Introduzione
Le pagine che seguono intendono offrire una panoramica generale rispetto al ruolo che riveste l’impresa nel nostro ordinamento. Un rilievo precipuo verrà dato alla società: dalla spiegazione di cosa essa sia, a come si articola, soffermandosi, infine, sul suo momento nodale: l’iscrizione nel registro delle imprese.
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1. Natura dell’imprenditore
Il nostro ordinamento privilegia un approccio realista alla materia societaria definendo prim’ancora dell’impresa, colui che «esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio dei beni e servizi», e cioè l’imprenditore, secondo il dettato dell’art. 2082 c.c.. La natura o essenza dell’imprenditore, dunque, è ancorata all’esercizio di una attività economica svolta con «professionalità». Da cui ne discende la necessità di una data organizzazione che presieda all’attività d’impresa. Condizione, quest’ultima, non affatto secondaria, considerando che l’elemento organizzativo «non meramente strumentale»[1] è ciò che distingue la figura dell’imprenditore da quella del lavoratore autonomo (art. 2222 ss. c.c.).
1.1 Tipologie
Il Codice distingue due categorie di imprenditori: l’imprenditore agricolo e l’imprenditore commerciale, in base all’oggetto dell’attività esercitata. L’art. 2135 c.c. definisce il primo come colui «che esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse»[2]. La distinzione tra le due figure è di notevole importanza ai fini dell’esonero dall’applicazione dell’articolata e rigorosa disciplina prevista per l’imprenditore commerciale, alla luce del d.lgs 228/2001[3]. La definizione di imprenditore commerciale è ancora piuttosto controversa e discussa in dottrina. La parte maggioritaria[4] è concorde nel ricavarla «in negativo» dall’art. 2135 c.c. e «in positivo» dall’art. 2195 c.c.. Laddove il primo, pur definendo l’attività dell’imprenditore agricolo, determinerebbe, per esclusione, la figura dell’imprenditore commerciale. L’art. 2195 c.c., invece, nel descrivere gli imprenditori soggetti a registrazione, definirebbe indirettamente benché non esaustivamente (sempre secondo la dottrina prevalente) l’attività, e quindi, la figura dell’imprenditore commerciale.
1.2 Il piccolo imprenditore
Menzione a parte merita la figura del piccolo imprenditore, laddove l’aggettivo «piccolo» definisce «l’estensione dell’attività»[5]. Per tale aspetto esso è da considerarsi species sia dell’imprenditore agricolo che di quello commerciale. Secondo l’art. 2083 c.c. sono definiti «piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia». La prevalenza funzionale dell’impiego di tali risorse familiari caratterizza ed identifica la «piccola intrapresa». Tra le norme che la riguardano è d’uopo considerare l’esonero dall’obbligo della tenuta dei libri e delle scritture contabili (art. 2214, comma 3, c.c.), ma non dall’iscrizione nel registro delle imprese, seppur acclusa in una «sezione speciale» (art. 2, comma 1, D.P.R. 14 dicembre 1999, n. 558), con funzione di mera «pubblicità-notizia» (art. 8 L 29 dicembre 1993, n. 580).
2. La società
L’attività di impresa può fare capo ad una persona fisica (impresa individuale) o ad «enti associativi» (impresa collettiva). In questa sede ci si soffermerà su una forma di impresa associativa «tipica», ossia la «società»[6]. Tale termine evoca una «pluralità di significati»: per società, infatti, si può intendere il «contratto» con cui «due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili» (art. 2247 c.c.). Si può altresì intendere il neonato «soggetto» societario sorto in forza del contratto sociale. O, ancora, con tale termine ci si può riferire al «rapporto» che lega tra loro i soci[7]. Tale polisemia dunque rende ragione della complessità del fenomeno societario e mostra le sfaccettature ad esso inerenti.
2.1. Natura e requisiti
Andando ad analizzare il dettato del codice si possono trarre interessanti spunti di riflessione. La definizione legislativa di «contratto di società» precisa che per esservi società vi deve essere un «conferimento di beni o servizi»[8] da parte di ciascun socio. Il che implica che per diventare socio vi sia l’obbligo del conferimento. Detti conferimenti vanno a costituire il patrimonio societario. Secondariamente, è necessario l’esercizio in comune dell’attività economica. L’art. 2082 c.c. precisa poi che tale attività deve essere «organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi». Infine, la costituzione della società ha lo scopo di «dividerne gli utili»[9] che ne conseguono, fra i soci. Aspetto, quest’ultimo, ancora alquanto discusso poiché, come si sa, la divisione degli utili non ricorre nel caso delle «società cooperative»[10].
