La sospensione condizionale della pena e l’entrata in vigore del c.d. Codice Rosso

 

Brevi cenni sull’istituto e visione personale

La scienza penalistica opera una summa divisio tra cause di estinzione della pena (morte del reo dopo la condanna; amnistia impropria, prescrizione; indulto; grazia; libertà condizionale; riabilitazione; non menzione della condanna nel casellario) e cause di estinzione del reato (morte del reo prima della condanna; remissione della querela; amnistia propria; prescrizione; oblazione nelle contravvenzioni; sospensione condizionale della pena; perdono giudiziale).

Tra le cause estintive del reato, una posizione di particolare riguardo viene occupata proprio dalla sospensione condizionale della pena.

Nel contesto giuridico anglosassone nasce come una forma di probatio, intesa cioè come sospensione della pronuncia di condanna al fine di recuperare imputati giovani con l’aiuto e l’assistenza di tutori, divenendo, in seguito al recepimento e modifiche nell’Europa continentale, una forma di sospensione dell’esecuzione della condanna.[1]

Questa causa di estinzione della punibilità, già denominata condanna condizionale[2], è stata ed è spesso contestata essendo costituita da una natura complessa tale da renderne arduo l’inquadramento.

Infatti, pensandoci bene, l’interprete del diritto potrebbe inquadrarla, per certi versi, tra le misure sospensive, mentre, per altri, come un fenomeno tipicamente estintivo.

La personale visione in merito all’istituto de quo spinge a considerarlo come una condizione ibrida tra causa estintiva del reato e causa estintiva della pena poiché, rimanendo sospesa l’esecuzione della pena dal memento della pronuncia della sentenza di condanna (con tutti i presupposti e limiti tassativi) e non verificandosi ulteriori reati ad opera del condannato (nel termine previsto dalla legge), si verifica l’estinzione del reato.

Pena sospesa – reato estinto, ergo, condizione ibrida.

Ratio, applicazione e revoca nel Codice attuale

Tale istituto che più propriamente dovrebbe chiamarsi “sospensione condizionale dell’esecuzione della pena”, previsto dall’Ordinamento giuridico italiano e disciplinato dagli artt. 163-167 del Codice penale (il cui approfondimento sarà, casomai, trattato in una sede diversa), presenta lo scopo non solo di sottrarre al pietoso ambiente carcerario soggetti che, nonostante si siano resi colpevoli di un reato presentano probabilità di ravvedimento, ma anche di costruire un’efficace remora a violare nuovamente la legge.

L’effetto della sospensione condizionale della pena è quello di sospendere l’esecuzione delle pene inflitte con la sentenza di condanna, mentre l’effetto estintivo è solo condizionato ed eventuale producendosi nel caso in cui il condannato superi la prova alla quale viene sottoposto nel periodo fissato dalla legge: cinque anni se si tratta di delitto e due anni se si tratta di contravvenzione.[3]

In sintesi, può dirsi che tale istituto è espressione dell’idea che nei confronti del delinquente primario che abbia commesso un reato non grave può risultare opportuna una rinuncia condizionata all’esecuzione della pena, dal momento che i danni prodotti dal’esecuzione potrebbero risultare superiori ai benefici, per la società e per il singolo condannato.[4]

La sospensione condizionale della pena è ammessa solo se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’art. 133 c.p., il giudice formuli una prognosi favorevole sul futuro comportamento del reo, ritenendo che si asterrà dal commettere ulteriori reati.

Tale beneficio non può essere concesso a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione; al delinquente abituale o contravventore abituale ovvero professionale; allorchè alla pena inflitta deve essere aggiunta una misura di sicurezza personale.

La revoca, invece, si ha quando il condannato commette un delitto o contravvenzione della stessa indole nel tempo della sospensione ovvero non adempie agli obblighi impostigli; riporta un’altra condanna per un delitto anteriormente commesso a pena che, cumulata a quella precedentemente sospesa, supera i limiti stabiliti dall’art. 163 c.p; quando è stata concessa in violazione dell’art. 164, quarto comma, c.p., in presenza di cause ostative; quando è stata concessa ai sensi dell’art. 444, comma terzo, c.p.p.

