Da anni la Regione Siciliana interviene con specifiche, isolate disposizioni di legge sul tema della stabilizzazione dei precari. Un primo intervento, tra quelli peraltro ancora in vigore, si ebbe con la L.r. n. 85 del 1995, una legge che prevedeva l’assunzione di unità di personale da individuare tra i lavoratori socialmente utili, lavoratori per i quali era prevista la contrattualizzazione individuale a tempo determinato per l’attuazione di progetti di utilità collettiva.
L’effettivo avvio dei progetti si ebbe nel 1998 e da allora quelle unità di personale, al di là della finalità contemplata in ciascun progetto di utilità collettiva che ne giustificò l’assunzione, hanno continuato a prestare regolare servizio svolgendo, negli enti, mansioni di istituto.
Di triennio in triennio i contratti sono stati rinnovati senza che tuttavia si sia giunti ad un definitivo assetto del rapporto di lavoro, con riferimento anche agli effettivi fabbisogni degli enti.
Un successivo intervento normativo è stato realizzato con la legge regionale n. 21 del 2003, in quella occasione il legislatore regionale ha agevolato la fuoriuscita di molti lavoratori socialmente utili ancora titolari non già di un rapporto di lavoro subordinato ma di un rapporto previdenziale (come oggi lo definisce la Cassazione), individuando alcune misure in base alle quali gli enti potevano scegliere tra:
– assunzione a tempo determinato per cinque anni (cd. “contratto di diritto privato”);
– conferimento di incarichi di collaborazione a progetto;
– assunzione presso le società partecipate;
– assunzione a tempo indeterminato ma solamente per il personale impegnato in lavori socialmente utili assimilabili alle prestazioni delle categorie professionali A e B (vi è un rinvio espresso di tipo “statico” alla L. n. 388 del 2000, art. 78, ed alla L. n. 56/87).
Ogni possibilità di “stabilizzazione” era assistita da una sorta di “premio” finanziario una tantum.
L’intervento normativo è servito fondamentalmente a trasformare, il cd. rapporto previdenziale degli L.S.U. in rapporto di lavoro subordinato, a tempo determinato, ovvero indeterminato nei casi previsti.
Invero, sotto il profilo della stabilizzazione vera e propria, comunque, al di là della specifica possibilità di assunzione a tempo indeterminato del personale socialmente utile di categoria inferiore, il legislatore ha circoscritto il suo intervento precipuamente ai rapporti a tempo determinato, sia di tipo subordinato che parasubordinato (recte: mediante collaborazioni).
La più recente legislazione è quella data dalla L.R. n. 16/06 la quale, sostanzialmente, è intervenuta a modificare il rapporto di lavoro dei cd. precari estendendo (per legge) il quantum orario delle prestazioni lavorative, con un incremento graduale delle stesse da 18 a 24 ore settimanali. Tale legge non ha riguardato la conversione del rapporto di lavoro da rapporto a tempo determinato a rapporto a tempo indeterminato, e ciò per tutte le categorie professionali.
In verità, più precisamente, in tali ultime disposizioni si fa riferimento ad una generica possibilità di “conferma” dei contratti di diritto privato, la legge reca un termine assolutamente estraneo alla terminologia dei rapporti di lavoro sia pubblici che privati non costituendo la citata conferma né un’ipotesi di rinnovo del contratto né, tampoco, di proroga.
Questo ovviamente porta a complicanze interpretative anche di un certo spessore.
La questione della stabilizzazione vera e propria, ossia della possibilità per gli enti di procedere alla conversione dei rapporti di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato e delle collaborazioni in rapporti di subordinazione è tornata di attualità con la legge finanziaria nazionale dell’anno scorso.
Non mi soffermo sul merito delle disposizioni in essa contenute sulle quali si soffermerà Arturo Bianco, voglio solamente puntare la lente d’ingrandimento sul problema che gli Enti locali della Regione Siciliana sovente si trovano ad affrontare, ossia se quelle disposizioni in Sicilia trovino applicazione o meno.
Sulla materia va preso atto di due questioni:
– esiste una competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. l), nel nuovo testo successivo alla riforma del Titolo V del 2001, in quanto materia concernente l’ “ordinamento civile”;
– ad un tempo esiste una competenza legislativa concorrente regionale, propria della Sicilia, voluta all’art. 17 dello Statuto del 1946.
Il risultato ermeneutico che si trae dalla lettura combinata delle due disposizioni di rango costituzionale è che la Legge n. 296/06, sul punto, è certamente oggetto della potestà legislativa statale ex art. 117 Cost., ma, soprattutto, detta legge finanziaria costituisce una sorta di tassello perfetto che va ad innestarsi in quegli ambiti di normazione oggetto di competenza legislativa concorrente, quali quelli relativi alla legislazione sociale e dei rapporti di lavoro, per i quali lo Statuto regionale (art. 17) non impedisce l’immanente efficacia dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato e delle prestazioni minime dalla stessa stabilite.
