.
[7] Da ultimo leggasi SCARSELLI G., Il nuovo art. 92 2° comma cpc, in Estratto Foro Italiano, gennaio 2015, V, Degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la definizione dell’arretrato L. 10.11.2014 n. 142.
[8] MICCOLIS G., Le modifiche alla disciplina dell’esecuzione forzata: quadro generale, in Foro It. 2015, V, 76; PERAGO C., Le contestazioni distributive nell’espropriazione forzata riformata, in Riv. Esec. Forz. 2012, 385.
[9] RESTIVO, Processo civile e condanna alle spese di assistenza legale, in Boll. Trib. 2006, 1765 e ss.; ALAIMO F.A., La condanna al rimborso delle spese legali. Iva e ritenuta d’acconto in Foro Malatestiano fasc. 2/2017.
[10] Cfr.: Cass, Civ. SS.UU. 3544/1982.
[11] Risoluzione n. 91/E della Direzione Generale per gli Affari Giuridici e per il Contenzioso tributario del 24.7.1998; Circolare n. 203/E del 8.12.1994; Avvocatura Generale dello Stato parere consultivo n. 4322/1992.
[12] CARBONE L., Il credito del difensore distrattario, in Foro It. 2011, I, 142.
[13] Circolare n. 203/E del 1994 cit.
[14] Cfr: Cass. Civ. III Ord. N. 22279 del 13.9.2018.
[15] Cfr.: Cass. Civ. II 21.2.2012 n. 2474; conformi Cass. Civ. III n. 13662 del 31.7.2012; Cass. Civ. III n. 19307 del 8.11.2012.
[16] Cfr.: Agenzia delle Entrate risoluzione 19.9.2006 n. 106/E.
[17] Cfr: per tutte Cass. Civ. III 7.2.2006 n. 2529; Cass. Civ. III 22.5.2007 n. 11877.
[18] Vedasi CORDOPATRI F., L’abuso del processo nel diritto positivo italiano, in Riv. Dir. Proc. 2012, 874; ancora ID., Un principio in crisi: victus victori, cit.; TARUFFO M., L’abuso del processo: profili generali, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ. 2012, 117.
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