1. La questione
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Novara impugnava con ricorso immediato in Cassazione una sentenza del Tribunale di Novara con cui l’imputato era stato condannato per il delitto di tentativo di rapina impropria aggravata, così riqualificato il fatto rispetto all’originaria contestazione di rapina impropria consumata, fermo restando che questo Tribunale aveva altresì riconosciuto la circostanza attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale ritenuta equivalente alle aggravanti.
In particolare, tra le doglianze addotte nel ricorso, la pubblica accusa prospettava l’errata applicazione della legge penale ex art. 606 comma 1, lett. b) c.p.p. e, segnatamente, l’erronea qualificazione giuridica del fatto che il Tribunale aveva ritenuto configurato nella forma tentata, a fronte, secondo il ricorrente, di una corretta contestazione di rapina impropria aggravata consumata, e a tal fine si sottolineava come la consumazione del reato si configuri al momento della sottrazione, non essendo necessario anche l’impossessamento del bene sottratto.
Sottrazione che -secondo l’impugnante- si era realizzata nel caso di specie, avendo riguardo alle modalità del fatto.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
Il motivo summenzionato era reputato fondato.
Il Supremo Consesso giungeva a siffatta conclusione, rilevando in primo luogo come il giudice di prime cure avesse erroneamente confuso la condotta di sottrazione, identificandola con quella di impossessamento, atteso che il legislatore – nel descrivere la rapina impropria – distingue la sottrazione dall’impossessamento, collocando le due condotte in altrettanti momenti ben distinti e separati nella norma, che descrive una sorta di progressione dinamica, che prende le mosse da una sottrazione pacifica della res e che prosegue (immediatamente dopo) nella violenza o la minaccia adoperata dall’agente per conseguire il possesso (o per guadagnarsi l’impunità); l’art. 628, comma secondo, cod. pen., invero, prevede quanto segue: «Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità».
Tal che se ne faceva conseguire che la condotta di sottrazione si identifica nell’apprensione del bene non accompagnata dalla possibilità di disporne liberamente, essendo ancora possibile che il soggetto passivo ripristini per intero il potere di fatto sulla cosa, e in ciò, per il Supremo Consesso, sta la distinzione rispetto all’acquisizione di quella piena e autonoma disponibilità della cosa che caratterizza lo spossessamento, nel qual caso il soggetto passivo è stato privato del potere di fatto e della signoria sulla cosa, passati nelle mani dell’agente.
Oltre a ciò, era altresì fatto presente come, proprio sulla base di tale differenziazione tra sottrazione e spossessamento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione abbiano già avuto modo di chiarire come «sia configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui il soggetto agente abbia sottratto la cosa altrui e subito dopo abbia tentato un’azione violenta o anche minacciosa nei confronti della vittima del reato o di terzi per assicurarsi il possesso del bene. Non si vede, […] la ragione di negare la configurabilità del tentativo nel caso in cui rimanga incompiuta l’azione di sottrazione della cosa altrui. […] Deve osservarsi che il comma secondo dell’art. 628 cod. pen. fa riferimento alla sola sottrazione e non anche all’impossessamento, ciò che conduce a ritenere che il delitto di rapina impropria si possa perfezionare anche se il reo usi violenza dopo la mera apprensione del bene, senza il conseguimento, sia pure per un breve spazio temporale, della disponibilità autonoma dello stesso. Il requisito della violenza o minaccia che caratterizza il delitto di rapina, certamente può comportare una differenziazione in ordine al momento consumativo rispetto al furto. Mentre, infatti, con riferimento al furto, finché la cosa non sia uscita dalla sfera di sorveglianza del possessore questi è ancora in grado di recuperarla, così facendo degradare la condotta di apprensione del bene a mero tentativo, al contrario, nella rapina, la modalità violenta o minacciosa dell’azione non lascia alla vittima alcuna possibilità di esercitare la sorveglianza sulla res. […]. In considerazione della successione “invertita” delle due condotte di aggressione al patrimonio e alla persona che caratterizza la rapina impropria, il legislatore, al fine di mantenere equiparate le due fattispecie criminose del primo e del secondo comma dell’art. 628 cod. pen., non richiede il vero e proprio impossessamento della cosa da parte dell’agente, ritenendo sufficiente per la consumazione la sola sottrazione, così lasciando spazio per il tentativo ai soli atti idonei diretti in modo non equivoco a sottrarre la cosa altrui» (Sez. U, Sentenza n. 34952 del 19/04/2012).
Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, gli Ermellini ritenevano come la motivazione addotta dal Tribunale di Novara si mostrasse incoerente rispetto agli elementi costitutivi del reato, così come rappresentati dal legislatore e fin qui delineati, visto che, nonostante una evidente condotta di sottrazione realizzata dai due imputati, -che prelevavano i beni degli scaffali, li occultavano e superavano anche le barriere antitaccheggio- e pur a fronte di una violenza realizzata al fine di realizzare l’impossessamento (e per guadagnarsi l’impunità), il giudice di primo grado aveva ritenuto configurato un tentativo di rapina impropria sul presupposto che al fine della consumazione fosse necessario l’ulteriore requisito dell’acquisizione della piena e autonoma disponibilità del bene, ossia un effettivo impossessamento invece non richiesto dalla norma per il perfezionamento del delitto.
Da qui, si ravvisava il vizio di violazione di legge posto che il fatto, secondo il Supremo Consesso, doveva essere qualificato quale concorso in rapina impropria consumata.
La sentenza era dunque annullata con rinvio alla Corte di Appello che avrebbe dovuto determinare il trattamento sanzionatorio rispetto al fatto così come qualificato.
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito in cosa la sottrazione si distingue dallo spossessamento in materia rapina impropria.
Difatti, tenuto conto che questo reato si consuma nel momento in cui è compiuta la condotta sottrattiva come si evince sia dal tenore testuale dell’art. 628, co. 2, cod. pen. (“Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità”), che alla luce di quanto postulato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 34952 del 19/04/2012 (“In considerazione della successione “invertita” delle due condotte di aggressione al patrimonio e alla persona che caratterizza la rapina impropria, il legislatore, al fine di mantenere equiparate le due fattispecie criminose del primo e del secondo comma dell’art. 628 cod. pen., non richiede il vero e proprio impossessamento della cosa da parte dell’agente, ritenendo sufficiente per la consumazione la sola sottrazione”), si precisa in tale pronuncia che la condotta di sottrazione si identifica nell’apprensione del bene non accompagnata dalla possibilità di disporne liberamente, essendo ancora possibile che il soggetto passivo ripristini per intero il potere di fatto sulla cosa mentre, l’acquisizione della piena e autonoma disponibilità della cosa caratterizza lo spossessamento e, nel qual caso, il soggetto passivo è stato privato del potere di fatto e della signoria sulla cosa, passati nelle mani dell’agente.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di verificare quando sia configurabile siffatta sottrazione in quanto essa rappresenta, come appena visto, il momento a partire del quale il delitto di rapina impropria può ritenersi consumato.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, dunque, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere positivo.
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