La sospensione condizionale, inoltre, può essere concessa una seconda volta dall’organo giudicante se ritiene sussisterne i presupposti soggettivi e oggettivi, ma, in questo caso, necessariamente, il beneficio suddetto deve essere subordinato all’adempimento di uno o più obblighi quali restituzioni, pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno, eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato con le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna.

Il c.d. Codice Rosso

La Legge n.69 del 19 luglio 2019Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere” conosciuta che come codice rosso, è entrata in vigore il 9 agosto dello stesso anno.

L’intento di tale Legge è, senza dubbio, l’introduzione di una corsia preferenziale per alcuni reati (quelli previsti dagli artt. 572, 609 bis, ter, quater, quinquies, ostie, 612 bis, ter, e dagli artt. 582 e 583 quinquies c.p. nelle ipotesi aggravate ai sensi degli artt. 576, comma primo, numeri 2,5, e 5.1, e 577, comma primo, numero 1 e comma secondo c.p.

Rapportando l’introduzione di questa recente Legge all’istituto della sospensione condizionale della pena, è stato aggiunto un nuovo comma all’art. 165 c.p., il quale prevede che tale beneficio sia subordinato alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati.

Detti percorsi di recupero, tuttavia, non devono essere più di tanto onerosi per la Finanza Pubblica, ma, devono essere a carico del condannato.

Inoltre, l’art. 165 c.p. conferisce al giudice il potere discrezionale di subordinare la concessione della sospensione condizionale a diversi obblighi quali la restituzione dell’imputato di quanto ottenuto illegittimamente ovvero quello di risarcire il danno cagionato ed eliminare le conseguenze dannose causate con il reato.

Dipoi, qualora il condannato non si opponga, potrà ottenere il beneficio prestando un’attività retribuita a favore della collettività per un periodo non superiore alla durata della pena sospesa.

Dunque, nel caso in cui il soggetto agente commetta uno dei reati previsti dal c.d Codice Rosso, per poter beneficiare della sospensione condizionale della pena, avrà l’obbligo di sottoporsi a quanto previsto dal nuovo comma dell’art. 165 c.p, soddisfacendo tanto i criteri soggettivi quanto quelli oggettivi.

In ogni caso e comunque, tale istituto resta sempre il frutto del potere discrezionale dell’organo giudicante, il quale lo concederà solo e soltanto nel momento in cui avrà raggiunto un livello di prognosi favorevole nei confronti del soggetto giudicato convincendosi che quest’ultimo si asterrà nel commettere ulteriori reati medio tempore.

L’inasprimento in merito alla concessione di tale beneficio, soprattutto in seguito all’entrata in vigore della nuova Legge n. 69 del 2019 per la circoscritta categoria di reati, dunque, ha sviluppato una doppia difficoltà: in capo al soggetto giudicato quella di vedere, sempre di più, svanire la possibilità di godere del beneficio, mentre in capo al giudice quella di valutare con molta più precisione e delicatezza l’ipotesi di concederla o meno, districandosi nella fitta giungla normativa.

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Note

[1] Su questa origine, PADOVANI, L’utopia punitiva, cit., 167 ss.

[2] La sospensione condizionale venne introdotta in Italia sotto il nome di “condanna condizionale” con la Legge Ronchetti del 26 aprile del 1904 e venne motivata – secondo le parole del legislatore – con l’esigenza di sottrarre all’ambiente deleterio e pericoloso del carcere chi mai ne abbia varcato le soglie e di curare in siffatta guisa l’emenda del colpevole.

[3] G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, Parte generale, Giuffrè Editore, Milano, 2004, p. 442.

[4] G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, Parte generale, Giuffrè Editore, Milano, 2004, p. 443.

 

Avv. Pasquale Poerio

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