La convivenza dopo il divorzio
Il Tribunale aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra due coniugi, affidando i figli alla madre, confermando la facoltà di visita del padre come regolata in sede di separazione personale dei coniugi, e fissando l’ammontare dell’assegno divorzile dovuto per il mantenimento dei figli e della ex moglie. La Corte di appello disponeva l’affidamento condiviso del secondo figlio, in quanto nel frattempo era divenuto maggiorenne il primo, e revocava l’obbligo dell’ex marito di corrispondere l’assegno di mantenimento in favore della ex moglie. La Corte territoriale osservava che la convivenza more uxorio intrapresa dall’ex moglie, allietata dalla nascita di un bambino, “comporta la costituzione di una nuova comunità familiare, che deve essere ritenuta di per sé incompatibile con il godimento dell’assegno di divorzio e dunque con la tutela dell’ex coniuge”.
Il profilo compensativo dell’assegno può essere sacrificato da una nuova convivenza?
La donna ricorre per cassazione, evidenziando che nei nove anni di durata del matrimonio aveva rinunciato ad un’attività lavorativa per dedicarsi ai figli, e ciò anche dopo la separazione personale dal marito che aveva potuto, invece, applicarsi completamente al proprio successo professionale, quale amministratore e proprietario di una delle più prestigiose imprese di commercializzazione e produzione delle calzature, in Italia, con un fatturato di qualche milione di euro. La ricorrente affermava di essere non più in età per poter reperire un’attività lavorativa, aveva vissuto e viveva con i figli e si era unita all’attuale compagno, da cui aveva avuto una figlia, operaio che percepiva un reddito di poco più di mille euro al mese. Il profilo compensativo, integrato dall’apporto personale dato dall’ex-coniuge, avrebbe escluso l’automatismo estintivo dell’assegno divorzile quale conseguenza della nuova convivenza.
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La rimessione alle SS.UU.
La I Sezione della Corte di Cassazione ha osservato che la questione consiste nello stabilire se l’effetto estintivo previsto” dall’art. 5, c. 10, l. n. 898/1970, in ipotesi di nuove nozze del beneficiario, trovi applicazione nella distinta ipotesi della famiglia di fatto. Secondo il Collegio rimettente la questione, da ritenersi di particolare importanza a norma dell’art. 374, comma 2, c.p.c., offre l’occasione per rimeditare l’indirizzo più recente formatosi nella giurisprudenza di legittimità, sull’incidenza dell’istaurazione della convivenza di fatto con un terzo rispetto all’assegno.
I principi di diritto
Le S.U., con sentenza n. 32198, accoglievano il motivo del ricorso, cassavano la sentenza impugnata rinviando alla Corte d’Appello in diversa composizione dovendosi attenere ai seguenti principi di diritto: “L’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno. Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche all’attualità di mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge in funzione esclusivamente compensativa. A tal fine il richiedente dovrà fornire prova del contributo offerto alla comunione familiare; dell’eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio; dell’apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge. Tale assegno, anche temporaneo su accordo delle parti, non è ancorato al tenore di vita endomatrimoniale né alla nuova condizione di vita dell’ex coniuge ma deve essere quantificato alla luce dei principi suesposti, tenuto conto, altresì della durata del matrimonio”.
La cessazione della materia del contendere per intercorso accordo
L’uomo ha depositato memoria ex art. 378 c.p. allegando documento del provvedimento del Tribunale che, in conformità alle conclusioni congiunte dalle parti, anch’esse allegate, ha provveduto sulla misura e sulle modalità di mantenimento dei figli. Dichiara, pertanto, che l’accordo raggiunto, prima della sentenza delle S.U., elide l’interesse ad una pronuncia sul motivo e chiede la pronuncia di cessata la materia del contendere. Alla stregua delle allegazioni e documenti versati dalle parti, la Cassazione ha dichiarato cessata la materia del contendere in ordine a due motivi, mentre l’esame dell’ulteriore motivo è demandato alla Corte di appello, come statuito dalle S.U. con la sentenza n. 32198/2021.
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