2.2. Tipologie societarie
Il nostro ordinamento giuridico prevede otto tipi di società: la società semplice; la società in nome collettivo, la società in accomandita semplice, la società per azioni, la società in accomandita per azioni, la società a responsabilità limitata, la società cooperativa, la mutua assicuratrice. Le società vengono alla luce per mezzo di un atto negoziale: contratto[11] o atto unilaterale. Sono di fonte contrattuale, necessariamente, le società di persone, le cooperative e le s.a.p.a.; possono, invece, essere costituite per mezzo di un atto unilaterale le s.p.a. e le s.r.l..
Per la categoria delle «società di persone»[12] (società semplice, società in nome collettivo) non è previsto un modello organizzativo di tipo corporativo, ossia basato su una pluralità di organi. Ciascun socio ha «responsabilità illimitata» ed è investito del potere di amministrazione e di rappresentanza della società. Nelle «società di capitali» (società per azioni, società a responsabilità illimitata), gli amministratori possono essere dei terzi ed i soci non rispondono delle obbligazioni sociali (art. 2325, comma 1 c.c.). Le società in «accomandita» (società in accomandita semplice, società in accomandita per azioni) costituiscono un genus intermedio fra le due categorie. In queste vi sono due tipologie di soci: gli «accomandanti» e gli «accomandatari», che risentono di influssi provenienti sia dalle società di persone che dalle società di capitali[13].
3. Iscrizione nel registro delle imprese
L’art. 8 L. 29 dicembre 1993, n. 580, ha istituito l’ufficio del registro delle imprese, a norma dell’art. 2188 c.c.[14]. Detto articolo, al secondo comma, prevede che il registro è «tenuto dall’ufficio del registro delle imprese sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale». Lo stesso, oltre ad essere pubblico, è attualmente suddiviso in una «sezione ordinaria» e in più «sezioni speciali»[15]. L’iscrizione nel registro delle imprese gode normalmente di «efficacia dichiarativa». Vale a dire che, dal momento della registrazione, gli atti e i fatti soggetti ad iscrizione sono opponibili a chiunque (art. 2193, comma 2, c.c.). Il combinato disposto degli artt. 2195-2196 c.c. costituisce il fulcro della normativa, disciplinando i «soggetti» (art. 2195 c.c.) che sono tenuti ad iscriversi e le «modalità» per farlo (art. 2196 c.c.).
3.1. Società semplici e società in nome collettivo
Il codice civile del 1942 non prevedeva per le società semplici l’iscrizione nel registro delle imprese. Tale previsione è stata introdotta con l’art. 8, comma 4, della L. n. 580/1993, abrogato dall’art. 15 del d.p.r. n. 588/1999 e sostituito dall’art. 2, comma 1, del medesimo d.p.r., che stabilisce che le società semplici sono iscritte in un «sezione speciale». In seguito la normativa è stata disciplinata nuovamente, precisando che per la società semplice che svolge attività agricola (circostanza assai frequente nella prassi)[16], detta iscrizione ha funzione di pubblicità legale.
Per quanto concerne, invece, la società in nome collettivo, anch’essa è soggetta ad un regime di pubblicità legale mediante deposito ed iscrizione dell’atto costitutivo nel registro delle imprese, a norma dell’art. 2196, comma 1, c.c.. Questo prevede, inoltre, che gli amministratori devono «entro trenta giorni» depositare «l’atto costitutivo della società con sottoscrizione autenticata dei contraenti».
3.2 Società di fatto e società apparente
Meritano qualche breve considerazione alcuni fenomeni che si sono verificati in passato e si verificano tutt’ora, nella prassi, e sui quali si è espressa la giurisprudenza più volte. Quest’ultima, ad esempio, ha rinvenuto degli «indici rilevatori» dell’esistenza di un rapporto societario «di fatto»[17], allorquando si è in presenza di finanziamenti, o di operazioni similari, in favore dell’imprenditore da parte dei soci, e che pertanto andrebbero a costituire «l’elemento oggettivo» di detto rapporto[18]. Tale aspetto si accompagna all’«elemento soggettivo», ossia «l’affectio societatis», cioè l’intenzionalità da parte dei contraenti di «vincolarsi e di collaborare» al fine di conseguire risultati di cui beneficiare nell’ambito dell’attività d’impresa[19]. Discorso differente ed opposto vale per la società «apparente», che ricorre quando due o più persone, pur non essendo legate da alcun contratto societario, «operino nel mondo esterno in modo da determinare l’insorgere dell’opinione ragionevole che essi agiscano come soci […]»[20].
