La sospensione delle procedure esecutive alla luce delle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea

Per la Corte di Giustizia il sistema di tutela posto in atto dalla direttiva 93/2013 è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista, per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse. In mancanza di armonizzazione dei meccanismi nazionali di esecuzione forzata nel diritto dell’Unione, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire tali norme, in virtù del principio dell’autonomia procedurale, a condizione però che esse non siano meno favorevoli delle norme che disciplinano situazioni simili sottoposte al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano praticamente impossibile o eccessivamente arduo l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività).

E proprio in merito al principio di effettività, si deve rammentare che, per giurisprudenza costante della Corte, ciascun caso in cui si pone la questione se una disposizione processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta disposizione nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali.

La sentenza resa nella causa C-34/2013 ha inaugurato una stagione importante per la tutela del debitore, quando per effetto di una procedura esecutiva immobiliare venga seriamente minacciata la perdita dell’abitazione familiare.

In tal senso, la Corte di Giustizia ha fornito, nelle recenti sentenze, delle indicazioni ai giudici nazionali chiamati a decidere su tali casi i quali sono tenuti ad adottare i provvedimenti provvisori più adeguati ed efficaci per sospendere o bloccare un procedimento illegittimo di esecuzione ipotecaria.

Al fine di preservare i diritti attribuiti ai consumatori dalla direttiva 93/2013, gli Stati membri sono tenuti, in particolare, in forza dell’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva, ad adottare meccanismi di tutela tali da far cessare l’utilizzazione delle clausole qualificate come abusive. Ciò è del resto confermato dal ventiquattresimo considerando di tale direttiva che precisa che le autorità giudiziarie e gli organi amministrativi devono disporre di mezzi adeguati ed efficaci rispetto a tale obiettivo.

Nel caso di specie, la perdita dell’abitazione familiare non è solamente idonea a violare gravemente il diritto dei consumatori, ma pone i familiari del consumatore interessato in una situazione particolarmente delicata.

A tale proposito, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha considerato, da un lato, che la perdita dell’abitazione costituisce una delle più gravi violazioni al diritto al rispetto del domicilio e, dall’altro, che qualsiasi persona che rischi di esserne vittima deve, in linea di principio, poter far esaminare la proporzionalità di tale misura.

Nel diritto dell’Unione, il diritto all’abitazione è un diritto fondamentale garantito dall’articolo 7 della Carta, che il giudice del rinvio deve prendere in considerazione nell’attuazione della direttiva 93/2013.

Per quanto riguarda le conseguenze che comporta l’espulsione del consumatore e della famiglia dall’abitazione che costituisce la loro residenza principale, la Corte ha già sottolineato l’importanza, per il giudice competente, di emanare provvedimenti provvisori atti a sospendere un procedimento illegittimo di esecuzione ipotecaria o a bloccarlo, allorché la concessione di tali provvedimenti risulta necessaria per garantire l’effettività della tutela voluta dalla direttiva 93/2013.

Nella fattispecie, la possibilità per il giudice nazionale competente di adottare un qualsiasi provvedimento provvisorio sembra costituire uno strumento adeguato ed efficace per far cessare l’applicazione di clausole abusive, il che deve essere verificato dal giudice del rinvio. In pratica, la Corte di Giustizia autorizza i giudici nazionali a bloccare, in via provvisoria, la finanziaria o la banca che mette all’asta la casa familiare del consumatore se si accorge che nel contratto di credito al consumo sono presenti una o più clausole abusive che pongono oneri particolarmente vincolanti a carico del consumatore e ad esclusivo vantaggio dell’azienda, clausole notoriamente vietate dalle direttive dell’Ue.

Tale sentenza, pubblicata il 10 settembre 2014, ha esteso il blocco del pignoramento dell’abitazione principale, già previsto dal c.d. decreto «del fare» nei soli confronti dello Stato e del suo “braccio esecutivo” Equitalia, di fatto anticipando la Cassazione, sent. n. 19270/2014, pubblicata il 12 settembre 2014, anche nei confronti dei privati, soprattutto banche e finanziarie.

Successivamente, sempre la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha fornito un ulteriore tassello contro le clausole abusive in relazione ai contratti di fideiussione e di garanzia immobiliare stipulati con i consumatori.

Con ordinanza resa il 19 novembre 2015 nella causa C-74/15 è stato affermato il seguente principio: “Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società”.

Questa tutela è particolarmente importante nel caso di un contratto di garanzia o di fideiussione stipulato tra un istituto bancario e un consumatore. Tale contratto si basa infatti su un impegno personale del garante o del fideiussore al pagamento del debito contratto da un terzo e comporta, per colui il quale vi acconsente, obblighi onerosi che hanno l’effetto di gravare il suo patrimonio di un rischio finanziario spesso difficile da misurare.

Più recentemente, con la sentenza del 19 febbraio 2016, resa nella Causa C-49/14, la Corte Ue è intervenuta nuovamente, sancendo un ulteriore principio a favore del consumatore-debitore. In particolare, è stato previsto che il giudice deve potere rilevare la presenza di una eventuale clausola vessatoria ai danni del consumatore anche in fase esecutiva, non ostando neppure «l’autorità di cosa giudicata» del titolo esecutivo.

La Corte ha precisato che, benché i meccanismi nazionali di esecuzione forzata non risultano, allo stato, armonizzati, la discrezionalità del legislatore interno rimane vincolata dal c.d. “principio di effettività,” ovvero quello di non rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti ai consumatori dal diritto dell’Unione (paragrafo 40 della decisione), tra cui rientra l’azione di accertamento dell’abusività delle clausole contenute in contratti dei consumatori attribuito dalla direttiva 93/2013.

Un principio che offre ai consumatori-debitori una garanzia in più in merito alla difesa dei propri diritti, come confermato nella successiva sentenza del 21 aprile 2016 resa nella causa C-377/14.

 

Giuliana Gianna

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