In poche parole, sembra non revocabile in dubbio che la disciplina sulla stabilizzazione contenuta nella finanziaria statale trovi applicazione nell’ordinamento regionale, e ciò sia seguendo la via dell’art. 117 Cost., sia quella dello Statuto Regionale che, beninteso, consente allo stesso legislatore regionale di intervenire nei limiti dei principi contenuti nella disciplina statale.
Sulla questione va ricordato come due recenti interventi della Corte costituzionale hanno fatto il punto circa il rapporto tra competenza legislativa regionale in tema di rapporti di lavoro e norme di principio statali.
Con la sentenza n. 189 del 2007
[1], la Corte ha infatti sancito, in ordine al rapporto tra norme fondamentali di riforma economico sociale e competenza legislativa esclusiva della Regione Siciliana che “
Le norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica costituiscono limiti alla potestà legislativa delle Regioni a statuto speciale ed in particolare della Regione Sicilia.[…]Il rapporto di impiego alle dipendenze di Regioni ed enti locali, essendo stato "privatizzato" in virtù dell’art. 2 della legge n. 421 del 1992, dell’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 e dei decreti legislativi emanati in attuazione di quelle leggi delega, è retto dalla disciplina generale dei rapporti di lavoro tra privati ed è, perciò, soggetto alle regole che garantiscono l’uniformità di tale tipo di rapporti; conseguentemente i princípi fissati dalla legge statale in materia costituiscono tipici limiti di diritto privato, fondati sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati e, come tali, si impongono anche alle Regioni a statuto speciale”.
Con riferimento proprio ai lavoratori socialmente utili, il più recente intervento dato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 359/07, ha riguardato la compatibilità delle norme regionali con i vincoli di bilancio stabiliti dall’art. 81 della Costituzione, e, specificamente, l’efficacia retroattiva di una disposizione legislativa regionale che prevedeva nuovi criteri di calcolo delle maggiorazioni da corrispondere ai soggetti impiegati in lavori socialmente utili per una durata oraria eccedente quella ordinaria, della quale ne è stata dichiarato il contrasto con l’art. 81, quarto comma, della Costituzione, perché non indicava né l’ammontare della nuova e maggiore spesa né i mezzi per farvi fronte.
Per la Regione Siciliana, infatti, l’art 17, secondo comma, dello Statuto dispone che la legislazione regionale si svolge «entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato». Il che comporta che il legislatore regionale, non può sottrarsi a quella fondamentale esigenza di chiarezza e solidità del bilancio cui l’art. 81 Cost. si ispira (cfr. Corte cost., sentenze n. 54 del 1958; n. 30 del 1959; n. 31 del 1961; n. 96 del 1966; n. 47 del 1967; n. 135 del 1968; n. 123 del 1975).
Ne emerge una forte limitazione degli ambiti normativi regionali sulla materia dei rapporti di lavoro nella p.a., risultando le norme statali cogenti in termini di principi e, talora, di disposizioni.
Due ultime considerazioni.
La prima, relativa alla portata delle norme della finanziaria, esse, infatti, sono espressamente definite norme di coordinamento della finanza pubblica, con le refluenze che ciò comporta sulle materia oggetto di competenza legislativa regionale.
La seconda con riferimento ad un principio immanente di derivazione comunitaria che è il principio di non discriminazione.
Quest’ultimo è un principio comunitario, reso oggetto, peraltro, nell’ordinamento interno, dei decreti di disciplina dei rapporti di lavoro a tempo determinato e a tempo parziale (D. Lgs. n. 368/01 e D. Lgs. n. n. 61/00), in forza del quale non è consentita discriminazione alcuna tra diverse tipologie di lavoratori ancorché precari, quella non discriminazione che, ponendosi nel solco del principio di uguaglianza, certamente non conosce e non può conoscere limitazioni di ordine territoriale a presidio dell’unitarietà dell’ordinamento.
Ciò comporta che la disciplina sulla stabilizzazione, contenuta nella Legge n. 296/06 e precipuamente all’art. 1 comma 558, non può essere comunque considerata oggetto di un necessario apposito richiamo legislativo regionale (la cui assenza ne cagionerebbe l’inefficacia).
La non applicazione, conseguenza di tale assunto, infatti, impedirebbe agli enti di esercitare gli ambiti di discrezionalità dati dalla scelta di stabilizzare o meno (in quanto verrebbe meno il relativo presupposto normativo) e soprattutto, da un punto di vista più generale, comporterebbe una vera e propria diversità di trattamento, quantomeno in termini di chance, dei diversi lavoratori precari in ragione del territorio di appartenenza.
Giuseppe La Greca
(Segretario generale del Comune di Canicattì)
[1] In tema di trattamento economico dei dipendenti degli enti locali della Regione Siciliana addetti agli uffici stampa.
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