3.3. Società di capitali
L’art. 2331, comma 1, c.c. sancisce che «la società acquista la personalità giuridica» con l’iscrizione nel registro delle imprese. Da sottolineare che tale iscrizione è condizione indispensabile a che la società arrivi ad esistere[21], avendo «efficacia costitutiva». Ne discende che solo a partire dall’iscrizione nel suddetto registro, l’eventuale «manifestazione di volontà» dei soci, assunta all’unanimità ed avente sino ad allora valore «convenzionale» – previo il rispetto dei requisiti di forma prescritti dall’ordinamento – si converta in «atto deliberativo» nel momento in cui la società viene ad esistere acquisendo la personalità giuridica[22] (oltre che l’autonomia patrimoniale perfetta)[23]. Prima ancora di procedere all’iscrizione, è necessaria però la stipulazione dell’atto costitutivo, il quale «deve essere redatto per atto pubblico» a pena di nullità (art. 2328, comma 2, c.c.). Nell’atto costitutivo devono essere indicati i dati prescritti dall’art. 2328 c.c., i quali integrano la manifestazione di volontà di costituire la società, e lo statuto, il quale contiene analiticamente «le norme relative al funzionamento» della stessa.
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Note
[1] A. Torrente – P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, a cura di F. Anelli – C. Granelli, Giuffrè, Milano 2009, p. 879. Cfr. G.F. Campobasso, Diritto commerciale. 1. Diritto dell’Impresa, a cura di M. Campobasso, Utet, Milano 2013, p. 23. Con «mera strumentalità» si intende, per esempio, l’utilizzazione da parte di un elettricista piuttosto che di un idraulico di determinati attrezzi indispensabili all’esercizio delle loro attività. Ciò, ovviamente, non è sufficiente a far ricomprendere tali forme organizzative, basiche, nell’alveo della figura dell’imprenditore commerciale, il quale si avvarrà di una forma organizzativa ben più complessa.
[2] Cfr. M. Ambrosio, Attività e impresa agricola, Giuffrè, Milano 2008.
[3] Cfr. G.F. Campobasso, Diritto commerciale. 1. Diritto dell’Impresa, cit., p. 46 ss. Ad esempio, l’imprenditore agricolo è esonerato dalla tenuta delle scritture contabili (art. 2214 c.c.). Prima della riforma operata dal d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228 era esonerato anche dall’iscrizione nel registro delle imprese. Si è citato questo rilievo, ormai storiografico, per dare contezza del diverso trattamento che l’ordinamento prevedeva e prevede tutt’ora (come si è visto) per le due figure.
[4] Cfr. G. Cottino, Diritto commerciale. L’imprenditore, Cedam, Padova 2000, p. 121.
[5] Per una panoramica generale cfr. G.Jr. Ferri, In tema di piccola impresa tra codice civile e legge fallimentare, in «Rivista diritto commerciale», 2007, I, 735.
[6] Per quanto concerne le altre tipologie di imprese collettive, si veda A. Cetra, L’impresa collettiva non societaria, Giappichelli, Torino 2013.
[7] Cfr. A. Torrente – P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, cit., p. 939.
[8] Cfr. G.F. Campobasso, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, a cura di M. Campobasso, Utet, Torino 2009, p. 5.
[9] Cfr. Cass., 10 agosto 1965, n. 1921: «Poiché la produzione (e divisione) di utili, che costituisce elemento oggettivo della causa del contratto di società, va riferita al complesso dell’attività sociale, non viene meno la funzione economico-sociale tipica (scopo e metodo utilitari), ove qualche atto o negozio, rientrante nell’oggetto sociale (nella specie, obbligazione e garanzia), sia esercitata senza fine di lucro».
[10] Cfr. Ivi, p. 941; per approfondire cfr. A. Ceccherini, Le società cooperative, in Trattato di diritto privato, dir. da M. Besone, Giappichelli, Torino 2007.
[11] In dottrina si ritiene che il contratto di società rientri nella categoria dei «contratti con comunione di scopo» (cfr. F. Galgano, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, art. 36-42, in Commentario del Codice Civile, a cura di A. Scialoja – G. Branca, Zanichelli, Bologna-Roma 1967, p. 15 ss.). Per la giurisprudenza, inoltre, il contratto di società è un «contratto di durata e consensuale» (Cass. civ., 15 aprile 1992, n.4659, in Giust. Civ. Mass., 1992, fasc. 4).
[12] Per questa brevissima disamina, condotta per sommi capi, si è privilegiato procedere – nel descrivere le differenti tipologie societarie – partendo del «ruolo» assunto dalla categoria dei soci in ciascuna di esse.
[13] Cfr. A. Torrente – P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, cit., p. 951;
[14] Cfr. C. Ibba, Registro delle imprese, in «Riv. Not.», 2008, p. 513.
[15] Soltanto a mo’ di accenno: nella sezione ordinaria vengono iscritti i singoli imprenditori commerciali «non piccoli», le società più «complesse» ecc. (art. 7, comma 2, d.p.r. n. 581/1995). Nelle sezioni speciali, un’ampia casistica che vede fra gli altri: gli imprenditori agricoli, le società semplici, i piccoli imprenditori (art. 2, comma 1, d.p.r. 14 dicembre 1999, n. 558), le società tra avvocati (art. 16, comma 2, D.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96) ed altri.
[16] Cfr. G.F. Campobasso, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, cit., p. 5.
[17] Cfr. Cass. 7 febbraio 1962, n. 251: «Una società di fatto può ben esistere anche se i soci non abbiamo manifestato in modo espresso la loro volontà di unirsi in società, potendo tale volontà desumersi dalla circostanza che le parti abbiano costituito un fondo comune destinandolo all’esercizio di una attività al fine di ripartirsene gli utili».
[18] Cfr. Cass. 13 maggio 1997, n. 4187: «Ai fini della configurabilità di una società di fatto, la sussistenza del contratto sociale può risultare, oltre che da prove dirette specificamente riguardanti i suoi requisiti tipici (quali l’affectio societatis, la costituzione di un fondo comune, la partecipazione agli utili e alle perdite), pure da manifestazioni esteriori della attività di gruppo, quando esse per la loro sintomaticità e concludenza evidenzino l’esistenza della società anche nei rapporti interni. In particolare, i finanziamenti e le fideiussioni a favore dell’imprenditore possono costituire indici rivelatori del rapporto stesso qualora, alla stregua della loro sistematicità e di ogni altra circostanza del caso concreto, siano ricollegabili ad una costante opera di sostegno dell’attività dell’impresa, qualificabile come collaborazione del socio al raggiungimento degli scopi sociali. (Nella specie, l’accertamento del rapporto societario tra due soggetti, rispettivamente primo prenditore e giratario di una cambiale, rilevava ai fini della opponibilità al secondo del rapporto fondamentale tra l’emittente e il primo: la sentenza impugnata, confermata dalla Suprema Corte, ha dato rilievo, al fine di ritenere l’esistenza di una società di fatto, alla circostanza che il titolare di un’attività commerciale utilizzava il conto corrente bancario, corredato di fido, intestato ad altra persona e non altrimenti movimentato, sia per prelievi, realizzati con assegni firmati in bianco, sia per versamenti, e che il titolare dell’impresa girava i titoli cambiari ricevuti da clienti al socio di fatto, con cui detti clienti dovevano trattare il rinnovo dei titoli)».
[19] Detto fenomeno della «società di fatto» può riscontrarsi sostanzialmente solo nelle società in nome collettivo, ritenendosi impraticabile nel caso della società in accomandita semplice ed impossibile nelle società di capitali. Cfr. L. Genghini – P. Simonetti, Le società di persone, Cedam, Milano 2012, pp. 93-94.
[20] Cass. 20 aprile 2006, n. 9250: «La società di fatto, sebbene inesistente nella realtà, può apparire esistente di fronte ai terzi quando due o più persone operino nel mondo esterno in modo da determinare l’insorgere dell’opinione ragionevole che essi agiscano come soci e del conseguente legittimo affidamento circa l’esistenza della società stessa: in tale ipotesi, a tutela della buona fede dei terzi, è sufficiente che il soggetto che abbia trattato col socio apparente provi un comportamento che, secondo l’apprezzamento insindacabile del giudice di merito, sia idoneo a designare la società come titolare del rapporto. In tal caso incombe sulla società apparente la prova che controparte fosse consapevole dell’inesistenza del vincolo sociale e quindi non meritevole di tutela».
[21] Cfr. G.F. Campobasso, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, cit., p. 168 ss.; L. Genghini – P. Simonetti, Le società di capitali e le cooperative, I, Cedam, Milano 2015, p. 47.
[22] A partire da tale momento, infatti, le regole che disciplinano i contratti vengono meno in quanto subentrano quelle che regolano le società.
[23] A tal proposito si è espressa chiaramente la giurisprudenza: cfr. Cass. 18 aprile 1984, n. 2515: «La società di capitali che non sia stata regolarmente costituita per mancata iscrizione nel registro delle imprese non viene a giuridica esistenza, con la conseguenza che delle obbligazioni assunte in suo nome sono responsabili coloro che hanno agito».
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